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Autore: Bored94    30/11/2020    1 recensioni
[Gin-centric] [Tematiche delicate]
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Dopo la fine della guerra contro gli Amanto, Gintoki Sakata è riuscito a rifarsi una vita e a trovare dei nuovi compagni, una nuova famiglia. Cosa succederebbe se anche questa gli venisse improvvisamente strappata via? Come reagirebbe se pensasse di aver perso tutto?
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata, Kagura, Shinpachi Shimura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 2


«Razza di idiota» sentì mormorare per l'ennesima volta. «Cosa pensavi di fare riducendoti in questo stato?»

Il samurai poteva sentire la preoccupazione nascosta dietro al tono irato della signora Otose. «Appoggiatelo lì» ordinò a Catherine e Tama, dando un calcio a un paio di bottiglie vuote abbandonate sul pavimento. «Catherine, metti un po' a posto questo porcile. Tama, aiutalo a spogliarsi e buttalo nella vasca, mentre cerco delle bende e del disinfettante.»

I riflessi di Gintoki erano troppo rallentati e si rese conto di quello che stava succedendo solo una volta che Tama l'ebbe lasciato cadere nell'acqua. Fu un brusco risveglio: il robot non aveva aspettato che l'acqua raggiungesse una temperatura accettabile e il freddo improvviso aveva risvegliato di colpo l'uomo dai capelli argentati.

«Ma sei impazzita?! Stai cercando di uccidermi?!» urlò sconvolto, aggiungendo acqua calda.

Tama lo osservò per un attimo. «Facoltà mentali e fisiche ripristinate.»

«Ripristinate un cavolo, hai idea di quanto fosse fredda quest'acqua?»

«Devo provvedere io al lavaggio?»

Gin si rintanò nell'angolo più lontano della vasca. «No! Faccio da solo!»

«D'accordo» rispose la ragazza sedendosi su una sedia e continuando a fissarlo.

«...ehi. Ma hai forse intenzione di restartene lì tutto il tempo?»

«Secondo i miei dati, se un umano riporta danni fisici pari ai tuoi ha buone probabilità di perdere i sensi. Sempre secondo i miei dati, non penso che la signora Otose sarebbe soddisfatta del mio lavoro se ti lasciassi affogare nella vasca da bagno.»

Rimasero per un attimo ad osservarsi in silenzio. «Certe cose non vanno fatte in pubblico, mi serve della privacy.»

«Puoi fare ciò che vuoi. Io sono un robot, non nutro nessun tipo di interesse per le funzioni biologiche dei corpi degli umani. Puoi lavarti senza problemi.»

Gintoki continuò a lamentarsi sottovoce per un po', ma finalmente si decise a darsi una pulita dandole la schiena. Una volta terminato, si avvolse un asciugamano attorno alla vita e con un secondo si asciugò rapidamente, provocandosi una smorfia di dolore. Gli faceva male dappertutto e alcune ferite stavano ricominciando a sanguinare. Adesso che si vedeva nudo e pulito, si rendeva conto di quanto fosse disastrosa la situazione: era pieno di grossi lividi viola, tagli ed escoriazioni. Sentiva inoltre un forte dolore all'altezza delle costole e faticava a restare in piedi senza appoggiarsi alla parete. Che si fosse rotto qualcosa? No, aveva combinato di peggio in passato. Il mal di testa lancinante non lo aiutava a gestire la situazione... ma quanto aveva bevuto? Si passò una mano tra i capelli. Era un bernoccolo quello?

Barcollò verso la porta del bagno per tornare in salotto, con Tama alle calcagna. Ringraziò mentalmente che il robot non avesse deciso di caricarselo di nuovo in braccio di peso, aveva ancora un briciolo di dignità da salvaguardare.

Nell'altra stanza Otose lo stava aspettando con un cipiglio severo disegnato sul volto. La vecchia era sul piede di guerra. Gin non poté fare a meno di sentirsi in colpa e in imbarazzo, un po' come quando da bambini si veniva sorpresi a rompere la finestra di un vicino con un pallone o a rubare la frutta da una delle sue piante. Solo che questa volta non si trattava di giochi da bambini e sapeva che la rabbia della padrona di casa non si sarebbe placata facilmente.

Ne ebbe la prova quando, appena sedutosi sul divano, la signora Otose iniziò a disinfettargli le ferite con più veemenza del necessario, strappandogli qualche gemito di dolore.

«Ehi vecchia, potresti andarci un po' più piano!» protestò a un certo punto, cercando di stemperare la tensione. Uno sguardo in tralice dell'amica lo fece ammutolire.

«Hai intenzione di ricominciare tutto da capo? Vuoi tornare ad essere lo stesso stupido incosciente che ho raccolto al cimitero? Bere, giocare d'azzardo, fare a botte... non sei mai stato un modello di comportamento, ma sembravi essere finalmente cresciuto. Mi sembra di essere tornata indietro di otto anni. Hai così fretta di farti ammazzare? Pensi che quei due ragazzi ne sarebbero felici?»

Gintoki non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo. Sapeva che la vecchia aveva ragione e sapeva anche quanto gli ci era voluto a uscire da quella spirale autodistruttiva la prima volta, semplicemente non sapeva se aveva la forza di farlo di nuovo.

Aveva deluso tutti per la seconda volta.

Aveva perso la propria famiglia per la seconda volta.

Non era stato capace di proteggere nulla e quel pensiero lo stava divorando dall'interno, giorno dopo giorno.

E poi c'era quell'incubo.

La puzza di carne che bruciava, le urla... ormai aveva paura di chiudere gli occhi la notte, paura di rivedere quelle scene ancora e ancora, come se una volta non fosse stato sufficiente. Il torpore che lo assaliva durante il giorno era sufficiente a svuotarlo di qualsiasi spirito d'iniziativa, ma non riusciva a tenere lontano i pensieri a lungo. Aveva quindi provato a distrarsi con il gioco d'azzardo e l'alcol e per un po' aveva funzionato.

Per un po'.

A un certo punto anche quello aveva smesso di fare effetto e si era ritrovato coinvolto in una rissa, poi un'altra e un'altra. La maggior parte delle volte non era nemmeno lui a iniziare, ma qualcuno che si era offeso per una battuta sarcastica o che aveva perso le staffe per aver perso al gioco o che era semplicemente ubriaco. Gin non iniziava mai, ma di certo non si tirava indietro. Era una valvola di sfogo e allo stesso tempo una punizione.

La sera prima però era andata male: era ubriaco, come sempre nelle ultime sere, per sbaglio aveva urtato un tizio che aveva deciso di prenderla sul personale con il pretesto che “il tizio con la permanente” avesse cercato di derubarlo. Un buttafuori del locale in cui si trovavano si era accorto della tensione crescente e li aveva separati, cacciando fuori il piantagrane.

Gintoki aveva avuto modo di incontrarlo più tardi, uscito dal locale, in una delle stradine buie di Kabuki-chō. Lo avevano assalito in sei, ma il samurai non era tipo da farsi battere così facilmente. Nonostante i fumi dell'alcol, lui e il suo bokuto erano stati in grado di tener testa a quei sei idioti abbastanza a lungo da avvicinarsi a una zona più illuminata del distretto. Peccato che fosse troppo poco troppo tardi, si era accorto troppo lentamente dell'uomo alle sue spalle armato di bottiglia e non era riuscito a evitare il colpo diretto alla propria testa. A causa dell'instabilità data dall'alcol, aveva perso l'equilibrio e un altro dei suoi assalitori ne aveva approfittato per colpirlo a una gamba con un bastone trovato poco lontano, facendolo cadere a terra. Aveva cercato di coprirsi la testa con le braccia, mentre una gragnola di calci lo colpiva all'addome, sulle costole, sulla schiena. Quando finalmente ne aveva avuto abbastanza, aveva afferrato Lago Toya e aveva usato tutta la sua energia e concentrazione per mettere al tappeto i suoi avversari. Si era poi trascinato lungo le strade del distretto, appoggiandosi ai muri degli edifici, fino ad arrivare sulla soglia del bar della signora Otose, dove le sue gambe avevano finalmente ceduto e si era ritrovato riverso al suolo sotto la pioggia, incapace di alzarsi a causa dell'alcol e delle botte. Era stato lì e in quelle condizioni che le tre donne lo avevano trovato. Sul momento si erano limitate a controllare rapidamente che non avesse ferite gravi e a lasciarlo dormire.

Ora era il momento della resa dei conti.

La vecchia aveva ragione a rimproverarlo, ma l'unica cosa che provava in quel momento era un enorme vuoto che non sapeva come affrontare, unito alla consapevolezza di essere lui la causa della morte di due adolescenti il cui unico errore era stato quello di fidarsi di lui.

Lasciarsi andare a quel modo però non era degno di un samurai.

Era il momento di ricominciare a comportarsi come tale.

***

Ricominciare a comportarsi come un samurai.

Che idiota era stato.

Una risata amara gli scivolò sulle labbra mentre osservava lo shihō ancora davanti a sé. La sua mente tornò a quanto era appena accaduto.

Aveva preso la propria decisione.

Era vero ciò che diceva la vecchia Otose, il suo comportamento non era più accettabile. Doveva mettere fine a quella specie di farsa.
 

Si era diretto a passo deciso verso l'armadio. Nonostante fossero passati anni, aveva conservato sia il daishō che il tantō in un cassetto che non veniva mai aperto, sotto strati di vecchi vestiti. Il suo sguardo aveva indugiato per un attimo sulla sua wakizashi, la spada corta che aveva portato a lungo in cintura insieme alla katana, ma si era spostato rapidamente sul tantō. Il pugnale sarebbe stato sufficiente.

Aveva appoggiato il tantō sullo shihō che aveva posizionato nella propria stanza e aveva iniziato a cambiarsi. Aveva indossato degli abiti bianchi e si era seduto davanti al tavolino su cui aveva appoggiato il pugnale.

Era rimasto un attimo in contemplazione.

Si era assicurato che sia la porta dell'appartamento che quella della propria stanza fossero ben chiuse. Anche l'orario era propizio, era uno dei momenti della giornata in cui il bar di Otose contava più avventori e la cena gli era già stata portata, quindi nessuna delle tre donne sarebbe andata da lui quella sera. Negli ultimi giorni non aveva nemmeno visto nessuno dei suoi amici e conoscenti, era abbastanza sicuro che nessuno di loro sarebbe apparso all'improvviso a bussare alla sua porta.

Sospirando, aveva portato il tantō all'altezza del proprio addome, sulla sinistra. Aveva appena iniziato ad incidere la pelle, quando un guaito incredibilmente acuto aveva catturato la sua attenzione e, sollevando lo sguardo, aveva visto la sagoma di Sadaharu dall'altra parte della porta. Gintoki aveva scosso la testa ed era tornato a concentrarsi sul procedimento.

Sadaharu, capendo che il samurai lo stava ignorando, aveva guaito di nuovo e tirato una zampata al fusuma. Che avesse capito ciò che stava accadendo? Forse l'uomo si stava solo autosuggestionando, ma non poteva fare a meno di pensare che Sadaharu lo stesso pregando di non farlo. Aveva già perso la sua padroncina, non voleva perdere qualcun altro.

Quello che un tempo era stato conosciuto come il Demone Bianco aveva riabbassato la testa, ignorando il lamento straziante dell'animale. Nella sua testa si era presentata a tradimento l'immagine del volto sorridente di Kagura e lo sguardo giudicante ma divertito di Shinpachi. Sentì una fitta al petto e un groppo in gola.

Cos'altro avrebbe potuto fare?

Non ce la faceva più a sopportare il dolore, il senso di colpa e il vuoto che i suoi amici avevano lasciato.

Non poteva farcela questa volta.

Non di nuovo.

Aveva affondato di mezzo centimetro la punta del tantō nel proprio ventre ed era stato a quel punto che Sadaharu aveva caricato il fusuma della stanza a testa bassa. Il grosso cane gli si era piantato davanti e aveva iniziato ad annusarlo, come se stesse cercando di capire quale fosse esattamente il problema. Gli fece cadere il pugnale di mano e iniziò ad annusargli il viso, per poi strusciare la grossa testa pelosa contro il suo petto.

Gin aveva lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi, ormai svuotato.

 

Il samurai si portò una mano al visto ed emise una risata priva di allegria: non era stato nemmeno in grado di farla finita. Era stato fermato da un cane.

Valeva così poco la sua determinazione?

Come era potuto arrivare fino a quel punto un uomo che sarebbe chiaramente dovuto morire quasi dieci anni prima?

Forse era per questo che era sopravvissuto, non era altro che un codardo, in fondo.

***

«Che cos'hai fatto?!» la storia del suo tentato seppuku si era diffusa alla svelta. Dopo il suo fallimento, Gintoki non aveva rimesso a posto la stanza e si era semplicemente addormentato sul pavimento, appoggiato a un fianco di Sadaharu, che da quella sera sembrava aver deciso di essere il suo guardiano. Il giorno dopo, quando Catherine era entrata nel suo appartamento lamentandosi e sbuffando per essere stata obbligata a fare qualcosa che “avrebbe dovuto fare Tama”, aveva visto lo stato disastroso della porta e della stanza di Gintoki. Inutile dire che Otose aveva capito tutto nell'esatto momento in cui l'ex ladra le aveva raccontato ciò che aveva visto. La vecchia si era precipitata al piano di sopra come una furia e aveva iniziato a picchiarlo con tutto ciò che le era capitato sotto mano. Sadaharu questa volta non aveva mosso nemmeno un muscolo. A quanto sembrava, riteneva che Gin meritasse quella punizione. Sembrava quasi divertito.

L'uomo dai capelli d'argento avrebbe potuto giurare di aver visto un'espressione compiaciuta sul muso dell'animale, come un canino “ben ti sta”.

Gintoki non avrebbe saputo dire in che modo si fosse diffusa la voce, ma in quel momento c'era un Hasegawa particolarmente agitato seduto sul suo divano, intento a fargli un terzo grado.

«Si può sapere che diavolo ti è passato per la testa? Sei forse impazzito?» esordì l'uomo con gli occhiali da sole. Il samurai gli rivolse uno sguardo vacuo e non rispose. L'amico sospirò. «Ascolta, posso solo immaginare quanto questo momento sia difficile per te, ma non puoi...»

«Non sei tu quello che ha tentato più volte di impiccarsi?» lo interruppe l'uomo con i capelli d'argento.

«Beh... sì, ma... sono ancora qui, giusto? Sei stato tu a insegnarmi che c'è sempre qualcosa per cui vale la pena combattere. Non puoi gettare la spugna proprio ora.»

«Gettare la spugna? Per gettare la spugna bisogna avere uno scopo a cui rinunciare. Se non se ne ha uno, non vi si può nemmeno rinunciare. Il tuo scopo è quello di ritrovare un lavoro e riconquistare tua moglie. Il fatto che tu non ci sia ancora riuscito, dipende esclusivamente da te e dalla tua mancanza di impegno. Il mio quale sarebbe? Da tempo ormai i samurai non hanno più uno scopo in questo Paese ed è il momento di prenderne atto, senza aggrapparsi a scuse e giustificazioni per ritardare l'inevitabile.»

Hasegawa scosse la testa. «Non era ciò che intendevo» le parole dell'amico lo avevano ferito, ma non aveva intenzione di recriminare, non era il momento. «So che la tua situazione e la mia non hanno nulla in comune e non posso nemmeno immaginare cosa tu possa provare in questo momento. Ciò che volevo dire è che non è vero che non hai uno scopo. E non è vero che sei rimasto solo, Gintoki. So che non siamo stati presenti quanto avremmo dovuto in questo periodo, ma... hai ancora degli amici là fuori, una famiglia. Non pensi che valga la pena vivere per loro?» concluse alzandosi e dirigendosi verso la porta. «Non fare sciocchezze.»

«Hasegawa...» iniziò Gin rivolto alla sua schiena, senza alzare lo sguardo verso di lui.

Il madao sorrise. «Non ti preoccupare, lo so. Ci vediamo, ok?» si limitò a rispondere prima di andarsene.

 

«Ha ragione, lo sai, vero?» disse una voce alle sue spalle. Qualcuno era entrato in silenzio e aveva atteso fino a quel momento per parlare.

Gin fece un sorriso strafottente. «Da quando sei contrario al seppuku, Nobile Furia?»

L'amico ignorò il tono sarcastico e si fece avanti. «Non sono contrario.»

«Allora cosa c'è? Sei arrabbiato perché non ti ho chiamato come kaishakunin?»

«Non riuscirai a provocarmi, Gintoki. E anche se me lo avessi chiesto, avrei rifiutato» concluse Katsura sedendosi sul divano. Il samurai dai capelli argentati osservò l'amico con malcelata curiosità, non si sarebbe mai aspettato questo genere di risposte da Zura.

Il jōi sorrise, indovinando quali fossero i pensieri di Gin. «Vedi, io comprendo il seppuku quando non si vuole cadere nelle mani del nemico, quando si vuole salvare il proprio onore o quando viene imposto come condanna. Il tuo caso non rientra in nessuna di queste opzioni.»

«Il munenbara è piuttosto comune» rispose l'altro con voce piatta.

Zura sollevò un sopracciglio. «Il suicidio per il senso di rammarico? Gintoki, non sei mai stato il genere di uomo da uccidersi per il dispiacere. Ne ho visti di seppukunin e tu... beh, tu sei l'ultima persona dalla quale mi aspetterei un gesto simile. Specialmente in tempo di pace. E poi... per cosa proveresti rammarico? Li hai forse messi in pericolo di proposito? Hai dato loro incarichi più pericolosi di quanto potessero gestire? Hanno cercato di tirarsi indietro e tu li hai costretti a seguirti od obbedirti? Sei forse scappato, abbandonandoli al loro destino, o hai rifiutato di combattere?»

Il samurai scosse la testa senza sollevare lo sguardo, facendo ondeggiare i capelli mossi.

«No, infatti. Se ti conosco, e dopo tutto questo tempo penso di farlo, credo che tu abbia fatto tutto il possibile per sconfiggere il vostro nemico e proteggerli.»

Il silenzio calò tra i due uomini. Fu Gintoki a romperlo.

«Se non fossero venuti, se li avessi lasciati a casa...»

«Ti avrebbero seguito. Ho avuto l'occasione di conoscerli e quei due ragazzini avevano una dedizione che a volte fatico a scorgere anche tra i miei uomini. Non approverebbero affatto il tuo gesto» fece una pausa e sorrise. «E poi un uomo che conoscevo una volta mi disse di non pensare a finire la mia vita in modo glorioso, ma di pensare invece a vivere fino alla fine in modo glorioso.»

«In modo glorioso, eh? Era proprio un idiota, quel tizio.»

«Già, un vero idiota.»


In quei giorni quelle di Zura e Hasegawa non furono le uniche visite che ricevette. Tutti i suoi amici, da Tsukuyo da parte di Yoshiwara a quella zanzara insistente di Sacchan, passarono a fargli visita. Non che non ci avessero provato in precedenza, ma Gintoki non aveva mai dato loro l'opportunità di parlargli o di incontrarlo. Anche Kondo, Hijikata e Sōgo avevano provato a contattarlo, stavano seguendo una pista che si era incrociata con gli eventi che avevano portato all'incendio dell'albergo in cui si erano trovati Shinpachi, Kagura e Gin, ma l'uomo non era stato in grado di dar loro particolari informazioni.

La visita che lo aveva lasciato maggiormente stupito era stata quella di Otae, era convinto di essere l'ultima persona che lei avrebbe voluto vedere, invece la ragazza sedeva davanti a lui, un sorriso triste disegnato sul volto.

Da quando la conosceva, Otae aveva sorriso quasi sempre.

«Non ti aspettavi di vedervi, vero?»

Gintoki scosse la testa, ancora perplesso.

«Sarei passata prima, ma tutti dicevano che non avrei dovuto perché avresti ripensato a mio fratello e...» la sua voce andò scomparendo, si limitò a rivolgergli uno sguardo eloquente. Tentennò, poi riprese a parlare. «Mi manca, penso tu sia l'unico in grado di capire quanto mi manchi. Credo però che Shinpachi non avrebbe mai voluto che noi smettessimo di vivere le nostre vite. Penso nemmeno Kagura lo avrebbe voluto. So che pensi che ti odi, all'inizio anche io l'ho pensato, ma non è così. Io e Shinpachi siamo cresciuti insieme e conoscevo Kagura. Ho sempre saputo che ti avrebbero seguito ovunque...» fece una pausa e tirò fuori una busta dalla borsa. «Ho trovato queste, ho pensato che ti sarebbe piaciuto vederle.»

All'interno della busta c'erano alcune foto di Shinpachi che si allenava nel dōjō o in piena tenuta da fan di Otsū. Gintoki si trovò suo malgrado a sorridere vedendo una foto di Shinpachi correre come un disperato inseguito da Kagura a cavallo di Sadaharu. Si ricordava quel giorno: erano andati ad allenarsi lungo il fiume e Gin si era stravaccato sull'erba come suo solito, dicendo che Shinpachi avrebbe dovuto allenare i propri riflessi e la propria rapidità. Il sorriso demoniaco di Kagura a quelle parole aveva innescato gli eventi immortalati nella foto.

Rifletté un attimo e poi gli venne un'idea. «Devo farti vedere qualcosa anche io» si limitò a dire, iniziando a frugare dietro all'insegna sopra alla scrivania. Tirò fuori una busta spessa e piena di fotografie e la porse all'amica.

Passarono il pomeriggio così, tra foto e aneddoti divertenti, alla fine Gintoki dovette ammettere con se stesso che in quel momento non faceva così male ripensare a loro.

 

Quelle visite diventarono un'abitudine. Naturalmente nessuno di loro lo andava a trovare ogni giorno, ma aveva ricominciato a uscire con Sadaharu, ad andare al bar di Otose, a fermarsi a parlare con Zura e Hasegawa e ogni tanto riceveva le visite di Tsukuyo e di Otae. La prima gli portava notizie da Yoshiwara e regali da Hinowa, qualche volta era stata accompagnata anche da Seita; con la seconda si ritrovava spesso a parlare di Shinpachi e Kagura e a ricordare le assurdità fatte insieme. Queste azioni gli costavano un certo sforzo, ma aveva deciso di provare a vivere la propria vita nei giorni in cui si sentiva bene.
I giorni no non se n'erano però andati del tutto. C'erano ancora volte in cui non riusciva ad alzarsi dal futon e non poteva fare altro che restarsene steso in camera propria, con il dolore della perdita e i sensi di colpa che lo travolgevano a ondate. In quei giorni, Sadaharu si accucciava accanto a lui e gli restava vicino, cercando di portargli un po' di conforto con la propria compagnia. A volte riceveva visite in quei giorni, all'inizio gli amici e la signora Otose avevano provato a scuoterlo, ma avevano rinunciato velocemente, limitandosi a restare con lui in silenzio.

I giorni no arrivavano all'improvviso, come uno tsunami, e portavano con sé ricordi e pensieri che Gintoki non voleva ascoltare e che non si placavano nemmeno con l'arrivo della notte. La notte, anzi, peggiorava ogni cosa, chiudendo il suo petto in una morsa e mostrandogli ciò che aveva perso. Ciò di cui durante il giorno gli piaceva parlare con Otae, di notte diventava una serie di pensieri assordanti che cercava di annegare nel sakè.

***

Quello era decisamente un giorno no, la sera prima aveva bevuto molto e la sua testa sembrava sul punto di volersi spaccare. Fosse stato per lui sarebbe rimasto raggomitolato su Sadaharu o dentro al futon, ma Otae quel giorno sembrava particolarmente su di giri. Gin si trovò a pensare che lei stava decisamente reagendo molto meglio di lui... forse perché i sensi di colpa non la tenevano sveglia la notte o semplicemente quello era il suo modo di non pensare.

La ragazza aveva chiamato Otose e l'aveva supplicata di convincere Gintoki ad alzarsi e rendersi presentabile, questo aveva portato a un tentativo di assedio assillante da parte della vecchia Otose: prima si era presentata di persona, poi aveva mandato Tama e infine aveva sguinzagliato Catherine, che però aveva desistito velocemente, non interessata a quella gara di testardaggine. Gintoki allora ne aveva approfittato per tornarsene nel futon con già la sua tipica camicia nera addosso, ma con ancora i pantaloni del pigiama. Chissà perché Otae aveva chiamato così eccitata, poi...

  
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