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Autore: Miawolf    02/12/2020    1 recensioni
“[...] Ben presto mi fu chiaro che restare non era più un compito, una necessità. Era un capriccio, e dovevo vincerlo per suo bene, o forse, egoisticamente, per il mio. Perché speravo con tutto il cuore, ogni volta per tornavo a casa, di leggere in lei un segnale, un piccolo indizio che mi suggerisse che anche lei cominciava, finalmente, a guardarmi con occhi diversi. E ci speravo anche questa volta, come una sdolcinata ragazzina, che questo Natale mi regalasse finalmente il segnale che attendevo da anni.”
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Renesmee Cullen | Coppie: Jacob/Renesmee
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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“Jacob. Che piacere rivederti”. Carlisle mi venne incontro porgendomi la mano con fare settecentesco. Risposi con un sorriso sincero e gli strinsi la mano. 

“Accomodati, stavamo aspettando solo te”. Mi poggiò la sua mano di pietra sulla spalla e cercai di soffocare un sussulto. Era istinto di sopravvivenza o semplice nervosismo?

Non appena raggiungemmo il grande pergolato tempestato di lucine e decorazioni, Edward su il secondo a darmi il benvenuto.

“Jacob”. 

“Edward”.

Il nostro rapporto era migliorato notevolmente nel corso degli anni, avrei giurato di ricordare momenti in cui eravamo arrivati a ridere insieme come un paio di vecchi amici. 

“Se non fossimo nemici naturali e non cercassi di rubarmi la mia unica ragione di vita, mi saresti quasi simpatico” Disse una manciata di anni fa. E fu esattamente quello che successe, quando smisi di cercare di rubarle la fidanzata.

Per sfortuna però, con la crescita di Renesmee tornò di nuovo anche quel suo modo di fare così insopportabilmente diffidente.

Mi sollevai i jeans con un leggero imbarazzo cominciando a guardarmi intorno.

C’erano tutti. E dico proprio tutti. Sam ed Emily cercavano di far ingurgitare al loro mocciosetto un omogenizzato, seduti al divanetto sotto il patio. Poco lontano, Paul e Rachel chiacchieravano con mio padre, Rebecca e Salomone, suo marito. Charlie e Sue, insieme a loro, erano occupati a fare strane smorfie a Billy Jr, che li guardava stranito dentro al passeggino. Appoggiato ad un tronco d’albero invece, Quil sorseggiava una birra in compagnia di Emmett e Jasper. Claire poco distante era a caccia di chissà che cosa lì vicino. Embry, Leah e Seth se ne stavano per i fatti loro mangiando già come porci. Kim e Jared si stavano sbaciucchiando, come sempre. Esme e Alice stavano sistemando le varie portate sul tavolo del buffet. Ne mancavano giusto un paio. Bella, Rosalie e...

Eccola. 

La vidi.

Boom. Un tonfo.

Il sangue nelle vene si gelò per un istante. Il cuore era impazzito. Lo sentivo battere fuori dalla cassa toracica, lo sentivo in gola, lo sentivo nelle orecchie. Era assordante.

La mia Resmie sbucò fuori dalla porta di servizio della cucina illuminata, insieme a Collin e Brady. Chiacchierando con loro, si incamminò sul vialetto che conduceva a me. Le luci a cascata che costeggiavano la stradina la illuminavano mostrandomi tutto il suo splendore. Un paio di pantaloncini mostravano le sue gambe affusolate, il maglione ampio tradiva due piccoli seni appena sbocciati. 

I suoi bellissimi capelli dai riflessi caramello erano cresciuti smisuratamente, sparpagliati sulle sue spalle esili e un po’ spigolose. La trovai completamente cambiata, ma ormai mi ero abituato a vederla diversa ogni volta come se non la vedessi da anni. Il viso aveva preso forma, smagrendosi e riequilibrandosi di nuovi volumi e proporzioni. Gli zigomi erano diventati alti e sporgenti, ricreando la stessa forma a cuore del viso di sua madre. Le labbra erano rosse e piene, un po’ imbronciate, spiccavano sulla sua pelle di porcellana. Il naso, piccolo e tondo. E gli occhi. Quegli occhi. 

Proprio mentre mi ero soffermato su di loro, loro si soffermarono su di me: girò la testa, avendo Collin puntato il dito verso di me, come ad indicarmi. Incontrò il mio sguardo sorprendendomi a fissarla imbambolato, sicuramente con la faccia da scemo, da non so più nemmeno quanto.

“Jake!” Strillò.

Il suoi occhi si illuminarono e le gambe cominciarono a correre. 

Io non riuscivo neanche a parlare, il sorriso era diventata una risata da cretino, mi limitai ad aprire le braccia per inviarla a buttarsi addosso a me.

Perfino quell’attesa mi sembrò un momento di estasi.

Mi si scaraventò addosso senza badare ad essere troppo delicata. Il profumo che sprigionavano i suoi capelli sul mio viso mi riempì le narici. La strinsi forte a me sollevandola e mi beai di lei. 

“Ciao piccola” mi limitai a dire, troppo emozionato per aggiungere altro.

Presto, troppo presto, dovetti rimetterla giù e allontanarla da me. Per la prima volta il mio cuore non fu l’unica parte del mio corpo ad essere felice di vederla. Slacciai le braccia dalla sua schiena e le cinsi le mani sui fianchi per stabilire io stesso la giusta distanza. 

Vedevo una strana nuova luce in lei, non era la stessa di sempre. La percepivo tesa, non voleva guardarmi negli occhi anche se i suoi muscoli facciali mi parvero paralizzati dal sorriso fisso stampato sulla bocca.

“Come stai?” chiesi. Era… imbarazzata?! 

Impossibile.

La sua vita era così stretta dentro alle mie mani enormi, ma questa volta sentii sotto di esse anche la nuova rotondità dei suoi fianchi ad accennare ancor di più quella curva che stava cominciando a farmi girare la testa.

“Niente di speciale, Jake… E tu?” 

Le guance erano chiazzate di rosso e assolutamente adorabili. Ma continuavo a vedere una punta di tensione nel suo atteggiamento, nella risposta così vaga. Stavo volando con la fantasia? Sperai che nessuno notasse il mio entusiasmo… al piano di sotto. Decisi di stoppare ogni contatto fisico. Come cavolo era possibile che mi facesse questo effetto anche solo abbracciandola?

“Ma come niente di speciale? Hai iniziato la scuola, non hai nulla da raccontarmi?”

“Jake!” Sua madre arrivò dietro di lei dopo una manciata di secondi, la sua mano destra reggeva un vassoio con su almeno una dozzina di bicchieri di cristallo, e sembrava lo facesse oscillare con una grazia e una sicurezza a cui nemmeno dopo tutti questi anni riuscivo ad abituarmi. 

“Bells!” Esclamai. Lei si alzò sulle punte per schioccarmi un bacio sulla guancia. Ero contento di vederla, sul serio, ma in quel momento tutto e tutti erano passati in secondo piano. Volevo stare con Nessie almeno per un po’, anche se non avevamo tempo per stare in pace per i fatti nostri. Mi chiesi di nuovo come mai questa volta non si era fatta trovare già a casa mia, come faceva tutte le volte che tornavo... 

Intuitiva come sempre, Bella si allontanò per posare il vassoio sul tavolo del buffet. Arrivò anche Rosalie che come saluto personale sollevò un angolo di labbro superiore in una smorfia di disprezzo. Ormai la prendevo come una dimostrazione di affetto. Le mostrai il dito medio e le sorrisi beffardo.

Non mi sprecai in altri saluti; sia una che l’altra fazione avrebbero capito perfettamente il mio stato d’animo, e poi in ogni caso non ero mai stato un damerino fedele al galateo dello scorso secolo. 

Ops

Guardai Edward e capii dalla sua faccia che era in ascolto. Non avrebbe mollato la mia mente neanche per un istante, ovviamente.

Alzai gli occhi al cielo.

“Allora, nanerottola” ritornai alla ragione della mia esistenza. 

“Dai, dimmi qualcosa! Ti sei fatta dei nuovi amici?” Sperai di nuovo che l’uso del maschile non fosse così palesemente voluto. Stavo cambiando, con lei. Non ero più il fratellone sicuro di sè, tranquillo, protettivo e trasparente. La sua presenza cominciava ad offuscarmi i pensieri, e a farmi sentire così fastidiosamente insicuro ed emozionato.

Presi una birra dal buffet e la stappai con i denti.

“Si... Mi sono fatta un piccolo gruppetto di amiche”

“E...?” 

“Non sono il massimo, ma può andare. A volte mi sembrano stupide. Altre volte mi diverto insieme a loro... Non lo so, sto ancora cercando di capire come funziona”.

Corrugai la fronte di fronte a quella risposta bizzarra.

Prese una birra anche lei e me la porse con la faccia di chi si aspettava già una ramanzina.

“Cos’è questa storia?” Chiesi. Mi uscì fuori un tono un po’ severo, un po’ sorpreso, un po’ divertito. 

“Oh andiamo Jake, che sarà mai! E poi, non è mica la prima volta”

Ah

Gliela stappai senza fare una piega. Sapere che ormai era abbastanza grande da preferire una birra ad una Coca mi procurava un senso di inquietudine, era quasi malinconico vederla crescere. Ma una piccola parte di me era divertita ed eccitata. Ogni suo piccolo passo in avanti l’avrebbe portata più vicina alla mia età. 

Alla mia età, ma non a me. Io ero suo, e sicuramente, per sempre lo sarei stato. Ma lei non era mia, e forse, mai non lo sarebbe stata.

Deve. Vivere. La. Sua. Vita.

“Cin” sbattè la sua bottiglia con la mia ed io trasalii.

“E invece gli esami?” Chiese lei. Mi incamminai verso il falò, occupato soltanto da Charlie e Sue che giocavano col loro piccolo nipotino. Presi posto a circa un metro da loro, e lei si sedette accanto a me.

“Sono a buon punto. Non è affatto facile, col lavoro e tutto il resto... E poi non ho un super cervello da sanguisuga, sai com’è” provai a prenderla in giro, per vedere se sarei riuscito a scioglierla un po’. Non mi piaceva quella sua cera oggi, la sentivo... Distante. Era forse solo triste per la scuola? Non si trovava bene? O forse starle lontano stava raffreddando il nostro rapporto? Mi era sembrava felice di vedermi. Possibile stesse solo recitando?

Mi diede un pugno sul braccio, e di nuovo, mi fece trasalire.

“E tu invece, come lo trovi le lezioni del liceo?”

“È ok. Sono al passo con il programma, anzi forse sono anche avanti. Temevo di no…”

Perché non mostrarmelo? Perché si prendeva il fastidio di parlare? Era strana, pensavo fissando il suo viso illuminato dalle fiamme.

“Con le relazioni sociali credo di essere un po’ indietro… Cioè, sia troppo avanti che troppo indietro…”

Alzai un sopracciglio. “Cosa?”

Cosa cavolo aveva detto? Mi ero perso. Bevvi un altro sorso di birra e mi sistemai comodo davanti fuoco, aprendo la zip delle giacca da moto. Ero pronto a non perdere più il filo del discorso.

“Intendo dire…” Si prese un po’ di tempo. Non sapeva bene come trovare le parole. Bevve un sorso di birra con l’espressione accigliata. Ne approfittai.

“Perchè non me lo mostri?”

Fece una faccia strana. Sembrava in difficoltà.

“Beh, questo è un altro aspetto che mi mette a disagio a scuola. Sono troppo abituata a comunicare così. Devo sforzarmi di usare la parola, se non voglio sembrare una specie di disadattata con qualche fobia sociale”.

Non faceva una piega. Ma la sua espressione non mi convinse. Voleva evitare di mostrarmi il suo pensiero? Aveva dei segreti che non voleva rivelarmi?

Mi sentii speranzoso. Ma non voleva per forza significare che volesse nascondermi chissà quali sentimenti per me. Magari aveva un ragazzo, e non me lo voleva dire, protettivo e rompipalle com’ero. Mi sentii uno sciocco. E poi mi sentii agonizzato. 

Un fidanzato… Presi ancora un altro sorso di birra ghiacciata, stavolta più lungo.

“Diciamo che a volte le dinamiche sociali degli umani sono strane. Sono un po’… Infantili?” lo disse quasi come se fosse una domanda, come se cercasse una conferma da me. Mi venne da sorridere, ma fu un sorriso amaro.

“Non lo so, forse crescere tra centenari e pluri-centenari immortali mi ha reso un po’ snob, però a volte fanno delle cose così stupide”

Era umile. Non voleva mai peccare di presunzione, eppure era non uno, non due, ma dozzine di livelli più su rispetto alla massa. Era tutta sua madre.

“Però, non so come, mi trovo in difficoltà a volte. Avverto troppo la differenza tra me e loro. So di sapere molto di più rispetto a loro, e che le mie capacità celebrali sono assolutamente in linea con quelle di qualsiasi altro essere umano di diciassette anni...”

“Al di sopra” dovetti interromperla, per corregerla.

“Si... però ci sono così tante esperienze che loro hanno già fatto ed io invece no. Sempre qui, a casa, con i miei… Loro mi sembrano così a loro agio nelle loro dinamiche stupide, ma per me sono nuove e non so come comportarmi certe volte”. 

Mi sentii così scemo. Viaggiavo con la fantasia, volavo lontano… Ma la realtà era che suo aspetto costituiva solo un inganno per i miei occhi. Era soltanto una bambina. Guardai lontano, cercando Quil. Lo vidi continuare a chiacchierare con Jasper mentre Emmett aiutava Claire ad arrivare ai rami più alti tenendola in piedi sulle sue spalle. Ovviamente, mio fratello aveva gli occhi ben saldi sulla scena, pronto a intervenire se ce ne fosse stato bisogno. Claire era una bambina di sette anni, e Quil aveva tanto da aspettare ancora, ma almeno ne era ben consapevole. Io pensavo di essere più fortunato di lui, pensavo che avrei potuto attendere la metà del tempo che avrebbe dovuto attendere lui. Avevo cantato vittoria troppo presto, ma la verità era che Claire e Renesmee, in un certo senso, viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda. Entrambe bambine, non avevano ancora un affaccio sul mondo: il loro unico contatto era la famiglia. Entrambe stavano iniziando la scuola, entrambe stavano per la prima volta confrontandosi col mondo, cercando una propria individualità, mettendosi a confronto con dei loro simili. Entrambe stavano creando le loro prime amicizie, scegliendo chi fosse più adatto a loro, incline per carattere, interessi e personalità. Di fronte a loro c’erano ancora vittorie da raggiungere, traguardi da ottenere. Illusioni e disillusioni, fallimenti e sogni da inseguire. Il suo corpo adulto era sono un illusione che faceva male. Non era ancora il tempo, ammesso che ce ne sarebbe mai stato uno, per noi due. Tornai a guardarla. Che sciocco che ero stato. Le sfiorai una guancia col palmo della mia mano, e poi sistemai una ciocca di capelli dietro le orecchie.

“Non ti preoccupare, Resmie. Ci sarà un tempo per tutto”. Nel momento esatto in cui pronunciai quelle parole, mi chiesi se stavo parlando a lei o a me stesso.

La mia frase sembrò averla infastidita ulteriormente. Come se avessi detto una cosa che a lei non aveva fatto piacere.

“Non sentirti inadatta, mai. Sei molto più di tutti loro, e lo sai bene. Ti manca solo qualche esperienza in più. Tempo al tempo, farai tutto ciò che vorrai, quando lo vorrai.. E con chi vorrai”.

Stavo parlando contro il mio volere e contro il mio interesse. Il giovane uomo innamorato voleva lei, il giovane lupo voleva il suo bene. Amesso che lei avesse voluto me, ero anche il suo bene? 

Il suo bene era scegliere, me o chiunque altro, l’importante era che lo avesse scelto lei. Non costringersi, accontentarsi, arrivare poi troppo tardi a realizzare di non aver mai preso le sue posizioni e aver vissuto la sua vita. Volevo che provasse, inciampasse, sbagliasse. Volevo che, se il destino aveva in riservo questo per me, ogni suo piccolo gesto l’avrebbe portata da me. 

Annuì ma non disse nulla. Sembrava non volesse più coninuare quella conversazione. Mi voltai verso di lei e vidi che stava osservando attentamente la bottiglia che stringeva tra le mani, con la testa bassa. Sembrava triste

Volevo capire. Le sollevai il mento con un dito, e mi guardò. 

I nostri occhi si incatenarono. Ci fissammo per un tempo che mi sembrò lunghissimo. Mi parve uno sguardo che diceva tutto e non diceva niente. Uno sguardo carico di risposte e ancor di più di domande. Uno sguardo che aveva cambiato tutto. Il battito del suo cuore sembrava irregolare. O forse era il mio? 

Era quello di entrambi.

Non riuscii a dire nulla. E lei altrettanto.

Distolse lo sguardo, e mi parve ovvio. 

Sì, era imbarazzata. Forse anche triste, ma molto, molto più imbarazzata. 

E lo ero anch'io.

   
 
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