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Autore: Nike90Wyatt    04/12/2020    2 recensioni
Una lettera da Milano sconvolge la vita di Marinette Dupain-Cheng, paladina di Parigi nei panni di Ladybug e neo Guardiana della Miracle Box; una serie di circostanze, insieme ai suggerimenti dell’inseparabile Tikki e dei suoi genitori, la spingeranno a prendere una decisione che stravolgerà il suo futuro e le sue relazioni.
Intanto, Gabriel Agreste, ossessionato dalla vendetta nel nome di sua moglie Emilie, vola in Tibet, accompagnato dalla sua fedele assistente, nonché amica e complice, Nathalie Sancoeur, con un unico obiettivo: scoprire i segreti dei Miraculous che si celano tra le mura del Tempio dei Guardiani.
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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17

L’aria era satura di un odore nauseabondo, un misto di frutta rancida e tabacco. Lo stomaco di Marinette si contrasse, causandole un reflusso. Trattenne a stento un conato e respirò a fondo, seppur a fatica. Venature violacee e rosa squarciavano il cielo plumbeo.

Dove si trovava?

L’ultima cosa che ricordava era un’ombra, un’orrenda figura evanescente che l’afferrava e la risucchiava in un vortice oscuro.

Avanzò. Il sentiero era circondato da rocce smussate. I piedi affondavano nella ghiaia color carbone.

Un urlo acuto echeggiò in lontananza. Stridulo, come le corde di un violino stonato. La mano scivolò d’istinto sul fianco destro, ma la pochette non c’era.

Dannazione.

L’aveva lasciata nella sua camera, Tikki era lì dentro e non avrebbe potuto aiutarla. Non poteva trasformarsi, avrebbe dovuto cavarsela con le sue sole forze. Se solo avesse saputo dove accidenti si trovava.

Il sentiero si divise in una biforcazione: la strada a destra saliva verso l’alto, da dove proveniva l’urlo, l’altra scendeva a ridosso di una foresta di alberi dalla folta chioma scura. Cumuli di rovi si ammassavano ai piedi delle cortecce.

Un brivido gelido corse lungo la schiena di Marinette. Dove andare?

Un altro urlo. Stavolta alle sue spalle.

Marinette corse a nascondersi dietro un grappolo di rocce. Si appoggiò con la schiena, ma si ritrasse subito. La superficie era viscida e ripugnante. Si accorse di tremare.

Una folata di vento spazzò via una manciata di ghiaia. Un rantolo, un soffio inquietante. Marinette sollevò la schiena e fece capolino da dietro la roccia.

La creatura fluttuava a mezz’aria. Aveva la sagoma di una donna scheletrica, longilinea e scura come la notte. Ogni suo movimento corrispondeva ad un alito di vento glaciale e il profilo diveniva evanescente. Gli occhi avevano il colore della lava, due mezzelune che scrutavano i dintorni con aria guardinga, alla ricerca di qualcosa, o qualcuno.

Marinette si acquattò dietro le rocce, le ginocchia strette in petto, attenta a non provocare il minimo rumore. “Ti prego, va via.”

Piombò il silenzio.

Marinette si mosse con cautela, nella speranza che la creatura fosse andata a cercare altrove. Avanzò carponi intorno alla roccia e se la ritrovò davanti. Sgranò gli occhi.

La creatura spalancò le fauci, sfoderando zanne affilate. Allungò gli arti superiori, lunghe articolazioni che terminavano in artigli arcuati.

Marinette strinse la mano a pugno, raccogliendo un mucchio di ghiaia, e lo tirò addosso alla creatura. Si alzò di scatto e corse via. Il terreno pesante le rese difficile la fuga. Una ventata le pugnalò la schiena; si gettò in avanti d’istinto, la ghiaia le graffiò gomiti ed avambracci. La creatura le passò sopra e la mancò.

Marinette fece forza su un braccio per risollevare la testa, con l’altro si ripulì il volto dai granelli attaccati. La creatura disegnò una traiettoria ad arco nell’aria e puntò di nuovo contro di lei.

Stavolta non ce la fece a rialzarsi. Le gambe erano paralizzate, le braccia le bruciavano per le abrasioni.

Due braccia la afferrarono per la vita e la sollevarono. Per un attimo il mondo intorno a lei si rovesciò, il viola, il rosa e il nero si mescolarono in un’unica tinta. La gola si occluse, lo stomaco subì diversi spasmi. Serrò le palpebre. Chiunque l’avesse afferrata si gettò sul terreno ghiaioso.

Marinette aprì gli occhi ed incrociò due iridi verde smeraldo. «Adrien.»

«Stai bene?» La aiutò ad alzarsi.

«A parte i graffi e il bisogno impellente di vomitare, direi di sì.»

La creatura urlò.

Adrien la afferrò per un polso. «Dobbiamo andarcene da qui.» La trascinò giù per il sentiero che conduceva alla foresta. Un ammasso di rovi ne ostruiva l’ingresso. Erano enormi, viscosi, di un verde scuro, simili a tentacoli di un polipo.

«Maledizione.» Adrien li colpì, ne afferrò uno e lo tirò per aprirsi un varco. «Prova a passare.»

Marinette infilò un braccio, con la spalla spinse all’insù e il rovo si scostò quanto bastava per farle infilare anche una gamba.

La creatura caricò feroce, galoppando con tutti gli arti.

Adrien voltò le spalle a Marinette e si pose da scudo.

«Che cosa fai?»

«Vai! Non pensare a me.»

Marinette strattonò la gamba al di là dei rovi. Voleva impedirgli di fare quella follia.

Un bastone volò dal sentiero in alto ed impattò la testa della creatura, la quale urlò di dolore.

Katami.

«Voi due andate, io la terrò a bada e vi coprirò la fuga.» Raccolse il bastone da terra, lo impugnò a due mani all’estremità e si piantò a terra in posizione di guardia. «Non stare lì impalato, aiutala a passare e poi seguila!» Si lanciò all’attacco.

Adrien esitò. Con le braccia tremolanti, si girò ed aiutò Marinette a divincolarsi dai rovi. Lei passò dall’altra parte, quindi aiutò lui. Una volta passato, i rovi si ricompattarono, innalzando un muro. I rumori della battaglia tra la creatura e Katami scomparvero.

«Avremmo dovuto aiutarla» sussurrò Marinette, con gli occhi coperti da un velo di lacrime.

«Ha voluto darci una chance per andarcene da qui.» L’esitazione scomparve dal volto di Adrien. «Andiamo.»

Si addentrarono nella foresta. Attraverso la coltre di rami e foglie, una flebile luce li guidò verso una palude. Non c’erano altre vie, dovevano attraversarla. L’olezzo divenne più intenso.

Adrien andò per primo. Affondò un piede nell’acqua salmastra. Ebbe un brivido di ribrezzo. Avanzò con cautela fino al centro. L’acqua gli arrivava ai polpacci. Fece un gesto con la mano.

Marinette lo seguì, una mano premuta sul naso.

Proseguirono per un po’, mano nella mano. L’unico rumore era quello prodotto dai loro passi nell’acqua.

«Quella cosa, sarà un’akuma?»

Adrien si corrucciò. «Credo sia un sentimostro. E un akumizzato lo sta controllando.»

Marinette trasalì. «Tanto potente da mandarci in questo mondo distorto.»

«Non siamo gli unici. Prima di essere catturato da quel mostro, ho visto Parigi nel caos: palazzi semi distrutti, fuoco per le strade, auto rovesciate… Ma di persone ne ho viste poche. Temo che di quelle cose, ce ne siano due. Una lì fuori fa da portale, l’altra le divora qui.»

«È orribile. Mai avrei pensato si potesse arrivare a tanto.»

«Io ho visto la persona akumizzata. Stava appollaiata sulla Tour Eiffel, a godere della devastazione che stava causando.» Il volto di Adrien era livido di rabbia. «E penso di sapere anche chi sia.»

Anche Marinette lo sapeva. «Lila…»

Un arco di rami segnava la fine della foresta. Entrambi emisero un sospiro di sollievo.

Adrien controllò che non ci fossero pericoli. «Sembra tranquillo.»

«Mi farò un bagno di cinque ore a casa.» Marinette sbatté i piedi sul terreno duro. Affiancò Adrien. Dinnanzi a loro si apriva un piccolo spiazzale. Una stradina laterale scendeva sulla destra. Dritto si ergeva una grotta.

«Direi di riposarci lì dentro per ora» disse Adrien. «Poi penseremo ad un modo per uscire da qui.»

Marinette annuì. L’aria all’interno della grotta era umida, ma il tanfo era sparito. Si sedette con la schiena appoggiata alla parete. La superficie non era dura come si aspettava, ma morbida e soffice.

Adrien restò accanto all’entrata, vigile. Fece una smorfia e digrignò i denti.

«Adrien, tu sanguini.» Marinette balzò in piedi.

La manica della camicia sul braccio destro era lacerata, tre saette purpuree rigavano il suo bicipite. «Non è nulla.»

«Siediti qui e fammi dare un’occhiata» ordinò perentoria Marinette.

Adrien eseguì senza ribattere.

«Devo trovare un modo per tamponarla o dissanguerai.»

Adrien protese il busto in avanti. «Ho un’idea.» Si sbottonò la camicia e se la tolse. Si spogliò anche della canottiera bianca e la porse a Marinette. «Usa questa.»

Arrossì. «D-D’accordo.» Cercò di ignorare il modello a torso nudo di fronte a lei e si concentrò sulla medicazione. Avvolse la canottiera intorno al bicipite, un giro bastò, e la legò stretta. Si schiarì la voce. «Così dovrebbe… Dovrebbe andare.» Si voltò. Guance e collo erano roventi. Da quando le faceva di nuovo quell’effetto stare accanto a lui?

«Lo penso anch’io.» Adrien si infilò di nuovo la camicia. Sorrise. «Sei un’ottima infermiera, Marinette.» Spostò lo sguardo su un punto vuoto di fronte. «Spero che Ladybug risolva in fretta la situazione.»

«Sempre che non sia stata catturata.» Non voleva dargli false speranze: finché Marinette era intrappolata lì dentro, Ladybug non poteva intervenire. «E purtroppo le probabilità che sia così sono piuttosto alte.»

Adrien sospirò. «Io non sono innamorato di Katami. Non lo sono mai stato.» Marinette corrugò la fronte, chiedendosi perché le stesse dicendo quelle cose, ma non lo interruppe. «In questi anni, ho sperato che il mio affetto nei suoi confronti diventasse qualcosa di più, ma non è successo. In tutta onestà, è come se l’avessi ingannata per tutto il tempo anche se apprezzo la sua compagnia. E quando Ladybug è riapparsa, ho capito che non ho mai smesso di amarla.»

«L-Ladybug?»

Annuì. «L’ho amata dal primo giorno. So che è un amore impossibile, lei è una supereroina che protegge gli altri e sarebbe pericoloso intraprendere una relazione con un civile. Ora però, sento qualcosa di diverso, non è come prima. Non so nemmeno dirti esattamente cosa significhi.» Fece una risata amara. «Penserai che sia un pazzo.»

«Comprendo perfettamente, invece. Io ho amato alla follia un ragazzo. E no! Non è Chat Noir. Per me era la perfezione fatta persona, non riuscivo a trovarne dei difetti. Ed è per questo che inconsciamente lo ritenevo un amore impossibile e non sono mai stata in grado di dichiararmi. Avevo paura di un rifiuto, di non essere alla sua altezza. Quando ho saputo che nella sua testa c’era un’altra, mi è crollato il mondo addosso. Nonostante ciò, continuavo a nutrire una speranza, ho preso ciò che lui poteva offrirmi – la sua amicizia – e sarebbe stato così tutt’ora se non mi fossi allontanata da Parigi. Poi, ho capito che la mia era più un’ossessione che amore e non sarei andata da nessuna parte con quella mentalità. E dunque sono andata avanti per la mia strada.»

«Permettimi di dire che costui è un vero idiota se non ti ha mai notato. Tu sei fantastica, Marinette. Sei la Ladybug di tutti i giorni.»

«Al cuor non si comanda, Adrien. Tu più di tutti dovresti saperlo.» Marinette si alzò. «Credo che dovremmo andare. Stando fermi qui, non risolveremmo nulla.»

Uscirono dalla grotta ed imboccarono il sentiero che scendeva verso il basso. Si era alzata una leggera foschia, rendendo impossibile comprendere dove portasse. Procedettero con cautela, la pendenza era notevole ed era necessario evitare scivoloni.

Il sentiero terminò su una spiaggia. Il mare era un’immensa tavola nera, la sabbia sembrava cenere.

«Secondo te, si può bere?» chiese Adrien. «Ho una sete da pazzi.»

«Io non rischierei.» Marinette si avvicinò al bagnasciuga. L’acqua non produceva schiuma. Mise le mani sui fianchi. «E adesso?»

«Forse dovr–»

Un sussulto scosse la terra. Adrien afferrò il braccio di Marinette e la tirò a sé. Sulla riva si aprì uno squarcio verticale, come una lama nella stoffa. Due mani si infilarono dentro e lo dilatarono.

Adrien coprì Marinette con il suo corpo. «Chi sei tu?»

La figura al di là dello squarcio era colossale. Sul petto aveva un drappo tenuto sulla spalla da una spilla dorata. Un elmo con due corna arcuate copriva la testa e metà volto. In mano aveva un’ascia. La puntò contro di loro. «Seguitemi. Non abbiamo molto tempo.» Si scostò in modo da mostrare il luogo alle sue spalle: Place des Vosges. Parigi.

Marinette sfilò alle spalle di Adrien e si gettò subito nella fenditura, lui la seguì a ruota.

La città era in rovina. Palazzi in frantumi, fuoco e fumo, un manto di polvere cinerea sulle strade. Il cielo aveva assunto una tonalità rosata. Marinette, mano nella mano con Adrien, si accorse che lui tremava. Forse di rabbia, o di paura.

Lo squarcio si richiuse e un urlo echeggiò. Era di nuovo la creatura d’ombra, o la sua gemella. Impossibile distinguerle.

L’uomo con l’elmo taurino mulinò la colossale ascia ed impattò il petto della creatura, proiettandola lontano. «Mettetevi in salvo. Tornerà» disse con voce roca.

Adrien non si mosse. «Salverai anche gli altri?»

L’uomo non rispose.

«Chi sei?» chiese Marinette.

«Il mio nome è Tyr. Ora andatevene.» Agitò una mano affinché il suo ordine fosse recepito.

Marinette si rivolse ad Adrien: «Mi rifugerò a casa mia. O quello che ne è rimasto.» Una colonna di fumo si innalzava dal palazzo di casa sua. Parte del muro non c’era più.

Adrien sembrò indeciso. Poi, annuì. «Io corro alla Villa. Andrò per i vicoli.» Le diede un abbraccio. «Fa attenzione, ti prego.»

«Anche tu.» Marinette sciolse l’abbraccio e scattò in direzione della boulangerie.

La porta era stata divelta, le vetrine infrante. L’interno era anche peggio: il bancone era spaccato a metà, i dolci e i lievitati sparsi sul pavimento insieme ai detriti, un piccolo incendio divampava dal forno sul retro. «Mamma, papà?» Non si aspettava una risposta, rimase aggrappata ad una flebile speranza che si fossero nascosti. «Alessio?»

Silenzio totale.

“Tikki.” Scavalcò lo scaffale crollato sull’uscio della porta, salì le scale dell’appartamento, immergendosi in una nube di polvere, e giunse nel salotto. Le finestre erano rotte, il resto della stanza sembrava integro. La botola sopra, invece, era distrutta. Dalla cima delle scale pendevano schegge di legno. Prese dalla cucina dei canovacci, coi quali si coprì braccia e mani, e si incuneò attraverso la fessura aperta del pavimento della sua stanza. La parete accanto al letto era distrutta, il divanetto rovesciato, fogli, vestiti, penne, tablet, tutto sparso in giro.

«Tikki!» chiamò a gran voce. Ebbe un accesso di tosse. Un pensiero le trafisse la mente. La Miracle Box! Scostò i detriti che avevano sepolto il baule. Lo aprì, tossendo a causa della polvere che si sollevò. La scatola metallica era lì, intatta.

«Marinette!» Tikki svolazzò dalla casetta delle bambole posta sulla mensola dietro al letto. Almeno quella si era salvata. Posò le sue zampette sulla guancia della ragazza. «Ho avuto tanta paura quando sei scomparsa.»

Marinette strinse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. «Grazie al cielo, stai bene. C’è un akumizzato e un sentimostro in giro.»

«Lo so. Ti ho cercato a lungo per la città evitando di farmi scoprire da quella strana ombra. Ho incrociato Plagg.»

«Plagg?» Marinette trasalì. «Significa che anche Chat Noir è stato catturato.»

«Non l’ho mai visto così in pena. Gli ho detto di tornare nell’ultimo punto in cui l’ha visto, come ho fatto io.»

«Spero che Tyr salvi anche lui.»

«Chi?»

Marinette glissò. «Ora non abbiamo tempo. La mia speranza è che sia un nostro alleato.» Aprì con la chiave appesa al collo la scatola metallica e prese tra le mani la Miracle Box. «Questo potrebbe essere il nemico più forte che abbiamo mai affrontato. Il potere di Ladybug potrebbe non bastare.»

«Chiamerai alleati?»

«E chi potrei chiamare? Non c’è nessuno per la strada a parte quello che ha liberato me e Adrien. E lui non è la persona adatta da avere al mio fianco. Non ora.» Marinette cavò il ciondolo del Dragone dalla Box. «Meglio andare sull’usato garantito.»

Longg, il Kwami vermiglio simile ad un piccolo drago, completo di spuntoni sulla testa, le salutò con un inchino. «È un onore per me poterla assistere nuovamente, signorina Marinette» disse con voce impostata e fiera.

«Tikki, trasformami!» Il fascio rosso e bianco la avvolse. Indossò il ciondolo al collo. «Tikki, Longg, fusione!»

 

Dragonbug si diresse alla Tour Eiffel, dove Adrien le aveva detto di aver visto l’akumizzato. Il potere dei Miraculous smorzò il fastidio causato per le esalazioni di fumo, diffuse in tutta la città.

L’ascensore della Tour era stato divelto e scagliato sulla strada. Le corde si agitavano penzoloni, avvolte in colonne di fumo nero.

Un urlo echeggiò nell’aria. Proveniva dalla cima del monumento. Era diverso da quello emesso dalle due creature: più acuto, più stridente.

Una sagoma argentea scalò un lato della Tour, correndo in verticale. Giunta in cima, si avventò su un’altra sagoma, scura, alata, ed iniziarono a lottare.

Si scatenò un altro urlo roboante. Dal cielo cadde una pioggia di meteore infuocate che si abbatterono sulla Tour. La sagoma argentea schivò a fatica due palle di fuoco e precipitò giù.

Dragonbug sollevò la spada, il ciondolo al collo si illuminò. Evocò uno scudo d’acqua, abbastanza compatto da respingere le meteore. La sagoma argentea atterrò affianco a lei. L’armatura scintillante le lasciava scoperto solo l’addome, in vita aveva un cinturone con il simbolo di una bilancia. Capelli color platino cadevano da un elmo completo di celata che le arrivava fino al naso.

«Chi sei?» Dragonbug calò la spada e la appese in vita.

«Il mio nome è Vaegt.» Si portò la mano chiusa a pugno sul cuore. «Sono la custode del Miraculous della Bilancia.»

«Sei con lui, vero?»

Annuì. «Tyr. Il custode del Miraculous del Toro. Tu…» Una nota di sorpresa nel tono di voce. «Tu porti due Miraculous. Com’è possibile?»

Dragonbug fece spallucce. «Ho pensato che solo uno non bastasse.»

Vaegt giunse le mani al petto. Un’aura viola la circondò. «Lei è qui» sussurrò. «Bene.»

«Cos’hai fatto?»

«Telepatia. Ho avvertito Tyr che sei qui. Lui e il tuo partner stanno combattendo il sentimostro.»

Sapere che Chat Noir era arrivato sul campo di battaglia, la rassicurò. «Da quanto combatti con quella cosa?» Indicò con la testa l’akumizzato in cima alla Tour.

«Si chiama Dark Banshee. Ha il potere di manifestare attacchi infuocati tramite il suo urlo. Dovremmo collaborare se vogliamo sconfiggerla.» C’era freddezza unita a determinazione in quelle parole.

Dark Banshee agitò le ali piumate, spiccò il volo e planò come un proiettile nello spiazzale davanti a loro. La pelle era bianca come il latte, gli occhi iniettati di sangue avevano una colorazione viola. Gocce ematiche colavano dai canini aguzzi. Protese il collo in avanti, soffiando.

Dragonbug indicò il polso sinistro. «Quel bracciale! Io l’ho già visto.» Lo indossava quel giorno Lila. «Scommetto che è lì l’akuma.»

Dark Banshee emise uno strillo. Dragonbug e Vaegt si coprirono le orecchie per il frastuono. Un urlo giunse da lontano come se fosse una risposta.

«Sta venendo qui» disse Vaegt. Si girò a guardare Dragonbug. «Il sentimostro… L’ha richiamato.»

«È ora di alzare le nostre probabilità.» Afferrò lo yo-yo stretto in vita e lo lanciò in aria. «Lucky Charm!» Dal bagliore si manifestò un estintore rosso a pois neri. «Mai una volta che sia chiaro l’utilizzo.»

«Io posso bloccare per un po’ un avversario. Ma solo uno. Tyr può creare un terremoto con la sua ascia.»

A Dragonbug bastarono pochi secondi per architettare un piano. «Vai incontro a Chat Noir e al tuo amico. Dobbiamo riunirci perché il piano riesca.» Si mise l’estintore in spalla, sfoderò la spada e la agitò nell’aria. Una spirale di nebbia avvolse Dark Banshee. Nonostante le urla non riuscì a diradarla. Dragonbug si gettò nella spirale, puntando la canna dell’estintore.

La nebbia si diradò.

Dragonbug era distante un soffio dall’akumizzata. Tirò la leva dell’estintore: la schiuma bianca invase il cavo orale di Dark Banshee, la quale si dimenò, sputò e rantolò. Il sentimostro si abbatté su uno dei piedi di sostegno della Tour. Emise un grido strozzato.

Dragonbug balzò all’indietro con una capriola. «Sono arrivati.»

«Addirittura due alleati.» Chat Noir ammiccò. «Stavolta hai superato te stessa, insettina.»

«Non li ho chiamati io.» Scosse la testa. «Ci penseremo dopo. Credo che la Banshee non sarà in grado per un po’ di urlare. Vaegt tu bloccala. Tyr tieni a bada il sentimostro. Chat carica il Cataclisma: quando è il momento, punta al braccialetto.»

Tyr mulinò l’ascia bipenne, ringhiando. «Quel coso è mio.» Caricò come un toro il sentimostro ancora stordito. Lo colpì con una spallata, seguita da una falciata laterale. Scagliò l’ascia sul pavimento. La terra sussultò sotto i suoi piedi. Il sentimostro parve incapace di reagire.

Vaegt sollevò le braccia e due bilance dai piatti incendiati da un fuoco lilla si manifestarono in aria. Un’aura viola circondò Dark Banshee e la immobilizzò.

Dragonbug attinse al potere del fulmine e scagliò una saetta sul braccio destro della Banshee.

«Cataclisma!» Chat si avventò sul braccialetto e lo disintegrò.

Una farfalla viola con un folto piumaggio blu si librò in volo.

«Ha fuso i due Miraculous.» Dragonbug catturò la farfalla lanciando lo yo-yo. «Ahi! Scotta.» “Anche il potenziamento del fuoco. Stavolta ha fatto le cose in grande.” Purificò l’akuma e l’amok.

Tyr e Vaegt erano già andati via.

Chat Noir alzò le spalle. «Avranno avuto un impegno urgente.» Porse il pugno. «Ben fatto?»

Il primo pensiero di Dragonbug fu rivolto ad Alessio. Lanciando il Lucky Charm sarebbe tornato tutto come prima e chissà cosa avrebbe pensato non trovandola nella sua stanza. Sfiorò appena il pugno di Chat. «Scusa, devo andare.» E saltò via per i tetti di Parigi.

Giunta nei pressi della Boulangerie, lanciò l’estintore in aria. «Miraculous, Ladybug.»

Mentre lo sciame di coccinelle riportava l’ordine in città, ricostruendo ciò che era stato distrutto e riportando le vittime alle loro case, Dragonbug scivolò giù per la botola del terrazzino. «Fine fusione, ritrasformami.» La trasformazione terminò.

Tikki e Longg si nascosero nella casetta delle bambole.

Marinette si accasciò sul divanetto, tirando un lungo respiro. “Quando finirà questa giornata?”

La botola sul pavimento si spalancò e Alessio entrò nella stanza. «Marinette.»

Lei corse tra le sue braccia. «Grazie al cielo stai bene.»

«Sono andato a controllare che i tuoi stessero bene. Hanno un po’ le idee confuse ma non ricordano nulla di ciò che è successo.»

«E tu?»

Alessio non rispose. Si limitò a concederle un altro abbraccio. «L’importante è che sia tutto finito.»

«Mi dispiace se ti sei preoccupato per me.»

Sciolse l’abbraccio e la guardò. «Non sono mai stato preoccupato per te. So che te la saresti cavata alla grande, anche in quel mondo orribile.» Fece una pausa. «Prima che il sentimostro ti catturasse, dovevo dirti una cosa.»

Marinette annuì. «Ti ascolto.»

Alessio esitò.

«Puoi dirmi tutto» disse Marinette per infondergli coraggio.

«Io so che tu sei Ladybug.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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