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Autore: verolax    22/08/2009    1 recensioni
In un bel mattino di primavera, Kakashi salva la vita ad una giovane dai capelli rossi. I due iniziano a frequentarsi, ma Kakashi vuole rimanere nel suo mondo di inviolabile assenza di sentimenti...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kakashi Hatake sedeva immerso nella lettura, con una gamba rannicchiata sotto si sé e l’altra lasciata cadere penzoloni lungo il muretto che gli serviva d’appoggio

IL POTERE DEL ROSSO

 

 

 

 

Kakashi Hatake sedeva immerso nella lettura, con una gamba rannicchiata sotto di sé e l’altra lasciata cadere penzoloni lungo il muretto che gli serviva d’appoggio.

Era una fresca giornata primaverile e nell’aria l’unico suono era il cinguettio degli uccellini, intenti a scegliere un partner d’amore.

D’improvviso un boato ruppe il silenzio e costrinse Kakashi a distogliere l’occhio dal libro; presto però il ninja si rituffò nella lettura, immaginando che quel rumore provenisse da una vicina casa in costruzione, i cui ponteggi troneggiavano alla sua sinistra.

 

Kakashi-sama!”

Il ninja si sentì chiamare da una vocina infantile. Non si scocciò per l’ennesima interruzione: una nota di urgenza in quella voce gli fece capire immediatamente che qualcosa non andava per il verso giusto.

Alzò lo sguardo e vide una bimbetta di circa quattro anni corrergli incontro, trafelata. Aveva lunghi capelli ricci color del fuoco e un grazioso kimono azzurro decorato con rose candide, il cui bordo inferiore svolazzava ritmicamente.

Quando fu più vicina Kakashi notò la preoccupazione dipinta sul suo dolce visino.

“Presto, Kakashi-sama, aiuto! Mia sorella…!” disse con voce rotta dal pianto, tirando il ninja per un braccio e riprendendo a correre nella direzione dalla quale era venuta.

Kakashi mollò il librò a terra senza troppe cerimonie e in un balzo fu davanti alla bimba, che cinse con un braccio sollevando rapidamente il suo esile corpicino da terra.

“Guidami, se ti tengo in braccio saremo più veloci,” le sussurrò, aumentando la velocità.

“Qui dietro, a sinistra, presto!”

Il ninja svoltò rapido nella direzione indicata dalla bimba e si trovò davanti ad un edificio il cui tetto era parzialmente crollato.

“Mia sorella è intrappolata in quell’ala della casa, stanza di destra, sotto una libreria,” sputò la bimba d’un sol fiato.

 

Fu un attimo: Kakashi posò la piccola, con un balzo si portò nell’edificio, sollevò il pesante mobile e ne tirò fuori una giovane dall’aria impaurita. Giunto nel cortile di casa la poggiò delicatamente a terra per controllare eventuali ferite: miracolosamente, la ragazza era illesa.

“Stai bene?” chiese comunque Kakashi notando uno strano rossore sulle sue guance. Lei sollevò il busto da terra, liberando così il braccio del ninja dai capelli d’argento, che era rimasto sotto il suo collo a farle da cuscino. Alzò lo sguardo ad incontrare gli occhi di lui, arrossendo ulteriormente.

Kakashi-sama, io… non so come ringraziarti,” sussurrò.

Lui prese tempo prima di rispondere, e si soffermò ad osservarla in silenzio.

Poteva avere poco più di vent’anni; i suoi capelli, di colore identico alla sorellina, erano però lisci, e ricadevano setosi sulle sue spalle. Gli occhi erano di un azzurro indescrivibile, due pozze d’acqua purissima e limpidissima che risaltavano ancor più tra le lingue di fuoco disegnate dalle ciocche in disordine dei suoi capelli. Indossava un kimono bianco sottilissimo, ora ingrigito dalla polvere dovuta al crollo, stretto in vita da un’obi rosa pallido.

 

Era semplicemente bellissima, pensò Kakashi con un brivido.

 

Le sorrise dolcemente, prima di rispondere finalmente alla sua domanda:

“Ho fatto solo il mio dovere.”

Realizzò improvvisamente una cosa di cui fino a quel momento non si era reso conto: entrambe le sorelle conoscevano il suo nome… come mai?

 

“Kakashi-sensei!”

I suoi pensieri furono interrotti da una voce cristallina che lo chiamava.

Mayumi mi ha raccontato il tuo salvataggio, grazie infinite!”

Il ninja dello Sharingan si voltò e vide la piccola dai riccoli rossi che teneva per mano un’altra giovane anch’ella dai capelli rossi, che Kakashi riconobbe come la sua nuova allieva.

Ma certo, che stupido, pensò. Come ho fatto a non accorgermene? Queste tre si assomigliano come gocce d’acqua…

 

Si chiamava Hatsuyo, era la figlia del più ricco e importante mercante di seta di Konoha, e faceva parte de suo nuovo team. Ormai quello di Naruto aveva raggiunto un livello tale da non avere più bisogno di lui, e così Tsunade gli aveva affidato un nuovo team di giovani genin.

 

La ragazza, forse per distinguersi dalle due sorelle che non praticavano le arti ninja, portava i capelli cortissimi e pantaloni stretti fin sotto al ginocchio. La sua maglia aveva una manica lunga e l’altra corta per permetterle di portare il coprifronte stretto sull’avambraccio. Gli occhi erano rosso fuoco come i capelli: per uno strano scherzo della genetica, era l’unica ad aver ereditato l’abilità innata del clan della defunta madre, la capacità di incenerire qualunque cosa con lo sguardo.

Era una ragazza cocciuta, ma dolcissima, che aveva guadagnato da subito la simpatia del suo maestro.

 

Kakashi le sorrise, salutandola con la mano. “Ciao, Hatsuyo! Non preoccuparti per tua sorella, adesso sta bene. Purtroppo, temo di non poter dire lo stesso della vostra casa… un’intera ala è crollata”.

Hatsuyo si avvicinò alla sorella: “Oh, Midori, mi dispiace tanto! Sicura di star bene?” domandò premurosa, prima di rivolgersi nuovamente a Kakashi: “Papà se l’è meritato, ha voluto affidare i lavori di consolidamento del tetto dell’ala est a un gruppo di incapaci… noi lo avevamo avvertito. L’importante è che non si sia fatto male nessuno, dato che per quanto riguarda il danno papà ha denaro a sufficienza per ripararlo. Ah, ma quando torna dal suo viaggio d’affari mi sente!”

 

Intanto le tre sorelle si erano radunate l’una vicino all’altra, e le due minori coccolavano Midori, ancora un po’ scossa per l’accaduto. Kakashi si sentì improvvisamente di troppo: si congedò velocemente e s’incamminò verso casa.

 

 

 

Il team Kakashi, dopo una settimana di duro allenamento, aveva un giorno di riposo, e il ninja dai capelli argentati lo stava trascorrendo in compagnia di Tenzo. I due uomini chiacchieravano animatamente all’ombra di un grande albero quando Kakashi vide in lontananza una figura familiare: era Midori, e stava venendo da lui.

Il cuore del ninja mancò un battito; lui se ne accorse e si morse il labbro, sentendosi molto stupido. Yamato si rese conto che l’amico si era lievemente irrigidito e lo interpretò come un invito ad andarsene.

“Beh, Kakashi-senpai, io vado, ci vediamo,” lo salutò con tono leggermente allusivo e canzonatorio. Kakashi gli rispose distrattamente, senza togliere gli occhi di dosso alla fanciulla dai capelli rossi.

Quando lei fu più vicina, Kakashi notò che portava un kimono assai simile a quello che indossava il giorno in cui l’aveva salvata, color crema, stretto in vita da un’obi dello stesso azzurro infinito dei suoi occhi.

“Buongiorno, Kakashi-sama,” lo salutò con un sorriso, “ti ho riportato questo…”

Gli porse il libricino che il ninja aveva dimenticato ai piedi del muretto, quando la piccola Mayumi era corsa da lui chiedendogli aiuto.

Kakashi la osservò arrossire impercettibilmente quando le loro mani si incontrarono per un istante nel passaggio del libro tra le dita affusolate di lei e quelle muscolose del ninja.

“Grazie, Midori, sei stata davvero gentile a riportarmelo,” le disse lui provando involontariamente un brivido di piacere nel constatare la reazione della giovane al tocco delle sue dita, pur se fatto senza alcuna malizia.

“Oh, veramente devi ringraziare Mayumi, non me. Quella piccina, nonostante lo spavento e la fretta di quel giorno, ha notato che avevi lasciato cadere il libro a terra e mi ha pregato di riprenderlo e riportartelo…”

Kakashi sorrise al di sotto della maschera, ma Midori poté notarlo grazie alla luce nell’occhio libero dello sharingan, che si era fatta improvvisamente più vivida.

“Che cara bambina,” si sorprese a dire lui, intenerito. Poi, prima ancora che il suo autocontrollo potesse bloccarlo, aggiunse: “siete veramente tre sorelle meravigliose…”

Midori registrò il complimento con un ennesimo rossore delle sue guance, altrimenti candide. Ciò che non poté immaginare fu che persino il ninja dello sharingan arrossì sotto la maschera, al riparo dal suo sguardo. Per la seconda volta da quando l’aveva incontrata, Kakashi si sentiva sdolcinato e sentimentale, due aggettivi che non gli si addicevano, o almeno non più, da molti anni.

Da quando il suo cuore si era indurito.

Da quando aveva deciso di chiudersi in un mondo senza emozioni.

Da quando era morto suo padre, e poi Obito, anche Kakashi era morto, dentro.

Morto da vivo; ma la morte dell’anima, si sa, se non è congiunta a quella del corpo, è una condanna ancora maggiore…

 

Kakashi si rimproverò per la sua debolezza e si chiese come fosse possibile che una ragazza incontrata solo due volte potesse far crollare così le sue difese: così, senza nemmeno provarci, senza nemmeno saperlo o volerlo. Per fortuna il momento irrazionale dura poco, pensò; mi sono già ripreso. Non deve più succedere.

Con questi pensieri il ninja copiatore si era incupito, e Midori se ne accorse subito. Scambiarono ancora qualche frase di circostanza, poi lei si congedò allontanandosi con passo svelto sparendo presto dietro una curva.

Kakashi rimase deluso dalla sua rapida dipartita, ma fu un sentimento passeggero.

“Meglio così,” si affrettò a concludere, “quella ragazza mi fa uno strano effetto…”

 

 

Nei giorni seguenti, Kakashi ebbe suo malgrado molte occasioni per rivedere Midori. La ragazza aveva preso ad accompagnare Hatsuyo agli allenamenti e si fermava anche ad assistere a qualcuno di essi. Se doveva tornare a casa, veniva comunque a fine giornata a riprendere la sorella.

Era chiaro che lo facesse per rivedere Kakashi, e il ninja non sapeva se esserne felice oppure scocciato. Lei era sempre molto discreta e non diceva nulla apertamente, ma cercava il suo sguardo, il suo sorriso, e ne rimaneva delusa quando lui metteva su la scenetta dell’indifferente.

 

Per Kakashi era una sensazione strana: quando Hatsuyo arrivava sola, lui restava un poco contrariato, ma se veniva anche Midori, dopo un momento iniziale di contentezza e batticuore, si sentiva scocciato e sperava che lei se ne andasse.

 

La cosa peggiore, comunque, era che i suoi stati d’animo si ripercuotevano negativamente sugli allenamenti. Solo Hatsuyo ne intuiva le motivazioni, mentre gli altri due membri del team si chiedevano perché il maestro Kakashi fosse svogliato, apatico, e a volte apertamente arrabbiato.

 

La leggendaria calma del ninja copiatore stava vacillando.

 

Un giorno Akinari, il più giovane e sfacciato membro del nuovo team Kakashi, osò chiedere al maestro il motivo dei suoi repentini cambiamenti d’umore.

Lui si infuriò al punto di interrompere gli allenamenti con due ore di anticipo, senza dare spiegazioni in merito.

 

Quel pomeriggio, però, nella quiete silenziosa del suo appartamento, Kakashi pensò, pensò e ripensò ancora.

 

“Non mi riconosco più,” si disse con amarezza. “Io sono Kakashi il compassato, colui che non perde mai la calma, che non si fa sopraffare dai sentimenti… che mi succede? Sto buttando tutto all’aria… il mio orgoglio, la mia carriera, il mio onore di ninja… tutto per una fanciulla semisconosciuta a cui un giorno ho salvato la vita?

 

No. Non lascerò che questo accada a me. Io sono Kakashi Hatake e qusta è la mia visione della vita. Non voglio legarmi a nessuno, per me i sentimenti non contano…” (e allora perché ti comporti come un folle, lo schernì una vocina maligna, proveniente dalla sua razionalità più profonda; ma Kakashi la ignorò).

 

Il giorno successivo il ninja prese da parte Midori, venuta come sempre ad accompagnare la sorella all’allenamento; le chiese di tornare a casa e di non venire più.

 

La giovane rimase allibita. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma non volle piangere: semplicemente si girò e si allontanò di corsa, le spalle scosse dai singhiozzi che si sforzava di trattenere. Kakashi fu notevolmente scosso dalla sua reazione, e fu cupo per tutto il giorno; ma dall’allenamento successivo era tornato il Kakashi di sempre, e nessuno avrebbe mai potuto arguire che dentro di lui stesse infuriando un’epica battaglia tra bene e male, apatia e sentimento, amore e rinuncia.

 

 

 

Questo precario equilibrio raggiunto a fatica da Kakashi si spezzò in un limpido e tiepido mattino di primavera, quando Hatsuyo arrivò trafelata dal suo maestro, col volto pallido, le guance infuocate, e gli occhi gonfi di lacrime.

“Hanno rapito Midori. È per mio padre, vogliono dei soldi,” lo informò laconica. Poi si gettò al petto del ninja dai capelli argentati singhiozzando. “La prego, Kakashi-sensei, ci aiuti…!”

L’uomo fu invaso da una sensazione di panico misto a torpore; gli parve di essere percorso da una scossa elettrica che lo lasciò spossato.

Ok, Kakashi, ragiona. Ti sei trovato in situazioni ben peggiori. Mantieni la calma, o sei perduto!

MIDORI… oh, mio Dio. Ti ho abbandonata… mi faccio schifo!

Dove sei adesso, sei in pericolo?

Oh, Dio…

Realizzò che Hatsuyo aspettava da lui una risposta, una parola di conforto, una promessa. Di trovare  e salvare Midori.

Recuperò in fretta tutto il suo aplomb.

“Certamente, non ti preoccupare di nulla. Raggiungiamo tuo padre, immagino abbia qualche informazione…”

“È già dal Quinto Hokage…”.

“Benissimo, saremo là in meno di un minuto,” rispose Kakashi prendendo la ragazza per mano e trascinandola via, veloce come il vento.

 

 

In meno di un quarto d’ora, la riunione con l’Hokage era conclusa, e Kakashi sfrecciava solo sul sentiero che portava al Villaggio della Nebbia. Un informatore aveva scorto i rapitori presso un ponte della zona, e Tsunade aveva ordinato al ninja di andare in missione da solo per non dare nell’occhio. Hatsuyo aveva protestato energicamente perché avrebbe voluto affiancare il suo maestro nel salvare la sorella, ma Tsunade si era mostrata irremovibile. Dal racconto del testimone, pareva che i malviventi fossero soltanto due e l’Hokage non aveva dubbi che anche se fossero stati ninja esperti Kakashi li avrebbe battuti ad occhi chiusi. Inoltre, da solo avrebbe potuto avvicinarli senza essere scoperto e forse sarebbe persino riuscito ad evitare la battaglia.

 

Mentre correva con le braccia all’indietro e il corpo proiettato in avanti, Kakashi era in preda ad un folle turbinio di pensieri ed emozioni. Midori, la dolce ragazza dai capelli infuocati, gli era piaciuta fin dal primo momento che l’aveva vista, impolverata e impaurita. Adorava la sua dolcezza, la sua innocenza, il suo modo discreto di comunicargli il suo affetto. Ripensò alle parole che Hatsuyo gli aveva rivolto prima di lasciarlo partire: “Kakashi-sensei, non dovrei dirglielo, ma sappia che mia sorella la amava da tempo. Da quando la vide per la prima volta il giorno in cui diventò il nostro sensei. È da allora che tenta di parlarle e di conoscerla meglio, ma è molto timida. La casualità ha voluto che v’incontraste, e lei era al settimo cielo. Poi lei l’ha mandata via e l’ha fatta soffrire moltissimo. La prego, la riporti a casa: è suo preciso dovere.

Perché, si chiese con rabbia. Perché l’ho allontanata? Se non le avessi impedito di venire agli allenamenti della sorella, con me sarebbe stata al sicuro, e tutto questo non sarebbe successo.

Gli tornò alla mente lo straziante episodio della morte di Obito.

Anche quel giorno Kakashi correva per salvare un’amica, Rin. E per trovare Obito, partito prima di lui, perché di Rin era innamorato.

Anche quel giorno Kakashi aveva allontanato una persona cara, non aveva dato ascolto al suo cuore. E forse, se allora avesse reagito diversamente, Obito non sarebbe morto.

Obitosussurrò Kakashi a fior di labbra, passandosi istintivamente la mano sull’occhio sinistro, l’occhio dello Sharingan del Clan Uchiha, l’occhio che Obito, morendo, gli aveva donato.

L’altro occhio, il destro, si riempì di lacrime, ma Kakashi le ricacciò indietro. Si ricordò delle sue stesse parole, pronunciate molti anni prima: “Un ninja non deve piangere mai”. Si ripromise di non fare con Midori gli stessi errori fatti con Obito e Rin.

L’avrebbe salvata, e si sarebbe arreso ai suoi sentimenti…

 

 

I rapitori l’avevano portata in una lurida capanna nei pressi del ponte segnalato dal testimone.

Midori sedeva in un angolo con mani e piedi legati saldamente, mentre i due uomini, nella stanza di fianco, discutevano animatamente della sua sorte: ciascuno voleva essere il primo a profanarne la verginità.

La ragazza piangeva sommessamente, pregando perché i suoi singhiozzi non fossero uditi dai malviventi.

La discussione terminò e uno dei due piombò nella stanzina buia: Midori puntò gli occhi sulle sue scarpe con terrore, senza osare fissarlo in volto.

L’omaccione proruppe in una sonora e sinistra risata. “Pare che alla fine sia toccato a me,” disse con aria minacciosa avvicinandosi alla giovane brandendo un coltello a lama corta.

Lei pensò che l’avrebbe utilizzato per ferirla, e si fece ancor più pallida; invece l’uomo vi recise i lacci che tenevano strette insieme le sue caviglie, poi lacerò il kimono verde chiaro della ragazza fino alla cintola.

Una sensazione di panico s’impadronì di Midori, che ricominciò a piangere, questa volta senza curarsi del volume dei suoi singhiozzi.

“Non serve a nulla piangere,” l’uomo le rivolse un sorriso sghembo e maligno, costellato di dentoni gialli e neri, “non farai altro che eccitarmi ancora di più”. Così dicendo prese la lama del coltello e la premette sul collo di lei, scendendo dalla base del mento lateralmente fino alla giugulare. La sensazione era di freddo, ma non faceva male. L’uomo doveva essere molto abile con i coltelli per dosare così bene la sua forza e far sentire la pressione della lama senza inciderle minimamente la pelle sottile del collo.

Midori fece un grande sforzo per controllarsi e smise di singhiozzare, anche se amare e bollenti lacrime continuavano a sgorgare dai suoi occhi, silenziose e terribili, come dotate di vita propria.

Il rapitore poggiò con veemenza le mani enormi sulle cosce delicate della giovane e le forzò violentemente fino ad aprirle. Si beò alla vista delle mutandine rosa di lei, e Midori si paralizzò quando vide il suo coltello avvicinarsi al pube. Lui incominciò a lacerare le mutandine con la punta della lama, partendo dall’alto, e ancora una volta incredibilmente non scalfì le parti intime di lei. Arrivato alla zona in cui la stoffa si tendeva maggiormente perché sotto vi era il vuoto, affondò la lama e con estrema precisione si liberò delle mutandine, lasciandola nuda e tremante.

“Oh, che fresca rosellina,” disse guardandola all’apice dell’eccitazione.

 

Midori si preparò alla violenza chiudendo gli occhi, ma il successivo tocco dell’uomo non arrivò mai. La ragazza udì il rumore di assi di legno spezzate e aprì uno spiraglio di palpebra per osservare la scena.

 

Kakashi si era avvicinato alla capanna e aveva visto la scena. Aveva mandato a monte qualsiasi piano di attesa e aveva fatto irruzione nella stanzina ingaggiando all’istante una furiosa lotta con gli aguzzini di Midori.

Gli uomini erano entrambi forti e muscolosi, ma Kakashi si rese subito conto che non erano ninja. Erano due persone qualunque, probabilmente avevano effettuato il rapimento spinti dalla fame e dalla necessità.

 

In pochi secondi fu tutto finito, i due uomini legati strettamente, e Midori fra le braccia di Kakashi.

 

Mentre il ninja la liberava dei lacci che le stringevano i polsi, lei appoggiò la fronte sulla spalla di lui e si sfogò con un pianto liberatorio.

Kakashi la strinse a sé accarezzandole la schiena. “Tranquilla, Midori, ci sono qua io adesso. Nessuno ti farà più alcun male,” le disse per calmarla.

A poco a poco i suoi singhiozzi si diradarono e la giovane riacquistò un po’ di colore nelle guance.

“Grazie,” disse al ninja dai capelli argentati. “Ci conosciamo poco, ed è già la seconda volta che finisco fra le tue braccia a ringraziarti per la mia vita,” continuò con un debole sorriso.

Kakashi non rispose e la portò fuori dalla capanna, in riva al fiume. La poggiò sull’erba soffice e le portò dell’acqua, con la quale la giovane si lavò via l’onta delle mani sporche del rapitore che sentiva ancora correre sul suo corpo candido.

Quando ebbe finito, Kakashi si sedette sull’erba vicino a lei.

“Io invece devo scusarmi con te,” le sussurrò guardandola negli occhi azzurrissimi, “per come mi sono comportato”.

“Oh, ma…”

Shhh,” la zittì lui con tenerezza, “fammi finire, ti prego. Vedi, io… molti anni fa, ho giurato di non aprire mai più il mio cuore ai sentimenti. Quando ti ho allontanata, l’ho fatto perché… tu stavi riuscendo ad oltrepassare le mie difese, ecco. E io… beh… avevo paura. Ma tu mi piaci, e molto”.

Midori lo guardò incredula.

“Potrai mai perdonarmi?” le chiese lui senza preoccuparsi che lei potesse intravedere la sua insicurezza.

Midori non rispose, ma i suoi occhi brillavano di gioia.

Midori… potrai mai perdonarmi?” ripetè Kakashi con ansia.

“Kakashi, io… l’ho già fatto,” gli rispose arrossendo.

 

Allora il ninja della Foglia prese un respiro e annullò la distanza già breve che li separava. Lei alzò lo sguardo sul suo volto, e questa volta non arrossì. Kakashi la prese per le spalle e la attirò a sé fino a quando le loro bocche non diventarono un’unica entità. Anche attraverso la maschera lei percepì le labbra di lui schiudersi in un meraviglioso sorriso.

 

Un sorriso che da vent’anni aspettava di poter sbocciare.

  
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