Le frasi dalla riga #28
alla riga #32 mi sono state ispirate da un libro °A°.
Like a star.
c a n s t a r s b e s
c a r e d?
Pioggia.
Le statue degli Hogake che guerra dopo guerra avevano sempre
protetto il villaggio [ed erano morti,
tutti morti], sono ora solcate da profonde lacrime che scorrono sui loro
volti di pietra, espressioni rigide, immutabili nel tempo; innumerevoli le
crepe che spaccano, disintegrano la loro pelle di granito, simili a rughe [ma loro non le avevano mai avute, le rughe, troppo
presto per arrivare alla vecchiaia i loro cuori si erano fermati, troppo presto
per vedere i frutti dei loro sacrifici il loro aspetto si era congelato],
innumerevoli i ricordi [tristi, neri e
ricoperti di sangue, rosso ma anche nero] legati ad ognuna di quelle crepe.
Ma ormai non c’era più nessuno in
grado di tramandarli, di ricordarli
[c’era mai stato, qualcuno?].
Ricordi legati alla guerra, uomini legati
ai ricordi.
Ma poi più niente, non gli uomini,
non i loro ricordi. Guerra? Sì, quella
c’era sempre, anche se non più nessuno ci credesse o sapesse dare un motivo per
combatterla, anche se non c’era più
nessuno:
q
u e l l a c’era.
Questa è la guerra.
No, questo è l’uomo; la sua paura della fine e il suo modo
di nasconderla.
L’uomo ha sempre paura, vero?
No, mai.
L’uomo cerca la verità e cerca una ragione per far valere
quella verità, per combattere [o
nascondere?] la sua paura della fine, una fine precoce o senza onore,
una fine che non verrà ricordata. Anzi,
solo della fine.
Nubi.
Grigie, cariche di rammarico, che sembrano preannunciare
l’arrivo di una catastrofe [un’altra],
oppure la sua fine [non era ancora
finita, l’ultima]; ancora doveva arrivare o il Sole
presto avrebbe fatto la sua comparsa in cielo?
Nel posto che gli spetta di diritto dall’era dei tempi, ma che da troppo tempo
ormai non occupava, come stanco dalla solita, e per lui incomprensibile ottica.
Distruzione, dolore, distruzione… Altro dolore, altra distruzione. E l’uomo,
sempre al centro di tutto.
Le stelle vivono singolarmente,
isolate, ognuna emanando per suo conto complessi o facili pensieri... no, non
pensieri, ma qualcosa di affine al pensiero. Tutte sono così distanti, ma così
vicine, e se l’uomo si fosse inoltrato in mezzo a loro non si sarebbe sentito
uno straniero, seppur tale. In quel mondo non si sarebbe sentito escluso,
estraneo, ma neppure partecipe, parte di esso. Le stelle non cercano legami. E
nemmeno li evitano.
Perché gli uomini non potevano essere stelle?
Altrimenti chi si compiacerebbe della loro irraggiungibile
bellezza? L’uomo è nato per ammirare le stelle, per un loro piccolo capriccio,
per il loro enorme ego.
Io però le avevo già ammirate abbastanza, le stelle. Era
ora di tornare sulla Terra, tra gli uomini, tra le loro paure.
Non
ero anche io un uomo?
Sarebbe arrivata un’altra guerra? Non sarebbe stato che un
altro inizio, quando ancora la conclusione di quel circolo non era arrivata.
[Ci sarà una
guerra, vero sensei?
Sì, Kakashi.]
Proprio come sedici anni fa, quando
di nuovo qualcosa di oscuro aveva prepotentemente rubato al Sole il suo posto
ed il cielo si era tinto del colore del fuoco, lo stesso del chakra di Kyuubi
che con il suo arrivo aveva messo fine a molte vite come quella di suo padre, il mio maestro.
Proprio come quel giorno ancora più lontano, in cui
un’altra vita aveva cessato d’esistere e noi tornando alle porte del villaggio
dovemmo spiegare perché eravamo tornati in tre; solo tre.
Allora un nuovo nome era stato inciso su quella lapide, per
commemorare le sue gesta, la sua morte. Quella persona aveva dato tutto per
l’onore, la sua vita, il suo orgoglio,
ma per ottenerlo era morto, condizione irreversibile in cui l’onore non ha
importanza.
Quel giorno
nel Villaggio della Foglia nacquero due eroi in possesso dello sharingan. Il
primo incise il suo nome su una lapide ed il secondo venne successivamente
chiamato Sharingan no Kakashi, e il suo nome divenne noto persino nei paesi
stranieri.
Eccolo
il tuo orgoglio, ed il tuo onore.
Onore: un nome su
di una fredda lapide, solo un nome. Orgoglio: grazie al tuo occhio
qualcun’altro era diventato una leggenda.
»Sei di nuovo qui per lui, Kakashi?«
»Rin. Che ci fai qui?«
»Sono di ritorno da una missione… Non ti devi compiangere.
Per uno shinobi morire è… I ninja muoiono.«
»Lui non voleva morire. Avrebbe voluto vivere ancora, e
ancora, fino al realizzarsi de suo sogno, della sua promessa.«
»Non sto dicendo che volesse morire, ma l’ha fatto, e a te
non deve riguardare.«
»Da quando sei ANBU la pensi così?«
»La penso così da quando tutti mi
hanno lasciata indietro… E’ l’unico modo per andare avanti.«
»Come?«
»Non voglio essere lasciata indietro.«
Quando la giovane donna dal viso coperto se ne andò, un
raggio di Sole che era riuscito a farsi spazio tra le pesanti nubi colpì la
fredda lastra di pietra, illuminando l’ultimo dei nomi incisi.
[Per quanto ci provasse, era
impossibile per un unico, flebile raggio solare scaldare la lastra. Come
l’ultimo barlume si speranza che non riusciva a battere la morte; non la morte]
»Sakura, lui non c’è più.«
»Non è vero.«
“Uzumaki Naruto”, inciso a
caratteri corsivi, era l’ultimo dei nomi che decoravano la lapide
commemorativa.
continua…
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Oddio, è la mia prima fanfic °AAA°.
Non è assolutamente niente di che,
anzi potrei dire che fa pena, ma sono soddisfatta di averla scritta.