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Autore: Zappa    05/12/2020    4 recensioni
“Tra le più recondite stelle della galassia, dove anche i grandi avventurieri in caccia di sogni hanno fermato il loro passo e le grandi navi spaziali, ricche di diamanti e cristalli arthurianii, hanno deviato il loro lento incedere, laggiù, in uno dei luoghi più oscuri e silenziosi dell'universo, fluttuava placido, tra i confini di una galassia e il nascere di una stella, un grande e profondo buco nero.”
Un principe, un pirata, un’ambasciatrice e una dea.
Tutti vogliono lo stesso prezioso Libro della Pace, anche a costo di navigare lo spazio aperto per raggiungerlo.
#Remake di Sinbad, la Leggenda dei Sette Mari.
La storia è già completa, non voglio uccidere nessuno nell'attesa di nuovi capitoli.
Grazie se aprirete questa storia.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Goku, Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7


Ghiaccio e neve


Le cime alte nella nave avevano iniziato a confondersi con le nebbie stellari che, pigramente, tangevano gli alberi e la bandiera pirata, sempre distesa verso il vento e verso l’oceano, bagnata delle sue gocce di luce. Gli scudi di energia ora, completamente alzati per via della navigazione di nuovo in mare aperto, si erano rianimati e ricaricati della luce accecante del Pesce Cometa, che aveva condotto il veliero avanti nella sua traversata.

Accovacciato sul cassero della nave, il capitano aveva abbandonato il timone nelle mani del suo fedele secondo e, attraverso lo mostrarombii, si accertava della direzione verso Ovest e scrutava dal binocolo ad energia compatta, con lenti rafforzate per vedere fino a dieci parsecii di distanza, lo spazio circostante. Le vele spiegate al flusso dell’Eatherium sbattevano ritmicamente contro le scotteiii che tendevano fisse le tele agli alberi della nave.

Si concesse un momento per rilassarsi, tirando un sospiro di sollievo: la navigazione ora procedeva a 300.000 km/h, il tempo scorreva agile sotto le sue dita, mentre si avvicinavano sempre più verso Tartaro, la stella di Lazuli.

Il Pesce Cometa aveva fatto al caso loro, accelerando di molto il moto costante della traversata verso la meta, anche se dopo un po’, sarà stata la velocità sostenuta o le stelle accecanti che formavano un manto psichedelico agli occhi di chi le guardava, i marinai avevano risentito della folle velocità, soprattutto i loro stomaci, costretti a rimettere qualche pasto sul ponte.

Non che si fossero persi grandi manicaretti, eh, il massimo che la cucina marinaresca aveva da offrire erano uova e cetriolini.

Sebbene Broly, con sorpresa di tutti, avesse vomitato pure delle carote, trovate chissà dove nella stiva.

Così, quella mattina presto, aveva tagliato la corda che li aveva visti aggrappati alla grande creatura d’oceano, abbandonando il moto lesto e costante della Cometa, per il benestare anche del suo, di stomaco che, per fortuna, ancora conservava i cetriolini mangiati. Scostò lo sguardo dal binocolo, ricercando il focus nella vista e nei passi a scendere lentamente dal cassero, un focus ancora difficile da trovare per via del leggero stordimento che non lo aveva abbandonato del tutto.

La ciurma aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva deciso di tagliare letteralmente la corda dalla coda del Pesce e i più erano crollati, sfiniti, lungo il ponte o direttamente in cabina.

Si appoggiò stancamente alla balaustra ancora rovinata dall’incontro con le Stelle Pleiadi, ma tenuta assieme, in qualche modo, da un’immane quantità di fili di vibranio recuperati di corsa sul Pesce.

All’ennesima ondata di nausea orgogliosamente ricacciata giù dall’esofago, dovette ammettere che, forse, non era stata una così brillante idea rubare un passaggio alla Cometa.

La cosa più matura da fare era, quindi, dare la colpa a qualcun altro.

« Chi è che ha avuto questa brillante idea? »

Sibilò contro il vento, passandosi una mano sugli occhi.

« Non lo so... »

Non si era accorto della presenza dell’ambasciatrice che l’aveva raggiunto con passo incerto, andandosi a sedere su una corda arrotolata ai piedi della balaustra. Lei lo guardò con sguardo complice e con una punta d’ilarità negli occhi azzurri.

« Ma mi deve un pranzo… »

Si specchiarono per qualche secondo l’uno nell’anima dell’altra, sorridendo. Il Capitano fu sul punto di controbattere, ma la visione davanti a loro lo bloccò.

A centinaia di chilometri da loro, infatti, si aprì lo spettacolo della Costellazione dell’Aquilaiv.

Nell’ammasso di circa un centinaio di stelle dai colori sgargianti, spiccava per intensità e trascendenza la stella Altair, sorella posta in opposizione alle sorelle Alshain e Tarazed, congiunte in un asterismov perfetto, emanando equilibrio ed armonia, come se queste costituissero le ali spiegate della creatura di aria. I più antichi marinai sapevano che, in quelle regioni estreme, risuonava il suono della voce di Zeno, il padre degli Dei che, all’inizio dei tempi, aveva amato Ganimede o in altre leggende Antinoo, un bellissimo fanciullo: questo venne rapito dall’Aquila e portato sul monte Olympus, al Centro del Cosmo.

Vegeta urlò subito ai marinai di potenziare le vele a specchio d’energia e di mantenere costante la navigazione, per non farsi travolgere dal vento spaziale che, in quella regione, aveva iniziato a sorgere con più potenza. Si sentì il fischio dei motori che stabilizzarono la nave e la chiglia sbattere contro i cristalli di ghiaccio delle onde. Il capomastro calibrò la curvatura del timone e finalmente il capitano ebbe una visione più precisa del contesto astronomico che li circondava.

Pianeti nani e piccoli asteroidi strisciavano attorno alle stelle, in particolar modo attorno ad Alshain, come se questa fosse il motore di un lento carillon. I nanopianeti erano di grandezza e di strutturavi diversa, ma, dopo un attento colpo d’occhio attraverso la vista acuta dal cannocchiale, le aurore boreali che si dipanavano sulla loro superficie indicavano che i pianeti, almeno alcuni, avevano iniziato il processo di stabilizzazione e l’atmosfera non era più tossica e rarefatta per via dei gas neofiti. Inoltre, dal colore rosso rame che emanavano, la superficie doveva essere rocciosa, calda terra compatta come il deserto e, almeno sperava, doveva avere delle traccie di vibrano per la Saiya.

Quei pianeti avrebbero fatto al caso loro. Bulma continuò ad osservare, con il naso all’insù, la Grande Aquila tracciata nel cielo, srotolando con accuratezza i ricordi degli astrolabi che aveva osservato ed amato da bambina. La Costellazione dell’Aquila era uno dei segni del cielo che più l’aveva affascinata da bimba.

Vegeta ridacchiò sotto i baffi.

« La Costellazione dell’Aquila… non pensavi che vi avrei portato fin qua, eh? »

« No, è vero… »

Lei arricciò le labbra in un piccolo sorriso e s’intrecciò le mani dietro la schiena, avvicinandosi leggera al capitano.

« Ma Goku sì, per qualche motivo hai la sua fiducia... »

Un fischio di vento dell’Eatherium risuonò tra di loro e le piume argentee e ghiacciate sul cappello del pirata si mossero piano.

« Come... vi siete conosciuti voi due? »

I pianeti iniziarono a distinguersi in lontananza con più chiarezza e Nappa puntò a terzo pianeta nano parallelo alla stella. Le aurore rosse e rosee del pianeta l’unico segno di movimento nella calma dello spazio.

Vegeta ci pensò su un attimo, poi gli scappò un ghigno strafottente.

« Scappavo per salvarmi, come al solito »

Rise e si avvicinò alla cima di mezzo, che sfilata dal carico della carrucola, penzolava accanto a loro. L’afferrò con forza e saltò agilmente sulla balaustra della nave, come per scivolare sulle schegge di luce fuori la barriera protettiva.

Si trovò a mimare animosamente il trambusto della battaglia: « Un paio di guardie mi avevano accerchiato fuori le mura del palazzo. Ero in trappola! Una spada alla gola, una sul petto e una sul - »

« Centriolini e uova! »

Nel rumore del ponte, risuonò l’urlo di Radish, uscito da sottocoperta. In sua risposta, si levarono gli insulti della ciurma contro lo sfortunato mozzo. Ancora quegli schifosi cetriolini e uova.

Bulma e Vegeta li fissarono, temporaneamente distratti dalla conversazione. Quando Turles iniziò a minacciare Radish di ficcargli i cetriolini dove sapeva ben lui, il capitano attirò di nuovo l’attenzione della donna. Si schiarì la voce e distolse Bulma dallo spiacevole battibecco poco dignitoso.

« E poi, ad un tratto, c’è stata la quarta lama, vibrante come non mai! »

Il sorriso gli contagiò gli occhi e si lasciò trascinare dal racconto.

« Era Goku! Aveva visto tutto dalla sua stanza nel palazzo, era scivolato lungo le mura del castello per combattere al mio fianco! »

Lasciò la cima a camminò sul filo del parapetto, il mare schiumava di folta eco sotto il passo della nave.

« Caspita se abbiamo combattuto, come se fossimo nati per fare solo quello! Due anime unite e due combattenti pronti ad affrontare il Cosmo! Da quel giorno siamo stati unitissimi! »

I suoi passi si distesero poi in un sospeso silenzio, favorito dallo sciabordio del mare. Bulma rilasciò i suoi pensieri in un sorriso meraviglioso, che brillò come quello di un angelo.

« Poi cosa vi è successo? »

Il capitano abbassò il capo, scrutando tra le fughe nel legno del ponte, resistente agli sbalzi di corrente cosmica, poi riportò gli occhi d’improvviso più scuri sulla donna.

Lei sorrise. « Cosa c’è? »

Vide il capitano scendere dal parapetto, mentre ancora la scrutava, non abbandonando i colori perlacei delle sue iridi. Le parve che volesse dirle molto altro, ma si limitò a poche parole che chiusero la conversazione così veloce com’era iniziata.

« Abbiamo preso strade diverse… » sussurrò l’uomo, avviandosi verso il timone.

Lo vide scendere sottocoperta e non poté fare a meno di domandarsi perché, ancora una volta, avesse chiuso i suoi sentimenti e il suo passato a lei. Le Costellazioni attorno attutirono i suoi pensieri e la consolarono nei colori sgargianti di acuto silenzio.


Le bolle continuavano a scoppiare e sdoppiarsi nel bagno immenso, la soffice schiuma sfumava verso il bordo, cadendo in nuvole di acqua eterea. Sebbene un poco piccina, la galassia che aveva usato e che ospitava il suo corpo divino si era rivelata una comoda fonte d’acqua per lei e le sue creature di cielo. Scostò noncurante un piccolo pianetino che le passò sotto il naso, solleticandole i sensi e districò lentamente dei nodi nei capelli di oro che filano sciolti nella piscina. La bolla di vetro le presentò il volto contrito ma composto dell’ambasciatrice e Lazuli non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo a quel gesto di sincero dispiacere che lesse sul viso della mortale.

Stupidi uomini, così noiosi e scontati.

« Basta con le chiacchiere… » lamentò nel vuoto del cielo di Tartaro, pasticciando le nuvole di schiuma verso il basso, perché spegnessero qualche stella inutile. Le Costellazioni sibilarono di acuto disprezzo e lo Scorpione fece vibrare la sua coda velenosa.

Lazuli lo fissò con gli occhi di stelle e arricciò le graziose labbra in un sorriso, raccogliendo lo Scorpione nella sua mano.

« Sentiamo qualche bell’urlo! »

Raccolse la bolla di vetro nelle lunghe mani affusolate e ci soffiò sopra, gelandola di fredda morte. La bolla si crepò e soffiò un vento di neve.


La nave scese dolce, ma precisa sul pianetino individuato e l’aria calda dell’atmosfera impattò contro i visi ora accaldati della ciurma. Broly che, notò il capitano, non aveva perso la brutta abitudine di andare ad accucciarsi accanto a Bulma ogni due per tre perché sua ufficiale compagna di cuccetta, si affacciò a prua e curiosò, mettendo il viso fuori dalla nave, il pianeta sottostante. Quando una folata di sabbia lo investì appieno, rovesciò sul ponte tutta la sabbia che gli era finita inevitabilmente in bocca e il capitano, mentre la ciurma non trattenne l’ilarità, scosse la testa sconsolato.

Appena attraccarono, rimasero a lievitare ad un paio di metri da terra. Buttarono l’ancora in quello che si caratterizzò in tutto e per tutto come un deserto di sabbia fluorescente, calda e vivida, che soffiava non troppo pacata in tutte le direzioni. Sotto la sabbia, però, c’era la roccia a tratti sporgente dalla pianura dorata che sicuramente aveva tracce di vibranio. A centinaia di metri da loro, invece, un’enorme torre di roccia solida, formata e levigata dal vento che sorge dal deserto, s’ergeva imponente, come una roccaforte solida e antica di secoli passati, un castello che mai nessuno avrebbe trovato.

Era il momento di scendere al suolo per ricavare il vibranio e magari del nekon, se Zeno gli avesse concesso la grazia.

Fece per aprir bocca, quando una folata di quello che riconobbe come vento freddo, lo bloccò. Guardò verso il cielo.

Aria fredda? In un pianeta di deserto?

Quella che li travolse in pieno, incatenando la nave a delle spesse lastre di ghiaccio, pur essendo ancora sospesa in aria – e Vegeta ringraziò la sorte per non essere sceso completamente al suolo, altrimenti il danno sarebbe stato molto maggiore – fu proprio una gelata fredda, che si tramutò, nel giro di un soffio, in forti e potenti urli di neve. Sotto i loro occhi, tutta la sabbia si trasformò in neve: il deserto di arena divenne un deserto di neve e il gigante di roccia davanti a loro assunse le sembianze di una vecchia torre fantasma bianca, in cui s’infilavano gli ululati del vento.

« Miseriaccia ladra, ma com’è possibile? »

Sbottò il capitano, pestando furioso la neve che era caduta sul ponte per via degli scudi di protezione ora abbassati.

Nappa cercò di fare rapporto, avvicinandosi alle sue spalle. Vegeta si volse di soprassalto e a momenti si spiattellò contro il petto dell’omone, che, ovviamente, stava sempre a petto nudo.

« Infilati una camicia, potresti cavare un occhio a qualcuno! »

Sbraitò, preso alla sprovvista e Nappa fu sinceramente sul punto di cavarglielo l’occhio, se il capitano non avesse preso qualche bel respiro per calmarsi.

« Forza ragazzi, andate a rompere il ghiaccio, dobbiamo andarcene! » urlò, al contrario di quelle che erano le sue aspettative. Si passò una mano sugli occhi e Bulma gli lanciò uno sguardo di comprensione, sorridendogli debolmente. Al capitano non rimase che armarsi di piccone e incominciare anche lui a spaccare il ghiaccio.

Non si domandò il perché della magica ed inspiegabile comparsa del ghiaccio in un mondo di sabbia e deliberatamente ignorò la voce di avvertimento che sussurrava sempre più forte alla sua anima. Quello che importava, ora, era andarsene: il vibranio e il nekon erano irrecuperabili sotto il manto di neve ghiacciata, ma la loro pelle era più preziosa.


« Rubiamo il Libro della Pace… ci ritiriamo alle Stelle Fiji! »

Berciò insolentemente Turles, stringendosi, inutilmente, nel piccolo giacchino che era rimasto in stiva per proteggersi dal freddo di un improvviso inverno. Il piccone a lama laser gli tremava nella presa tra le mani, mentre cercava di rompere le lastre di ghiaccio che stavano intrappolando il loro vascello al suolo congelato del pianetino.

Essendo un pirata navigato per l’interno Universo conosciuto, come un qualsiasi buon altro marinaio, dopo un po’, avrebbe dovuto sviluppare una corazza di imperturbabile accoglienza verso le vicissitudini che offriva il mare cosmico e l’immancabile vento dell’Eatherium. Ma lui, sebbene avesse vissuto più anni in mare di quanti ne aveva vissuti in casa, attaccato alle sottane di sua madre, il freddo lo odiava, lo disprezzava e lo schifava.

Ora, non solo il suo beneamato capitano stava conducendo la Saiya verso il luogo più oscuro e freddo dell’Universo, la stella morente di Tartaro, ma adesso pretendeva che lui, povero mozzo delle Regioni più a Meridione del Cosmo – si sa, le più calde ed accoglienti – stesse su un fottutissimo piccolo pianeta inutile a spaccare lastre e lastre di ghiaccio, congelandosi mani, piedi e cuore.

Digrignò ancora i denti dal freddo e se non fosse stato per il fatto che non era l’unico a congelarsi le chiappe al vento nevoso – a pochi metri da lui c’era Radish che, non avendo trovato una sciarpa, usava i suoi capelloni come riparo – avrebbe volentieri tirato il piccone in testa al capitano, rischiando l’ammutinamento.

Si concentrò per spezzare un altro blocco freddo, quando sentì Broly iniziare a guaire e ringhiare sul ponte di comando. Broly, il cucciolone ibrido con i sensi molto più sviluppati di quello di un umano, con sorpresa della ciurma, aveva iniziato, infatti, a ringhiare più forte e, se avesse potuto, avrebbe abbaiato con vigore verso la torre, che, inevitabilmente, attirò l’attenzione di tutti.

Tutti si fermano definitivamente a guardare la torre, quando nel silenzio si percepì un fischio, dapprima leggero, poi sempre più forte, come di Aquila che mentre vola si avvicina veloce alla preda.

Vegeta cercò di aguzzare la vista, ascoltando il brutto presentimento che gli sussurrava alle orecchie di un grosso pericolo in arrivo, e fissò il vuoto in lontananza oltre la torre fantasma.

La forma sfumata di un animale si palesò nel cielo, oscurata da nuvole di neve, per scomparire subito dopo tra la nebbia.

I marinai al nuovo fischio sinistro lasciarono perdere le lastre di ghiaccio e si guardarono attorno guardinghi. Il silenzio si fece carico dei loro respiri affannati, mentre il fischio si avvicinava sempre più.

Bulma si portò accanto a Broly che, a prua, ringhiava feroce a quel qualcosa oltre la torre. Il grido scomparve per qualche istante e il mezzo demone, spaventato, corse via, andando a nascondersi sottocoperta.

Il capitano e l’ambasciatrice si fissarono, incerti, poi un rumore sordo di rocce frantumate spezzò il loro silenzio.

Tra le urla collettive, un’enorme Aquila di Ghiaccio gigante comparve piombando sulla nave, spezzando la monotonia del paesaggio ricoperto di morte bianca. La creatura sorvolò la pianura desertica, le sue ali di piume di ghiaccio sbatterono violentemente contro le cime e le vele della nave, che tremò con forza, pronta a spezzarsi contro il peso della creatura mastodontica che li aveva presi di mira.

« Tornate sulla nave! » urlò a pieni polmoni Vegeta.

I marinai si affrettarono a salire a più non posso verso la nave: quelli che si erano arrampicati ed erano rimasti più in alto sui pilastri di ghiaccio arrivarono più in fretta sul ponte, tratti in salvo dai compagni.

L’enorme rapace sorvolò ancora minacciosamente la valle, strisciando le penne esterne lungo le dune di ghiaccio, finché i suoi occhi vuoti non si fissarono su Tarble che, rispetto ai compagni era rimasto più in basso nel spaccare il ghiaccio e, a pochi metri dal suolo, ancora stava salendo.

Con un grido acuto, l’Aquila fece per planare sul marinaio e questo non poté fare altro che lasciare la presa, scivolando però nel crepaccio profondo che separava la forma aguzza di ghiaccio che aveva intrappolato la nave dal resto della pianura di ghiaccio.

Strinse con forza la presa su un gracile appiglio che trovò nascosto nella parete, ma la sua presa era incerta, per via della scivolosità del ghiaccio che lo circondava.

« Tarble! » gridò Bulma.

La donna, che aveva notato il compagno in difficoltà, cercò svelta una cima e la lanciò a Tarble con tutta la forza che aveva in corpo. Appena vide il marinaio afferrarla ed iniziare a issarsi, lo aiutò facendo scivolare veloce la cima lungo il parapetto della nave, per poi issarla alla punta del cassero a prua per avere una presa migliore.

La creatura di neve, che portava con sé i più venti freddi del Cosmo, però ad un certo punto deviò direzione e si gettò sulla nuova preda.

Vegeta, che aveva appena teso la mano a Radish per aiutarlo a salire a bordo, s’avvide con orrore dell’intenzione della creatura ed urlò il nome della donna.

Bulma si girò malauguratamente a sentire il suo nome e il capitano non fu abbastanza svelto nel raggiungerla: l’enorme artiglio dell’Aquila dalle piume di ghiaccio si strinse attorno al corpo della donna e con un balzo si issò in aria.

La mano del capitano afferrò per qualche istante la mano tesa di Bulma, cercando di trascinarla via dalla presa ferrea dell’animale sovrannaturale. Il pirata venne trascinato verso poppa, ma la presa delle loro mani si sciolse quando il rapace spiccò con forza il volo verso il cielo, e il capitano scivolò a terra, troppo lontano ormai per salvarla.

L’urlo della donna si disperse nell’aria e la ciurma osservò con orrore l’Aquila volare sempre più in alto fino a scomparire sulla cima della torre fatiscente, dapprima di roccia ed ora di ghiaccio, a centinaia di metri da loro.


Bulma si ritrovò sbattuta con forza a terra, il viso affondato nella neve, mentre l’Aquila scendeva a terra, per poi girarsi pronta a mangiare la sua preda.

La donna vide il suo riflesso negli occhi acerbi di vita della creatura e si alzò di scatto, per iniziare a correre verso un riparo. L’artiglio del rapace la precedette e la bloccò sotto il suo passo e il becco aguzzo del mostro si abbatté su di lei, pronto per inghiottirla.

L’Aquila, però, assaggiò solo il pelo consistente ma vuoto della pelliccia che fino a quel momento aveva protetto l’ambasciatrice dal freddo. Questa, dopo aver abbandonato la presa del mostro, era riuscita a fuggire sotto un’incavatura nel terreno poco più in là. Vide la creatura tastare con curiosità il sapore insipido della pelliccia, sbatacchiandola come si fa con le prede, per poi inghiottire il nulla. Scocciata, il suo grido attraversò l’aria e Bulma cercò di farsi piccola piccola contro la protezione di ghiaccio che aveva fortunatamente trovato a poche decine di metri dal rapace gigante.

La creatura tastò il terreno candido attorno, scavando nel ghiaccio con le zampe e cercando ancora la sua preda, mentre Bulma conformava il suo respiro alla lentezza della neve.


« Turles, non far congelare i paranchivii! »

« Signorsì! »

Rispose solerte il marinaio, mentre il capitano finiva di allacciarsi le cima della fune attorno allo stivale nero, per tenere fisse le lame di vibranio che aveva fatto recuperare in fretta e furia dai magazzini sottocoperta. Sperando che funzionassero e s’incastrassero al meglio nel ghiaccio.

« Nappa! »

« Sì, signore! »

Fece altrettanto solerte il secondo.

« Abbracciami! »

Il secondo, questa volta, fu meno solerte nel rispondere e si trovò costretto in un abbraccio che apparve alla ciurma assolutamente fuori luogo. Quando però, vide la faccia del capitano, capì il perché di un gesto che, normalmente, il capitano non si sarebbe sognato di fare neanche sotto tortura.

Dopo aver sfilato altri due pugnali dalle tasche di Nappa, il capitano si portò presso il lancia funi arpionato e, inseriti i parametri di lancio con il controller, si fece scaraventare dalla macchina ad alta ingegneria verso la cima della montagna, attaccato alla penna dell’arpione che, nel frattanto, saliva sempre più su, sempre più veloce, verso i massi che creavano la torre pericolante di neve a centinaia di metri di distanza.

La nave si fece sempre più piccola dietro di lui e l’impatto con la neve della torre non fu uno dei più comodi che ricordasse, ma almeno ringraziò Zeno di non essere finito spiattellato come una zanzara bianca contro il ghiaccio della parete, altrimenti oltre al pesante scudo di Forza Solare H che portava sulle spalle, avrebbe dovuto averne uno pure sul davanti.

La neve che gli si spiattellò in faccia assorbì parte degli insulti che inevitabilmente gli scapparono dalle labbra a causa del brivido di freddo provocato ad avere la neve che gli colava giù per il collo.

Così, attaccato alla parete grazie ai pugnali che gli fungevano da appigli sia per i piedi sia stretti tra le mani, iniziò a salire, lentamente.

« Non si era accorta del pennuto? »

La sua arrampicata non tentennò.

« Tutti gli altri l’hanno visto... »

Un passo per volta.

« Era più grosso di un galeone... »

Sputacchiò della neve e si passò la lingua sulle labbra, spaccate dal freddo.

« E Bulma? »

Lentamente, continuò a salire verso la cima della torre.

« Bulma guardava dall’altra parte… »

Lentamente…





Continua...






Angolo dell’autrice


Riuscirà il nostro eroe a salvare la nostra amata Bulma?

Certo che sì, vi pare?

Ma andrà malissimo e soprattutto non secondo i suoi piani. Eh, altrimenti che autrice sarei, se tutto andasse liscio?


Scusate per il ritardo, ho avuto cose da fare, ma non potevo non aggiornare.

Ringrazio come sempre tutte le persone che leggono, commentano, seguono e fanno cose con questa storia.

Siete bellissimi, vi regalerei una piuma di Aquila di Ghiaccio, ne avessi un paio da parte.

Al prossimo capitolo e grazie a tutti. Se avete voglia, fatemi sapere che ne pensate!


Zappa









iStrumento per indicare velocità e direzione tenute; è uno strumento antico, che usavano anche gli antichi. Visto che l’ho già citato, faceva figo citarlo un’altra volta;

iiGli astrofisici presenti mi odieranno adesso per osare ed azzardare così tanto tra scienza e fantascienza: un parsec è un’unità di lunghezza astronomica corrispondente a circa 3,26 anni luce;

iiiCime fissate agli angoli inferiori delle vele; non ne ho idea della loro attuale funzione;

ivHo fatto riferimento alla Costellazione dell’Aquila: vogliano scusarmi astronomi e appassionati di spazio, visto che ho mischiato un bel po’ le carte e visto che non ne so una mazza di astronomia.

Precedentemente avevamo parlato della Nebulosa dell’Aquila, ma questi due sono due fenomeni astronomici completamente diversi. Lo spazio è un posto grande, guys. Ma, ripeto, questa è una storia, quindi… * fa spallucce, innocentemente *

Questa costellazione è una delle 48 costellazioni elencate da Tolomeo (astronomo vissuto dell’epoca ellenistica) e si trova a cavallo dell’equatore celeste ed è ben visibile nei mesi dell’estate boreale. La sua stella principale è Altair e tutte le sue compagne si chiamano Aquilae (probabilmente il caro Tolomeo aveva finito i nomi). Domandate a Wikipedia, se ne volete sapere di più;

vIn astronomia, è un qualunque gruppo di stelle visibile nel cielo notturno, riconoscibile dal resto per la sua particolare configurazione geometrica;

viLe aurore boreali, come sapete, sono causate da collisioni tra particelle cariche elettricamente provenienti dal Sole che entrano nell’atmosfera. Quindi, nella mia testolina ho ragionato che se “entrano nell’atmosfera”, il pianeta deve essere alla fine della sua nascita, quindi deve essere un minimo stabile. No? Va be’. Mi faccio un baffo della scienza;

viiPer chi di noi ha un’anima più marinaresca, sono quelle specie di carrucole che modulano e allungano le lunghezze delle corde e delle cime nelle navi;

   
 
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