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Autore: Snoirp    05/12/2020    2 recensioni
"AVADA KEDAVRA!" "Signor Potter!"
"[...]Può ammaliarti e prosciugarti sino all’ultima goccia di umanità che ti rimane!”.
"Harry [...] non voglio perderti".
“Ci proverò Hermione, posso dirti questo”
Era il 16 luglio del 1995 quando una scia di fumo, nera come la notte che la avvolgeva, sorvolava i cieli del Surrey, Little Whinging, con il suo epicentro nel numero 4 di Privet Drive. Un terribile incidente sconvolgerà la vita di Harry Potter e irrimediabilmente di chi lo circonda.
Una rabbia inspiegabile e alcuni cambiamenti di personalità lo trasformeranno.
Qualcuno riuscirà a contenerlo o Harry Potter perderà se stesso?
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Sirius Black | Coppie: Harry/Hermione, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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“Un fuoco che danza nella notte”
 
Era il 16 luglio del 1995 quando una scia di fumo, nera come la notte che la avvolgeva, sorvolava i cieli del Surrey, Little Whinging, con il suo epicentro nel numero 4 di Privet Drive.

L’abitazione era ormai inesorabilmente avvolta dalle fiamme le cui sommità si estendevano fuori dall’abitazione, puntando verso l’alto, quasi a voler indicare il cielo. Due finestre al piano terra esplosero, riversando vetri nel vialetto che conduceva verso il portone.
Il pungente odore di monossido era forte nell’aria. Nel silenzio delle ore notturne si poteva udire lo scricchiolio del legno che bruciava e, in lontananza, il sopraggiungere delle sirene della polizia e dei vigili del fuoco.
 
Le lingue di fuoco erano state sconfitte dai pompieri. L’incendio era sparito. Tutto ciò che rimaneva per ricordarlo era una casa che quasi cadeva a pezzi. Il tetto aveva ceduto alle fiamme portando via quasi tutta la camera da letto del primo piano. Le pareti della casa erano annerite, come del resto l’interno del quale non rimaneva niente, se non qualche mobile bruciacchiato.
 
Gli uomini della polizia scientifica, muniti di tute bianche e maschere antigas, entrarono nell’abitazione per trovare l’origine dell’incendio e superstiti o vittime.

A monte della stradina di Privet Drive, sotto ad un vecchio lampione che emanava la sua fioca luce ad intermittenza, Minerva McGonnagall e Albus Silente stavano in disparte, osservando la scena in un silenzio denso di domande e preoccupazione.

“Albus” disse Minerva, con voce leggermente tremolante.

La professoressa di Trasfigurazione indossava i suoi consueti abiti: una lunga tunica verde sopra a un vestito nero a collo alto ed il suo particolare cappello a punta che da sempre la contraddistingueva. Nonostante sembrasse pronta per fare lezione, aveva l’aria stanca.

“Dimmi pure, Minerva” rispose il professor Silente.

Malgrado la personalità del professore fosse sempre stata tra le più vivaci, in questo momento nei suoi occhi, seppur celati in parte dagli occhiali a mezzaluna, traspariva una grande preoccupazione.

“Cosa pensi sia successo? Potter starà bene?” chiese Minerva, osservando con la coda dell’occhio Silente.

“Ah, non saprei, Minerva. Non sono in grado di rispondere a questa tua domanda. Posso solo sperare che il giovane Harry stia bene e che possa tornare ad Hogwarts per il normale svolgimento delle lezioni ed assaggiare il mio nuovo sorbetto al limone”.

Dov’era Harry? Stava bene? Era vittima o causa dell’incendio?
 
Il professor Silente finì il suo breve discorso con un sorriso triste. L’ultima frase sembrava essere quasi scaramantica, un voler evadere da quella situazione che avevano davanti, nella speranza che il ragazzo potesse vivere la sua vita come quella di un qualsiasi quindicenne.
 
Minerva guardò Silente con cipiglio, ma in fondo, anche lei condivideva il pensiero del preside.
Era risaputo che, nonostante la sua severità, volesse bene a tutti i suoi studenti, nessuno escluso.
 
La scientifica uscì dalla casa dirigendosi verso la vettura di servizio, dentro la quale attendeva impaziente un uomo alto e robusto, che pareva essere il tenente di polizia.
Quest’ultimo, dopo essere stato aggiornato dai colleghi, annunciò via radio:

“Signori, abbiamo rinvenuto tre cadaveri all’interno dell’abitazione. Seppur sfigurati dalle fiamme, siamo riusciti a identificarli: risultano essere i coniugi Dursley e il loro figlio, Dudley.
 Il signor Harry Potter, che pare essere residente insieme a questi ultimi, risulta scomparso. Non abbiamo rilevato al momento alcuna causa riconducibile all’incendio”.

Un sospiro di sollievo misto a rassegnazione uscì dalle labbra della professoressa: il ragazzo non era morto, ma ancora non avevano idea di dove fosse. Il professor Silente le tese il braccio con un accenno di sorriso:

“Andiamo, Minerva?”.

Dopo un ultimo sguardo alla casa distrutta, afferrò il braccio del preside e insieme si smaterializzarono.



Il paiolo magico era caotico quella notte. Non che fosse una novità, qualsiasi pub che si rispetti si anima dopo il tramonto.
 
Molti maghi, vestiti con bizzarri abiti di colori impensabili sollevavano i calici, brindando a un qualsiasi evento solo per la gioia di poter ricominciare a bere. Le loro guance erano arrossate dall’alcol e vi erano urla di euforia generale.
Il locale aveva un’aria molto rustica: quasi tutto era fatto di legno d’acero, dalle sedie alle tavolate rotonde che potevano ospitare fino a sei persone.
A qualche metro dall’entrata, proseguendo dritto su un lungo tappeto con delle immagini di birre che giravano in cerchio su un tavolo, vi era il largo bancone del locandiere.

Nel mezzo della baldoria si poteva distinguere un ragazzo che si faceva largo tra le persone in piedi per tutto il locale. Non cercava di dare nell’occhio, ma il suo abbigliamento glielo impediva: aveva una felpa di pile nero di una taglia più grande, le maniche erano troppo lunghe ed il cappuccio gli avvolgeva il viso imperlato di sudore, impedendo a chi lo vedesse di poterlo riconoscere, dei jeans chiari strappati sulle ginocchia e delle sneakers bianche.
Nel mondo dei babbani lo si poteva considerare un abbigliamento come un altro. Ma nel mondo magico no: dava nell’occhio.
 
Inoltre, sulle sue spalle con la mano destra rivolta verso l’alto teneva in equilibrio un ingombrante baule.

"Ough! Attento con quel maledetto baule, *hic* cretino! Occhio a dove *hic* cammini!" disse un uomo di mezz'età, con la tipica voce di chi aveva decisamente alzato il gomito quella sera.

"Scusa" rispose il ragazzo in modo secco con voce cavernosa.

L'uomo capì dal tono di essersela presa con la persona sbagliata e che non avrebbe portato a nulla di buono:

"Ahm, *hic* fa niente! Anzi, ti va una birra amico? *hic*" disse con voce preoccupata, nel tentativo di evitare un inevitabile screzio.

Il ragazzo proseguì verso il bancone, senza nemmeno prendersi la briga di rispondere.
Il locandiere, Tom, stava chiacchierando con alcuni clienti che sembravano essere in vena di festeggiamenti. Fu distratto dall'udire un bussare sul bancone.
Una volta giratosi vide la figura, all'incirca 1.80 m, i gomiti appoggiati al bancone di legno, la testa china coperta dal cappuccio che gli copriva il volto. Attendeva di essere servito.

“Buonasera”, disse il locandiere, dopo averlo squadrato da capo a piedi “benvenuto al Paiolo Magico, posso aiutarti?” concluse infine. Non riuscì a riconoscerlo, continuava a stare con la testa bassa.

"Ciao, Tom", il ragazzo parlò nuovamente con voce secca e chiara, anche se più tranquilla rispetto all’inconveniente dell’ubriacone. “Vorrei un boccale di birra e una camera per la notte" concluse infine tirandosi su, diritto.

"Ah, giovane Potter”, Tom si rilassò, conosceva il ragazzo, “come mai tutta questa segretezza? Nuova moda tra i teenager? O c’è qualche ragazza qui intorno con la quale ti vergogni di parlare? Posso aiutar...”, venne interrotto da Harry.

"Nessuna moda e tanto meno ragazza" rispose frettoloso Harry. "Per quanto riguarda la segretezza ho un buon motivo. Gradirei l'anonimato finché sono qui”.

"Ragazzo”, disse con fare dispiaciuto Tom, “sai che tutti quelli che alloggiano qui devono fornire un docum..." si interruppe al tintinnare di alcuni Galeoni sul bancone di legno.

"Insomma Tom”, disse spazientito ma con un briciolo di divertimento nella voce, “questi bastano?" domandò dunque Harry con un ghigno, sicuro della risposta che da lì a poco sarebbe arrivata.

"Beh... Hm, insomma, non è che hai combinato qualche guaio, Potter?” domandò il locandiere guardandosi intorno, preoccupato che qualcuno del Ministero, o peggio, il preside di Hogwarts, venisse a chiedere spiegazioni sul perché un ragazzo ancora minorenne avesse alloggiato in una delle sue camere.

“Assolutamente no”, rispose Harry mellifluo.

L'occhiata di Tom si fece indagatoria, come a voler trovare qualcosa che non andasse nella situazione che gli parava davanti.

"Beh, sai che ti dico?” annunciò in tono canzonatorio, “non farmi passare dei guai, per il resto, ciò che combini non è affar mio" e detto questo prese i galeoni e se li infilò in una tasca dei pantaloni. "Camera 12 ragazzo, la strada la conosci. Su per le scale in fondo a sinistra. La birra te la porto io in camera". Tom gli tese la mano con le chiavi, che teneva fra indice e pollice.

"Grazie" disse sbrigativo Harry. Afferrò le chiavi e si diresse verso le scale, per andare in camera.
Mise il piede sul primo gradino e si bloccò: “Tom?”.

“Sì, ragazzo?” chiese in maniera interrogativa, alzando un sopracciglio.

“Non è che per caso hai un mantello?” chiese Harry. “Ho da sbrigare una commissione e da queste parti i miei vestiti danno troppo nell’occhio”.

Tom ci pensò per qualche secondo, poi un sorriso spuntò sulle sue labbra: “Hai una fortuna sfacciata anche da questo punto di vista” lo sbeffeggiò, “proprio qualche giorno fa, un ragazzotto poco più adulto di te si è dimenticato una divisa di Hogwarts ancora da modificare, e non è più tornato a prenderla. Direi che in fatto di anonimato fa al caso tuo. Te la porto in camera insieme alla birra”.

La divisa di Hogwarts era una lunga tunica nera munita di cappuccio, che arrivava sino alle ginocchia. Viene contrassegnata con lo stemma della casa nella quale sei stato smistato. Era perfetta.

“Grazie Tom. Allora buona notte” concluse incamminandosi su per le scale. Tom lo salutò con un cenno della mano.
 
Aveva fatto amicizia con Tom durante l’estate quando, cercando di non farsi beccare dai Dursley, andava alla locanda per bere qualcosa e cambiare aria rispetto al buco di camera al quale era abituato.  Lo aveva riconosciuto sin da subito, ma la sua fama non gli era importata. Infatti, gli fece subito una bella filippica: “Insomma Potter, sei minorenne! Cosa ci fai qui, ragazzo? Non dovresti bere alla tua età”; ma tutto quello che gli rimproverava, lo faceva con un sorriso sulle labbra, raccontandogli al contempo quanto lui fosse peggio alla sua età. A Harry, Tom fu subito simpatico.  E poi la birra era buona al Paiolo.

Arrivato davanti alla porta Harry inserì la chiave e la fece girare. La camera era molto rustica, come tutto il resto della locanda d’altro canto: il tetto era in legno di quercia con un’ampia arcata che lo reggeva. Appena entrati, sulla destra, c’era un appendiabiti, mentre, sulla sinistra, si trovava il bagno. Il pavimento di questo aveva le piastrelle bianche e una doccia abbastanza spaziosa con le porte scorrevoli. Dopo essere entrato, Harry posò il suo baule vicino alla scrivania, di fronte al letto alla francese. Esso conteneva lo stretto indispensabile per la scuola e del denaro per poter essere autonomo. Il parquet era blu notte. La camera aveva persino un balconcino che si affacciava sulle viuzze di Londra.

Si accomodò sul bordo del letto, concedendosi un attimo di pace e riflessione.
Si spogliò, si diresse verso il bagno e, guardandosi allo specchio notò della fuliggine che lo sporcava il viso fin sotto gli occhi, e una bruciatura sul braccio destro.

Bussarono alla porta, era Tom: “Harry, la birra e la divisa!”.

“Mi sto lavando, lascia tutto sulla scrivania, per favore”, detto questo si infilò nella doccia, frizionandosi con forza per pulire ogni residuo dell’incendio.

Ebbe il tempo di pensare alla serata appena trascorsa: ‘Tutto è accaduto molto in fretta. Scommetto che vorranno farmi un sacco di domande, ma la verità è che non ricordo molto. Nonostante li odiassi con tutto me stesso, non sarei mai arrivato ad auguragli la morte. Devo pensare a cosa fare ora. Immagino che Silente sia già al corrente di quanto accaduto’.

Harry chiuse l’acqua calda e prese l’accappatoio che aveva preparato. Uscendo dal bagno notò le cose che Tom gli aveva lasciato sulla scrivania. Diede un’occhiata alla tunica di Hogwarts: era perfetta. Gli avrebbe concesso la momentanea discrezione di cui aveva bisogno. Diede una golata al boccale di birra fresca.
Harry si buttò a pancia all’aria sul letto, facendo un sonoro tonfo: “Porca Morgana, che male!” imprecò, “certo che potevano mettere un materasso un po’ più morbido…” e massaggiandosi la schiena dolorante, si sistemò il cuscino, incrociando le mani dietro la nuca, chiudendo gli occhi per qualche secondo.

Ho sentito dire che a Nocturn Alley, per una corposa somma di Galeoni, potrò far rimuovere la Traccia dalla mia bacchetta. Meglio evitare incidenti come quella volta in cui ho dovuto salvare Dudley’. Al pensiero del cugino, si rese conto che la sua morte lo aveva sconvolto. Nonostante i loro precedenti non fossero dei migliori, aveva la sua stessa età. ‘Mi chiedo se faro anche io la stessa fine contro Voldemort…’ pensò. ‘Comunque, senza Traccia riuscirò a mantenere l’incognito dal punto di vista magico, avrò la possibilità di difendermi senza l’aiuto di nessuno.’

Sono stufo di essere considerato l’ultimo degli ebeti. Voglio dimostrare a Silente che sono un mago ben sopra la media, e anche a quell’odioso di Piton. Voglio eccellere in tutto.” disse Harry, con fare astioso. “Non dovrò più fare affidamento su Hermione per copiare i compiti, non ho bisogno di lei.

Ma Hermione gli mancava più di quanto volesse ammettere. Era un’ottima amica e c’era sempre nel momento del bisogno. Si chiedeva dove fosse e non vedeva l’ora di rivederla.

Durante l’estate, Harry aveva riflettuto su ciò che poteva fare per evadere il più possibile da quel buco di camera nel quale veniva rinchiuso ogni tre mesi l’anno e stare lontano dai Dursley e dal suo odioso cugino, Dudley.
All’inizio pensava che l’esercizio fisico potesse essere la risposta, ma dopo un mese ad ammazzarsi di flessioni, addominali e trazioni, si era reso conto che non faceva per lui.

Successivamente scoprì (ed Hermione ne sarebbe stata fiera!) che il modo migliore, era studiare! E per fortuna, dato che nei precedenti anni non si era mai concentrato più di un qualsiasi studente, giunse alla conclusione che era dannatamente bravo!
Aveva sviluppato una sete di conoscenza per tutto. Credeva fosse giunto il momento di essere davvero Harry Potter e un po’ meno il ragazzino quindicenne che aveva bisogno dell’aiuto degli altri.

Nel tempo libero, che era sostanzialmente tutta l’estate trascorsa, ristudiò tutti i libri dei quattro anni passati ad Hogwarts e si portò avanti (dopo aver chiesto al Ghirigoro di spedirgli i libri) con tutto il quinto anno. All’interno di alcuni libri notò argomenti mai fatti dai professori, probabilmente preferivano non svolgerli, ma si rivelarono estremamente utili ed interessanti. Uno in particolare gli sarebbe risultato sicuramente utile di lì in avanti: “ibis evanescet. Un incantesimo che, se fatto sul proprio gufo, faceva in modo che esso non recapitasse più la missiva nel caso qualcuno cercasse di intercettarlo o seguirlo. In questo modo nessuno avrebbe capito dove era, a meno che non lo volesse lui.

Un fruscio d’ali lo risvegliò dai suoi pensieri. Scorse con la coda dell’occhio Edwige: era appena atterrata sul balconcino della camera, in attesa che Harry la facesse entrare. Nel becco portava una lettera con lo stampo in cera di Hogwarts.

“Beh, sembra proprio che siamo rimasti solo io e te” disse Harry, aprendo la finestra alla sua civetta, che entrò trillando. “Sei riuscita a non farti vedere da nessuno?” chiese Harry più a sé stesso che a Edwige. Quest’ultima gli diede una beccata affettuosa sulle dita, quasi in segno di assenso. “Brava”.

Harry aprì la lettera e la lesse lentamente:

“Da Minerva McGonnagall, vicepreside di Hogwarts.

Caro Sig. Potter,

questa lettera le viene spedita perché siamo al corrente di ciò che è successo questa notte. La speranza di noi tutti è che lei stia bene. Tuttavia, abbiamo anche fretta di ricevere presto sue nuove e ci teniamo a farle presente di avvisare prontamente me o il professor Silente di tutti i suoi spostamenti. Dato l’incidente avvenuto alla sua residenza, è nostra ferma convinzione che il luogo più sicuro dove potrà vivere d’ora in avanti sia il numero 12 di Grimmauld Place, dove il suo padrino, Sirius Black, la attende.
Per concludere ci tengo ad avvisarla del fatto che quest’anno dovrà sostenere i G.U.F.O, di vitale importanza per la carriera da auror che lei sembra voler intraprendere.                           
Spero di ricevere presto sue notizie,


Minerva McGonnagall”


Hm, effettivamente ho sempre voluto andare a vivere con Sirius, ma Silente non me lo ha mai concesso. Potrebbe essere la volta buona nella quale andrò a vivere con qualcuno che mi vuole bene veramente’ pensò Harry, quasi commosso. Posò la lettera, si chinò ad aprire il suo baule di scuola, dal quale prese una penna d’oca e una pergamena, per scrivere.

“Gent.ma Prof.sa McGonnagall,

ci tengo ad informarla che sto bene. Al momento preferisco non dirvi dove sono, ho bisogno di stare solo. D’altro canto, non si preoccupi, condivido con voi l’idea di andare ad alloggiare a Grimmauld Place.”
a dire la verità sarei andato ad abitare con Sirius anche prima, ma vi siete opposti…’ pensò Harry mentre scriveva
“Nei prossimi giorni raggiungerò il mio padrino e potrete chiedermi tutto quello che volete. Solo per il momento, arrivederci Professoressa.

Harry Potter”


“Bene, questa è fatta” disse Harry ad alta voce, “adesso avviserò Sirius, in modo che sappia quando aspettarsi il mio arrivo”.

“Caro Sirius,

come stai? Voglio rassicurarti su ciò che è accaduto. Posso giurarti che io non c’entro niente con l’incendio. I piani alti di Hogwarts si sono già premurati di darmi direttive da seguire, ma non preoccuparti, avevo già intenzione di venire ad abitare con te. Ho alcune faccende da sbrigare e ho bisogno di tempo per me. Ma credo che già da domani potrai vedere la mia bella faccia. Sarò felice di rivederti.
A presto, con affetto,

Harry”


Una volta conclusa la lettera legò entrambe le missive alla zampetta di Edwige e dopo averle dato qualche pacca affettuosa sulla testa, aprì la finestra e le disse: “Vai piccola, e stai attenta” Edwige trillò, poi volò fuori.
Harry tornò sul letto, mettendosi a riflettere. Forse lo fece troppo profondamente, o forse la stanchezza prese il sopravvento, perché di lì a poco, si addormentò.



Il cappuccio nero della divisa di Hogwarts lo copriva completamente, potevano essere intravisti solo i suoi occhi smeraldini. Aveva appena imboccato le stradine di Nocturn Alley. In quel luogo avere un’aria misteriosa e losca era la normalità, dunque, nessuno gli prestò particolare attenzione.

Dopo una cinquantina di metri, Harry svoltò a sinistra, e subito dopo aprì una porta malandata di legno nero, alla sua destra. Il negozio non aveva insegna. Appariva molto poco raccomandabile.

Sembrava una vecchia cantina: c’erano polvere e ragnatele ovunque. La maggior parte dei mobili era coperta con dei teli bianchi e il pavimento di legno scricchiolava sotto i suoi piedi. Si avvicinò a un lungo bancone sporco, sul quale, vi era un piccolo campanello d’argento. Sembrava essere l’unica cosa nuova di tutto il negozio. Harry suonò il campanello. Notò movimento nel retrobottega, la cui entrata era coperta da una tenda sporca.

Un signore anziano con dei lunghi capelli bianchi e il viso corrucciato spuntò fuori. Aveva una grossa verruca sul naso e un occhio di vetro. Mentre spostava la tenda per farsi avanti, Harry notò ciò che quella voleva nascondere: un muro pieno di maschere d’argento che associò subito a quelle da Mangiamorte.

“Dubito che tu sia qui per quelle.” gli disse brontolando il vecchio, che aveva notato dove conduceva il suo sguardo, “Che vuoi?”.

“Ho bisogno di eliminare la Traccia” disse senza tanti giri di parole Harry.

“Ah, bene!” urlò con fare folle ed euforico, “un altro stupido studentello minorenne che vuole fottere il Ministero della magia. Bene bene. Dunque… fanno 200 Galeoni”.

Harry iniziò a tirare fuori da sotto la divisa un borsello di cuoio, che aveva legato alla cintura.

“Ho sentito dire” disse Harry con voce ferma e fredda che non nascondeva la rabbia che stava crescendo in lui, “che il prezzo fosse 150 Galeoni. Tempi di crisi?” fece infine con fare ironico.

“Hey, idiota!” si scaldò il vecchiaccio, “non so dove tu abbia sentito questa cazzata, ma ti conviene stare attento a come parli.” lo avvisò con voce sprezzante. “Il prezzo è di 2oo Galeoni. Prendere o lasciare”.

“Ho capito” disse improvvisamente calmo Harry, come se niente fosse accaduto. Posò le monete d’oro sul bancone divise in due file ed attese.

“Vedo che hai fatto la scelta giusta. Dammi la tua bacchetta. Ci vorranno due minuti” lo informò.
Harry gli diede molto lentamente la sua bacchetta. Il vecchio la afferrò con violenza brontolando e osservò il ragazzo per un minuto buono, senza che lui muovesse un muscolo.

“Beh, torno subito” disse finalmente. E sparì nel retro del suo negozio malandato.

Harry attese pochi minuti:

“Ecco. È un piacere fare affari con te, idiota” disse ghignando.

“Beh”, sospirò Harry, “uno” pronunciò con una tranquillità disarmante.

Il venditore alzò un sopracciglio dubbioso.

“Per caso sei impazzito? O forse sei ancora più idiota di quello che pensavo?” domandò.

“Due” proseguì Harry.

“Forse non hai capito bene” una vena pulsò sulla tempia del vecchio “TI DEVI LEVARE DALLE PALLE! PRIMA CHE TI RIDUCA AD UNA POLTIGLIA CHE NEMMENO QUELLA DISGRAZIATA DI TUA MAD…” sbraitò furioso.

Tre” e come fosse una cosa da tutti i giorni: “Stupeficium!”.

La fattura era molto potente, e il vecchio cozzò da qualche parte nel retrobottega, sfondando il muro.
Harry, camminando piano, lo raggiunse nel retro. Riprese i suoi galeoni dal tavolino su cui erano stati appoggiati.

“Direi che almeno abbiamo contrattato sul prezzo” disse con voce non sua il prescelto.

Oblivion” pronunciò dunque, cancellando la memoria del vecchio.

Si infilò il cappuccio e, prima di uscire pensò soddisfatto: ‘grazie tante, e buona giornata!’.



Aveva appurato che il modo migliore per non dare nell’occhio e raggiungere Grimmauld Place fosse uno: non usare la magia, ma i mezzi di trasporto babbani. Dopo essere tornato al Paiolo Magico, si era rivestito con i suoi normali abiti babbani (in questo caso in piena Londra gli avrebbero fatto comodo), aveva recuperato le sue cose ed era uscito dal retro del locale, dopo aver salutato Tom.

“Fatti vedere presto, disgraziato!” rise il locandiere.

“Contaci, grazie ancora” rispose solare Harry.
 
Erano le 17:30 quando diede un’occhiata all’orologio digitale dell’autobus sul quale era seduto. All’apparenza poteva sembrare un normale ragazzo di città che era andato a fare qualche commissione e che ora stava tornando a casa.

Harry non era stupido, aveva capito che qualcosa era cambiato in lui. La gente lo conosceva come un eroe, come colui che aveva salvato il Mondo Magico. Ma lui non si sentiva così.  ‘Mi basta pensare a stamattina: ho aggredito un negoziante, l’ho derubato e gli ho cancellato la memoria. Non che fosse chissà quale brava persona, ma questo non ha importanza’ pensò Harry in cuor suo. Tuttavia, nel profondo, le azioni di ieri lo avevano fatto sentire bene, potente. Voleva sentirsi così di nuovo. Nonostante fosse consapevole di essere crudele o che si sarebbe potuto avvicinare alle arti oscure a causa di questa sua rabbia scaturita improvvisamente, non poteva farne a meno. Lasciarsi andare a quella collera che lo pervadeva oppure studiare sino allo sfinimento erano gli unici modi con i quali riusciva a controllarsi. Avrebbe potuto benissimo fare coppia con Malfoy per come si stava comportando. Non sapeva dire se fosse posseduto da Voldemort o se fossero i residui di stress post-traumatico causato dall’incendio.

Sapeva solo che doveva parlarne con qualcuno che non lo avesse giudicato, e Sirius o i suoi amici potevano fare al caso suo.

*Nuova fermata, Grimmauld Place* annunciò la voce registrata sul bus.
Harry si tirò su, e si avvicinò alle porte, pronto per uscire.

La stazione del bus era molto vicina al numero 12. Giusto un centinaio di metri e sarebbe stato in grado di vedere l’edificio, coperto dall’Incanto Fidelius.

“Numero 11 e 13… Dunque, numero 12 sia!” disse entusiasta.

Fu come un terremoto: tutto cominciò a tremare, le lampade dentro agli appartamenti in vista dondolavano vistosamente e i lampioni in strada cominciarono a spegnersi ed accendersi. Ma in tutto questo Harry non si mosse di una virgola. Non che avesse chissà quale equilibrio incredibile, ma nonostante ci fosse tutta quella baldoria, era come se lui fosse estraneo a tutto questo. Come per magia.

Il baccano cessò, e ora in bella vista appariva il numero 12 di Grimmauld Place, molto più vecchio e malandato delle case che lo affiancavano.

Harry aprì la porta e subito sentì urlare: "Sozzura! Feccia! Sottoprodotti di sudiciume e abiezione! Ibridi, mutanti, mostri, via da questo luogo! Come osate insudiciare la casa dei miei padri…”

“E falla finita, mamma!”

Sirius sbucò da dietro un angolo, e coprì prontamente il quadro della madre, che rimase a borbottare fino a che non si acquietò.

“Harry, che piacere rivederti!” gli disse il suo padrino, dopo essersi voltato verso di lui, con gli occhi che luccicavano. “Sarà un piacere averti qui, devi fare come se fossi a casa tua. Anzi, questa d’ora in poi è casa tua” disse raggiante. “Oh, santo Merlino, assomigli sempre di più a James, sai?”

“Sirius… È bello essere qui” disse Harry, sinceramente contento di essere finalmente a casa.

Crollò più in fretta del dovuto. Quando iniziò a singhiozzare e calde lacrime iniziarono a scivolare sulle sue guance, Sirius perse il sorriso che lo contraddistingueva.

“Harry, cosa succede?” gli chiese preoccupato.

“Sono solo felice di essere qui. Per tutta la mia vita non ho mai vissuto con qualcuno che mi volesse bene” sussurrò, abbracciando il suo padrino, che ricambiò prontamente l’abbraccio. “E poi ho avuto qualche problema durante il viaggio, come avrai avuto modo di sentire. Ne ho di cose da confidarti” concluse ridacchiando anche se con le lacrime agli occhi.

“Vieni, accomodati” gli sorrise Sirius. “La casa non sarà pulitissima e tantomeno una reggia. Ma è comoda ed è tutta nostra. Ci penseremo domani a sistemarla. Sediamoci davanti al camino e raccontami tutto quello che vuoi sorseggiando una bella Burrobirra ghiacciata, ti va?”.

“Beh”, disse Harry guardando il suo padrino, “direi che l’idea non mi dispiace affatto”.
   
 
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