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Autore: padvaniglia_EFP    08/12/2020    1 recensioni
E' il 1977: ad Hogwarts il sesto anno è quasi finito, alle porte della Guerra Magica. Lily Evans non riesce a dormire, attanagliata dai sensi di colpa per non aver saputo proteggere la sua famiglia e sconvolta dall'odio riversatole dalla sorella Petunia: chi meglio di Sirius Black può comprendere una famiglia disfunzionale?
Tratto dalla storia:
"[...] La ragazza si sporse un poco con il busto, le membra ancora indolenzite, e vide che Sirius aveva infilato una mano nell'anfratto: la estrasse pochi secondi dopo tenendo stretta una scatola color dell'ebano delle dimensioni del suo libro di Storia della Magia. Con fare scherzosamente solenne, il ragazzo la depositò su uno dei pochi tavolini sgombri da calamai, piume d'aquila e confezioni di Zuccotti di Zucca, rovistò nelle tasche del pigiama di seta e tirò fuori una catenella da cui pendeva una piccola chiave d'ottone. La inserì in una minuscola serratura sul retro della scatola, e quella si aprì con un sonoro click generando in Lily un risolino divertito: non era altro che una scacchiera magica, sulle cui caselle trentadue pedine bianche e nere si stavano disponendo sotto i precisi ordini delle due regine."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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SCACCO MATTO 

Erano bocca ed occhi,
scacchi e tarocchi,
erano occhi e brace,
erano giovani e forti,
erano giovani vite,
dentro una fornace.
F. De Gregori, “Scacchi e Tarocchi”

 

***

Il vecchio pendolo di legno intagliato scoccò l’ultimo rintocco della mezzanotte. Nonostante fosse già marzo inoltrato, al di fuori dell’accogliente Torre Ovest soffiava una tenue brezza che irrompeva con il suo gelido tocco all’interno della Sala Comune da una finestra lasciata negligentemente aperta, forse da qualche studente del primo anno.  

Lilian rabbrividì, ma si limitò a rannicchiarsi più vicina al fuoco che crepitava allegramente nel camino: agitò distrattamente la bacchetta – mormorando Colloportus - e gli infissi si chiusero con un colpo secco e scricchiolante. Le fiamme amaranti illuminavano cupamente la sua chioma vermiglia: ciocche ribelli le si arricciavano intorno al bel viso, un ventaglio sanguigno fortemente in contrasto con il suo incarnato pallido, e la linea morbida dei seni e dei fianchi era nascosta da una coltre di coperte sotto cui la ragazza giaceva indolente. Era sempre stata di corporatura minuta – tanto da essere soprannominata il colibrì” – ma nell’ultimo periodo era dimagrita drasticamente: le gote rosee erano scavate, le ossa delle scapole sporgevano prepotentemente contro la pelle e gli occhi smeraldini, un tempo vispi e maliziosi, rappresentavano ora il veritiero riflesso di una greve afflizione interiore. Sospirò per l’ennesima volta, le palpebre abbassate a mezz’asta per la stanchezza, le mani che tremavano incontrollabili; la vista era offuscata dalle lacrime che si impigliavano tra le folte ciglia – ragnatela di rimorsi e sensi di colpa  - e percepiva una sorta di gelo farsi strada dentro di lei, a creare una voragine all’altezza del petto. Osservò ipnotizzata i ceppi mutare in cenere sotto il crepitio feroce del fuoco e Lily si ritrovò a desiderare che al loro posto ci fosse quella lettera incriminata, la missiva di sua sorella – se poteva considerarla ancora come tale - Petunia. Lei, che era cresciuta tra l’odore pungente dei tomi antichi di suo padre ed il tocco ruvido ma familiare delle pergamene ingiallite, fremeva disperatamente dalla brama di vedere le sinuose vampe cremisi avviluppare quel foglio candido, imbrattato da parole crudeli - eppure così veritiere – come se in quel modo tutte le sue colpe potessero essere espiate.

Si strinse maggiormente nel suo maglione pervinca e lottò per ricacciare indietro le lacrime, le dita affusolate che arpionavano la lettera, stropicciandola nel pugno per sottrarre alla vista la grafia un po’ disordinata della sorella – inutilmente. Dietro le palpebre serrate, danzavano vorticosamente lettere e frasi che si arricciavano in spirali d’inchiostro nero, leggermente sbiadite dove le stille salate avevano sfumato il tratto deciso della stilografica Waterman1. Era stata lei stessa a regalarla a Petunia nel lontano Natale del 1971, fiduciosa di poter recuperare l’affetto che tempo addietro le univa e che si era invece frantumato con la consapevolezza dell'estraneità di Lily, speciale nella sua difformità: la sorella maggiore non aveva mai utilizzato il pennino, ponendo in quel modo un definitivo distacco tra il suo mondo e quello strambo di Lily. E doleva ancor di più sapere che l’unica volta in cui le ossute mani di Petunia lo avevano impugnato era stata solo per scagliare tutto il suo risentimento, l’astio e il livore che l’assassinio dei loro amati genitori aveva riportato a galla. Ma Lily non riusciva a biasimarla, ed il pensiero di rispondere al suo messaggio non l’aveva neanche lontanamente sfiorata: cosa avrebbe potuto scriverle per confortarla, se era lei la prima bisognosa di sostegno e aiuto? Come avrebbe potuto smentire tali amare parole che la definivano un abominioun’incoscienteuna a cui non interessava nulla delle proprie originiquando lei stessa si rispecchiava in esse?

Sono davvero un mostro? E’ questo il prezzo da pagare per appartenere a questo mondo?

In quei mesi, quando i titoli de La Gazzetta del Profeta riportavano attacchi e uccisioni di Babbani ad opera dei cosiddetti Mangiamorte, Lily si svegliava al mattino con il terrore che sul giornale campeggiassero i nomi dei suoi genitori e della sorella. A gennaio, la sua migliore amica Alice Prewett era stata raggiunta dalla notizia dell’uccisione dei suoi cugini Fabian e Gideon, mentre il gemello di Marlene McKinnon aveva perso la vita in un attentato a Diagon Alley, e Lilian sapeva che era solo questione di tempo prima che i seguaci di Colui-che-non-deve-essere-Nominato raggiungessero la loro casa nell’affollato quartiere di West End2.

Scuotendo il capo, si accostò lentamente al fuoco che si smorzava pian piano: allungò il dorso della mano sinistra, i bordi spigolosi della pergamena che le punzecchiavano fastidiosamente la pelle come una miriade di spilli. Man mano che si avvicinava, il calore delle fiamme le lambiva le guance, arrossandole, lingue di fuoco sempre più ardenti che la spinsero a chiudere gli occhi: la carne sensibile del palmo bruciava dolorosamente, mentre la carta si incendiava e il respiro accelerava, ma Lily non riusciva a ritrarre la mano, bloccata da un’ inesplicabile forza che la induceva all’agonia come mezzo per giungere alla redenzione…

Perché non era riuscita a proteggerli? Come aveva potuto abbandonarli a loro stessi, condannandoli ad un tragico destino esclusivamente per colpa sua, per il suo essere strega?

La lettera accartocciata era ormai una landa di cenere che si disfaceva tra le sue dita martoriate, ed il fuoco che in precedenza l’aveva avvolta ora le avviluppava la mano, inarrestabile nella sua frenetica corsa verso il totale annichilimento. Lily represse a stento e fatica grida di dolore, indurì la mascella e serrò gli occhi, le membra contratte pronte a ricevere un maggiore strazio…

«AGUAMENTI!»

Il supplizio terminò rapidamente così com’era iniziato. La ragazza aprì di scatto gli occhi e inspirò a pieni polmoni, riemergendo da quel limbo di oscure istigazioni: un dolore lancinante la invase, mozzandole il fiato, il braccio trafitto da martellanti coltellate. La testa le girava, tuttavia, combattendo contro il senso di vertigine, si alzò in piedi: le gambe la sorreggevano a malapena, ma volse lo sguardo verso destra, da dove credeva di aver sentito una voce pronunciare l’incantesimo. Sulle scalinate che portavano ai dormitori si stagliava una figura mascolina, dal portamento elegante tipico di chi sa di possedere una bellezza innata: Lily, sebbene la vista fosse un po’ offuscata, riconobbe Sirius Black dalla lunga chioma corvina e dall’incarnato candido come l’avorio. Il ragazzo era ritto e vigile, la bacchetta stretta in pugno e gli occhi cinerini attraversati da lampi di preoccupazione – o forse, sbigottimento. Dopo pochi istanti di esitazione, scese di corsa gli ultimi gradini e attraversò la Sala, giungendo al fianco di Lily prima che ella, perduto l’equilibrio, rovinasse a terra. Sirius le avvolse un braccio attorno al fianco, delicatamente, ed il suo alito caldo le solleticò il collo nudo; la aiutò a sdraiarsi sul sofà più vicino e le scostò alcuni riccioli che le si erano incollati sulla fronte sudata. Senza parlare, le afferrò la mano lesa e Lily distolse lo sguardo: il palmo era completamente scorticato, la pelle divenuta insensibile e la ragazza, dopo i primi attimi di sconcerto, scoppiò a piangere, troppa la tensione accumulata. Sirius continuò nel suo ostinato silenzio, concentrato nel medicare la ferita: con un incantesimo di appello evocò una boccetta colma di liquido marrone – Essenza di Dittamo – e ne versò tre gocce sul’ustione. Lily gemette, ma in breve tempo la cute iniziò a rimarginarsi, lasciando solo una ramificazione di argentee cicatrici, simile ad un dedalo di intrichi; sentì il ragazzo mormorare Ferulae delle bende le fasciarono strette la mano e l’avambraccio.

«Se fai movimenti bruschi, la ferita potrebbe riaprirsi e queste lo impediranno – o almeno credo,» le disse a mo’ di spiegazione. Sirius si accovacciò sul tappeto ai piedi della poltrona e inclinò la testa, osservando Lily con i suoi occhi da rapace in un modo che la fece sentire vulnerabile, esposta. I rapporti tra lei e Black non erano mai stati né confidenziali né ostili: di certo non si erano mai ritrovati da soli a riflettere sul senso della morte o sulla meditazione cosmica, ma erano legati da un reciproco e civile rispetto. Lilian era la ragazza per cui James Potter aveva una cotta secolare e Sirius, in qualità di suo fratello acquisito e migliore amico, aveva il dovere morale di farsela piacere, nel caso in cui – molto improbabile per il momento - si fossero sposati e gli fosse toccato il ruolo di testimone – perché era ovvio che Ramoso avrebbe scelto lui. D’altra parte, Lily era abituato ad ignorarlo, poiché non credeva di poter avere interessi in comune con una persona che passava metà della giornata in punizione e l’altra metà a far esplodere calderoni o Caccabombe.

«Evans, per tutti i mutandoni di Merlino, mi vorresti spiegare cosa diamine era,» fece un ampio gesto con le braccia, indicando prima le sue fasciature, poi il camino spento, «questo?!»

Lily si portò una mano sul volto, provata, e non rispose. Non che le dispiacesse il tono un po’ fraterno, un po’ esasperato di Sirius, ma non aveva la più pallida idea di come controbattere.

«Lily non gli aveva mai sentito pronunciare il proprio nome e quel suono, intriso di apprensione e affetto, la fece rabbrividire. «Non c’è problema se non ti va di parlarne, va bene? Vorrei… voglio solo aiutarti.» Sirius adesso la stava guardando con una strana espressione negli occhi che la ragazza non riusciva a decifrare; con un movimento ferino scattò in piedi, sedendole accanto e cingendole il petto con le braccia. Lilian cercò di divincolarsi, più per la sorpresa di quel gesto, poi si rilassò, poggiando il capo sul braccio snello dell’altro e cercando di allentare i nervi tesi. Tentò di parlare, senza successo, la voce bloccata in gola, e Sirius sembrò capirlo perché non fece altre domande, limitandosi ad accarezzarle la schiena con movimenti concentrici che ebbero l’effetto di placare i suoi singhiozzi. Le lacrime però continuavano a striarle le guance, silenziose e pungenti, mentre la voce rauca e rassicurante del ragazzo le riempiva le orecchie. «Devi stare tranquilla, è tutto finito… respira lentamente, così, brava…»


Dopo un tempo che a Lily parve un’infinità, Sirius si districò dall’abbraccio e ritornò alla postazione originaria sul pavimento. Lei lo seguì con lo sguardo, curiosa, vedendolo alzare un lembo del tappeto e picchiettare con le nocche alcune assi di legno, per poi alzare la bacchetta vittorioso e farle levitare. La ragazza si sporse un poco con il busto, le membra ancora indolenzite, e vide che Sirius aveva infilato una mano nell’anfratto: la estrasse pochi secondi dopo tenendo stretta una scatola color dell’ebano delle dimensioni del suo libro di Storia della MagiaCon fare scherzosamente solenne, il ragazzo la depositò su uno dei pochi tavolini sgombri da calamai, piume d’aquila e confezioni di Zuccotti di Zucca, rovistò nelle tasche del pigiama di seta e tirò fuori una catenella da cui pendeva una piccola chiave d’ottone. La inserì in una minuscola serratura sul retro della scatola, e quella si aprì con un sonoro click generando in Lily un risolino divertito: non era altro che una scacchiera magica, sulle cui caselle trentadue pedine bianche e nere si stavano disponendo sotto i precisi ordini delle due regine.

«Il padre di Remus gliel’ha regalata per il suo quindicesimo compleanno, e da allora la lascia sempre qui; credo che non gli sia andato per niente giù il fatto che io lo abbia battuto per dodici volte di seguito!»

Lily rise, abbandonando il suo cantuccio per sedersi di fronte a Sirius, osservando affascinata gli alfieri che prendevano posto facendo l'inchino alle rispettive reginecavalli che si lamentavano di essere sempre sacrificati per primi durante la partita e le torri che gridavano da una parte all’altra della scacchiera.

«Anche io mi sento un po’ inquieto questa sera, rossa, e non solo per la zuppa di funghi marci che James mi ha costretto a bere! Dubito che uno dei due riuscirà a dormire stanotte, perciò ti propongo un accordo: ti sfido a giocare due partite a scacchi. Se ne vincerai almeno una  – cosa impossibile, mettitelo in testa! – potrai raccontare a tutti di quella volta che ho regalato i boxer con i boccini d’oro di James a Marlene, spacciandoli per miei. Se perdi, invece,» il sorriso affettuoso di poco prima fu sostituito dall’usuale ghigno malandrino e Lily si prese il capo tra le mani, rassegnata, «se perdi dovrai concedere a Ramoso almeno un’ uscita a Hogsmeade!»

«Allora preparati, Black, ad una vita da eremita: il colibrì ha spiccato il volo!»

«Farai bene ad implorare la mia clemenza, Evans, perché non avrai una nottata facile.»

***

«Sirius, tu credi che io sia una persona malvagia?» la voce interrogativa e melanconica di Lily lo raggiunse nello stesso momento in cui il suo alfiere nero – spostato in C5 e “mangiato” dalla regina bianca – lo ricopriva di improperi per essere stato sacrificato avventatamente. Sollevò lo sguardo, incerto e tremolante: lei lo scrutava di sottecchi - come se temesse di incrociare il suo sguardo – stringendo convulsamente la stoffa dei pantaloni con la mano destra.

«Ti reputi tale?»

«Non rispondere a una domanda con un’altra domanda!»

«Vogliamo davvero iniziare questo giochetto, Evans?» la ragazza abbassò il capo, e non ribatté, sentendo Sirius mugugnare.

«Scusa. Non intendevo essere…» si interruppe vedendo Lily scuotere vigorosamente la testa, i boccoli fiammeggianti che vorticavano in un tenue turbinio.

«No, no… E’ stato un mio sbaglio, farti questa domanda intendo, e… e anche tutto il resto,» emise un lungo sospiro che assomigliava di più ad un lamento, «è sempre colpa mia.» Calò un silenzio spinoso: aveva iniziato a piovere, e il ticchettio delle gocce sui vetri si uniformava allo scorrere ritmico delle lancette della pendola. Nessuno dei due era intenzionato a continuare la partita, e gli acuti strilli delle pedine – disonore su voi e la vostra discendenza! Sciocchi umani, non comprendete il fascino della strategia, la sua importanza! – contribuivano ad aumentare quell’atmosfera di agitazione che si era venuta a realizzare.

«Io non credo…» Sirius tossicchiò imbarazzato, «non penso che tu sia una cattiva persona… E’ assodato che tu sia abbastanza irritante da volerti schiantare almeno cinque volte al giorno o lanciarti un incantesimo tacitante permanente, ma non sei affatto perfida o subdola – come qualche Serpeverde di nostra conoscenza.»

Lily non colse il poco velato riferimento a Severus, il suo ormai ex - migliore amico, o almeno fece finta di non capirlo: c’era qualcos’altro nella voce di Sirius, una nota indefinita, nostalgica, tipica di chi è perso in ricordi di tempi lontani…

«Sai, non è facile essere un Black, non lo è mai statoAncora prima della tua nascita, il tuo fato è scritto nel firmamento, il tuo nome e la tua intera vita sono legati al ciclo vitale degli astri: io appartengo a Siriola Stella Fiammeggianteil Sole dietro il Sole il ragazzo rise senza divertimento, amaramente. Si era avvicinato alle trasparenti vetrate della Sala Comune, gli scacchi trascurati, e guardava la volta celeste che si dipanava sopra il castello. La luna nuova dominava la notte, regina d’aria e tenebre, ma il suo bagliore non oscurava le costellazioni che si districavano come un nastro argenteo nell’oscurità.

«Tutta la mia fanciullezza è stata condizionata da futili definizioni che cercavo di depennare con i miei atteggiamenti disdicevoli, un’infinita sequela di contrasti: Purosangue, ma frequentatore di feccia traditori, discendente di un aristocratico casato, tuttavia sfuggente alle responsabilità, figlio primogenito, eppure non abbastanza degno da essere ricordato.» Fece una pausa, deglutendo a stento, la gola secca e gli occhi che pizzicavano per le innumerevoli lacrime trattenute. «Poi… poi è arrivato luiRegulus. Ah, incarnava tutto ciò che i miei amati genitori avevano sempre desiderato vedere in me: ubbidiente, remissivo, ligio al dovere e perfetto Serpeverde. Ed io l’amavo, Lily, l’amavo con tutto me stesso tanto che sarei morto pur di salvarlo; ho cercato di proteggerlo dagli ideali malsani della nostra famiglia, di allontanarlo da quella fanatica di mia cugina Bellatrix. Mi addossavo la colpa di ogni sua monelleria ed ero io ad essere torturato notte e giorno dall’uomo che giammai riconoscerò come padre, ero io ad essere rinchiuso nei sotterranei, sanguinante e con la schiena che bruciava dalle sferzanti frustate, io a leggergli le favole di Beda il Bardo e a silenziare la nostra camera per impedirgli di udire le grida strazianti degli elfi domestici decapitati!»

Le ultime parole riecheggiarono nella Sala, intrise di un tormento così lacerante che Lily si chiese come fosse possibile che un singolo uomo riuscisse a sopportarlo senza esserne sopraffatto. Si avvicinò adagio, la mano esitante che si protendeva per posarsi sulle spalle irrigidite e riuscì a scorgere gocce di sudore che dalla nuca scivolavano silenziose, invisibili, sulla curva della schiena.

«Oh, Sirius…»

«Mi illudevo vanamente che, una volta ad Hogwarts, anche Regulus venisse smistato in Grifondoro, ma tutte le mie speranze andarono in frantumi mentre vedevo il mio fratellino, il sangue del mio sangue, dirigersi verso il tavolo delle serpi col capo chino, la schiena curva, pur di non incrociare il mio sguardo ferito, deluso. Sono stato io a voltargli le spalle, sono stato io ad abbandonarlo senza remore né esitazioni, avendo timore che ormai fosse troppo tardi per salvarlo, ancora una voltadal suo destino: o forse ero solo stanco di vederlo cieco dinanzi alle empietà che la banda di futuri Mangiamorte a cui si era unito compiva. Ma io l’amavo Lily, nonostante le sue imperfezioni, la sua indifferenza verso il mondo che mutava e la sua predisposizione verso le Arti Oscure; l’amavo, ed ora l’ho perso per sempre!»

Sirius si voltò di scatto, le gote rigate da stille cristalline, ed affondò il volto nell’incavo del collo della ragazza rimasta fino a quel momento impietrita al suo fianco. Sapeva di sapone, giglio e pergamena, gli stessi effluvi che James diceva di aver sentito nella propria Amortentia, e il ragazzo, a dispetto della circostanza drammatica, si chiese divertito cosa avrebbe detto Ramoso se lo avesse sorpreso così abbracciato alla – come adorava definirla – sua futura moglie. Si sentiva più leggerol’anima sollevata dal pesante fardello del tormento ed era curioso pensare come quella barriera di reciproco disinteresse tra i due giovani fosse stata annullata dal parallelismo delle loro vite: entrambi rinnegati dalla propria stirpe, senza famiglia e orfani d’affetto, tutti e due schiacciati dal peso della coscienza – forse veritiera, forse menzognera – che li costringeva a patire, a fingere di ignorare, la crudele morsa del pentimento.

Lily non parlò, conscia che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe risultata inefficace di fronte l’immensa pena del ragazzo, ma ambedue sapevano che non v’era necessità: i brillanti occhi verdi della ragazza lasciavano trasparire tutta la tenerezza, la comprensione che non riusciva a esprimere con le parole, e la gratitudine di essersi affidato a lei. E Sirius lo comprese, capendo che anche Lily aveva solo bisogno di fidarsi di qualcuno, un implicito invito a condividere il suo dolore, come lui aveva fatto con lei.

«Mary mi ha detto… ci ha detto di ciò che è successo ai tuoi…» Lily annuì, come se l’avesse già intuito, «è per questo che hai cercato di… di farti del male?» la voce di Sirius era morbida – lo stesso timbro con cui si parla ad un animale ferito - eppure così graffiante, incalzante che la ragazza ebbe l’impulso di coprirsi le orecchie con le mani, pur di non scendere a patti con la cruda realtà.

«Io… non lo so, non lo so… volevo solo bruciarla, vederla scomparire per sempre, e poi… poi c’era questa forza che mi spingeva, che mi incitava a farlo…» la voce si spense lentamente  e Sirius la guardò stranito.

«Stai parlando della tua mano?»

Lei scosse il capo. «Della lettera. La lettera di mia sor… di Petunia,» si corresse all’ultimo istante, come se non fosse più sicura di avere il diritto di chiamarla così dopo che non era riuscita a proteggere la sua, la loro famiglia. Strinse il ponte del naso tra l’indice e il pollice, e continuò: «Due giorni fa mi ha inviato una missiva tramite il Ministero, pensando che ancora non sapessi cosa fosse accaduto a mamma e papà; mi ha scritto che quella notte lei si trovava con Vernon – il suo fidanzato – ad una festa del college e quando è tornata nell’appartamento ha trovato solo… solo macerie,» tremò leggermente, spostando la sua torre in E7, più per distrarsi che per una reale voglia di giocare. «Della nostra casa, della nostra infanzia non rimangono altro che rovineHa detto… ha detto che è stata colpa mia, che da quando ho ricevuto la lettera per Hogwarts non ho fatto altro che metterli in ridicolo con la mia stramberia agli occhi dei vicini, e adesso… adesso questo 

Sirius per un momento temette che scoppiasse nuovamente a piangere, ma Lily si cacciò in bocca le nocche pallide e ossute. «Lei ha ragione Sirius, ha sempre avuto ragione! Sono stata un’egoista ad anche solo pensare di poter continuare la mia vita nel Mondo Magico, con Tu-Sai-Chi e i Mangiamorte a piede libero! Un’irresponsabile, una sciocca con altrettanto sciocche ambizioni, e adesso non ho più niente, nientetantomeno una famiglia!» crollò esausta sulla poltrona, ansante e livida, la voce arrochita. Lui la scrutava attentamente, esitante, come se stesse cercando le parole più adatte – che non esistevano, pensò Lily.

«Ma per le ilari pere di Tosca, noi chi dovremmo essere, gli avventori de La Testa di Porco?» Lily lo folgorò con un’occhiataccia tra un singulto e un altro: gli sembrava il momento adatto per fare del sarcasmo?

«Noi chi?»

Sirius incrociò le braccia al petto, fulminandola a sua volta. «Mi ritengo personalmente offeso, Prefetto Perfetto. Pensavo fossi la strega più brillante del nostro corso!»

«Black

Lui batté le mani entusiasta, imitando in falsetto la voce severa della professoressa McGonagall. «Brava Evans, è il mio nome!  Dieci punti a Grifondoro!» 

Non c’era più traccia dei tono mesti e inquieti di qualche momento prima, sostituiti dal solito atteggiamento malandrino – una sorta di protezione contro l’esternodopo che si era spogliato di ogni maschera.

«Puoi semplicemente rispondere alla mia domanda e comportarti seriamente ma vedendo l’espressione furbacchiona sul volto del compagno sollevò l’indice per ammonirlo, «e non osar pronunciare le tue solite battute su questo gioco di parole!»

«Suvvia pel di carotasarcasmo è il mio secondo nome! Non è vero che non hai più una famiglia: certo, i tuoi genitori oramai sono cinque metri sottoterra e - metti giù la bacchetta – tua sorella ti odierà per il resto dei tuoi giorni, probabilmente avrà già bruciato il tuo nome sull’arazzo di famiglia…»

«Noi non abbiamo un arazzo

Sirius sventolò la mano come per minimizzare. «Non mi interrompere! Il punto è che tu hai ce l’hai una famiglia, quiad Hogwarts. Certo, è un po’ strana, i suoi componenti si mettono nei guai almeno il novanta percento delle volte e cercano di uccidersi  a vicenda per l’altro dieci, ma ti vogliono bene Lily. Ti vogliamo bene.»

La ragazza rimase immobile come una statua di sale, pietrificata, e Sirius le diede un pizzicotto sulla coscia. «Evans, hai capito quello che ti ho detto? Perché non lo ripeterò un’altra vol…» fu interrotto dal forte abbraccio con cui Lily minacciava di soffocarlo, le braccia esili allacciate intorno al suo collo - la zattera a cui un naufrago si aggrappa. Lily respirò a fondo il suo odore che in quel momento aveva un qualcosa di familiare: sapeva di muschio e tabacco e le ricordava i pomeriggi passati in riva al Lago Nero con il resto dei Malandrini e le sue compagne di dormitorio, avvolti dall’acre aroma delle Sax3 e quello dolciastro dei larici che solleticava le narici.

Si rimise a sedere, incrociando le gambe, le guance arrossate sia per lo slancio d’affetto che aveva dimostrato, cui era solitamente restia, sia per la commozione che l’aveva travolta: Black – per quanto l’evento fosse tanto prodigioso da dover essere segnato sul calendario – aveva ragione! Lei non era sola, non lo era mai stata: sin da quando aveva mosso i primi passi in quel mondo magico e sconosciuto, aveva avuto al suo fianco gli amici di sempre, che l’avevano aiutata a superare la nostalgia di casa e ad affrontare gli inevitabili cambiamenti. C’erano Alice ed Emmeline, con i loro sorrisi pieni d’affetto e la battuta sempre pronta per rallegrare gli spiriti; Marlene e Mary, l’una impudente, l’altra sensibile, ambedue con l’inguaribile speranza di un mondo migliore e c’erano Remus e Peter, timidi e un po’ imbranati, fermamente convinti che la cioccolata fosse una sorta di “primo rimedio” a qualsiasi problema. Poi c’era Sirius, la pedina né bianca né nera di una scacchiera in procinto di frantumarsi, in precario equilibrio sulla sottile linea che lo separava dalla morte: dal sangue troppo puro per essere sprecato inutilmente eppure un ragazzo così scomodo... Ed infine James – o come lei era solita chiamarlo, Potter – il Cercatore più talentuoso dell’ultimo secolo, che inseguiva ideali perduti e il cuore sfuggevole della rossa, perseverante nel superare ostacoli e opposizioni… Per tutti quegli anni Lily aveva rifiutato ogni suo invito ad Hogsmeade, ritenendolo un ragazzo superficiale, borioso e troppo egoista per accorgersi di altro che non coincidesse con i suoi interessi: lo aveva ritenuto responsabile della rottura del legame tra lei e Severus, ma in quegli ultimi mesi aveva dovuto ricredersi. Complici i racconti strabilianti di Marlene e Alice, invischiate molto spesso nelle bravate dei Malandrini, era riuscita a vedere oltre la facciata da combina guai e attaccabrighe, scoprendo un animo gentile e coraggioso, un cuore puro da Grifondoro.

Proprio in quell’istante, come se l’avesse chiamato col pensiero, si udì l’eco di una voce proveniente dal dormitorio maschile, sovrastata dal grido della torre bianca che intimava a Lily di non spostarla scioccamente in F7. Sulla scalinata a destra dei due giocatori comparve James Potter, i capelli scompigliati ad arte e la bacchetta che spuntava dalla tasca del pigiama ricamato con tanti boccini d’oro e manici di scopa. Quella visione dipinse un timido sorriso sulle labbra di Lily, che osservava l’espressione un po’ preoccupata, un po’ esasperata del Cercatore.

«Per la folta barba di Merlino, ragazzi, che diamine ci fate ancora svegli?»

Sirius, con lo sguardo ancora fisso sulla scacchiera, emise la sua risata simile ad un latrato.

«Lo sapevo che passare troppo tempo con Rem ti avrebbe fatto diventare una mamma-orso apprensiva!» poi aggiunse sottovoce – tanto che Lily non fu sicura di aver sentito bene, «O forse una mamma-cervo…»

L’altro sbuffò, raggiungendo l’amico e posando i suoi occhi color cioccolato sulla ragazza. «Evans!» sventolò la mano, «lo sai che domani abbiamo lezione con la McGonagall, vero?»

«Potter, la tua arguzia mi stupisce ogni giorno.»

«Così mi farai arrossire!»

«E a me vomitare.»

«Garbato come pochi, Siri.»

Black scrollò le spalle. «Che ci vuoi fare, la mia educazione Purosangue avrà pur dato i suoi frutti.»

Lily li osservava silenziosa, le braccia allacciate al petto, grata di poter assistere a quel momento di intimità fra i due “fratelli”: erano distanti - James appoggiato scompostamente alla canna fumaria del camino e Sirius stravaccato elegantemente sul pavimento - eppure erano indissolubilmente legati. Il modo in cui si guardavano, lo scintillio negli occhi di entrambi mentre parlavano, il linguaggio dei loro corpi, tesi e reattivi a scattare in caso di pericolo – pronti a proteggersi l’un l’altro - lasciavano trasparire l’amore fraterno che li univa e che Lily invidiava e rimpiangeva con tutta se stessa.

«Ehi rossa, che hai fatto alla mano?»

Lily si irrigidì, non sapendo come rispondere e terrorizzata all’idea che Sirius potesse rivelargli del suo “incidente”, ma lui rimase indifferente, lasciandole la possibilità di scegliere.

«Oh, niente di che, mi sono tagliata con della pergamena.»

James la squadrò inerto, e la ragazza pensò di non essere stata abbastanza convincente. L’altro però annuì semplicemente, preferendo non ribattere, sebbene Lily avesse capito, da come cercava di non incrociare il suo sguardo, che aveva intuito una sorta di verità nascosta dietro quella lesione.

«Dovresti stare più attenta, Prefetto. E comunque è proprio ora di andare a letto, domani abbiamo lezione con i Serpeverde e devo ancora prepararmi psicologicamente a due ore di Trasfigurazione.»

Sirius rise, ma mosse l’indice a destra e sinistra per simulare un diniego.

«Dai Felpato, sono le tre del mattino!»

«Non ci penso proprio Ramoso, non ora che la Evans sta per perdere assicurandoti un fantastico sabato a Hogsmeade!» l’altro strabuzzò gli occhi e si strozzò con la saliva.

«Tu COSA?» chiese, improvvisamente rosso in faccia. «Da quando voi due scommettete su di me?»

«Non ti preoccupare Potter, non accadrà mai,» gli rispose sadica Lily, mangiando la seconda torre di Sirius.

«Non vorrei mai infrangere i tuoi sogni gloriosi, eh, ma nessuno è mai riuscito a battere Sirius a scacchi in sei anni!»

«Ma è ovvio, Potter, che le mie capacità siano superiori rispetto alla media. Siediti e sta’ zitto, e magari potrai condividere la mia vittoria.»

Mentre James prendeva posto accanto a lei – borbottando qualcosa simile a non dirmi che non ti avevo avvisata! – il suo avversario sghignazzò, pregustando già l’espressione infuriata della rossa e quella riconoscente dell’amico che gli giurava eterna sudditanza come ricompensa per avergli rimediato l’agognato appuntamento con la sua futura moglie. Ma il suo ghigno scemò lentamente, intanto che vedeva la regina bianca fare a pezzi il suo cavallo, ultimo difensore del re, e la sua reputazione crollare. E mentre James rideva tra le lacrime – sfumata la sua possibilità per quell’anno di uscire con la Evans – e Sirius si schiaffeggiava ripetutamente il volto incrociando lo sguardo della ragazza, Lily sentì gli occhi riempirsi di lacrime, invasa dalla consapevolezza di aver trovato, finalmente, un nuovo fratellouna nuova famiglia. E tra i gemiti dei due ragazzi, impegnati in una lotta sul pavimento, e le urla trionfanti della sua regina che scaraventava il re nero fuori dalla scacchiera, seppe di aver vinto la sua personale battaglia, contro il rimorso e il rimpianto di una vita che non gli apparteneva.

Scacco matto.

   
 
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