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Autore: Always_Potter    09/12/2020    3 recensioni
Quando Ryuk lascia cadere il suo quaderno sulla Terra, l’unica speranza dell'umanità è il primo detective al mondo... e una squadra non troppo scelta di Auror.
°*°*°*°
«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato? Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»
«Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».
La strega, allibita, accarezzò l’idea di piantare qualcosa di molto acuto nel cranio del detective. Tipo un coltello da cucina.
O una katana.
Avrebbe fatto un sacco di scena.
°*°*°*°
Un detective dal genio imbattuto.
Una Auror dalle abilità eccezionali.
Una quantità sterminata di bugie.
Il Mondo Magico ha di nuovo bisogno di essere salvato.
Genere: Fantasy, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

Sulla giusta direzione

Ancora 14 dicembre 2003.

Ironicamente, l’operazione era andata bene.

Certo, la giornata non si era preannunciata delle migliori: giunti al Ministero con la domenica mattina a pesare sugli occhi e il passo strascicato di chi avanza verso l’inevitabile, erano tutti alquanto convinti di aver dimenticato una riunione con l’ufficio legale. Era risaputo quanto fossero inutili le riunioni con l’ufficio legale.

Dieci minuti dopo, dieci minuti in cui erano volati caffè e imprecazioni come se piovesse, erano letteralmente volati via in divisa da assalto.

Però, era andata bene.

«Potter io TI AMMAZZO

«Auguri»

«Sono sopravvissuto a ben altro che la tua STUPIDA FACCIA DA FURETTO!»

«Avete ventitré anni…»

La chiave di volta del caso erano i due informatori che avevano tirato dalla loro parte, garantendosi preziose indicazioni su dove si nascondesse il loro obbiettivo: il Corvo non aveva scampo. Nossignore, ancora pochi giorni, e lo avrebbero finalmente catturato.

Perché, quello era fondamentale, il Corvo non si sarebbe mosso per altre due settimane.

Questo dicevano gli informatori.

… Chiaramente, doveva esserci stato un fraintendimento, dato che il Corvo aveva provato a prendere un aereo da Heathrow.

«Fatti da parte Sophie, vado a gonfiare la faccia a quel presuntuoso!»

«No Ron, per favore, non-»

«Expelliarmus!»

Però questo non li aveva fermati, ed erano stati onestamente magistrali: le squadre di supporto erano esplose in applausi quando avevano immobilizzato l’obbiettivo, ben nascosti a occhi Babbani in un hangar abbandonato. Persino la Squadra di Cancellazione della Magia Accidentale aveva fatto loro i complimenti, e non era qualcosa che accadesse spesso.

«Confrigo!»

«Incendio!»

«Impedimenta!»

Era andata bene, così bene che avevano offerto un giro di birra a tutti. Poi un secondo, e un terzo, e per il quarto c’era mezzo Dipartimento premuto tra i tavolini del loro pub preferito.

Dopotutto, quella mattina era stata il culmine di quasi due mesi di indagini, e un vero e proprio capolavoro di investigazione.

«Levicorpus!»

«Petrificus Totalus!»

«Protego!»

I suoi compagni erano effettivamente dei bravissimi investigatori, degli Auror di prima classe, persone a cui affidava la sua vita ogni giorno, e con orgoglio. Era fiera di poterlo fare, fiera delle loro capacità, della loro arguzia, del loro coraggio e… della loro professionalità.

«Idiota»

«Coglione»

«Vaffanculo!»

Certo, non in quel momento specifico.

Mentre il Quartier Generale degli Auror veniva fatto a pezzi per la terza volta in cinque anni, Sophie Winchester se ne stava appoggiata a una parete con le braccia conserte, osservando la scena con espressione annoiata.

Non c’era nulla di nuovo, del resto, nel modo in cui stavano sistematicamente disintegrando la sua scrivania. Persino il giro di scommesse tra i colleghi del Dipartimento, intenti a scambiarsi manciate di moneta magica, era ormai un ben collaudato sistema di vincitori e perdenti.

E poi, era troppo stanca per arrabbiarsi.

«Te lo STACCO quel dito!»

«Staccati questa dalla FACCIA!»

Fu quando dovette schivare la sua tazza preferita, lanciata a tutta velocità verso morte certa, che decise di intervenire. Gli occhi assottigliati sulla ceramica polverizzata, estrasse la bacchetta in un movimento fulmineo, puntandola in direzione dei suoi compagni di squadra.

«IMMOBILUS!» tuonò perentoria e, per un lungo, incredibile minuto, calò una quiete innaturale tra i cubicoli distrutti: in una nube di schegge di legno, cartongesso sbriciolato, memorandum volanti in collisione e moquette bruciacchiata, i suoi colleghi erano praticamente ridotti a statue di cera.

«Io non dico che non dobbiate litigare, ok?» esordì a quel punto la ragazza, destreggiandosi tra i detriti degli uffici Auror. «Lo so che è un miracolo che questa squadra stia in piedi, visti i precedenti, davvero, ma potreste evitare?! Poi io ora dove vi porto? Hermione vi ammazza, Kingsley vi ammazza, il Capo vi ammazza, persino Silente sarebbe tentato dall'idea di uccidere i suoi cari piccoli ex-studenti, fidatevi! Wingardium Leviosa!» Tre corpi immobilizzati si sollevarono dalle scrivanie rovesciate dietro cui si stavano riparando, «... come dei bambini che giocano a palle di neve! Ah ma se non vi ammazzano gli altri lo faccio io, potrebbe valermi una promozione!» Gli sguardi fulminanti dei ragazzi, che riuscivano appena a muoversi, non la sfiorarono minimamente.

Li avrebbe portati in un posticino tranquillo, tipo il bagno intasato del quarto livello, e lungo il tragitto si sarebbe curata di farli andare a sbattere contro ogni porta, angolo e mobile disponibile. Poi sarebbe tornata a sistemare.

Grazie a Godric, il Capo era l’unico a possedere un ufficio vero e proprio, con tanto di porta, muri e insonorizzazione: magari, dopotutto, non se ne sarebbe accorto.

«No, non di nuovo

Magari.

«Potter, Weasley, Malfoy e, sì, anche tu, Winchester, in ufficio! Subito.»

L’unica porta del Quartier Generale si richiuse con un tonfo secco, mentre la rossa faceva cadere i tre Auror a terra, nuovamente liberi.

«E tutto per colpa tua, Potter! Solo perché non sai ammettere che la mia strategia ha effettivamente avuto più successo di quanto ne avrebbe avuto la tua… beh, anche se ci è voluto poco» ghignò sarcastico Draco Malfoy, alzando gli occhi grigi al cielo con aria di superiorità.

«Fottiti Malfoy» replicò con finezza leggendaria Ron Weasley, accompagnandovi un medio come ciliegina.

«Se Sophie non ci avesse fermato ti avremmo fatto a pezzi, quindi taci Malfuretto» sibilò irritato quell’Harry Potter, intento a riparare un paio di malandati occhiali rotondi.

«Oh ma fatemi il favore! Non…»

«Ricominciate!» sbottò Sophie, lamentosa. «Passerò la domenica a incollare pezzi di scrivania, grazie a voi»

«Tecnicamente è colpa di-»

«Hermione ti ammazzerà» realizzò a quel punto la rossa, guardando Draco con aria vendicativa.

Lui fece ostinatamente finta di non sentirla, ma si passò due dita nel colletto della giacca. «Se dobbiamo essere precisi, è colpa di Robards»

«Ah, vuoi duellare anche con lui?»

«Malfoy non ha tutti i torti» brontolò Ron, togliendosi delle schegge di legno dalla divisa. «Dovremmo essere a festeggiare o, che ne so, in ferie, a quest’ora»

«Oh, una cosa intelligente Weasley, complimenti»

«Ora siete d’accordo…»

«Ragazzi, ormai non abbiamo molta scelta» sospirò Harry, alzandosi in piedi e ignorando le proteste di Draco, a cui stava calpestando il mantello.

La squadra fissò, sconsolata, la porta il cui spesso vetro ambrato recava la semplice scritta: “Capo – Auror Gawain Robards”.

«A-ancora?» I quattro si voltarono verso un collega, intento a guardare con aria afflitta delle piccole piantine in vaso che giacevano, malandate ma vive, fra i resti di una scrivania.

«Ehm, sì… scusa Neville» bofonchiò Harry, imbarazzato.

Sophie, invece, sorrise amabilmente. «Già, scusali, e sgancia.»

Neville si limitò a scrollare le spalle e lasciar cadere un paio di Falci nel palmo della strega, fissando anch’egli la fatidica porta. «Lo sapete che aspettare qui fuori è come lasciare sul tavolo una Strillettera, vero?»

«Paciock, tu lo sai quanto me ne f-»

«Hai ragione» disse Harry, amareggiato ma lapidario, mentre Sophie zittiva il biondo  con una gomitata. «Beh, coraggio, no?»

«Per i tanga di Merlino, manco a Hogwarts siamo finiti in Presidenza così tante volte» commentò Ron, passandosi una mano fra i capelli rossi.

Ed era davvero tutto dire.

 

«Riuscite a stare un minuto, ma che dico, un secondo, senza demolire il Ministero?! È forse chiedere troppo? Basta dirlo, vi spedisco all'Accademia Auror e chi s'è visto s'è visto!»

«Oh, andiamo, io le avevo detto fin da subito che non volevo stare in squadra con loro, che non era una buona idea, ma lei no, si è fissato!»

«Taci Malfoy» sussurrò fra i denti Harry, vedendo la vena sull’alta fronte del Capo pulsare in modo pericolosamente familiare. Di solito, a quel punto, suo zio Vernon gli metteva le sbarre alla finestra.

Gawain Robards, però, era una persona paziente, un Auror veterano che aveva visto la storia del Dipartimento: era un novellino durante i primi attacchi Mangiamorte, era cresciuto sotto la guida di Rufus Scringemour, l’aveva succeduto quand’egli era diventato Ministro, e aveva resistito sotto la tirannia di Voldemort. Dopo la Battaglia di Hogwarts e l’elezione del Ministro Kingsley Shacklebolt, aveva proposto a tutti gli studenti sopravvissuti un posto al Quartier Generale, mentre gran parte della vecchia guardia finiva sotto processo.

L’Accademia Auror, infine, era rientrata in funzione, selezionando e addestrando con perizia la nuova élite di Cacciatori di Maghi Oscuri. Il sistema era stato rinnovato e scosso fino alla fondamenta.

Ora a Robards non restava che andare in pensione, lasciando le redini al più giovane e promettente Auror che si fosse mai visto: Harry James Potter.

Il Salvatore del Mondo Magico.

Colui che aveva sconfitto Voldemort.

Il ventitreenne che lanciava fatture ai colleghi da dietro una scrivania.

«Statemi a sentire, banda di ragazzini, se non l'avete capito ci sono affari più importanti da sbrigare che non risolvere i vostri litigi da quindicenni, ne ho fin sopra i capelli! Se non la finite oggi stesso, potete consegnare la spilla!» I tre impallidirono, abbandonando all’istante qualsiasi battuta di spirito sui capelli brizzolati del capo, in cui si faceva largo una sempre più incipiente stempiatura.

Sophie Winchester, invece, non poté evitare di notare che l’uomo sembrasse essere parecchio nervoso… cioè, più dell’ultima volta in cui il suo Quartier Generale era stato ridotto in rottami fumanti.

Si schiarì la voce, titubante.

«Ehm, Signore, non vorrei deviare il discorso ma… perché siamo stati chiamati qui? Il gufo diceva che si tratta di una questione urgente, ed eravamo al pub… non che sia un problema, è chiaro!».

Robards la guardò, e sulla sua fronte si disegnò una profonda ruga, scavata tra le sopracciglia cespugliose. Gli occhi azzurro chiaro erano inquadrati da una sottile montatura metallica, che si muoveva ogni volta che l’Auror si accigliava, ovvero molto spesso. La ragazza lo osservò sfilare gli occhiali e iniziare a pulirli nella giacca, lo sguardo abbassato.

«Ragazzi, sistemate di là e aspettate, devo parlare prima con Winchester. E che non capiti più, ve lo chiedo per favore e per l’ultima volta» sancì. I tre se ne andarono malvolentieri, scoccando occhiate inquisitorie alla ragazza, che alzò le spalle.

«Capo, se è per il turno ad Azkaban ci sono appena stata e, detto francamente, quel posto sembra ancora infestato dai Dissennatori» chiarì subito Sophie, storcendo il naso.

«No, non è quello… anzi, ora come ora toccherebbe a Malfoy» bofonchiò in risposta Robards, assottigliando pericolosamente gli occhi rugosi. «Comunque, saprai bene in che situazione versa il nostro Dipartimento e, beh, tutto il mondo della criminalità».

Sophie annuì, il volto acceso per l’interesse. «Certo, Capo, so tutto sul Caso Kira… o almeno, tutto quello che è stato divulgato.»

«Molto bene, e sarai consapevole del fatto che, con le risorse di cui disponiamo, siamo già allo stremo tra i casi di routine e questo disastro» disse con una smorfia il mago, non sapendo come altro definire quel fenomeno inspiegabile per cui, improvvisamente, sia per strada che dietro le sbarre, avevano iniziato a morire centinaia, migliaia di criminali. Così, semplicemente, come per mano di un Avada Kedavra, e in tutto il mondo.

Le vittime erano equamente magiche e Babbane, e ciò aveva portato la Confederazione Internazionale dei Maghi a farsi carico della caccia all’assassino, certamente mago. Con tutta la buona volontà, non avevano però fatto altro che manipolare Babbani per non essere intralciati mentre brancolavano nel buio.

Questo, ovviamente, fino a qualche settimana prima, quando la Confederazione aveva accettato di consegnare il caso nelle mani di L.

L era un nome e niente più, senza volto e senza identità, non si sapeva neppure se fosse mago o Babbano, una persona o un’organizzazione. Ciò che si sapeva, era che nessuno, nessuno al mondo poteva eguagliare le sue doti investigative: non importava quale caso gli fosse affidato, da quanto tempo e con quanta disperazione vi avessero già lavorato, che fosse di natura magica o babbana, d’importanza internazionale o interesse di un’anziana nobildonna di campagna, L lo avrebbe risolto.

Era una leggenda, quasi un’entità sussurrata, un dubbio e una favoletta per detective in erba.

Ed era assolutamente, immancabilmente l’ultima spiaggia.

Sì, perché L non rispondeva a nessuno, se non al caso. Non v’era Governo che avesse mai ottenuto la sua comparizione o un briciolo d’informazione in più su di lui e, se qualcuno vi fosse mai riuscito, probabilmente non lo avrebbe raccontato. Così come chiunque avesse mai provato a farsi passare per L, ora trascorresse il resto della propria esistenza in giornate anonime e vagamente terrorizzate nelle più sperdute province della terra.

L era una certezza ma anche un enorme compromesso, che in pochi casi si era disposti a raggiungere.

Il caso Kira, però, era decisamente uno di quelli.

Da quando L aveva preso in carico l’investigazione, le indagini erano state rapidamente focalizzate in Giappone e, tramite qualche scaltro stratagemma, il cerchio era già stato ristretto al Kanto. Ora che il Quartier Generale delle indagini su Kira era stato stabilito a Tokyo, però, ben poche informazioni filtravano nel resto del mondo: se c’era una cosa facilmente deducibile, almeno per Sophie, era che di tutte le vittime fosse sempre stato riportato nome e fotografia su qualche giornale o media babbano, mentre criminali di alto calibro la cui l’identità era del tutto o parzialmente sconosciuta erano salvi dal serial killer.

«Ora, Sophie, saprai che nel nostro Stato e in quello americano si sono registrati i più alti tassi di vittime, magiche e non» spiegò Robards, attendendo che la strega annuisse brevemente. «Bene, a causa di questo triste primato, L ha chiesto rinforzi al Congresso Magico degli USA, e gli Yankees hanno già arruolato una dozzina di Auror esperti da spedire sul campo».

Il mago si fermò per prendere una pipa dalla tasca, accendendola con un po’ di scintille della bacchetta. Poi si mise a frugare fra le pile di pergamene che affollavano la scrivania di mogano. Sophie, rimasta in silenzio per tutto il tempo, non osava sperare che il Capo le stesse chiedendo…

Si sforzò di frenare l’entusiasmo, mentre Robards prendeva cinque fascicoli e li disponeva sul resto del marasma. Non parlò subito, però: sembrava riluttante, mentre tamburellava le dita sulla scrivania e tirava nervosamente dalla pipa.

«Capo?» lo incalzò Sophie, il cuore che le tamburellava nel petto.

«… Ho ricevuto un gufo da Tokyo, questa mattina. L chiede esperti in Occultamento e Travestimento, così come in Segretezza ed Inseguimento, ovviamente da una delle squadre di punta» Robards si schiarì la voce seccamente, poi indicò i fascicoli con la pipa. «Cinque agenti, gli unici cinque che posso permettermi di dislocare senza troppo chiasso. Mentre tu e i ragazzi eravate sul campo, oggi, ho raccolto quattro rifiuti. Resti tu».

Sophie era scioccata. Aveva capito bene, stava succedendo, Gawain le stava proponendo di lavorare con L. Si sentì intorpidita, mentre fissava i fascicoli con la bocca schiusa.

«Senti, Winchester, non hai alcun obb-»

«Accetto» la replica fu fulminea, gli occhi gialli di Sophie ben piantati in quelli del superiore.

Il Capo tacque, e a lungo. Una pausa che sembrò non finire mai, come l’attesa del lampo dopo il rombo di un tuono.

«Molto bene, hai una Passaporta per il Giappone alle sette».

 

***

 

Quando aveva accettato, le era sembrato di tornare a respirare. Le era sembrato di tornare a essere viva tutto d’un colpo, mentre prendeva a scorrerle nelle vene l’eccitazione per quella che, più di una svolta, era una vera e propria avventura.

Non era sicura di essere del tutto lucida, ma si sentiva più padrona delle proprie azioni di quanto non lo fosse ogni giorno degli ultimi anni. Era in una bolla di frenesia, mentre correva via dal Ministero, liquidando Harry, Ron e Draco; lo era ancora mentre sbatteva la porta di casa, senza udire i colpi di scopa che la vedova Doyle aveva assestato dal piano di sotto; lo era tanto da non sapere che ore fossero quando, dopo aver svuotato ogni cassetto, antina e ripostiglio della casa, aveva fatto rapida incetta di cosa le sarebbe servito per-

Per quanto? Quanto sarebbe stata via? Quanto si sarebbero protratte le indagini in Giappone? Dopo quanto l’avrebbero congedata? Chissà quante cose non avrebbe potuto procurarsi lì, chissà quanto era complicato spedire gufi fino lì, chissà…

Fu nel bel mezzo di quelle decisioni, che il campanello di casa suonò. La ragazza si riscosse, trovandosi inginocchiata sul pavimento di fronte a una pila di libri e quaderni di pelle. Il gorgoglìo doloroso dello stomaco vuoto la raggiunse subito dopo la fitta alle ginocchia, mentre si alzava in piedi per aprire la porta.

«Non penso che lo vendano in Giappone… meglio non correre il rischio.» Ferma sul suo pianerottolo, Ginny Weasley le stava porgendo un’enorme confezione di caffè macinato, imbacuccata in un set di berretto, sciarpa e guanti lavorati a maglia. Sophie batté le palpebre, poi abbracciò di slancio l’amica.

D’un tratto, parve rendersi conto davvero di cosa stesse succedendo: stava per partire per Tokyo e unirsi a una delle più pericolose investigazioni degli ultimi anni, forse la più pericolosa impresa dai tempi della Battaglia di Hogwarts. Nessuno sapeva come uccidesse questo serial killer, nessuno capiva cosa facesse cadere a terra, morti, migliaia di maghi e Babbani in tutto il mondo, come burattini cui fossero stati tagliati i fili. Nessuno sapeva come fermarlo.

Se fosse morta durante quell’operazione, in prima linea, non ci sarebbe stato troppo da sorprendersi. Strinse più forte l’amica, che tossicchiò una risata. «Ok, ok, però lasciami entrare e preparami un tè».

«Però mi devi aiutare con le valige, dopo» patteggiò Sophie, lasciando entrare in casa l’amica. «Gli altri come l’hanno presa?»

«Non sono proprio folli di gioia, visto anche che li hai lasciati al Ministero senza spiegazioni, e ovviamente sono preoccupati ma… capiscono. O capiranno, perlomeno» replicò Ginny, stringendosi nelle spalle mentre sfilava il piumino e lo lasciava sullo schienale di una sedia.

«Hermione? È arrabbiata, non è vero?»

«Forse un pochino, ma in buona sostanza si è fiondata a Diagon Alley per andarti a comprare Merlino solo sa cosa, e trascinandosi dietro Malfoy… ecco, Malfoy, lui è arrabbiato, imbronciato peggio di un bambino».

Sophie liquidò la cosa con un sorriso e un gesto della mano: Draco e il suo broncio erano la più prevedibile delle reazioni, ma sapeva che quell’atteggiamento nascondeva sincera preoccupazione. Per quanto a volte risultasse una persona difficile, era suo migliore amico non per niente.

«… E tu?» chiese infine, con voce titubante. In verità, anni di amicizia con la rossa le avevano insegnato che lei l’avrebbe sempre, sinceramente sostenuta, non importava davvero se e quanto fosse d’accordo con le sue scelte. Per questo aveva bisogno di una conferma, ora più che mai.

Ginny, per non smentirsi, le scoccò un’occhiataccia, quello sguardo di rimprovero che la faceva sembrare tutta sua madre. «Winchester, prepara quel tè, va’!» le intimò, mettendosi a piegare dei vestiti accatastati sull’unico tavolo della casa.

Una volta rassicuratasi che gli amici non stessero pianificando di Pietrificarla e nasconderla nell’armadio, la strega si sentì più leggera, armeggiando con la piccola cucina adiacente al salotto mentre Ginny iniziava a raccontarle degli ultimi allenamenti con le Holyhead Harpies.

I suoi amici, loro erano tutto ciò di cui le importava, loro erano tutto quello che avrebbe lasciato a casa.

Non aveva una famiglia, una vera, da quando aveva quindici anni, e non tornava nella casa in cui era cresciuta da allora.

Ma aveva Ginny, la sua migliore amica, una compagna di stanza prima e una sorella dopo. Aveva Draco, aveva Harry, Ron, Hermione, i Weasley, il dipartimento… aveva una famiglia e sarebbe tornata da loro, sì, ma solo dopo aver risolto il caso Kira. Lo doveva al suo stesso lavoro, al Capo che aveva riposto fiducia in lei, e a sé stessa, a quella nuova vitalità che le fremeva lungo la schiena, a quella sensazione di essere sulla giusta direzione.

Non parlarono del caso per almeno due ore, mentre sorseggiavano una tazza di tè dietro l’altra e infilavano in un minuscolo zaino gli averi di Sophie, in una quantità che ne tradiva drasticamente le proprietà magiche. Però, mano a mano che l’appartamento si svuotava, il voluminoso fascicolo che sostava sul tavolo parve diventare sempre più ingombrante.

Quando Sophie incrociò per l’ennesima volta lo sguardo dell’amica, posato fino a un attimo prima sul pacchetto, le chiacchiere parvero esaurirsi. Infilò il fascicolo nello zaino, e i caratteri scarlatti impressi nella copertina parvero brillare di luce propria: “KIRA”.

L’Auror prese un respiro profondo, ravviando all’indietro i capelli color mogano.

«D’accordo, è ora».

Le due diedero un’ultima occhiata all’appartamento, assicurandosi che non stessero dimenticando niente, poi uscirono.

Sophie, lo zaino in spalla e il cappuccio blu notte nuovamente calcato sulla fronte lentigginosa, non diede neppure un ultimo sguardo al posto dove aveva vissuto per sette anni, prima di serrarne la porta.

Naturalmente, giunta al Ministero non aveva trovato solo Robards e un’arrugginita bussola rotta ad attenderla.

Harry e Ron si erano raccomandati: doveva tornare per il torneo di Quidditch del Ministero e doveva assolutamente ricordarsi di comprare le magliette dei Toyohashi Tengu. Hermione le aveva strappato lo zaino di mano senza una parola, iniziando a riempirlo di libri, pozioni e maglioni, salvo poi scoppiare in lacrime: i maglioni erano tutti bitorzoluti e non sapeva proprio come scusarsi, e Sophie si affrettò ad abbracciarla e rassicurarla. Anche Ginny, stranamente, si era commossa, malgrado l’amica fosse sicura di averla vista piangere forse una manciata di volte in dodici anni. Draco… beh, Draco era rimasto rigido, corrucciato e a braccia conserte mentre lo abbracciava, ma non le sfuggì quando il mago tirò su col naso un paio di volte.

A pochi minuti dall’ora X, Sophie si era voltata verso la bussola, ora illuminata da una luce azzurrina. Mentre tendeva le dita verso la Passaporta, aveva gettato un ultimo sguardo ai suoi amici, alla sua vita.

Robards la guardava in modo strano, in modo… colpevole. Sophie avrebbe voluto tranquillizzarlo, dirgli che era pienamente consapevole di quello a cui andava in contro, e che non si sarebbe fatta togliere di mezzo dal primo Mago Oscuro che passava per strada, ma ormai mancavano pochi secondi. Sperò che il Capo lo capisse dal sorriso che fece, un attimo prima che il familiare strappo all’ombelico la sollevasse da dov’era.

Mentre Sophie spariva in un vortice stroboscopico, avrebbe giurato che Robards le avesse sussurrato qualcosa.

 

***

 

15 dicembre 2003

La Passaporta l’aveva portata in una viuzza appartata e buia dove la città, immersa nella notte com’era, non l’avrebbe certo notata.

Prese un respiro profondo, appoggiandosi al muro di cemento mentre si riprendeva dal brusco viaggio, dal cambio di luce, dal diverso odore che aveva l’aria di Tokyo. I sensi all’erta, scrutò il vicolo cieco: sfiorò il legno nella manica sinistra, per effettuare un Homenum Revelio.

Aggrottò la fronte e, senza perdere tempo, sfoderò la bacchetta e la alzò.

«L sarà contento, ha dei tempi eccellenti» si complimentò una voce dal marcato e raffinato accento inglese. Un Incantesimo di Disillusione si dissolse, rivelando un alto uomo celato da un impermeabile scuro, un paio di occhiali da sole, un cappello e dei guanti.

Sophie inarcò un sopracciglio, trattenendo una risata a quella tenuta eccentrica.

«I Montrose Magpies stanno facendo faville, credo proprio vinceranno il Campionato, stavolta» buttò lì la strega, senza rinfoderare la bacchetta.

«Personalmente, credo che questo sia l’anno dei Caerphilly Catapults. Ora, se vuole seguirmi ci recheremo subito al Quartier Generale».

Sophie sorrise nervosamente, avvicinandosi all’uomo che le stava offrendo un braccio.

Pochi istanti dopo, i due si materializzarono in quello che sembrava il corridoio di un albergo di lusso, con moquette avorio che sapeva di pulito e ricercata carta da parati a foderare l’ambiente, illuminato a intervalli regolari da delicate lampade di cristallo. Sophie, vagamente nauseata dopo la Smaterializzazione, ammirò la scelta del Quartier Generale: un albergo non solo garantiva discrezione e anonimato, ma poteva essere sgomberato molto rapidamente, non richiedeva la collaborazione ministeriale… e poi, chi non amava il servizio in camera?

La giovane si schiarì la voce. «Non vorrei sembrare impertinente, ma... era solo una parola d’ordine scelta a caso, vero?»

Il suo accompagnatore ridacchiò, mentre le faceva segno di precederlo oltre le doppie porte di una suite. «In realtà, sono davvero un affezionato tifoso dei Caerphilly Catapults.»

Sophie entrò in un’anticamera spazioso e moderno, da togliere il fiato. Ciononostante, si sfilò il mantello con una smorfia poco convinta. «Lo sa che hanno vinto il campionato anche meno volte dei Cannoni di Chudley, sì?» chiese, voltandosi: accanto all’entrata, la attendeva un anziano uomo di circa settant'anni vestito con un completo elegante, il viso rugoso ornato da baffi curati e piccoli occhi chiari, sormontati da occhiali rettangolari.

 «Temo di essere un terribile nostalgico, signorina. Mi permetta di presentarmi, io sono Watari».

Sorpresa, Sophie sorrise e gli strinse la mano. «È un piacere conoscerla, signore. Però, non sono del tutto sicura di quale nome io debba usare».

Watari sorrise. «Non si preoccupi, L le dirà tutto. La aspetta oltre quella porta, dove c’è il salotto. Di là trova anche la sala da pranzo, mentre da quella parte la aspettano la sua camera da letto e il bagno personale. Se avrà bisogno di me, invece…»

Aspetta aspetta aspetta, L mi aspetta NEL SALOTTO?, pensò Sophie, tramortita, mentre seguiva il mago… Il mago che le stava dando direzioni per la sua camera. Sua. Di Sophie. Come se dovesse dormire lì.

Ridicolo.

«Un momento, Watari, lei… lei ha detto L. Io… pensavo avrei lavorato per conto mio, che tutt’al più avrei collaborato con i miei colleghi, non direttamente con lui! E poi, non capisco, non credevo di risiedere direttamente nel Quartier Generale» farfugliò, agitata, quasi strozzandosi nel tentativo di sfilarsi la sciarpa.

«Oh, no, non nel suo caso. Le spiegherà tutto L» ripeté l’uomo, aprendole nuovamente la porta prima che avesse il tempo di aggiungere altro.

Non che la ragazza sapesse cosa dire. Era totalmente spiazzata, col cuore in gola e lo stomaco totalmente in subbuglio, tra viaggi magici e quella tensione insopportabile.

Ok, è uno scherzo. Chiaramente. Dietro quella porta c’è Robards con tutti gli altri pronti a ridermi dietro.

Al di là della soglia, però, non la aspettava nessuno che conoscesse. Il salotto era enorme, con una parete interamente occupata da ampie vetrate e lunghe tende di velluto scuro, ma dai riflessi dorati; un cerchio di divani e tavolini era posizionato su uno spesso tappeto color champagne, e un’elegante accozzaglia di vasi di fiori, lampadari, scrittoi e soprammobili dall’aria costosa copriva ogni superficie disponibile.

Neanche il tempo di mettere piede nella stanza, e Watari si era già dileguato, lasciandola sola e vagamente spaesata.

Maledizione, Watari.

«Venga pure avanti».

La voce proveniva dall’alto schienale di una poltrona rivolta verso le finestre. Una voce profonda, un po’ roca, che le fece venire un leggero brivido lungo la schiena.

Sophie compose l’espressione più imperturbabile possibile, poi avanzò e girò attorno alla poltrona, da cui si stava alzando quello che doveva essere...

LUMOS

Ed eccoci qua, miei prodi! Tutto un capitolo su Sophie, vita di Sophie, ambiente di Sophie, comfort-zone di Sophie: i desperately need feedback.

Ancora di più, però, ho bisogno di un feedback sui dettagli: si è capito tutto? Troppa confusione le numerose reference potteriane al Ministero? Troppo macchinoso il riassunto del caso Kira? Voglio davvero cercare di rendere comprensibili entrambe le parti del crossover, quindi se ci sono passaggi poco chiari non vi fate problemi a dirlo :3

Ringrazio TANTISSIMO le meravigliose persone che hanno recensito, seguito, ricordato, preferito: spero davvero di non deludervi.

Siete la vita.

Un abbraccione :3

NOX

 

  
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