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Autore: franweasley    09/12/2020    1 recensioni
[Marcel Lefevre - Game On]
«Sai mamma, credo di capire cosa intendevi quando da bambina mi dicevi che ero io a portarti il sole nelle giornate di pioggia.» Estelle non staccò lo sguardo dal suo bambino «Tu es mon Soleil, petit Marcel.» sussurrò al piccolo poggiando il naso contro il suo.
[...]
«Che cosa stai preparando nonna?»
Leonie rivolse un sorriso al nipote, lasciò cadere i fiori nel calderone, iniziò a mescolare la pozione in senso antiorario con attenzione.
«Non posso dirtelo tesoro.» rispose e poi controllò sul suo quaderno il passo successivo, anche se sapeva la ricetta a memoria.
«Perché? È un segreto?» il bambino si arrampicò sulla sedia davanti al tavolo dove lavorava la nonna, incrociò le braccia sul tavolo e ci poggiò sopra la testa.
«Non è un segreto, semplicemente la pozione che sto preparando è illegale.» spiegò la donna con una calma disarmante.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
- Questa storia fa parte della serie 'The Game On series'
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Mon Soleil



 

Parigi, 13 Ottobre 1976

Estelle Roux aveva sempre associato alle giornate uggiose di ottobre un senso di malinconia e tristezza, ma come spesso le diceva sua madre, era lei a portare il sole quando fuori era grigio, anche se la donna non ci aveva mai creduto veramente. Dalla stanza dell’ospedale vedeva i nuvoloni grigi e neri coprire il cielo, gocce grosse cadevano a terra e la donna si disse che era proprio triste nascere in un giorno come quello. Aveva percorso i corridoi di quell’ospedale un’infinità di volte con il camice addosso, ma mai le era capitato di trovarsi bloccata in un letto d’ospedale come paziente e pensò quanto fosse ancor più assurdo trovarsi in quel letto, con un pancione che le impediva di vedersi i piedi, da sola. 

«Come sta Dottoressa Roux?» una giovane infermiera entrò nella stanza tenendo stretta a sé la cartella clinica della donna e rivolgendole un grosso sorriso.

«Ho avuto giorni migliori.» rispose lei, un sorriso stanco sulle labbra «Le doglie sono sempre più ravvicinate.» portò una mano al pancione nascondendo una smorfia di dolore.

«Vado a chiamarle il dottore.» l’infermiera appoggiò la cartella in fondo al letto «Tenga duro Dottoressa, quando vedrà suo figlio dimenticherà tutto il dolore che ha provato.»

La giovane uscì dalla camera d’ospedale per cercare il dottore ed Estelle prese ad accarezzare il pancione con amore, cercando di ignorare il dolore che aumentava a ogni doglia. Non seppe dire quanto tempo era passato dalla conversazione con l’infermiera: un secondo era stesa sul letto ad accarezzare il pancione e quello dopo si trovava su una barella, trasportata verso un’altra sala, il dolore più forte che mai.

«Dottoressa Roux, credo sia il momento.» aveva detto il dottore mentre un’infermiera era andata a preparare la sala «Dov’è il padre?»

Estelle non seppe se il dolore che provò in quel momento fosse dovuto all’imminente parto o alla consapevolezza che suo figlio non avrebbe mai avuto un padre.

«Chiami mia madre, la prego.» riuscì a dire mentre cercava di trattenere urla e lamenti.

 

La donna strinse a sé il piccolo bambino e lo guardò con amore, nonostante fosse una dottoressa e sapesse bene come funzionavano le gravidanze non riusciva a capacitarsi di come un piccolo errore di percorso causato da una notte passata con un uomo l’avesse portata, nove mesi dopo, a stringere tra le braccia un bambino che, dal momento in cui aveva posato lo sguardo su di lui, amava già così profondamente.

«Sai mamma, credo di capire cosa intendevi quando da bambina mi dicevi che ero io a portarti il sole nelle giornate di pioggia.» Estelle non staccò lo sguardo dal suo bambino «Tu es mon Soleil, petit Marcel.*» sussurrò al piccolo poggiando il naso contro il suo.

Il bambino le rivolse un sorriso ed Estelle si commosse, una lacrima le rigò la guancia e sua madre, seduta su una poltroncina vicino al letto, le strinse la spalla e le diede un bacio sulla fronte, quello era l’errore più bello che avesse fatto in tutta la sua vita.


 

* * *

 

Colmar, 1977

Antoine Lefevre era un giovane di bell’aspetto, attraente e acculturato, aveva poi quell’aura di carisma e potere che l’aveva attirata sin da subito. La prima volta Estelle l’aveva incontrato in una viuzza nascosta di Parigi, l’uomo era in piedi davanti a un muro sporco e vecchio su cui era appeso un manifesto così logoro che non si leggeva nemmeno cosa ci fosse scritto; l’uomo si stava sistemando la cravatta ed Estelle ricordava perfettamente quanto l’avesse trovato bello all’epoca, con un semplice gesto era riuscito a toglierle il fiato, lei si era fermata davanti a lui e si erano guardati per un tempo indefinito, senza fiatare.

 

«Si è persa Madame?» domandò l’uomo.

«Mademoiselle.» lo corresse lei gentilmente e gli rivolse un sorriso «E no, non mi sono persa.»

Antoine, rapito da quel sorriso, impiegò qualche minuto per risponderle «Beh, buona giornata allora, Mademoiselle.»

«Buona giornata anche a lei Monsieur.» aveva risposto, forse un po’ troppo delusa.

Estelle rimase lì in piedi un momento, lo sguardo rivolto a terra, poi si decise e riprese a camminare verso l’ospedale di Parigi. Non fece nemmeno due passi che si sentì richiamare dalla voce profonda dell’uomo:

«Mademoiselle!» Estelle si voltò confusa, ma con un largo sorriso «Non mi ha detto il suo nome.»

Estelle tornò sui suoi passi, tese la mano all’uomo e mormorò: «Estelle Roux.»

«Antoine Lefevre.» rispose lui, stringendole la mano con delicatezza «Spero di rivederla.»

«Magari ci incontreremo di nuovo.» Estelle sorrise «Oggi pomeriggio, per un caffè nella Patisserie in fondo alla strada, per puro caso.»

«Magari alle quattro e trenta, sempre per caso.»

«Certo, sarebbe proprio una bella coincidenza, non crede?»

 

Estelle parcheggiò l’auto scacciando quel pensiero, sembrava tutto così bello all’inizio, si erano incontrati per caso in una strada nascosta, si erano incontrati di nuovo, sempre per puro caso, nella Patisserrie in fondo alla strada, alle quattro e trenta. Lui era affascinante, le aveva fatto il baciamano e l’aveva invitata a cena, senza preoccuparsi troppo di dove sarebbe arrivata quella breve storiella, perché lui l’aveva deciso subito che sarebbe stata breve, non aveva intenzione di portarla avanti e infatti, dopo la notte di passione che avevano passato insieme, nell’appartamento di Estelle, era scomparso nel nulla. Estelle era tornata infinite volte nel luogo del loro primo incontro, senza però incontrarlo mai, neppure una volta e aveva rinunciato. Aveva rinunciato perché, anche se le poche settimane che avevano passato insieme erano state le più belle della sua vita, si era resa conto che stava sprecando il suo tempo, se avesse voluto Antoine si sarebbe fatto vivo, ma era semplicemente sparito e lei sapeva solo che aveva vissuto a Colmar da giovane e niente di più. 

Scese dall’auto, prese il suo bambino e lo mise nella carrozzina, aveva solamente un anno il piccolo Marcel eppure era riuscito a portare così tanta luce nella sua vita senza nemmeno rendersene conto. Osservò le casette colorate della cittadina francese e si disse che era veramente stupido trovarsi lì in quel momento: non sapeva dove andare e non sapeva nemmeno se Antoine vivesse ancora lì, lui l’aveva abbandonata, meritava davvero di conoscere suo figlio? Sbuffò infastidita, ma iniziò a camminare spingendo la carrozzina, rivolse un’occhiata al figlio che dormiva beato e la sua espressione si addolcì.

«Lui non ti merita, mon petit Soleil, ma non posso privarti di un padre.» gli disse con tono triste «Ti amo troppo per negartelo.»

 


* * *

 

 

Colmar, 1984

Marcel aveva sempre passato le sue giornate a leggere e studiare, ad aiutare la nonna con le sue pozioni, oppure su un albero, nel giardino della villa, sul ramo più alto a spiare i bambini babbani (che vedeva sempre dalla finestra di camera sua) che correvano e ridevano per le strade di Colmar. Marcel non aveva mai giocato con dei bambini e a dire il vero non ne aveva nemmeno mai visti: in otto anni di vita non era mai uscito dalla villa di famiglia, alcuni adulti erano stati a casa loro per delle cene o degli eventi, ma erano sempre e solo adulti, nessuno di loro portava i figli. Il bambino aveva provato molte volte a convincere i domestici a giocare con lui, ma gli dicevano sempre che dovevano lavorare e che suo padre voleva che studiasse, ma Marcel ormai sapeva a memoria tutti i libri che possedeva e non c’era cosa che desiderasse di più che raggiungere i bambini che vedeva correre dalla sua finestra. Marcel sapeva che se avesse chiesto a Leonie lei l’avrebbe coperto e gli avrebbe permesso di uscire, ma sapeva anche che se suo padre li avesse scoperti sua nonna sarebbe stata in grossi guai, perciò, quando la nonna lo lasciò nella biblioteca della villa per andare a lavorare nel suo laboratorio e il padre si chiuse nel suo studio, il bambino pensò che se fosse uscito per qualche ora sicuramente nessuno se ne sarebbe accorto e avrebbe potuto finalmente giocare con dei bambini. Non seppe come, anche perché non aveva mai disubbidito perciò per lui era la prima volta, ma riuscì ad uscire dalla proprietà dei Lefevre senza farsi notare e raggiunse il gruppetto di bambini che ormai osservava da mesi.

«Ciao, non ti ho mai visto qui.» commentò una bambina non appena lo notò «Come ti chiami?»

«Marcel.» borbottò il piccolo.

«Io sono Marion.» disse la bambina «Ti va di giocare a nascondino con noi?»

«Ma io non so giocare…» Marcel abbassò lo sguardo imbarazzato, non avendo mai interagito con dei ragazzini della sua età non conosceva alcun gioco.

«Allora a che gioco vuoi giocare?»

«Non conosco nessun gioco.»

La bambina spalancò gli occhioni sconvolta, ma poi gli rivolse un grosso sorriso «Non importa, ti insegniamo noi le regole!»

Marcel sorrise felice, prese la mano che la bambina gli tendeva e seguì il gruppetto nella piazza di Colmar, gioioso come non era mai stato prima. Il pomeriggio sembrò volare per quanto Marcel si stesse divertendo e purtroppo arrivò l’ora di tornare a casa. I bambini si salutarono e tutti si avviarono verso le rispettive dimore, ma Marcel non conosceva la strada di casa. Il bambino si era allontanato dalla villa senza rendersene conto, non era però mai uscito dal grosso cancello in ferro e quindi non sapeva come tornare indietro; si sedette disperato a terra e iniziò a piangere, sperando che qualcuno andasse a riprenderlo. Il tempo passò, il bambino ormai stava perdendo le speranze e cominciava a  diventare buio quando finalmente uno dei domestici lo trovò. Marcel si sentì immensamente sollevato quando varcò il portone d’ingresso di Villa Lefevre, il domestico lo guidò allo studio del padre e quando il bambino vide Antoine, che era seduto dietro alla sua grossa scrivania, lasciò la mano del domestico e corse ad abbracciarlo, felice di essere finalmente tornato a casa. Antoine era furioso, non solo suo figlio aveva disubbidito alle sue regole, ma gli aveva anche fatto perdere moltissimo tempo con la sua bravata; perciò, quando il piccolo provò ad abbracciarlo, Antoine lo respinse brutalmente, rivolgendogli una serie di rimproveri. Leonie, che era rimasta seduta in un angolo dello studio del figlio, sinceramente preoccupata per la scomparsa del nipote, si alzò all’improvviso per abbracciare il piccolo Marcel, che però non ricambiò il gesto cercando di ricacciare indietro le lacrime. Fu in quel momento che Marcel capì che suo padre non teneva a lui e non cercò più di avere un qualche tipo di contatto con lui.

 

 

* * *

 

 

Colmar, Villa Lefevre, 1986

«Marcel, potresti prendermi i fiori di mughetto?» il bambino annuì e si avvicinò allo scaffale «Sono lì in basso, negli ultimi ripiani.»

Marcel iniziò a leggere le etichette e poi afferrò una fiala che conteneva i piccoli fiorellini bianchi e lo portò alla donna. 

«Che cosa stai preparando nonna?»

Leonie rivolse un sorriso al nipote, lasciò cadere i fiori nel calderone, iniziò a mescolare la pozione  in senso antiorario con attenzione.

«Non posso dirtelo tesoro.» rispose e poi controllò sul suo quaderno il passo successivo, anche se sapeva la ricetta a memoria.

«Perché? È un segreto?» il bambino si arrampicò sulla sedia davanti al tavolo dove lavorava la nonna, incrociò le braccia sul tavolo e ci poggiò sopra la testa.

«Non è un segreto, semplicemente la pozione che sto preparando è illegale.» spiegò la donna con una calma disarmante.

«E perché prepari una pozione illegale?» il bambino alzò la testa di scatto «Non ti porteranno mica in prigione, vero?»

Leonie rise «Non mi porteranno da nessuna parte.» fece una carezza al nipote e tornò a mescolare la pozione «Faccio un favore a un amico, la pozione è difficile da preparare e non tutti i pozionisti possiedono una dispensa fornita come la nostra.» la donna rivolse uno sguardo serio al nipote «Sai tenere un segreto Marcel?» il bambino annuì e rivolse tutta la sua attenzione alla nonna «Questa è una pozione Antilupo, serve a un lupo mannaro per mantenere il controllo quando si trasforma. Per un lupo mannaro è fondamentale prendere questa pozione, a mio parere, altrimenti rischia di ferire qualcuno senza rendersene conto.»

«E perché è illegale prepararla?»

«Perché gli adulti a volte si comportano come dei bambini e non capiscono che i lupi mannari sono persone come le altre.»

«E perché si comportano così?»

«Perché hanno paura Marcel.» la donna lo guardò con dolcezza «A volte per gli altri è difficile accettare ciò che è diverso da loro, ma tu sei la prova che le differenze sono delle ricchezze.»

«Nonna, posso chiederti una cosa?» Leonie annuì «Mi potresti parlare un po’ della mamma? Papà non vuole mai dirmi niente di lei.»

«Non ho mai avuto un buon rapporto con i babbani, sai, loro sono i primi a temere il diverso e non capiscono le persone come noi, ma tua madre era diversa. Una donna molto intelligente e brillante, l’ha capito subito che anche tu eri speciale e non ci ha considerati dei mostri.» la donna abbassò il fuoco sotto al calderone con la bacchetta e prese a cercare un altro ingrediente «È un peccato sia morta così giovane, era molto dolce e teneva a te più di ogni altra cosa. Aveva chiesto subito il trasferimento a Colmar quando tuo padre aveva deciso di prendervi in casa tutti e due, aveva lasciato tutto quanto per poterti crescere con Antoine.» il bambino ascoltava la nonna senza fiatare «Stava tornando a Parigi quella sera, andava a trovare sua madre. Sai, Parigi è molto distante da qui e con l’auto, o come diavolo si chiama quel trabiccolo babbano, ci vogliono cinque ore almeno.» Leonie non riuscì a concludere la storia, rivolse un’occhiata triste al nipote e gli fece una carezza, ma non fu necessario, Marcel conosceva bene la fine: sua madre era morta in un incidente quando lui aveva solo due anni e purtroppo non ricordava nulla di lei.

 

 

* * *

 

 

Beauxbatons, 1992

Marcel aveva sempre saputo di essere diverso dagli altri bambini, ma si era accorto di quanto questo divario fosse ampio quando aveva messo piede a Beauxbatons: era la prima volta che si trovava in mezzo a dei bambini che, come lui, venivano da famiglie di maghi e streghe, o che comunque avevano avuto dei contatti con la magia, però nessuno di loro aveva un trascorso simile al suo e Marcel si sentì veramente solo i primi giorni passati lì. Pian piano era riuscito ad ambientarsi, aveva trovato degli amici, ma si era sempre sentito diverso da tutti quei piccoli maghi che frequentavano la scuola con lui. Provò, quando aveva solo dodici anni, un sentimento che capì essere diverso da come avrebbe dovuto e solo dopo alcuni anni riuscì veramente a capire cos’era quel qualcosa di diverso che sentiva e ad accettarlo pienamente: a Marcel piacevano i maschi. Era successo per caso e il povero ragazzino non aveva capito subito la natura dei suoi sentimenti, non ricordava bene cosa fosse successo, ma un suo compagno di classe, François Dupont, l’aveva abbracciato di slancio preso da un moto di gioia e Marcel era arrossito, confuso da ciò che stava provando. Si era interrogato sulla natura dei suoi sentimenti a lungo, ma non era riuscito a capire subito che tipo di sentimenti fossero e che cosa significasse. L’aveva capito soltanto alcuni anni dopo, a sedici anni, cosa significassero quei sentimenti contrastanti e si era subito reso conto, con tristezza, che era l’ultima cosa che suo padre avrebbe desiderato, perciò non poteva assolutamente venirlo a sapere.

«Ragazze, devo dirvi una cosa.» mormorò Marcel «Questa mattina mi sono reso conto di una cosa e spero non mi guarderete in modo diverso per questo.»

Jazmin ed Eris si scambiarono un’occhiata, sorprese dal tono serio che l’amico aveva, e la prima gli rivolse un sorriso incoraggiante mentre la seconda gli faceva un cenno per invitarlo a concludere il discorso.

«Mi piacciono i ragazzi.» sputò fuori il giovane arrossendo leggermente.

Le due non dissero niente, lo osservarono per un secondo e poi entrambe lo abbracciarono di slancio.

«Sei proprio stupido Marci.» borbottò Eris scuotendo la testa «Come puoi pensare che questo cambi qualcosa tra noi?»

«Ti vogliamo bene Marci, non dubitare mai più di questo.» aggiunse Jazmin puntandogli un dito contro.

Marcel sorrise e le prese entrambe per le spalle stringendole ancora una volta a sé: non aveva mai dubitato della loro amicizia, ma quella fu l’ennesima prova di quanto fosse fortunato ad aver trovato delle amiche del genere.


 

* * *

 

*Tu es mon Soleil, petit Marcel = Tu sei il mio Sole, piccolo Marcel



* * *

* * *

* * *

 

Ciao!

Finalmente eccomi qui con la prima delle OS sui protagonisti di "Game On" ambientate prima dell'arrivo ad Hogwarts. Questa OS dedicata a Marcel è principalmente incentrata sulla sua infanzia e spero possa essere di vostro gradimento c:

A presto,

fran x

   
 
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