Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: chemist    11/12/2020    2 recensioni
Tyrion Lannister è membro di una delle più potenti famiglie di Westeros, ma deve guardarsi le spalle persino da suo padre e da sua sorella.
Sansa Stark è una figlia del Nord finita nella fossa dei leoni proprio mentre la sua casata viene abbattuta.
La figlia disgraziata e la scimmia demoniaca, uniti per caso contro un mondo che li disprezza e li vuole morti.
Ma con un’anima complementare al proprio fianco.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sansa Stark, Tyrion Lannister
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17: Resa dei conti


 
Ser Kevan, titubante e disorientato come suo solito, lo salutò con una constatazione talmente ovvia da sembrare sarcastica pur non essendolo: “hai una brutta cera, Tyrion”.
Certo che aveva una brutta cera. Era rinchiuso da giorni in quella oscura e fetida cella, accusato dell’omicidio del re che, malgrado tutto, era pur sempre suo nipote; un viscido doppiogiochista s’era portato via sua moglie la sera prima, impedendogli di chiudere occhio per tutta la notte; ed era rimasto solo, in paziente attesa del sopraggiungere della fatidica ora.
Come poteva non avere una brutta cera?
“Effettivamente ho vissuto momenti migliori, zio Kevan. Qualcosa però mi dice che tu non sia qui per fare commenti sul mio stato attuale” rispose, mettendosi in piedi e sgranchendosi la schiena.
Il vecchio cavaliere deglutì: “no, infatti…sono qui per accompagnarti nella sala del trono”. Poi, con un cenno del capo, spronò due carcerieri ad aprire la serratura.
“Troppo buoni” ironizzò Tyrion, senza illudersi troppo. “A cosa devo questo illustre invito?”.
“È lì che si terrà il tuo processo”.
“Il processo è oggi?!” esclamò, sbalordito. “Non puoi dire sul serio. Non ho neanche avuto modo di convocare qualche testimone della mia innocenza!”.
“L’intera città ha saputo che il processo è stato fissato per questa mattina: se c’è qualcuno che intende testimoniare a tuo favore, si farà vivo”.
“Lo ha saputo l’intera città tranne me, naturalmente!” sbottò Tyrion, privo ormai di qualunque riguardo anche nei confronti di quello zio che aveva sempre detto di rispettarlo, ma che tanto facilmente s’era prestato a quella ignobile farsa. “Scommetto che mia sorella, invece, ha avuto tutto il tempo che le garbasse per trovare chi ha la sua stessa voglia di vedere la mia testa su una picca!”.
Il silenzio dell’altro Lannister era la prova che aveva indovinato.
“Lasciamo perdere. Chi saranno i giudici?”.
“Tuo padre, lord Mace Tyrell e il principe Oberyn Martell”.
“Che allegro quadretto”, sbuffò disgustato. “E di Sansa avete qualche novità?”.
“La stanno cercando in molti, Tyrion, e se è ancora viva presto la rivedrai, però prima…” disse Kevan, col tono troncatore di chi non vuole più affrontare certi argomenti, “…sarai processato tu”.
Spero che almeno lei non faccia mai più ritorno in questo inferno, pensò.

 

 
Dopo un buio e stretto corridoio, fu quasi doloroso per i suoi sensi ritrovarsi nella grandiosità della sala del trono, sconfinata e riccamente illuminata dalle sgargianti vetrate dei finestroni; e lo fu ancor di più accorgersi di aver addosso gli avidi sguardi dell’intera platea, composta per la maggior parte da cittadini della capitale, da alfieri dei Tyrell e da Tyrell stessi.
Ai suoi familiari erano invece stati riservati posti d’onore: Cersei e Jaime sedevano rispettivamente a sinistra e a destra della navata centrale, mentre sul Trono di Spade, che ancora aspettava un nuovo padrone, sedeva lord Tywin, con un’espressione inscalfibile; ai suoi fianchi, lord Mace e Oberyn si raddrizzarono sulle loro sedie, frementi come ogni altro spettatore.
Lui invece dovette accomodarsi su una piattaforma che terminava con un piccolo altarino, sistemata di fronte al trono. Accanto, poco distante, ce n’era un’altra, dedicata presumibilmente ai testimoni.
Si stava ancora guardando intorno per assimilare più informazioni possibili sulla tipologia di processo quando la voce di Tywin rimbombò ineluttabile in tutti gli angoli della sala: “siamo qui riuniti, oggi, per fare chiarezza sul lutto che ha recentemente addolorato i Sette Regni. Tyrion, hai assassinato tu re Joffrey?”.
“No” rispose semplicemente, scuotendo il capo.
“Lo ha allora assassinato tua moglie, Sansa Stark?”.
Quanta fretta, constatò. Stavano subito cercando di metterlo sulla difensiva.
“Nemmeno. Purtroppo lei non è qui per confermarlo o smentirlo: forse se il processo, come da protocollo, fosse iniziato più tardi…”.
“È già tardi, Tyrion. Abbiamo già sopportato per troppo tempo la mancanza di una verità sulla morte del re”.
“In tal caso, sappiate che la suddetta morte è stata una volontà degli Dei. Joffrey si è soffocato con la torta e col vino”.
“Sembri sicuro delle circostanze in cui è avvenuto il misfatto”.
“Sono sicuro solo della mia innocenza”.
“Questo non spetta a te decretarlo. Ci sono diverse persone pronte ad accusarti”.
Ovviamente, ringhiò Tyrion fra sé e sé; ma rimase zitto mentre sulla seconda piattaforma si susseguivano celermente i vari testimoni.
I primi furono Meryn Trant e Boros Blount, i cagnacci di Joffrey, che partirono dai burberi rimproveri di Tyrion all’ex re durante la Battaglia delle Acque Nere per poi proseguire con un racconto dettagliato (e in larga parte inventato) delle altre severità che il Folletto aveva, secondo loro, dispensato a suo nipote.
“Percuoteva frequentemente il re”, “più di una volta ha minacciato di morte sia lui che noi”, “ha detto alla regina che avrebbe reso la sua vita un inferno”: era questo il genere di frasi con cui le Guardie Reali, a cui in passato erano richieste pietà e onestà incondizionate, lo stavano descrivendo, ed il vedere Cersei fingere un volto affranto che verificasse tali deposizioni gli fece serrare la mascella per la rabbia fin quasi a spaccarsi i denti.
Dopo di loro venne il gran maestro Pycelle che ingobbendosi su una pergamena elencò i nomi di numerosi veleni che teneva custoditi nel suo studio, causando grugniti spazientiti in tutta la platea: “molti di questi mi furono rubati dal qui presente Tyrion Lannister quando mi fece imprigionare ingiustamente. E non ho il minimo dubbio nell’affermare che egli ha usato uno dei più rari e letali, detto ‘lo strangolatore’, per soffocare il ragazzo più nobile che abbia mai calcato i nostri Regni”.
Tyrion, fino ad allora, era stato impeccabile nel mantenere il controllo, ma le parole del vecchio colmarono la misura: “Nobile? Nobile, dici? Joffrey, oltre che stolto, era anche malvagio, e l’animo marcio di quelli come te che dovrebbero rappresentare una guida non smette mai di disgustarmi!”.
“Fa’ silenzio!”, tuonò improvvisamente Tywin, mentre Pycelle frignava, a nessuno in particolare, “vedete? Serba ancora rancore nei miei confronti, è un pericolo per tutti noi”.
“Tyrion, puoi parlare solo se autorizzato dai giudici. Alla prossima violazione, saremo costretti a incatenarti e imbavagliarti” lo ammonì ancora il patriarca dei Lannister, alzandosi dal trono. “Ci fermeremo qualche ora per il pranzo, e riprenderemo nel pomeriggio”.

 

 
La sala cominciò lentamente a svuotarsi. Jaime, tuttavia, si diresse senza esitazioni dal padre che aveva appena disposto la pausa.
“Sarai contento” disse, richiamando la sua attenzione.
“Non capisco cosa tu voglia dirmi” rispose l’altro, girandosi a fronteggiarlo.
“Sta andando tutto esattamente come volevate tu e Cersei”.
“Jaime, né io né tua sorella trarremmo vantaggio dalla morte di Tyrion. Siamo solo determinati a fare giustizia: se tuo fratello è veramente innocente come dice, non ha nulla da temere”.
“E tu questa la chiami giustizia?” sibilò Jaime, riducendo gli occhi a due verdi fessure. “Toglimi una curiosità: quanto oro avete promesso a questa gente in cambio delle loro menzogne?”.
“Attento a come parli. Ti ricordo che sono ancora il Primo Cavaliere del re, un re che tu stesso hai giurato di proteggere ma che ora giace in una tomba”.
Jaime incassò il colpo. “Intendo anch’io vendicare mio…”. Mio figlio, avrebbe voluto urlare al mondo intero. “…il mio re; quello che volevo dire è che anche nelle vene di Tyrion scorre il sangue dei Lannister, e meriterebbe almeno un processo più veritiero”.
Tywin aveva lo sguardo sospeso nel vuoto. “Un regicida dev’essere punito con la decapitazione, a prescindere dal sangue che ha”.
Jaime non voleva arrendersi: “potresti invece mandarlo alla Barriera. Lo conosci e sai bene che per lui sarebbe una punizione addirittura peggiore della morte”.
“Mi stai chiedendo di risparmiare l’uomo che probabilmente ha ammazzato un nostro parente”.
“Ti sto chiedendo di fare un’eccezione, in cambio di un’altra eccezione” corresse Jaime. “Se mi assicuri che Tyrion non morirà, io ti prometto che rinuncerò al mio giuramento per tornare ad essere l’erede di Castel Granito”.
“D’accordo” replicò Tywin con un sorriso lapidario appena abbozzato, sbattendo in faccia al figlio la reale complessità delle sue trame.
Era sorpreso e deluso dal pragmatismo di suo padre, ma adesso perlomeno aveva la certezza che presto ogni nefandezza sarebbe finita.

 

 
Congedatosi da Tywin, Jaime andò dritto da suo fratello. Erano praticamente soli: la maggioranza dei presenti erano andati a mangiare, ma Tyrion aveva lo stomaco così in subbuglio da temere che se avesse provato a mandar giù un boccone lo avrebbe vomitato all’istante, e scelse dunque di digiunare.
“Dovresti rifocillarti, e riprendere in mano le redini di te stesso” gli suggerì infatti Jaime.
Lui però era talmente frastornato che neanche si accorse del suo arrivo: “a che scopo? Presto non ne avrò più la necessità, dato che sarò morto prima di quanto immagini”.
“Vuoi morire di fame?”.
“Meglio di fame che con la testa mozzata”.
“Tu non morirai affatto” sussurrò Jaime, sospettando forse che qualcuno fosse ancora nei paraggi ad origliare.
“E come farò a impedirlo? Salterai tu sul patibolo e mi difenderai a spada tratta?”.
“Lo sto già facendo, e senza il bisogno di usare la spada. Devi solo confessare…”.
“Fratello caro” lo interruppe il Folletto, “sai quanto ti rispetto, ma non puoi chiedermi una cosa del genere. Non posso dichiararmi colpevole di qualcosa che non ho mai fatto”.
“Ascoltami” insistette Jaime. “Lo so che non sei stato tu, ma quale altro spiraglio di salvezza vedi? Cersei e i suoi fedeli ti stanno facendo a pezzi, non hai alcun testimone che possa provare la tua innocenza ed io non posso fare niente, men che meno adesso che sono una cappa dorata. Ciò nonostante, resti sempre un Lannister e se confesserai, se ti mostrerai pentito, ti verrà concesso di prendere il nero e unirti alla confraternita dei Guardiani della Notte”.
“Ah! I Guardiani della Notte”, sghignazzò Tyrion. “Se non sbaglio fu offerta la stessa cosa anche a Ned Stark, ma se ti affacci lì fuori vedrai ancora la sua testa appesa alle mura”.
“Quella fu opera di Joffrey. E di Cersei. Stavolta si tratta di nostro padre, che è ben più ragionevole”.
“Te lo ha detto lui?”.
“Mi ha dato la sua parola” annuì Jaime. “Tu pensa a dire le cose giuste nel modo giusto; a fermare il boia e a spedirti a Nord, ci penserà lui”.
Tyrion tacque per qualche secondo; poi disse: “cosa hai dovuto dargli in cambio della sua grazia?”. Aveva intuito che quel regalo non poteva essere gratuito.
Suo fratello sospirò. “Rinuncerò al mio posto nella Guardia Reale e lui mi riaccoglierà come suo erede”.
Poggiò i gomiti sull’altarino, sconfitto. “Alla fine ha ottenuto ciò che voleva”.
“Lo otterrà solo se farai la tua parte, e in ogni caso Castel Granito non vale quanto la tua pelle. Dimmi, confesserai?”.
Tyrion rimuginò per un po'. Tornò con la mente al giorno in cui vide la Barriera, l’ultimo confine della Westeros civilizzata, arcana e interminabile contro le terre selvagge, e si ricordò dei brevi ma profondi monologhi del Lord Comandante Mormont.
“Mansioni prettamente diplomatiche, totale impossibilità di conquistare la gloria in battaglia, uomini che non ridono neanche sotto tortura, un freddo da congelarsi le palle e la rinuncia definitiva al sesso. Decisamente non la vita che m’aspettavo di dover abbracciare”.
“Ma pur sempre una vita”.
“Confesserò”, concluse infatti il Folletto. “E quando questo circo che si sono permessi di chiamare processo chiuderà i battenti, potrò finalmente andarmene da questa merda di città”.
Jaime rispose con un cenno d’assenso e si ritirò, consapevole che a suo fratello servisse qualche minuto di riflessione in isolamento per poter fronteggiare al meglio la parte finale del processo.

 

 
Alle prime ore del pomeriggio tutto fu pronto. Il sole era ancora alto e la fronte di Tyrion iniziava a imperlarsi di sudore; e tuttavia stavano per arrivare persone e dichiarazioni più asfissianti del caldo.
Uno dopo l’altro, popolani e signorotti che aveva raramente o mai visto (e che non avevano realmente nessun motivo per odiarlo) sostenevano di averlo udito invocare la morte del re, tanto da prenderlo di mira in ogni occasione possibile. Il culmine fu raggiunto quando Jorgen, Tom e Alf (i tre uomini assoldati mesi prima da Baelish per stuprare Sansa, impresa in cui fallirono solo grazie al cavalleresco intervento di Tyrion) si disposero uno di fianco all’altro, come una squadra, innanzi ai giudici, ai quali giurarono d’aver visto il Folletto prendere a schiaffi Joffrey durante la rivolta di Approdo del Re, e incitare la folla inferocita a prendersi con la forza la testa del sovrano.
Tyrion non poté che ammettere che Ditocorto aveva pianificato minuziosamente ogni azione, maledicendolo per essersela svignata con Sansa e abbandonandosi a un sorriso amaro.
Successivamente fu il turno di Varys, e tutto ciò che uscì dalla sua bocca, se possibile, valeva doppio, perché era il maestro delle spie e tutto quel che diceva veniva dato per vero a priori, specialmente da orecchie riluttanti a udire obiezioni: egli comunque si limitò a confermare le versioni dei testimoni precedenti, certificando di fatti la malafede di Tyrion.
Quest’ultimo lo fissò per un lungo momento, sperando di rammentargli in quel modo del giorno in cui s’era vivacemente definito come suo amico. L’eunuco ricambiò guardandolo con sufficienza, nascondendo chissà quali intrighi, poi si allontanò senza aggiungere altro.
Che possa bruciare all’inferno assieme ai suoi sporchi uccelletti.

“In assenza di ulteriori testimonianze, direi che abbiamo finito” disse Tywin.
Tyrion tirò un pesante quanto paradossale sospiro di sollievo. Dei, fate che sia davvero finita…
“Abbiamo quasi finito” si intromise invece Cersei. “Con la tua licenza, padre, vorrei far accomodare un’ultima persona, per sentire quel che ha da riferire”.
“Licenza accordata”, accettò Tywin. “Domattina la interrogheremo”.
Le labbra della regina, sinuose e granitiche allo stesso tempo, si curvarono in un ghigno malefico: “non sarà necessario attendere così a lungo…la testimone di cui parlo sta arrivando proprio adesso”.
Tyrion si voltò e vide entrare nella sala l’ultima delle voci a cui era stato affidato il suo destino. Il colpo di grazia.
Non è possibile…Shae!
Mentre ancora si domandava come avessero fatto a trovarla, la donna cominciò a recitare il proprio copione: “Sono stati Tyrion e Sansa a uccidere il re, miei lord. Io lo so bene, perché ero l’ancella di Sansa e la…”, esitò, “…la puttana di Tyrion. Dopo la morte di Robb Stark, lady Sansa disse di volerlo vendicare e il Folletto rispose che l’avrebbe aiutata, perché voleva il trono tutto per sé: voleva uccidere la regina e poi suo padre, così sarebbe diventato il Primo Cavaliere del principe Tommen; e prima che il bambino diventasse adulto, avrebbe ucciso anche lui, diventando re a tutti gli effetti. Dice di volere la corona da quando mi scopava nella stanza con i teschi di drago, mentre io lo imploravo di fermarsi; diceva che presto avrebbe tolto di mezzo Joffrey, e quindi dovevo essergli grata perché essere puttana del re dei Sette Regni è un onore che capita a poche donne”.
Le guance di lei vennero rigate da due piccole lacrime, false come ogni singola cosa detta in quella sala da quel mattino. “Io non volevo fare la puttana, perché non lo sono. Amavo un ragazzo, un ragazzo bravo e gentile, e volevo sposarlo, ma quando Tyrion ci vide alla Forca Verde lo mise in prima linea contro l’esercito di Robb Stark, che era più numeroso, mandandolo incontro a morte certa; e quando sono andata a piangerlo sul campo, lui mi ha fatta rapire e portare nella sua tenda, dove mi ordinò di dargli piacere altrimenti mi avrebbe data ai suoi selvaggi”, singhiozzò. “Non ho avuto altra scelta. Mi ha fatto fare cose vergognose e riprovevoli…e dovevo chiamarlo ‘mio leone di Lannister’”.
Nella platea iniziarono a farsi largo risate più o meno mascherate, mentre molti altri reagivano in modo disgustato a quelle rivelazioni.
Il più divertito di tutti era il principe Oberyn, che rivolse a Tyrion uno sguardo d’approvazione per le sue perversioni; ma quando lo fece, vide il Folletto ribollire, pronto ad esplodere.
“Padre, desidero confessare”, disse infine sottovoce. “Mandate via la sgualdrina bugiarda. Desidero confessare”.
“Sei dunque deciso ad ammettere la tua colpa?”.
“Proprio così. Sono colpevole. Colpevolissimo. È esattamente questo che volevate sentire, no?”.
“Allora hai avvelenato tu il vino di re Joffrey?”.
“Oh no, di quello sono innocente. Ma mi sono macchiato di un crimine molto peggiore: essere un nano”.
Tutta la sala tacque. L’intera capitale era sulle spine.
“Che stai dicendo? Non sei certo sotto processo per essere un nano”.
“Lo sono, invece. E dal primo istante in cui ho messo piede in questo lurido mondo”.
“Tyrion, tutto ciò non ha senso. Non hai nulla da dirci in tua difesa?”.
“Nient’altro. Non ho ucciso io Joffrey!”, ringhiò in direzione di Cersei, “ma vorrei tanto averlo fatto, sai? Veder crepare quel tuo figlio bastardo mi ha dato più piacere di quanto me ne abbia mai dato Shae o qualunque altra puttana di questo mondo. E voi!”, disse rivolgendosi ai cittadini seduti dietro di lui, e la sua voce era possente e incontrastabile come un tuono che squarcia il cielo sereno. “Io vi ho salvati! Ho salvato questa putrida città e tutte le vostre inutili vite! Purtroppo mi rendo conto soltanto ora che sarebbe stato molto meglio farvi passare a fil di spada da Stannis Baratheon!”.
Il caos si impadronì della sala. “Basta così!”, urlò Tywin, tentando di ristabilire l’ordine.
“Sono d’accordo. Basta così” ribatté Tyrion furibondo. “Ho capito che qui dentro non riceverò alcuna giustizia, perciò saranno gli Dei a dimostrarvi che sono innocente: io reclamo un verdetto per combattimento!”.
Un boato, seguito da un completo silenzio.
Fu come il ruggito di un leone all’altro che tenta di sopraffarlo, e pareva che persino i muri della sala del trono stessero per crollare.

Care lettrici, cari lettori, come state? Spero bene 😉
Mi scuso per l’interminabile ritardo con cui mi rifaccio vivo, ma le ultime settimane (tanto per cambiare) sono state abbastanza ricche di impegni…spero di riuscire a farmi perdonare, almeno in parte, con questo capitolo che, se non è il più lungo che io abbia mai scritto, poco ci manca!
Non poteva essere altrimenti per il processo di Tyrion, un episodio potente come pochi altri. In realtà stavo seriamente pensando di dividerlo in due parti, ma non avrei saputo poi dare alla seconda parte un finale ‘ad effetto’ e inoltre nei prossimi paragrafi vorrei tornare a parlare anche di Sansa, che ho lasciato un po' nell’ombra dopo essere stata rapita da Ditocorto.
Raccontare le vicende di entrambi i protagonisti, ora che sono separati, è d’altra parte una cosa che temo tantissimo, ma vedrò d’inventarmi qualcosa…nel frattempo, fatemi sapere se vi stanno piacendo gli sviluppi della storia!
Chiudo con i consueti saluti e augurandovi anticipatamente buone feste, nel caso in cui non dovessimo risentirci prima.
Alla prossima!
   
 
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