So bene che le puriste ZoSan
mi ripudieranno per questo, ma non posso negare che questa coppia mi intrighi
tanto >.<
Spero comunque che vi piaccia nonostante tutto XD
Buona lettura
Kiss kiss Chiara
Calore
Il rumore
dell’acqua che usciva dal rubinetto risuonava nella vuota stanza. Non c’era
altro suono che spezzasse quel lento lamento mentre il liquido terso che
bagnava le mani del cuoco si schiantava nella ceramica del lavabo. Con un
movimento apatico Sanji chiuse l’acqua e si asciugò le mani con uno
strofinaccio.
Sei giorni, erano sei giorni che il capitano dormiva. Serenamente, come se
stesse facendo un bellissimo sogno. Dormiva e non si svegliava. Iva-san aveva detto che era normale, che non poteva
aspettare di riprendersi dopo quello che era successo in modo veloce, come era
solito fare. Sarebbe dovuto passare molto tempo affinché ritornasse quello di
una volta, affinché le ferite si rimarginassero e tutta la fatica fosse
cancellata da quell’esile corpo di gomma. Sarebbe dovuto passare molto tempo,
ma Sanji era disposto ad aspettare.
Si accese una sigaretta poggiandosi contro il tavolo. Non conosceva quella
cucina, né quella nave, non aveva idea di dove stessero andando. Stavano solo
seguendo un pezzo di carta senza sapere dove li stesse portando. Da uno dei
suoi compagni, questo era sicuro, ma chi? E se fosse stato lui? Come si sarebbe dovuto comportare, che avrebbe dovuto dirgli...
In fondo ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Così
velocemente, così irrazionalmente.
La porta si aprì con lentezza e Ace fece capolino. Il corpo avvolto da molte
bende bianche, e una di esse cingeva anche il suo capo
- Non dovresti alzarti, devi riposare – sospirò Sanji giocherellando
stancamente con l’accendino. Il moro sorrise e si avvicinò a passo lento verso
di lui. Le ferite ancora pungevano e quelle scene di sangue e guerra ancora gli
affollavano gli occhi
- Mi sento meglio – esclamò trattenendo una smorfia di dolore mentre gli si
poggiava accanto. Sanji abbassò la testa ghignando. Come era facile leggere nei
suoi occhi.. non aveva mai provato quella sensazione con nessuno, tantomeno con
lui.
- Rufy dorme ancora? – chiese quasi per prassi. Sapeva la risposta, sapeva che
non si sarebbe svegliato, non ancora. Ace annuì.
- Sì – fu breve la replica. In fondo era suo fratello, la persona per la quale
aveva rischiato la vita, non era facile parlare mentre lui se ne stava perso in
un lungo sonno.
- Si riprenderà – le parole del cuoco fecero sorridere nuovamente il pirata. Il
biondo si allontanò per buttare la cicca ancora a metà fra la spazzatura e
poggiò le mano contro il lavandino. Cos’era quella sensazione che gli bruciava
nello stomaco? Senso di colpa, vergogna? E perché diavolo doveva sentirlo.
I suoi pensieri furono spazzati via quando due forti braccia lo cinsero alla
vita.
- Va tutto bene – si sentì sussurrare all’orecchio. Strinse forte le nocche
contro il lavabo affondando i denti nel labbro
inferiore
- Ma sentiti, dovrei essere io a tirarti su di morale e invece...- non riuscì a
terminare la frase che la sua voce prese a tremare. Per rabbia, per
disperazione, per qualsiasi cosa che non fosse senso di colpa. Non doveva
essere senso di colpa, non lo avrebbe permesso. L’abbraccio di Ace si fece più
forte, più caldo.
Ace era caldo, caldo come nessun altra persona che Sanji avesse mai incontrato,
un calore che non gli era dato dal suo potere, ma dal suo cuore, dalla sua
facilità di amare e di essere amato. Era un calore che per anni Sanji aveva
cercato e non era mai riuscito neanche a sfiorare. E ora era lì, immerso come
una goccia di pioggia in un mare caldo, caldo e sicuro.
- Non so cosa dirgli – esclamò infine. Non sapeva cosa dire quando avrebbe
incontrato i suoi occhi neri. Quando
quegli occhi lo avrebbero guardato duramente, come al solito, e gli avrebbero
chiesto cosa c’era che non andava. Perché nei suoi occhi scuri era impossibile leggere, mentre quelli del cuoco
non erano mai stati capaci di mentirgli. Cosa avrebbe detto a quel punto...
- Non è il momento di pensarci Sanji, non sappiamo neanche se stiamo andando da
lui – alle parole di Ace il cuoco si voltò fuggendo al tepore di quelle
braccia.
- No Ace, io lo sento, è lui – soffocò ancora le parole quando ripresero a
tremare. Era sempre stato bravo a controllare le sue emozioni, in fondo aveva
avuto come maestro lui, l’uomo tutto
ad un pezzo, il vice capitano di cappello di paglia che non abbassava la testa
davanti a nessuno. Eppure adesso si sentiva sbilanciato, come se fosse bastata
una sola folata di vento a mandarlo giù, a farlo crollare.
- Gli parlerò io allora – affermò sicuro Ace. Gli occhi di Sanji si sbarrarono
e in pochi passi gli fu di fronte. Non gli avrebbe mai permesso di dirgli una
sola parola. Mai.
- Non azzardarti – minacciò. Ace rimase fermo, impassibile di fronte a quella
reazione che poteva immaginare.
- Non farlo Sanji. Io non sono Zoro... con me non devi lottare – la voce sicura
e a tratti quasi rassicurante di Ace fece abbassare il capo del cuoco che si
poggiò con la nuca contro il petto fasciato del giovane pirata.
- Ace.. io non lo so – sospirò. Sentì una mano accarezzargli i biondi capelli.
Ancora quel calore al quale non riusciva ad abituarsi. Perché gli era così
difficile lasciarsi amare?
Forse tutto il tempo trascorso con lui,
a cercare un contatto, a controllare ogni singolo sentimento, aveva avuto al
capacità di gelarlo. Di renderlo simile ad un pezzo di ghiaccio che per quando
vicino al fuoco lo puoi poggiare, non sarà mai abbastanza per farlo sciogliere.
Ma lui voleva essere sciolto, voleva che qualcuno lo tenesse fra le braccia
senza vergognarsene, senza che aspettasse la notte per stringerlo e
sussurrargli qualcosa che non fosse un insulto. Voleva perdersi in quel calore
senza quel senso di colpa che gli attagliava lo stomaco. Perché doveva sentirsi
colpevole per aver cercato in qualcun altro ciò che lui non poteva dargli?
Le dita di Ace gli sollevarono viso con dolcezza, un’altra sensazione che Sanji
non aveva mai conosciuto.
- Ora sei mio, non ti lascerò andare via – quelle parole che per troppo tempo
aveva sperato di udire da lui, ore
suonavano come ovattate. Le sue orecchie vergini di tanta dolcezza, non
riuscivano ad ascoltarle senza chiedersi se fossero o no reali.
- Ace io – abbassò nuovamente il capo, Sanji. Non riusciva a sostenere quello
sguardo sincero, schietto, così dannatamente caldo. Lui che era abituato a ben
altri sguardi, che il sol pensiero di essere guardato con tale delicatezza gli
faceva tremare l’anima. Come se non se lo meritasse, come se per qualche motivo
ancora poco chiaro, lui era stato condannato, o meglio, si era condannato a
passare una vita in ombra, nel freddo di poche carezze fugaci, senza mai essere
degno di essere amato. E ora quel ragazzo sorridente, pareva voler cancellare
quella condanna, pareva essere convinto di poterlo amare, lui, Ace, voleva
amarlo, e questo Sanji non poteva non avvertirlo dalle sue parole, dalle sue
carezze, da quel calore così magico.
- Quando Rufy si sveglierà sono sicuro che mi chiederà di restare un po’ con
voi – sorrise ancora Ace mentre faceva scorrere delicatamente le dita fra quei
ciuffi color grano.
- Una volta che tutti i tuoi compagni saranno qui... tu potrai decidere se devo
restare o no. Solo tu, non farò mai nulla che tu non voglia, Sanji – chiuse le
palpebre allontanandosi da lui, portandosi a distanza dal suo calore che
riusciva a calamitarlo e intrappolarlo con tale facilità
- Non è così facile, ci saranno tanti di quei casini, tanti di quei
dannatissimi casini che io ...- un pugno si schiantò sul legno del tavolo
mentre i denti affondavano nuovamente nel suo labbro martoriato
- Che io non oso nemmeno immaginare, Ace... -
ora la sua voce non ce la faceva più a restare intatta, aveva bisogno di
spezzarsi, di rompersi, di scoppiare e lasciare fuggire così tutta
quell’angoscia che da giorni ormai lo stava logorando.
- Scusami allora, non pensavo di poterti fare così male... – gli occhi lucidi
di Sanji si posarono sul volto scuro del pirata.
- Ace... – sospirò tenendosi le lacrime celate negli occhi, trattenendo la
voglia di urlare nella gola. Il moro sorrise passandosi una mano fra i capelli
- E’ solo che io non ce la faccio a starti lontano, io ho bisogno di sentirti
vicino e così.. così non ho pensato al resto... scusami per questo - ridacchiò nascondendo la tristezza che
invece gli stava riaprendo le ferite. Stava facendo sanguinare ancora il suo
corpo sebbene non scorresse sangue, sebbene non ci fossero più lame a colpirlo,
sentiva lo stesso il bruciore dei fendenti.
- Meglio che torni da Rufy, potrebbe svegliarsi – fece per andare via ma una
mano gli avvolse il polso. Una mano fredda come fosse coperta di neve.
- Quando Rufy si sveglierà... io voglio che tu resti – non badò al dolore delle
bende troppo strette, né a quello dei punti che si stavano riaprendo, lo
afferrò e lo strinse a sé, forte, quasi da soffocarlo con il suo calore. Voleva
farlo perdere in quell’abbraccio, fargli credere che poteva essere amato, e che
lui l’avrebbe fatto.
Avrebbe scaldato quella mano, quel corpo, quegli occhi disincantati, avrebbe
sciolto ogni catena che lo legava, ogni barriera che lo allontanava dalla
serenità, così come aveva spazzato via i suoi nemici, avrebbe distrutto ogni
barlume di dolore dalla sua anima, finché quel ghiaccio non si fosse sciolto.
Avrebbe passato tutta al vita a provarci, ma ci sarebbe riuscito.
Ogni fiamma sarebbe arsa solo per lui, per quel cuore intorpidito, per quel
piccolo cuore che ora che aveva iniziato ad amare, non avrebbe più lasciato
andare via.
***