LE ALI DELLA FARFALLA
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Capitolo
2 – Amici
*
Il
rumore sei suoi tacchi, echeggiava lungo il corridoio a scacchi lucido.
Aveva
indossato, come ogni giorno, il suo tailleur nero con pantaloni, portamento
fiero che non si scomponeva mai, capelli raccolti in una crocchia bassa,
immancabile la sua cartellina blu, pronta ad appuntare qualsiasi cosa potesse
passare nella mente del signor Agreste.
Si
sistemò gli occhiali sopra il naso, si schiarì la voce con un leggero colpo di
tosse, e bussò alla porta dello studio.
Ormai
erano passati un paio d’anni, da quando lo stilista, aveva deciso di lavorare
da casa, alla casa di moda, si faceva vedere poco o niente, solo quando si
avvicinavano gli eventi più importanti, tipo presentare una nuova collezione,
onorava i sarti e i suoi collaboratori di una fugace presenza.
Era
Nathalie che visionava gli abiti, e li portava direttamente a casa sua, in
quello che era il suo studio, o meglio il covo da cui poteva controllare i
parigini.
“Avanti”.
Ordinò la voce al suo interno.
Tirò
la maniglia argentata, e il pesante portone si aprì, entrò senza esitare.
“Buongiorno,
signor Agreste” Lo salutò andandosi ad accomodare sulla scrivania a lei
dedicata.
“Ci
tieni tanto a questo, lei?” Le disse non degnandola di uno sguardo,
troppo impegnato ad ammirare l’imponente mosaico che ritraeva la sua defunta
moglie, lasciando la donna spiazzata.
Quel
lei, che gli rivolgeva, era per cortesia, per non varcare quel sottile
confine che separava il dipendente dal datore di lavoro.
Anche
ad Adrien, era stato imposto lo stesso limite: rivolgersi a Nathalie con il
dovuto rispetto.
“Perché
mi fa questa domanda?” Le chiese curiosa premendo il pulsante di accensione del
portatile ed accomodandosi sulla poltrona di pelle nera.
“Da
quando lavori per me? Dieci anni?” Gabriel sciolse quella posa rigida,
riportando le braccia lungo i fianchi e voltandosi verso di lei.
“Dodici,
signore” Precisò buttando giù della saliva, cercando di non scomporsi, anche se
dentro di lei iniziava ad agitarsi.
“Bene,
forse è giunto il momento che tu ti rivolga a me, in maniera meno formale. Del
resto sei una mia fidata alleata”.
“Se
è quello che desidera, per me va bene”. Iniziò a digitare la password sulla
schermata iniziale del computer, dentro il tassello bianco sullo sfondo di
Parigi, mentre Gabriel, si avvicinava alla scrivania.
Poggiò
le mani sul legno bianco e la costrinse a guardarlo.
“A
partire da ora”. Ordinò.
“Certo,
sig…ehm…Gabriel”.
“Così
va meglio” Le sorrise sghembo, dandole le spalle per ritornare a lavorare alla
collezione, gli mancava solo un abito, e poi quella stoffa pregiata, che aveva
accuratamente scelto, avrebbe potuto prendere vita.
Posò
uno sguardo fugace per l’ennesima volta sul quadro di Emilie, chiedendosi se
era giusto quello che stava facendo, se il dolore che scagliava contro Parigi,
non fosse il suo, perché dopo due anni, non era riuscito nel suo obiettivo, e
non si era ancora messo l’anima in pace, non accettando il fatto di averla
perduta, e per colpa sua.
Impossessarsi
dei Miracolous di Lady Bug e Chat Noir, non era
semplice e doveva ammettere a sé stesso, che quei ragazzini, stavano diventando
piuttosto bravi, anche perché potevano contare su una schiera di alleati, che a
lui, al momento, non era concesso avere, l’unico aiuto vero e concreto, era
rappresentato da quella segretaria che avrebbe messo a repentaglio la sua
stessa vita per lui.
Perché
ne era innamorata, ma allo stilista non era ritenuto a saperlo.
Gabriel
iniziò a sentirsi strano, il cuore che batteva un po' più forte del previsto e
le mani che tremavano visibilmente.
La
guardò mentre convulsivamente, faceva scorrere le dita sulla tastiera del
laptop.
Incrociarono
per un breve istante gli sguardi, forse perché Nathalie, si sentì osservata.
Quel
sorriso che gli volse, gli scaldò il cuore, stava anche per aprire bocca per
dirle qualcosa, ma vennero interrotti dallo squillo del telefono.
“Pronto?”
Rispose la segretaria, poi trascorse qualche secondo prima che la sentì
pronunciare “…no, mi spiace, non abbiamo intenzione di cambiare compagnia
telefonica, la saluto”. Garbatamente e senza scomporsi, riattaccò la cornetta.
Era
abituata a ricevere certe telefonate scomode e a liquidarle sempre, in maniera
molto professionale.
Ritornò
a lavorare, quella email non poteva aspettare e doveva ancora risponderne a
cinquanta, la sfilata era imminente, anche se ad un occhio inesperto, due mesi
potevano sembrare un’eternità, doveva ancora trovare la location giusta e
confermare la lista degli invitati.
Gabriel
tossicchiò richiamando la sua attenzione, mentre muoveva le dita sullo schermo,
trovando il perfetto equilibrio tra stile e design di quel maledetto ultimo
abito.
“Mi
stavo chiedendo…se sto facendo la cosa giusta”.
Nathalie
alzò lo sguardo oltre il monitor e si sistemò meglio gli occhiali. “Farai un
ottimo lavoro come sempre, la stampa ne parlerà per mesi e mesi, ed Adrien sarà
fantastico in passerella con il vestito che hai disegnato appositamente per lui”.
“Non
intendevo la sfilata”. Sospirò.
La
segretaria si morse le labbra.
Ancora
Emilie.
C’era
ancora lei nei suoi pensieri, nonostante fossero passati due anni. Due
fottutissimi anni.
“Secondo
me, dovresti dire tutto ad Adrien.”
Gabriel
abbassò lo sguardo “Mi odierebbe”.
“E
allora fermati, non andare avanti”.
“Mi
odierebbe solo all’inizio, poi sapendo che lo sto facendo per lui, si
ricrederebbe”. Specificò.
“Lo
stai facendo per lui o per te?” Quella domanda arrivò dritta al suo cuore
“…siamo seri, Gabriel, sono già passati due anni, quanti ne passeranno ancora
prima di farti desistere dal tuo scopo? Credi che Adrien ti perdonerebbe tanto
facilmente se sapesse che hai causato dolore e sofferenza a Parigi per tutto
questo tempo?” Fece una piccolissima pausa prima di schiaffargli in faccia la
verità e una parte di quello che teneva dentro di sé “…No, non lo farebbe. Non
accetterebbe mai il fatto che per portare in vita Emilie, tu ti sei allontanato
da lui”.
Lo
stilista inarcò un sopracciglio “Che intendi dire, che io non do le giuste
attenzioni a mio figlio?”.
“Dico
solo che dovrebbe avere una vita come tutti i ragazzi di sedici anni”.
“Non
è un ragazzo normale. E’ un modello di fama
internazionale, non hai pensato che se lo facessi uscire quando vorrebbe,
verrebbe braccato da paparazzi e giornalisti. Lo sto solo proteggendo dal suo
mondo. E detto questo, non ti permetto di fare più
insinuazioni su come educo mio figlio, sono stato chiaro?” Chiese in tono
alterato.
Nathalie
si sedette composta “Si, si signore. Mi scusi se ho osato tanto, non accadrà
mai più”.
“Pero…Hai
ragione” Si sentì dire prima di rimettersi al lavoro. “Non sai quanto soffra
per come lo sto trattando, ma è necessario per il completamento della missione.
Sapendolo sotto il mio tetto, posso agire senza metterlo ogni volta in
pericolo”.
Gabriel
non avrebbe mai abbandonato l’idea di smettere di terrorizzare la città, solo
per raggiungere il suo scopo, farlo avrebbe significato perdere per sempre
l’amore della sua vita, la donna di cui si era innamorato la prima volta che aveva
per caso incrociato il suo sguardo, la donna che per causa sua, si era
ammalata, perché le aveva fatto utilizzare un miraculous
danneggiato.
Era
colpa sua tutto questo.
Un
colpo di tosse, lo riportò al presente.
Il
secondo, lo fece avvicinare di più alla scrivania, assicurandosi che Nathalie
stesse bene.
Le
porse un bicchiere d’acqua che bevve d’un sorso. “Grazie”.
Un
altro colpo di tosse “Sto bene, non è niente”.
“Da
ora in poi, non avrò più bisogno di Mayura”.
“No,
hai bisogno di me…sarai solo a combattere questa battaglia…e poi lo hai
riparato, non corro più alcun pericolo”.
“Mi
spiace Nathalie, non posso permettermi di perdere la mia migliore
collaboratrice”.
“Comunque
sappi che ti sosterrò, sempre”. Gli sorrise.
*
Il
problema principale, non era quello di tenere segreta la relazione, il più a
lungo possibile, ma stava nel dire alla sua migliore amica una bugia.
“Non
ho mai mentito ad Alya” Marinette scosse il capo in
segno di dissenso e gesticolava nervosamente con le mani tremolanti.
“Nemmeno
io a Nino, o a qualunque altra persona a me cara, proprio non ci riesco.”
Scosse il capo mentre insieme varcavano l’ingresso del liceo “…ma è una bugia a
fin di bene, finché non capiremo cosa è successo veramente nel futuro”.
Marinette sospirò affranta
“Adesso, avrei voluto saperne di più di quella faccenda”.
“Guarda
il lato positivo” Adrien ripose dei libri dentro l’armadietto “…se Bunnix non si è fatta ancora viva, significa che stiamo
facendo la cosa giusta”.
La
corvina chiuse l’armadietto rosso “Già…”
“Ehi,
ciao amici” Parli del diavolo, e spuntano le corna, Alya si era presentata a
loro con un enorme sorriso stampato in faccia, finalmente dopo mesi e mesi, i
loro amici si erano finalmente messi insieme, avevano capito che erano fatti
l’uno per l’altra e che nessuno da adesso in poi li avrebbe separati, tranne
l’espressione triste che si materializzò sulla loro faccia.
“Che
succede?” Chiese curiosa guardando prima uno e poi l’altro, in attesa di una
risposta.
Marinette deglutì “Vedi,
Alya…noi due” Disse indicando lei ed Adrien “…abbiamo deciso che…è meglio se
non stiamo più insieme”.
“Che
cosa?????” La sua migliore amica urlò così forte, che l’avevano sentita fino al
secondo piano, e alcuni piccioni che si erano appollaiati sul tetto
dell’edificio, svolazzarono spaventati.
“Non
ci credo! Io davvero non capisco...” Si portò le mani dentro i capelli, mentre
Nino varcava lo spogliatoio.
“Ehi
Alya! Ti ho sentito urlare, che succede?” Le chiese ignaro di tutto.
“Loro
due” Disse indicandoli.
“Sono
carini insieme, vero?”
“Si
che sono carini, ma peccato che abbiano deciso di lasciarsi” Spiegò
gesticolando.
Nino
sbattè le palpebre dallo stupore, poi guardò Adrien,
che con il solo sguardo, gli fece capire che la fidanzata, non si stava
sbagliando.
“Beh,
se hanno deciso così…avranno le loro ragioni”. Fece spallucce non indagando
oltre, tanto ci avrebbe pensato sicuramente lei.
“E
non gli dici niente?”.
“Che
dovrei dirgli?”
“Che
stanno sbagliando”.
Nel
frattempo Adrien e Marinette stavano osservando il
siparietto, ridendo interiormente.
“Ragazzi,
ragazzi, calmatevi, ok! Non è il caso di farne un affare di stato. Abbiamo
deciso così, rispettate le nostre scelte”. Adrien tagliò corto, non dando altre
spiegazioni, ed insieme a Nino, prese la direzione della classe, lasciando le
due ragazze da sole.
“Dove
credi di andare?” Alya bloccò Marinette per un
braccio, la spiegazione di poco fa di Adrien, non l’aveva per niente
soddisfatta, da brava aspirante giornalista, doveva andare a fondo a questa
faccenda, che puzzava di formaggio marcio, per usare una frase di Plagg.
Marinette pensò che la sua
migliore amica, non avrebbe desistito molto facilmente, la conosceva bene, e
l’unico modo per farla stare buona e che non la stressasse ogni dieci secondi,
era quello di dirle che, dopo scuola, avrebbero parlato.
*
Chat
Noir fece capolino sul suo terrazzo, e una volta atterrato, sciolse la
trasformazione, quel suo messaggio, non ammetteva ritardi, e se lo fosse stato
o se non si fosse presentato, probabilmente lo avrebbe cercato per tutta
Parigi, o si sarebbe presentata a casa sua.
Sospirò,
e non fece tempo a bussare alla botola di legno, che Marinette
l’aprì.
“Era
ora!” Esclamò furibonda prendendolo per il colletto della camicia bianca.
“Calmati.
Che è successo?” Chiese sorpreso, ma in realtà sapeva benissimo perché lo aveva
chiamato.
“Calmarmi?
Mi stai dicendo di calmarmi”
“Shh…abbassa la voce, i tuoi ti sentiranno”. La zittì
mettendole un dito sulla bocca.
“Sono
giù in pasticceria, non rincaseranno prima delle otto”.
“Vuoi
dirmi cos’è successo? Scusami, ma non ho molto tempo a mia disposizione, tra
un’ora verrà a chiamarmi Nathalie per la cena”.
“Ho
subito un interrogatorio, peggio di quello sei servizi segreti. Ci mancava solo
che Alya, mi
collegasse alla macchina della verità”.
Adrien
scoppiò a ridere.
“Tu
ridi? Tu ridi?” Chiese assottigliando gli occhi “…se ti dicessi che mi ha
infilato delle canne di bambo sotto le unghie, reagiresti allo stesso modo?”.
“Voi
ragazze siete troppo forti, fate una tragedia per tutto” Adrien si lasciò
cadere con la schiena sul materasso di Marinette,
incrociando le mani dietro la testa, ammirando il soffitto tappezzato da loro
foto.
“Dovrei
toglierle” Disse accomodandosi accanto a lui.
“Perché?”
“Beh…se
mia madre o mio padre le vedono, potrebbero pensare che…”
“Puoi
sempre dire che siamo solo amici”. Rispose con naturalezza alzando le spalle.
Amici,
ancora quella parola tanto odiata come amata.
*
Continua