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Autore: Shadow writer    16/12/2020    2 recensioni
In una metropoli urbana dominata da corruzione e giochi di potere, una giovane donna cerca di farsi spazio attraverso strade poco lecite.
Dopo gli ultimi eventi, la duchessa si trova alle strette e la posta in gioco si fa sempre più alta: il potere e le persone che ama.
Quello che non sa, è che qualcuno le sta alle calcagna, impaziente di vederla crollare. Ma come può combattere un nemico invisibile?
Dalla storia:
“Sentì un fermento nel suo stomaco e una sensazione di ebbrezza che le andò alla testa.
«Sei fortunata» replicò e si passò la lingua sulle labbra, come assaporando quel momento. «Si dà il caso che concedere favori sia la mia specialità».”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Camille



 
 
Camille si svegliò quando i raggi del sole le raggiunsero il viso. Aprì gli occhi e notò che il materasso al suo fianco era vuoto.
Stiracchiandosi si alzò in piedi e si diresse verso la cucina. Alexander sedeva al tavolo con una tazza di caffè tra le mani e uno sguardo pensieroso perso nel vuoto. Nel sentirla entrare, spostò gli occhi su di lei e le sorrise.
«Non ho sentito la sveglia» gli disse.
«L’ho spenta prima che suonasse» replicò lui mentre si alzava in piedi per preparare il caffè anche per lei.
Camille prese posto di fronte a dove era stato seduto, ma si voltò a guardarlo mentre armeggiava in cucina.
«Sei andato a letto tardi eppure ti sei svegliato prima del suono della sveglia. C’è qualcosa che ti preoccupa?»
Lui le portò la tazza e le lasciò un bacio sulla fronte, accarezzandole dolcemente i capelli. «No, è tutto a posto. Mio padre ci ha invitati a pranzo.»
Camille lo osservò mentre le si sedeva di fronte e tornava a sorseggiare il proprio caffè. Il volto di Alexander non tradiva alcuna emozione, eppure c’era una certa stanchezza nel suo sguardo. La donna si sentì in colpa. In quei giorni era stata così impegnata da essere a malapena riuscita a parlare con lui. Come aveva predetto il padre di Camille, era stata un’illusione credere di poter tornare alla loro vecchia vita come se nulla fosse. Rimaneva quell’anno che avevano trascorso distanti, vivendo una vita sospesa, in attesa, in cui comunque erano successe cose che li avevano segnati. Decisamente non come dovrebbe essere un primo anno di matrimonio.
Camille avvicinò la tazza alle labbra e ci soffiò sopra delicatamente. Si disse che dopo il pranzo avrebbe proposto ad Alexander di andare via per qualche giorno, solo loro due. Avrebbe fatto bene ad entrambi.
«Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare, sai che io sono qui» gli disse.
«Lo so» Alex le sorrise, poi aggiunse: «Grazie».
 
Non appena la figura imponente della villa dei suoi genitori comparve davanti a loro, Alexander cominciò a sentire un nodo in gola e un peso schiacciargli il petto. Roman gli aveva lasciato un messaggio quella mattina per dirgli che aveva fatto sistemare due auto intorno alla villa di suo padre, nel caso ne avesse avuto bisogno. Nel ripensare a quelle parole, Alexander prese un respiro profondo.
Camille guardava fuori dal finestrino con noncuranza. I capelli fini e biondi le ricadevano lisci sulle spalle e le labbra, tinte di un rossetto rosa, erano tirate un sorriso sereno.
L’auto li lasciò davanti all’ingresso, dopodiché fece inversione e tornò da dove era venuta.
Robert Henderson e sua moglie li attendevano nella sala da pranzo, dove il lungo tavolo di legno di noce era già apparecchiato con il servizio più elegante.
Alexander salutò sua madre con un abbraccio e due baci sulle guance. La sentì stringerlo a sé in modo più forte del dovuto, quasi volesse trattenerlo ancora contro il proprio petto. Non la biasimò. A causa della presenza ingombrante di suo padre, non si vedevano molto, ma Elizabeth Henderson era una donna buona e mite, che amava i propri figli con un trasporto che tendeva a cancellare le loro colpe e difetti.
«Sei dimagrito?» gli domandò, tastandogli il braccio. Lui scrollò le spalle e la conversazione non ebbe seguito, perché Robert chiamò lui e Camille, conducendoli verso la stanza adiacente. Si fermarono sulla porta e l’uomo si voltò per parlare.
Mentre fissava il volo austero di suo padre, Alexander smise di ascoltare qualsiasi menzogna si stesse inventando. Guardava la sua bocca sottile parlare dei Fairbanks e del bambino senza famiglia, ma la sua mente non stava realmente processando quelle informazioni. Tutto il suo corpo era teso nell’intento di captare qualsiasi segnale della presenza di Noah intorno a lui.
Sentì Camille aggrapparsi a lui e rivolgergli gli occhi chiari sbattendo lentamente le sue lunghe ciglia.
«Cosa ne pensi?» gli mormorò sottovoce, in un bisbiglio che a malapena raggiunse le sue orecchie. La ruga tra gli occhi della donna rivelava apprensione e timore.
Alexander rispose con l’unica cosa che gli era concessa in quel momento: «Mio padre ha ragione».
Camille, seppur riluttante, fece un lieve cenno di assenso nei confronti di Robert e lui aprì la porta che conduceva al salottino accanto alla sala da pranzo.
Sull’ampio tappeto persiano che copriva il parquet della stanza, stava seduto Noah, che giocava con quelle che Alexander riconobbe come macchinine che gli avevano regalato da piccolo.
Non appena sentì il rumore della porta aprirsi, il bambino alzò il capo. 
Il suo volto, di fronte a quegli estranei, era perplesso, ma quando riconobbe Alexander, sorrise.
«Ciao papà».
 
 
 
 
Sedettero a pranzo nei posti che Robert aveva assegnato loro. I padroni di casa da un lato del tavolo, mentre gli ospiti sedevano di fronte a loro, con Noah a capotavola tra Robert e Alexander. Quest’ultimo era stato sottratto dall’impiccio di dover spiegare perché il bambino lo avesse chiamato “papà” da una battuta di Camille: «Lo hai visto ieri sera e già ti si è affezionato!»
Alexander aveva sorriso e annuito. Non avrebbe saputo pensare una scusa migliore.
Il pranzo cominciò senza ulteriori indugi. Tutti erano impazienti di avere una scusa per distrarsi.
Camille porgeva domande cordiali e caute a Noah, come saggiando il terreno. Alexander non avrebbe saputo interpretare la sua reazione alle rivelazioni del padre. Di sicuro Camille non era entusiasta all’idea di un cambiamento così radicale imposto dall’esterno. Accogliere un bambino più o meno sconosciuto in casa non era un compito semplice, eppure la donna si era mostrata indulgente fin da quando Robert aveva accennato alla questione. Alexander sospettò che si trattasse del suo nuovo spirito votato alla beneficenza e all’aiutare il prossimo. Forse fino a una settimana prima avrebbe fatto più fatica a digerire la novità, ma in quel momento guardava Noah con sguardo benevolo, accogliente.
Mentre le portate scorrevano davanti ai suoi occhi, Alexander cominciò a rilassarsi e ad unirsi alle conversazioni con maggiore disinvoltura. 
Prima del dolce, fecero una breve pausa. Camille si scusò e andò in bagno, Robert prese una telefonata di lavoro ed Elizabeth si mise a passeggiare per la stanza, fino a fermarsi di fronte alla grande finestra che si affacciava sul giardino.
«Mi ricordo quando da qui guardavo te e i tuoi fratelli giocare insieme» commentò rivolta verso Alexander, poi si perse nella contemplazione del paesaggio.
Noah, come se avesse colto che si trattava di un momento libero, tirò Alexander per la manica della camicia per avere la sua attenzione.
«Quando posso vedere la mamma?» gli domandò, sondandolo con i suoi occhi color ambra.
Alex gli prese la mano. «Presto. Resisti ancora un poco.»
Noah corrugò la fronte con fare che l’uomo trovò dolce e adorabile. «Quel signore ha detto che è mio nonno. È vero?»
Controvoglia, Alexander dovette annuire. «Sì, è mio papà, quindi tuo nonno. So che sembra tutto strano ora, ma le cose si sistemeranno presto, te lo prometto.»
Una piccola vocina nella sua testa gli suggerì che era meglio non promettere cose di cui non era troppo sicuro.
Camille tornò dal bagno e dopo poco li raggiunse nuovamente anche Robert. La tavola si ricompose e presto arrivò il dolce.
 
 
Dopo pranzo, il padrone di casa li convinse a spostarsi nel salotto dove si trovava Noah quando erano arrivati. Il bambino tornò sul tappeto a giocare con le macchinine e Alexander si sedette con lui. Robert fumava un sigaro seduto su una poltrona in pelle marrone, mentre le due donne chiacchieravano tra loro sull’ampio divano bianco.
D’un tratto, ad interrompere la quiete del primo pomeriggio, un uomo vestito di nero si affacciò alla porta del salotto. Alexander lo riconobbe come uno dei collaboratori di suo padre e infatti, non appena lo vide, Robert si alzò in piedi e gli si avvicinò. L’uomo gli sussurrò qualcosa nell’orecchio, poi, ad un cenno di assenso dell’altro, sparì nuovamente nel corridoio.
«Signore» disse Robert voltandosi verso le donne che interruppero le loro chiacchiere per guardarlo. «Spero mi perdonerete, ma un affare urgente mi chiama. Cercherò di essere da voi il prima possibile».
Il suo sguardo indugiò un istante troppo a lungo su Alexander prima di lasciare la stanza, cosa che convinse il figlio ad alzarsi e seguirlo rapidamente. Raggiunse il corridoio in tempo per vedere il padre infilarsi in una stanza poco distante, che Alexander ricordava fosse un altro salotto da dove guardavano la televisione quando erano piccoli. Lui e i suoi fratelli trascorrevano intere serate litigando su cosa guardare in TV e alla fine veniva l’ora di andare a letto.
Seguì Robert all’interno, lo vide prendere il telecomando e digitare un canale preciso. Lo schermo del televisore, incorniciato dai mobili scuri entro cui si trovava, si accese mostrando la pubblicità di una bibita energetica.
«Cosa succede?» domandò Alexander.
«Ora vediamo» fu la laconica risposta.
La pubblicità terminò e riprese il programma da domenica pomeriggio che andava in onda a quell’ora. Alexander riconobbe la presentatrice, una cinquantenne bionda che aveva una passione per le storie lacrimevoli e che era tra le più seguite in città.
«Bentornati con noi!» salutò sfoderando la sua dentatura di un bianco brillante con lo sguardo fisso in camera. «Oggi siamo in diretta in compagnia di un’ospite davvero speciale. Molti di voi la conoscono come la donna più misteriosa di Tridell, ma è qui con noi per raccontarci la sua vera storia.»
L’inquadratura si allargò e Alexander la vide. 
Sulla poltroncina azzurrina accanto a quella dell’host, un poco a disagio nel suo abito dorato. Tutto il fascino che emanava dal vivo risultava appiattito attraverso la camera, facendola apparire come una ragazzina fin troppo elegante.
«Diamo nuovamente un caloroso benvenuto ad Emily Rodak!» esclamò la presentatrice e un brivido attraversò la schiena di Alexander. 
Il suo nome. Ora tutta Tridell sapeva il suo vero nome.
Qualcosa vibrò nella tasca dei suoi pantaloni e, badando che suo padre non si voltasse, estrasse il cellulare usa e getta. “Ho trovato E.” diceva il messaggio di Roman e seguiva il numero del canale televisivo.
Non mi dire, pensò Alexander. Fece sparire il cellulare quando suo padre si voltò e a sua volta estrasse un telefono verso cui cominciò ad inveire, dicendo che voleva qualcuno agli studi di registrazione che fermasse quella pagliacciata.
«Nella prima parte della trasmissione, Emily ci ha raccontato la sua storia, quella di una ragazza che si è vista privata del suo più grande amore, il figlio appena nato» riprese la presentatrice con una vena patetica nella voce. Si voltò verso l’ospite: «Dopo dure battaglie legali, finalmente sei riuscita a ricongiungerti con il piccolo Noah, un anno fa. La domanda è: perché sei qui con noi oggi?»
Emily si raddrizzò e sollevò il mento, assumendo una posa più sicura di sé, più a proprio agio. In un attimo, dal senso di disagio che emanava fino ad un secondo prima, calò rapidamente nel personaggio. Poco importava che ormai tutti sapessero la sua storia, quella che vedevano sullo schermo era senza ombra di dubbio la duchessa.
«La mia storia non è ancora finita, Erin» cominciò in tono deciso ma pacato. «Due giorni fa un manipolo di poliziotti si è introdotto illecitamente in casa mia. Mi hanno ammanettata, in casa mia, mentre frugavano per le stanze alla ricerca di mio figlio.»
Emily fece una pausa drammatica e prese un respiro profondo. «Lo hanno portato via, senza neanche permettermi di parlare o di vederlo.»
Si fermò ancora e abbassò lo sguardo, poi deglutì vistosamente come se le parole che stava per pronunciare le costassero fatica. La presentatrice la tolse dall’impaccio: «Chi avrebbe potuto farti una cosa del genere?»
«Alex?»
Alexander si voltò di scattò, con i nervi a fior di pelle. Camille era sulla porta del salotto e guardava all’interno con un’espressione tra l’incuriosito e il perplesso.
«Ho fatto alcune domande e… credo che la famiglia del padre del bambino abbia a che fare con questo atto di violenza».
La voce di Emily lo colpì alle spalle come uno schiaffo. Camille parve riconoscere la voce e allungò il collo, facendo un passo avanti, per riuscire a vedere meglio lo schermo.
«Chi è il padre del bambino?» domandò la presentatrice.
Alex avrebbe potuto lanciarsi avanti, afferrare Camille e spingerla fuori dalla stanza, ma era comunque troppo tardi. Lei aveva fatto un altro passo in sua direzione, con lo sguardo fisso sullo schermo. I suoi occhi erano sgranati, leggermente sorpresi e confusi da tutta quella sensazione. Dovette riconoscere la persona sul televisore, perché una luce di curiosità le illuminò il volto.
«Suo padre è…» una leggera esitazione, troppo ben calcolata per essere spontanea, «Suo padre è Alexander Henderson.»
Gli occhi di Camille si sgranarono e poi saettarono sui suoi alla ricerca di un diniego. Scandagliò il marito con lo sguardo, in attesa di una spiegazione che negasse quell’assurdità che aveva appena sentito provenire dalla TV.
Alex prese un respiro profondo, ma non negò.
«È vero» boccheggiò Camille terrorizzata. Non era una domanda e lui non tentò di dissuaderla.
«Mi dispiace» fu tutto ciò che riuscì a dire.
 
 
   
 
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