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Autore: Alyeska707    16/12/2020    4 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
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CAPITOLO 2


Duncan passò le ore nel negozio di musica sforzandosi di fare il meno possibile. In realtà gli strumenti non li aveva davvero lucidati, si era limitato ad agitarci sopra lo straccio, giusto un po', quando notava Chef avvicinarsi. Poi aveva sistemato alcune chitarre e anche aiutato Trent a portare in negozio degli articoli appena arrivati. Contava di fare meno, si ritrovò a pensare dopo l’annuncio di Chef: «Tu, si tu. Vai bene. Sei dentro. Adesso potete andare, tutti e due. A domani. Puntuali!», ma non poteva lamentarsi. A quanto diceva Trent, la presenza di Chef non era sempre garantita, e quando mancava e non c’erano clienti iniziava lo sballo. Il ragazzo alla cassa, il rosso, aveva confermato le sue parole: «Un vero sballo.» Sì, perché non c’era nessuno ad impedire loro di prendere uno strumento e mettersi a strimpellarlo un po’, con la scusa di controllare l’accordatura della chitarra, del piano verticale, il tono del microfono…
«Allora le sai infrangere anche tu, le regole» aveva commentato Duncan, rivolgendosi a Trent. Lui aveva risposto con un’alzata di spalle. «Solo quando infrangerle non comporta dei rischi.» Duncan aveva alzato gli occhi al cielo: che noia.

Non tornò all’appartamento con Trent. Si era già incamminato con lui, quando si era ricordato di avere il frigo totalmente vuoto. Aveva della birra, sì, ma lui aveva talmente fame! Deviò sperando di trovare un supermercato, o qualcosa del genere, che gli sarebbe andato bene di tutto. Alla fine raggiunse un fastfood e optò per prendersi un hamburger da mangiare per strada e, perché no, un’altra birra, che è sempre meglio averne una bella scorta. Era davvero buono, quell’hamburger, così buono che chissenefrega dell’orario della cena; non erano neanche le sette, e allora? Duncan era affamato, non aveva nemmeno pranzato per fuggire da casa di quella Courtney senza far insospettire la cugina, non fosse mai che vedesse uscire dalla camera della ragazza perfetta e promettente un criminale tatuato e poco rassicurante, la credibilità della ragazza avrebbe fatto un tale tonfo!

Aveva quasi finito il suo panino, quando, maneggiando con una sola mano, infilò la chiave dell’appartamento nella serratura per entrare in casa. E proprio in quel momento, l’ultimo boccone di hamburger gli cadde di mano per il sobbalzo di sorpresa, perché non era solo.
«E tu come sei entrata?»
«Ovviamente tengo sempre una copia delle chiavi di questo posto, sciocchino.» Courtney era seduta sul divano di quel buco di stanza che, per consuetudine, si sarebbe definito salotto. Agitò il mazzetto di chiavi facendole tintinnare tra loro, per poi chiuderle nel palmo. «Ti ho chiamato, prima.»
«Ero a… lavorare.» Non ne era convinto a pieno nemmeno lui, di quella risposta. Quindi aveva un lavoro, adesso? Era stato facile. Oh, doveva assolutamente andarlo a dire a Geoff!
Courtney si alzò. «Volevo farmi perdonare per prima, non volevo cacciarti, ma sai no… mi capisci…» Aveva preso a giocare con le borchie del collare di Duncan, guardando il punk negli occhi con fare malizioso.
«In effetti non è stato il mio miglior risveglio.»
«Puoi sempre compensare…»
«Andando a dormire in questo momento?» la sfotté.
«Non esattamente…» Courtney sorrise, tra il furbo e l’imbarazzato; non era da lei comportarsi in modo così esplicito, ma quel punk l’attirava, non poteva farci niente! Il gelo che promanava dagli occhi chiari sapeva di sfida continua, e Courtney viveva di sfide!
Duncan era stanco, davvero stanco, e aveva sonno, davvero, davvero sonno. Però… al diavolo. Cedette alle avances di Courtney senza nemmeno rendersene conto, e in neanche un minuto erano già svestiti.
 
La mattina dopo, si svegliò che non era ormai più mattina. Era ora di pranzo, e di Courtney non c'erano più tracce. Duncan dormiva così profondamente che non se n’era nemmeno accorto, quando la ragazza era andata via. Aprì gli occhi ritrovandosi accecato dalla luce. Subito li ricoprì col cuscino. Poi fece una doccia. Uscì sul pianerottolo, dopo, avvolto soltanto da un asciugamano allacciato in vita, per sistemare le converse rosse fuori dalla porta. C’era già abbastanza tanfo di chiuso, in quella topaia.

«Eh-ehm…» Era Gwen, anche lei lì sul pianerottolo, con le spalle contro alla porta, a fumare una sigaretta.
«Oh, ciao» le fece il punk, perfettamente a suo agio.
«Ti chiederei com’è andata ieri al negozio con Trent, ma direi bene, a giudicare dai rumori che ho sentito dei tuoi festeggiamenti.»
Duncan sogghignò. «Volevi essere invitata anche tu?»
La ragazza scosse la testa. «Sei proprio uno scemo.»
Una coppia di anziani fece capolino dalla rampa di scale. Subito il signore, alla vista di Duncan in quelle condizioni, coprì la vista alla moglie.
«Signori McLean, buona giornata!» li salutò amichevolmente Gwen.
«Anche a te cara» rispose la donna. «Ma perché te ne stai qui fuori? E buttale, quelle sigarette. Tu sei molto meglio di così!»
Gwen sorrise. «Lo so, Blaineley, me lo ripeto di continuo anch’io, di smettere, ma è più forte di me…» Sospirò.
«Eh queste generazioni… divorati dallo stress, eh? Che fragili, che siete. Fossi ancora giovane, ci penserei io a farvi faticare davvero!» intervenne l’uomo. Poi si voltò verso Duncan. «E tu che stai facendo, vuoi far colpo su mia moglie, per caso?»
Duncan rimase interdetto. Non capiva se stesse parlando sul serio, oppure no.
«Beh, tua moglie è una bellissima donna Chris, sei un uomo molto fortunato, ma penso che Duncan non sia all’altezza di rubarti il ruolo.» Duncan le rivolse un’occhiataccia. Chris ridacchiò.
«Sì, sì lo so. Mia moglie è splendida. Ha preso dal marito. Buona giornata, Gwen. E tu, tu vestiti, per l’amor del cielo!»
Gwen scoppiò in una risata incontenibile, appena i coniugi scomparirono dalla loro vista.

«E così non sarei all’altezza, eh?»
«Intendevi sul serio fare colpo su una settantenne, Duncan? Continui a sorprendermi!»
«Certo che non lo intendevo, ma se avessi voluto, ci sarei benissimo riuscito!»
«Non voglio scommetterci soltanto perché voglio risparmiarti lo squallore di dimostrarmi il contrario.»
Duncan si appoggiò al muro. «Potresti scusarti per aver intaccato così bruscamente il mio orgoglio offrendomi il pranzo... Si dà il caso che sia giusto a corto di cibo.»
Gwen alzò gli occhi al cielo. «Soltanto se ti metti qualcosa addosso, scroccone che non sei altro.»
«E io che pensavo di piacerti ancora di più, così!» Tornò nell’appartamento senza neanche chiudere la porta.
«Simpatico!» gli gridò Gwen dal pianerottolo, spegnendo la sigaretta nel portacenere di vetro.

Trent non era in casa. Era andato a pranzo da un amico, un membro della sua band. Volevano allargare il loro pubblico, trovare locali più importanti in cui esibirsi, spiegò Gwen a Duncan. Che poi, il frigorifero di Gwen non era poi tanto più ricco di quello del vicino: aveva giusto dell’insalata, speck e un… un coso, una sorta di cubo gommoso… un… «Non hai mai mangiato del tofu?»
«To-che?»
«Oh, te lo faccio provare subito. Ha un sapore particolare, ma ti piacerà! Sai, sono brava in cucina, quando mi sento ispirata. Alla fine è sempre un’arte, un’arte del cibo.»
«E ora ti senti ispirata?»
Gwen annuì.
«In questo caso, felice di averti ispirata, bellezza.» Gwen gli gettò addosso un mestolo di legno.
«Ehi!»
«Non sei stato certo tu a ispirarmi!»
«E di chi sarebbe il merito, allora? Sentiamo.»
Gwen aprì le braccia. «Del… tempo! Presumo, spesso l’ispirazione è imprevedibile!»
Duncan si guardò intorno: un paio di tele erano disposte per terra per far asciugare i colori, la prova che Gwen, di ispirazione, si nutriva sul serio.
Il punk si alzò per guardare i disegni più da vicino. «Li hai fatti tu, questi?»
«Sì.»
«Bella e brava… complimenti, il tuo chitarrista sarà fiero di te.»
«Non ti stancherai mai di lanciare frecciatine, non è vero?»
«Non so proprio a cosa tu ti stia riferendo!» esclamò Duncan con una finta innocenza.
«Trent non ti va a genio, sbaglio?»
«Te l’ha detto lui?»
«No. Lui ha la nobile abitudine di guardare sempre il positivo delle persone. Io invece le persone le interpreto, e sono realista.»
«Attenta osservatrice, allora: bella, brava e anche acuta… Mi spieghi cosa ci fa una ragazza tanto interessante con un bravo, noioso ragazzo come Trent?»
«Trent non è noioso. Neanche lo conosci, tu.»
«Sicuramente è più noioso di me» commentò Duncan.
«Sicuramente è molto meno rompipalle.»
«Anche questo contribuisce alla mia attrattiva, bellezza.»
«Quindi è questa la tua tecnica?» Gwen ridacchiò. «Provocare tutte le ragazze che incontri fino ad esaurirle, e portarle a letto? Wow, una tecnica tutta particolare, anche se ieri dev’essersi rivelata efficace.»
Duncan rise. «Ma adesso sei tu a provocarmi.»
«Mi diverte.»
«Allora vedi che non sei tanto diversa da me, infondo.»
Gwen sollevò gli occhi dalla pentola del tofu incontrando quelli di Duncan: fissi, sicuri, ad assecondare un ghigno che si andava delineando sempre più marcatamente… un’espressione che la colpì. Non ne sapeva il motivo. L’aveva trovata artistica, perfetta per lui: era quello lo sguardo che scopriva la sua personalità, era quello che un pittore avrebbe dovuto immortalare per una rappresentazione adeguata. Si bruciò il dito urtandolo col bordo della pentola. Bastò il suo grido di dolore perché l’espressione di Duncan mutasse.
«Ti sei fatta male?» Ecco, adesso i suoi occhi non erano davvero preoccupati, però erano turbati; Gwen aveva perso la perfezione di quell’espressione spontanea prima di fissarsela in testa. Non sarebbe mai riuscita a raffigurarne una simile. Cavolo.
Era così persa nella sua ondata di ispirazione che, al posto di affrettarsi a mettere il dito sotto all’acqua fredda per affievolire il bruciore, era rimasta ferma a guardare il polpastrello diventato tutto rosso. Così ci penso Duncan: si avvicinò al lavandino, bagnò un bordo della propria maglia e fece girare una Gwen ancora incantata, avvolgendole il dito dolorante nel lembo umido. Gwen si ridestò soltanto al contatto freddo. Gli occhi di Duncan, ancora più freddi, la guardavano da vicino, più vicino di ogni loro precedente conversazione. Non sapeva neanche cosa dirgli.
«Prego» disse quindi Duncan. Gwen corrugò la fronte. Era in procinto di farfugliare un: «Eh?», quando lo sfrigolio proveniente dalla padella sul fuoco ricatturò la sua attenzione, trasformando quel «Eh?» in un: «Merda!»

L’imprecazione non aveva salvato il povero tofu, alla fine. Giaceva tutto bruciacchiato, col sughetto rinsecchito tutto attaccato alla padella. Demoralizzante, pensando alle alte aspettative nutrite da Gwen per quel piatto fino a un attimo prima.
«Ti accontenti?» domandò a Duncan.
«Se mi assicuri che è commestibile…»
«è un po’ bruciacchiato, ma è pur sempre tofu.»
«Appunto. È l'ultima parte che mi spaventa.»
Gwen gli riempì il piatto. A Duncan, quel tofu, non convinse proprio per niente e la repulsione trasparì perfettamente dal suo viso, ma finì tutto ugualmente, per salvaguardare l’orgoglio della ragazza, se non altro.
Parlarono, durante quel pranzo, come se si conoscessero da una vita: dal film, rigorosamente horror, preferito, alla band musicale – e chi immaginava che anche Gwen ascoltasse i Pistols! Si erano messi perfino a canticchiare qualche loro canzone, per poi esclamare all’unisono: «In realtà ODIO cantare!» Avevano scherzato, tanto, tutto il tempo praticamente, e le ore erano volate. Gwen non riusciva a credere che il suo vicino di casa fosse, finalmente, una persona sensata: l’ultimo che aveva preso in affitto l’appartamento di fianco era un nerd che assomigliava incredibilmente a un bastoncino da denti, coi capelli arancioni color carota e un muso lungo ricoperto da lentiggini. Non usciva mai e stava tutto il giorno a giocare al computer. Le poche volte in cui Gwen l’aveva incontrato, aveva risposto alla sua domanda di circostanza: «Ciao Harold, come te la passi?» sempre nello stesso modo: «Bene. Stavo facendo un gameplay.» Ogni volta Gwen annuiva e si voltava. Non sapeva neanche di cosa stesse parlando. Con Duncan, invece, capiva eccome quelli che erano i suoi interessi, li condivideva pure!
«Sai che ti dico?» gli disse Gwen dopo la discussione sull’ennesimo film. «Che tra oggi e domani vado a noleggiarlo, e domani sera ce lo guardiamo!»
«Io e te, romanticamente soli?» scherzò Duncan.
«Io te e Trent!»
Il punk increspò le labbra. «Non è che mi piacciano, certe cose a tre.»
Gwen rispose con l’ennesimo colpo scherzoso. «La vuoi smettere? Tu sarai l’addetto pop-corn!»
«Frena dolcezza, non so neanche se sarò disponibile.»
«Perché non dovresti esserlo?»
Duncan ammiccò. «Perché sono imprevedibile, io.»
«In questo caso» ribattè lei, avvicinandosi al viso del punk e ammiccando a sua volta, «saprai di sicuro fare un’eccezione.»

Poi Trent era tornato a casa e trovandoli lì insieme, intenti a scherzare, era solo riuscito a pensare a come cavolo fosse possibile che avessero legato così velocemente.


*****


«È rimasto qui… per pranzo?»
«Sì, Trent. Ero da sola, tu non c’eri…»
Trent si grattò il capo: era il caso di dirlo, o sarebbe suonato come inopportuno, insulso sintomo di gelosia verso un semi-estraneo? Ma era proprio questo il punto: Gwen sola con quello, una volta oggi, poi chissà, forse domani e… e poi? All’infinito? Certo, quell’appartamento era di proprietà della sua ragazza, ma ci abitava anche lui.
«Avrei preferito essere avvisato, si insomma, dei tuoi piani…» Che imbarazzo: chissà come l’avrebbe interpretato Gwen!
«In realtà non c’era nessun piano.» Gwen iniziò a dondolarsi indietro sulla sedia. «Semplicemente si è imbucato all’ultimo e-» Trent le sfilò la sigaretta dalle labbra.
«Imbucato? E dai, non fumare. Lo sai che ti fa male, Gwen. E poi l’odore si impregna.»
Gwen fece ruotare gli occhi e si alzò in piedi. Apprezzava le attenzioni del suo fidanzato, davvero: Trent nutriva un interesse incredibilmente sincero nei suoi confronti, dalla salute ai turbamenti emotivi… tutto, nei minimi dettagli. Spesso Gwen si ritrovava a interrogarsi sul motivo di così tanta disponibilità, che era ancora più di così tanta; erano fidanzati da più di un anno, certo, e curarsi dell’altro in una relazione seria come la loro è fondamentale, ma a volte Gwen aveva come il presentimento di un timore da parte di Trent, un timore come di perderla, nutrito da paranoie inutili. Così un: «Sicura di stare bene?» finiva col tingersi di un: «È tutto a posto tra di noi, no?», e un: «Stai attenta» diventava un: «Ci penso io a proteggerti». Non voleva essere autorevole, Trent; non ci riusciva neanche: la sua voce risultava sempre troppo pacata per dominare la scena. La verità era che Gwen era così perfetta agli occhi di Trent da farlo sentire inadatto. Non che lui fosse un brutto ragazzo: alto, snello, occhi chiari e un gran talento. Aveva anche la sua piccola cerchia di ammiratrici innamorate che andavano a sentirlo ad ogni esibizione. Ma Gwen, ai suoi occhi, era più che bella, era sovrumana: perfetta, così preziosa che non sentiva di meritarla. Gwen… la stessa Gwen che si mise a sbuffare, protestando: «Non ho dieci anni, Trent! E dammi quella paglia! Vado a fumare in balcone.»
«Così puoi continuare la conversazione con Mr. Cresta verde da lì?!» Trent non si era nemmeno accorto di averla pensata, quella domanda retorica. Finché non l’aveva pronunciata, e sentita, e con lui anche Gwen, che si era girata di scatto.
«Mi spieghi che problemi hai oggi?» sputò.
Trent non sapeva nemmeno come tornare sui suoi passi, ormai… Un semplice: «Scusa, non prendertela, è colpa mia» non avrebbe fatto altro che adirarla di più: lo sapeva, Gwen amava aver ragione, ma detestava chi gliela dava vinta a prescindere.
«Sì» mormorò Trent, in un filo di voce. «Non è che mi convinca tanto, lui. Ti guardava come se…»
«Come se cosa, Trent? Sentiamo.»
«Come se fossi sua.»
«Sei serio?» Si sentì quasi smossa dall’ironia. «Stavamo solo scherzando, Trent! Tutto bene? Si è trasferito da quanto, due giorni? E già vai a pensare queste cose?» Si accese la sigaretta sulla soglia della porta-finestra. «Fantastico, non voglio immaginare come sarai tra un mese!» Quindi uscì. Trent rimase dentro invece, sentendosi in colpa per la sua osservazione, anche se in cuor suo ci sperava, che quella a sentirsi in colpa fosse anche un po’ la sua Gwen. Perché insomma, lui notava certe cose perché lo indispettivano, lo facevano stare male! Di sicuro non si divertiva, a fare congetture amorose tra la sua ragazza e il nuovo vicino di casa!
«E per la cronaca» disse Gwen, coprendo la luce che filtrava dall’esterno: «L’ho invitato qui domani sera, per vedere un horror, tutti e tre. Per passare una bella serata.»
Ah, quindi ora serve il punk per passare una bella serata? Trent acconsentì e basta. Lamentarsi sarebbe stato inutile e spiacevole, anche se lamentarsi è quello che avrebbe tanto voluto.
 
A una parete di distanza, Duncan se ne stava sdraiato sul letto a guardare il soffitto. Mancava ancora un po’ all’inizio del turno. Se ne stava sdraiato e non pensava a niente: bello. E non sentiva niente: ancora meglio. Cos’erano le emozioni, nel cuore di Duncan? Impulsi, adrenalina e desiderio: ecco gli stati d’animo che riconosceva. Di altri no, non ne esistevano: paura? Esclusa. Malinconia? No, indifferenza. Ci trovava gusto a sentirsi tanto intangibile, si sentiva forte. Un Duncan emotivo proprio no, non riusciva proprio a concepirlo… un’eresia! Scherziamo? Duncan era un duro, sfacciato e insensibile: eccome se lo era!
Tastò il comodino con la mano finché non raggiunse l’impugnatura del suo coltellino, fedele compagno di vita e avventure (ruotate attorno al riformatorio e una sfilza di bar, perlopiù). Intagliò un piccolo teschio nella testiera lignea del letto – che tanto, cosa avrebbe potuto dirgli Courtney? Duncan sbuffò divertito al pensiero: l’avrebbe baciato sulle labbra e gli avrebbe detto che non si fa, ma che era un bel disegno tuttavia, e alla fine l’avrebbe baciato di nuovo, e ancora – . Ecco, gli bastò incidere il suo disegno per sentirsi rappresentato da quella stanza. Gli bastava davvero poco, per sentirsi a posto. Allo stesso tempo, era insaziabile.
 
La sera, dopo il turno negozio (questa volta incustodito da parte di Chef, e complice di un’interessante, apprezzata distanza da parte di Trent), una chiamata: Geoff era stato assunto; era anche ora…

 


Salut mes chers! Finalmente si comincia a entrare nel vivo della trama...: Trent ingelosito (un déja-vu!), Duncan così... Duncan, Courtney e il suo controllo su tutto-tutti, Gwen e la sua ispirazione... e i coniugi McLean! Non vedevo l'ora di inserirli xD insomma, Chris vecchietto sadico non l'avevo ancora visto, e allora ho pensato: creiamolo! E mi piace, mi piace molto; spero piaccia anche a voi!
Inizialmente questo capitolo era separato (all'altezza degli asterischi) in due capitoli minori, il 2 e il 3, ma considerando che non erano poi lunghi, soprattutto l'ultimo, e dato che conservano una stretta relazione, ho pensato di unirli (in realtà la scelta è stata soprattutto dettata dalla voglia di pubblicare il prima possibile il prossimo capitolo, in origine il 4, che ora si è magicamente trasformato in 3: preparatevi, preparatevi davvero, perchè non ne vado fiera, ma DI PIU')
Intanto mi raccomando, fatemi sapere le vostre impressioni, che leggo e rispondo estremamente volentieri!
e restate sintonizzati, sempre qui, su The Apartment, per scoprire l'esilerante proseguimento dei nostri personaggi ;)

a presto,
Alyeska
   
 
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