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Autore: Soe Mame    16/12/2020    1 recensioni
Il momento arriverà.
Continua ad aspettare, continua ad aspettare che arrivi.
Continua a sperare, continua a sperare che arrivi.
[1649-1738: È bastato meno di un secolo per cambiare tante cose tra il Sud Italia e la Spagna.]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Attenzione: In questo capitolo sono presenti riferimenti alla morte e a disastri naturali.]


1699

Non l'avrebbe rivelato ad anima viva - né ad anima morta, fosse mai che nonno Roma o madre Langobardia fossero in ascolto -, ma quelli erano stati i trentanove anni più belli della sua vita.
D'accordo, si trovava in un posto dove si ubriacavano con la frutta nel vino, si facevano incornare dai tori prima di cucinarli e parlavano una lingua spudoratamente simile alle sue, ma non si trovava male. Il clima era perfetto, la cucina era accettabile, l'architettura e i panorami un bel vedere - Avrebbero dovuto lavorare un po' sulla moda maschile, ma meglio dei parrucconi riccioluti di Francia. Sì, stava bene. Avrebbe mentito se avesse affermato che il bastardo non c'entrasse niente, ma non poteva permettersi di dargli tutto il merito - Antonio non avrebbe mai avuto il pieno merito di nulla di positivo, era un suo punto fermo. Ecco, poteva dire che gli piacesse la Spagna. Spagna era Spagna, ma non è che si fosse messo lui a far crescere gli alberi in un certo modo, a decidere la disposizione delle montagne o a stabilire che dopo pranzo fossero necessarie due ore di riposo. Pensandoci bene, Antonio non aveva poi tutto questo merito, nel suo fargli tanto apprezzare quei trentanove anni. Poco importava pensasse (molto) più al cretino che alle meraviglie naturali o architettoniche, era la semplice conseguenza dello scorrere della Storia. Di certo non era merito di un simile idiota se, nella sua mente, quei trentanove anni d'Inferno per l'Europa fossero associati a ricordi positivi.
Non era stato con il bastardo trentanove anni tondi, sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro. Non che l'avrebbe voluto. Voleva starsene per conto suo, ogni tanto, senza idioti pronti a ricoprirli di vestiti bianchi e rossi, pomodori maturi, urla squillanti, frasi mielose, piogge di baci e cose che avrebbero fatto deflagrare lo zio Petrus.
Sfortunatamente, era giunto uno di Quei Momenti: Francia, di suo, era un grande e ricco impero forse per sbaglio, ma aveva la quantomai bizzarra tendenza ad avere slanci mitomani ogni tot anni. Tali slanci mitomani corrispondevano all'ascesa di un sovrano carismatico, quindi la colpa di questi tristi avvenimenti doveva essere del regale didietro che si posava sul trono francese. Purtroppo, il suo re attuale corrispondeva alla descrizione e Francia aveva deciso di andare a rompere i coglioni a Sacro Romano Impero. Nel giro di poco tempo, si era trovato l'intera Europa pronta a saltargli alla gola: il nano aveva richiamato tutti i suoi accoliti, Spagna aveva dovuto rispondere; poi, in simpatia, si erano aggiunti Svezia e Danimarca e Norvegia, e si era intrufolato nell'Alleanza anche quel cazzune di Savoia, galoppino di Sacro Romano Impero ma locatario di Italia Veneziano. Dato che erano contro Francia, Inghilterra era stato in prima fila, ma era successo qualcosa di assurdo per cui il suo nuovo re era olandese, quindi tra gli alleati figurava anche Olanda. La trafila di cazzate di Francia era finita solo due anni prima, dopo nove anni di rotture di palle, con un sentitissimo cazzotto sui denti al damerino imparruccato e sua cessione del maltolto - tra cui territori di Manon e Lucilin.
Durante la guerra, Romano non avrebbe saputo dire se ciò che indispettiva di più Spagna fosse il dover collaborare con Inghilterra o il trovarsi contro Francia - Sospettava fosse il trovarsi contro Francia ed essere alleato di Inghilterra. E quell'improvvisa vicinanza di Abel e il demonio non doveva essergli granché piaciuta. Lovino si era risparmiato invettive sugli imperi e si era limitato a stargli vicino, a fargli dimenticare per un po' la follia di Francia e dell'Europa tutta.
Non che fosse facile. Del resto, prima di rivelare la sua mitomania secolare, Francia aveva attaccato Genova. La vicenda aveva un che di surreale: quell'emerito pezz'i mieidda di Savoia aveva aggredito Genova perché voleva un porto. Lovino l'avrebbe volentieri scorticato centimetro per centimetro, Spagna era andato a rivoltargli la faccia - E pare che Savoia fosse stupito, sorpreso e incredulo dell'essersi ritrovato i parenti di Feliciano incazzati e pronti a porre fine alla sua idiozia. Romano non era andato - Antonio gli aveva detto che non era sicuro allontanarsi da Madrid, in quel momento -, quindi ciò che sapeva lo sapeva solo dal suo racconto. Non che avesse da dubitarne, vista la gioia con cui parlava del terrore di Savoia alla sua vista - E avrebbe così tanto voluto esserci! Purtroppo, però, non era stato Spagna - e neppure Genova - a concludere quella guerra ridicola: era stato Francia, con il suo Re Sole, a portare le parti in gioco alla pace, per poi usare il Nord Italia come teatro per le sue lotte contro Paesi Bassi e bombardare Genova per aver accettato l'aiuto di Spagna.
«Ecco il suo grande affetto per Feliciano.» Lovino non si era potuto trattenere: «Feliscianòòò, Feliscianòòò, e poi lo usa come pedina, campo di battaglia e sagoma per il tiro al bersaglio!»
Feliciano non era a Genova, ovviamente, ma doveva comunque averne sofferto. Lovino non aveva certo chiesto ad Antonio di informarsi circa la sua salute e riferirglielo, ma Antonio lo aveva fatto lo stesso: non potendo andare a Vienna, aveva contattato Austria. Veneziano era molto debilitato, ma aveva dato presto segni di ripresa, tanto da impelagarsi in un'altra guerra contro Impero Ottomano - tra l'altro proprio al fianco dell'infame, che, durante la guerra, aveva pure avuto la faccia di bronzo di passare dalla parte di Francia.
«Felì starà bene.» gli aveva detto Spagna: «Pensa a riposarti.»
Era ridicolo pensare che quei trentanove anni fossero il periodo più bello della sua vita. Feliciano era di nuovo stato ferito da Francia. Antonio doveva combattere contro un suo amico - amico che aveva ferito un... una persona a cui teneva -, abbassarsi alla volontà di un marito che iniziava a malsopportare, allearsi con colui che odiava di più in assoluto, vedere un suo ex-sottoposto passare così platealmente dalla parte di quest'ultimo, il tutto mentre il Siglo de Oro diventava un lontano ricordo, i suoi stessi Capi erano fragili e il presentimento di un disastro imminente incombeva come una nube temporalesca.
E poi c'era lui, Lovino, che in quei trentanove anni aveva rischiato di morire.
La prima volta era stato nel Sessantanove. Uno scoppio d'ira così intenso, del tutto irrazionale, da dargli l'impressione che il suo cervello fosse scoppiato, che i suoi muscoli si fossero strappati, gli occhi bruciati e i timpani esplosi. Gli ci vollero quattro mesi per riprendersi, e si era portato gli echi di quel dolore per molto tempo. Non ricordava neppure cosa l'avesse fatto scattare - Non ricordava più niente, erano stati gli altri a dirgli cos'era successo. Non che fosse successo niente, dato che l'avevano legato al letto per non fargli compiere gesti inconsulti. Pareva che, all'inizio, fosse stata Manon a fermare la sua furia, ma poi era arrivato Antonio, che l'aveva materialmente trascinato fino alla sua prigione temporanea. Si era dovuto scusare con tutti, e si era ripromesso di contare almeno fino a trenta prima di arrabbiarsi - Impossibile, ovviamente. Poi Spagna lo aveva informato di cosa fosse successo. Beh, era ovvio non fosse stata semplice rabbia.
La seconda volta era stato nell'Ottantotto. Gli era mancato il respiro dal dolore, e si era accasciato a terra. Non sapeva neppure cosa facesse male - Faceva male tutto, come tanti coltelli conficcati nella carne, ognuno in un momento diverso, in un punto diverso. Era ovvio che fosse successo qualcosa alla sua terra. Non era la prima volta. Forse si sarebbe dovuto abituare, se lo ripeteva ogni volta, ma poi si ritrovava ad annaspare e a piangere.
«Era un presagio.» aveva buttato lì, quando la Spagna era entrata in guerra contro la Francia, pochi mesi dopo. Antonio gli aveva rivolto un'occhiata cupa. Lovino si era convinto fosse per la nuova guerra, e non per il ricordo del suo dolore. Doveva farlo, per continuare ad ostinarsi a fingere di stare meglio anche se non era vero, senza pesare troppo su nazioni in procinto di crollare.
La terza volta era certo sarebbe morto. Era il Novantatré. Un'agonia durata tre giorni, conclusasi non con la sua morte ma con la perdita dei sensi per mesi.
Spagna era in guerra, era con Inghilterra, Scozia e Paesi Bassi in Belgio. Manon, per le guerre che avevano luogo nel suo territorio, non stava bene.
«È davvero un anno di merda.» le aveva detto, in uno dei pochi momenti di lucidità. Lei aveva cercato di sorridergli. Lui si era di nuovo addormentato. L'aveva capito, dopo. L'aveva capito che quelli che lo circondavano non sapevano se l'avrebbero rivisto svegliarsi.
Sapeva quanto fosse stupido, egoista e disgustoso ma, se proprio doveva morire, avrebbe voluto che Spagna non fosse a Fanculo ma a Madrid, lì vicino a lui. Si era ripromesso di non dirglielo mai ma, appena l'aveva rivisto, gliel'aveva quasi urlato. Voleva pesare su quella nazione in procinto di crollare. Voleva farla cadere a pezzi, per quanto gli importasse, voleva che gli stesse vicino anche se era distrutto lui stesso. Anche se, quando era tornato, lui era di nuovo in grado di camminare, e dormiva quanto si supponeva dormisse. Ma Romano gli aveva riversato addosso tutta la stupidità, tutto l'egoismo e tutta la disgustosità che aveva soffocato per mesi.
La quarta volta era stato l'anno successivo. Non si sarebbe mai abituato a tutto quello. Non si sarebbe mai, mai abituato.
«Tre in sette anni.» aveva detto, quasi distratto: «Si stanno facendo sempre più vicini.».
Le occhiaie gli rovinavano il viso, così come quell'ombra sotto gli zigomi. Le dita erano più sottili di quanto ricordasse. Tutto era diventato più faticoso. Scaricare le casse con la merce era divenuto impossibile, le raccolte negli orti erano a metà, lavare un unico pavimento lo lasciava senza fiato.
«Non capisco...» L'espressione preoccupata di Manon gli aveva garantito che non fosse impazzito. «Eppure mangi! Ti vedo!»
Secondo il dottore, non aveva nulla che non andasse. A livello fisico, perlomeno.
«Questa sarebbe la diagnosi per un essere umano.» aveva specificato l'uomo: «Non so cosa potrebbe provocare simili reazioni ad una nazione.»
Poi erano iniziati gli svenimenti. Erano molto fastidiosi, perché quando si risvegliava aveva sempre un bernoccolo dolorante - Quando vagheggiava di avere le corna, non parlava di bernoccoli giganti o file di bernoccoli impilate!
«Forse è debilitato per tutte le cose che sono successe nelle sue terre...» L'ipotesi di Lucilin sembrava la più plausibile, anche se Belgio aveva fatto notare: «Ormai è passato! Dovrebbe riprendersi, non peggiorare!»

C'era un'altra ipotesi.


«Va tutto bene, Lovi.» gli sussurrava Spagna, la notte: «Finché resterai qui, andrà tutto bene.»

Di tanto in tanto, Romano dava le spalle allo specchio, e guardava in uno specchio più piccolo. In quegli ultimi anni, i segni sulla sua schiena si erano fatti più profondi.


«Davvero?» gli chiedeva Lovino.

Una ragnatela di graffi e quelle che sembravano cicatrici formavano quel profilo che conosceva così bene. Così vicino e così difficile da toccare.


«Te lo giuro.»

Gli credeva. Gli credeva, perché altrimenti sarebbe impazzito.


Quei trentanove anni erano stati il periodo più bello della sua vita. Anche se ogni cosa era sul punto di venire distrutta. A forza di stare con Antonio, era diventato stupido anche lui. Non avrebbe avuto motivo, altrimenti, di continuare a pensare e ripensare a tutte le cose belle che erano successe, a conservarle gelosamente, a volerne vivere ancora. Che fosse una visita in città spagnole scelte a caso, che fosse un torneo improvvisato di scherma, che fosse un tentativo fallito di fare una torta ai pomodori, che fosse esplorare la nave ammiraglia ormeggiata e finire con il fare l'amore sottocoperta, ripensando a quei trentanove anni pensava prima a tutto quello che alla sua quasi morte. Era strano, forse. Però gli piaceva di più così.
Anche se ormai non poteva più ignorare l'evidenza.


Aprì gli occhi. Era nel suo letto e, a giudicare dalla luce che entrava dalla finestra, era primo pomeriggio. Ci volle un istante per accorgersi di Manon, seduta su una sedia a fianco del letto. Allo stesso modo, a Manon ci volle un istante per accorgersi che fosse sveglio.
«Oh!» Sorrise. «Ti svegliato! Vuoi un po' di mela? La stavo tagliando per me.»
Una mela sbucciata nella mano sinistra, un coltello nella mano destra, un piatto con della buccia di mela in grembo. Da quant'era al suo capezzale? Aveva pranzato o aveva ceduto a mangiare qualcosa palesemente non destinato a lei?
«No, grazie.» borbottò Lovino: «Mangiala tu.» Si coprì il viso con un braccio. L'ultima cosa che ricordava era di star camminando per un corridoio del secondo piano. Era ovvio cosa fosse successo. Alzò anche l'altro braccio e si passò le mani sulla testa, piano. Ah, stavolta era al lato destro della nuca.
«È una fortuna che tu sia così abituato a dare testate.» commentò Manon, la mela divisa in spicchi perfetti.
«Già...» Riportò le braccia lungo i fianchi e guardò il soffitto. «Quanto ho dormito?» Dormito. Si diceva così.
«Non tanto. Tre ore.»
Lovino sbuffò. Odiava svenire. Odiava i bernoccoli. Si mise a sedere, con calma. Il bernoccolo pulsava un po', ma aveva sopportato di peggio.
«Proprio oggi che España è fuori.» Manon mangiò l'ultimo spicchio. Sì, aveva decisamente fame. «Ci fosse stato lui, ti avrebbe preso al volo.»
Romano evitò di guardarla, ed era sicuro che le guance avessero assunto lo stesso colore della buccia della mela - che non era né gialla né verde. In quelle situazioni, Antonio si rendeva utile afferrandolo prima di farlo schiantare sul pavimento, ma poi doveva sorbirsi le frecciatine di Belgio. Non che lei avesse rimostranze, se non-

«Sei così piccolo, Lovi!» gli aveva detto, prendendogli le mani, gli occhioni colmi di lacrime fintissime: «Non riesco a pensare che tu faccia certe cose! Sei... sei piccolo
Lovino si sarebbe voluto sotterrare, ma poi si era ricordato che, se Manon era così con lui, con Lucilin sarebbe stato molto peggio.

«Anche se credo dovrebbe tornare a momenti.» La voce di Belgio lo riportò al presente. «Se poi aspetta le chiamate in scena come al solito, dovrebbe arrivare proprio-»
La porta si spalancò - O meglio, fu ad un passo dallo scardinarsi e planare fuori dalla finestra.
«Ora!» Manon sorrise e si alzò. «Mi raccomando, Lovi, non affaticarti.» Si voltò e rivolse il suo sorriso di puro sole anche ad Antonio. «Bentornato. Lovi si è appena svegliato, un tempismo perfetto!» Detto ciò, uscì dalla camera e si richiuse la porta alle spalle, dimostrando come fosse ancora attaccata ai cardini.
E lui rimase solo con l'imbecille in piedi in mezzo alla stanza, ancora con il mantello da viaggio. Doveva essersi precipitato lì appena era venuto a sapere.
«Lovi-»
«Sto bene.» si affrettò a dire Lovino. Per dimostrarlo, posò i piedi a terra e si alzò. «Visto?» Aprì le braccia. «Nessun-»
«Deo gracias!» Purtroppo Antonio deficitava di intelletto - oppure era malvagio -, quindi aveva approfittato del suo gesto per stritolarlo in un abbraccio. «Tenía miedo de que te hubiera pasado algo-»
«Eh, un zumbugliu, che me sarà mai successo?» Lasciò ricadere le braccia, che per pura traiettoria finirono per accennare un abbraccio. Posò la fronte contro la sua spalla. Almeno stavolta non gli era cresciuto un bernoccolo sul viso. Era antiestetico. Quelli sotto i capelli potevano passare inosservati, invece.
«Senti.»
«Dimmi, Lovi.»
«Voglio che mi dici cos'ho.»
Sentì la mano di Spagna sulla testa. Poi, le sue labbra sulla tempia.
«Non stai bene, Lovi. Ma, finché rimarrai qui, andrà tutto bene.»
«Ho il bernoccolo qui, vedi di non toccarlo.» Lo indicò, per poi riportare il braccio dov'era. «Non mi sembra di stare poi tanto meglio, sai?»
Antonio sospirò. Era più un inspirare nervoso per calmarsi, e un espirare teso. «Temo sia per colpa mia.»
«Ovvio. È sempre colpa tua.» Infilò le mani sotto il mantello e si aggrappò ai suoi vestiti. Se fosse rimasto lì, non avrebbe sentito il freddo. Sentiva sempre freddo, quando gli dicevano cose sgradevoli.
«Mi sto indebolendo.» Spagna gli ricordò l'ovvio: «E questo si ripercuote anche su di voi.»
Aveva fiducia nella sua buona fede. Ma, se fosse stato il vero motivo, gliel'avrebbe detto molto prima. «E io sto peggio perché...?»
La mano sulla sua testa era andata alla nuca. Non sfiorò neppure il bernoccolo. «Temo...» La mano scese sulla schiena. «Tu sia molto debilitato.»
Lovino annuì. Poi si tirò indietro, sfuggendo alla presa dell'altro. «Debilitato, eh?» Si sfilò la maglia e la gettò sul letto; afferrò lo specchio a mano che ormai aveva preso in prestito da anni da Manon e diede le spalle allo specchio sulla parete. «Spiegami come sono debilitato.»
Un umano avrebbe potuto pensare fossero cicatrici. Ma le cicatrici erano la traccia di ferite che stavano guarendo, mentre quelle linee rosse si facevano sempre più profonde. La punta di uno stivale toccava la colonna vertebrale, il tacco mancava di una spanna il fianco destro, un triangolo rovesciato abbozzato e un accenno di rombo spiccavano sulla sinistra, il rombo poco distante da dove il bordo superiore della calzatura si faceva meno marcato, un punto preciso in corrispondenza del cuore. E graffi dal colore vivido sferzavano lo stivale, spaccandolo in tante piccole figure geometriche. Le vedeve, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Non facevano male. Spesso si dimenticava persino di averle. Spagna non aveva quelle finte cicatrici. Qualcosa gli diceva le avesse Feliciano.
«Lo sai benissimo.» Antonio mise le braccia conserte, il tono vagamente di rimprovero. «È stato un periodo durissimo, per te. Non ti devi sforzare. Dovresti solo riposare e non pensare a-»
«Quel che vedo io» sibilò Romano: «È che sono sempre più debole, che né Marita né Luciano sono ridotti come me, e che queste si fanno sempre più visibili.» Abbassò lo specchio più piccolo. Si voltò e guardò Spagna negli occhi. «Avanti, spiegami come sono ridotto così male. Spiegami perché sto peggiorando, e trova una scusa per cui queste non c'entrino niente.»
Doveva essere stato convincente. Lo sguardo di Spagna si era svuotato di qualsiasi emozione. Quando parlò, la sua voce era seria. E Lovino odiava la sua voce seria, e l'aveva detto parecchie volte.
«Adesso riposati.» Sospirò di nuovo. Ma né il suo sguardo né il suo tono mutarono. «Richiedimelo più tardi.»
«E tu vedi di risponder-»
Qualcuno bussò alla porta. Era un bussare delicato, quindi poteva trattarsi solo di Manon. Il cretino, forse ricordatosi di essere dov'era, le diede il permesso di entrare e Lovino, imprecando tra i denti, dovette afferrargli il mantello e tirarselo fino al mento.
«Non mi sono ancora rivestito, bastardo-»
«I sovrani ti cercano, España.» Con invidiabile noncuranza, Manon fece finta di non vedere il mantello-tenda da cui spuntava la faccia di Lovino.
«Ah, sì. Arrivo.» Era tornato a parlare come uno stordito. Aveva detto parecchie volte anche che lo pref- tollerava di più così.
«Nel senso che ti cercano tipo ora subito adesso, quindi non tardare~» Detto questo, Belgio fece dietrofront e salutò sventolando la mano. Romano valutò con attenzione l'ipotesi di seppellirsi, magari nel campo di pomodori.
«Vai a riposare.» "Escúchame, soy mayor y se como están las cosas", ossia il tono da anziano saggio che su di lui stonava come Prussia che attentava al clavicembalo di Austria.
«Ho dormito tre ore, mi sono rotto i coglioni di stare a lett-» Un brivido gli attraversò la schiena, dal basso verso l'alto, facendogli drizzare i capelli e sussultare le spalle. Il bastardo si stava arrotolando il ciuffo sulle dita. Il ciuffo. Il ciuffo. «Ti ne falede unu lampu.» Affondò il viso nel mantello.
«Su, vai a riposare.» Gliel'aveva pure sussurrato in un orecchio. Non gli sfondò le parti basse con una ginocchiata solo perché gli servivano.



Nonostante tutto, gli sarebbe piaciuto continuare così. Con una vita frivola e molto meno piena di sorprese sgradite. Gli sarebbe piaciuto pensare che quello fosse solo un malessere passeggero, e che davvero tutto si sarebbe sistemato nel migliore dei modi.

Era questo che ti spaventava di più, vero, nonno?





Qualsiasi cosa volessero i sovrani da Spagna, doveva essere qualcosa di molto noioso e seccante, dato che lo avevano tenuto sotto sequestro fino al calar del sole. Dato che non aveva avuto modo di sistemarsi o anche solo riposarsi, non si era presentato a cena. Lovino avrebbe potuto pensare male e sospettare si fosse dileguato anche per non incontrarlo, e infatti pensò malissimo. Se non si fosse fatto vedere entro tempo casuale a sua discrezione, sarebbe andato a tormentarlo in camera sua.
Attraversò il campo di pomodori, non per cercare il luogo ideale per sotterrarsi ma per andare ad accomodarsi sotto gli alberi lì vicini. Erano leggermente rialzati, ed erano né troppo lontani né troppo vicini al palazzo. Era il luogo ideale per vedere le stelle. Non che lui fosse un appassionato di astronomia, ma l'idiota gli aveva messo in testa l'intera mappa del cielo a forza di parlarne - Deformazione di navigatore, sembrava. Bastò un colpo d'occhio per individuare la Cintura di Orione. Scese con lo sguardo e trovò le due Orse. Seguì la Minore, fino a trovare la Stella Polare. Aveva un'idea di dove fosse il nord. Guardò alla sua sinistra. Si trovava a sinistra della Spagna, giusto...? Ci pensò meglio. Guardando una cartina, sarebbe stato a destra, ma avendo la cartina di spalle sarebbe stato a sinistra. Come si stabiliva la direzione? Il bastardo gliel'aveva pure spiegato, ma era un argomento troppo noioso, era notte e quando l'imbecille ciarlava di stelle lui era ancora piccolo, quindi quelle intense lezioni di navigazione astronomica venivano interrotte da un russare troppo brutale per una creatura tanto piccola - diceva il cretino.
«Come mai qui?»
Ecco, l'aveva evocato. Ma meglio non pronunciare quel termine, ché poi Spagna iniziava a dire cose che neppure lo zio Petrus quando era ispirato.
«Tu, semmai.» Lo guardò. Era talmente preso dalle stelle da non essersi accorto del suo arrivo.
«Ti ho visto dalla finestra.»
«Per caso, o mi spiavi?»
«È raro io faccia le cose per caso, Lovi.»
Bene, era già abbastanza poco allegro. Più che riposarsi, doveva essersi preparato. Magari era la volta buona che si fosse preparato un discorso.
«Dai.» Lovino era pronto. «Facciamola finita. Dimmi la verità.»
Antonio non si sedette. Né si appoggiò all'albero. Lovino distolse lo sguardo e tornò a fissare il cielo. Non lo stava vedendo davvero.
Poi, Spagna parlò: «Ho incontrato delle persone.»
Romano trasse un respiro profondo. Serrò i pugni.
«Si tratta dei nostri corrispondenti dall'Italia.»
Sentiva il respiro rallentare, fino a quasi fermarsi.
«Si chiamano Nápoles, Sicilia e Cerdeña.»
Gli occhi bruciavano. Sentiva la gola riarsa. Si costrinse ad annuire. «Sono in tre, dunque.» Non voleva uscisse così soffocato. Ma così gelido sì.
«Sì.»
«Da quanto?»
«Da un po'.»
Annuì di nuovo. «La mia schiena è così per colpa loro?»
«Sì.»
Annuì di nuovo. Si passò il dorso della mano sugli occhi. «Anche la mia debolezza è colpa loro?»
Antonio non rispose.
«Dimmelo.» L'aveva ringhiato.
«La tua debolezza è la loro forza.» La voce iniziava a dare segni di cedimento.
Lovino toccò il tronco con la nuca. C'era un'ultima domanda da fare. Soffocò i singhiozzi. Non doveva. Non doveva. Doveva essere forte. Chiuse gli occhi. Inspirò, ma non sentì altro che aria fredda. Espirò, ma il sospiro minacciò di spezzargli la voce. Ma lui era pronto. Lo era, lo era.
«Sto morendo?»
Ecco. Era stato facile. La voce era persino rimasta integra fino all'ultima lettera.
«No!» Antonio era crollato per primo. Non stava piangendo, quello no. Ma la sua voce era dura, rabbiosa come non pensava potesse essere.
«Il Sud Italia si sta dissolvendo.» Lovino mormorò, piano: «Alla fine, sono davvero finito in pezzi.»
Quello di cui nonno Roma aveva più paura in assoluto non erano i nemici. Lui era grande, e quella grandezza era stata la sua rovina. Ma non era la grandezza, ciò che temeva: erano i frammenti che la componevano. Frammenti che avrebbero potuto separarsi e smembrare quel grande insieme. Lui, Romano, non era grande, ma aveva tanti frammenti. Non aveva fatto niente di significativo nella sua vita. Era stata una vita piuttosto inutile, e piena di gente odiosa. Ma non gli era dispiaciuto viverla. Soprattutto quegli ultimi trentanove anni.
«Te l'ho detto.» Antonio gli si parò davanti, Lovino fu costretto a guardarlo negli occhi. Gli piacevano, gli occhi verdi. Anche se sembrava fosse stato colpito da una bizzarra maledizione a riguardo. Però quegli occhi verdi, in particolare, gli piacevano. Si chiese, per un istante, se quello non fosse lo sguardo che vedeva Inghilterra. «Finché rimarrai qui, andrà tutto bene!»
«Perché?»
«Perché per quanto ci siano Nápoles, Sicilia e Cerdeña» Spagna s'inginocchiò, per essere alla sua altezza. «Tu sei il territorio spagnolo in Italia!»
"... Ah."
«Se anche sta venendo meno la loro unità come Italia, non verrà comunque meno la loro unità come territorio spagnolo!»
Qualcosa. Un pensiero, fugace, ma capace di risvegliarlo da quel torpore. Si sporse verso Antonio. «Feliciano è nelle mie condizioni?»
«Non che io sappia.»
«E sarà mai nelle mie condizioni?»
Spagna scosse la testa. «No. Se anche il Nord dovesse perdere la propria idea di unità, lui avrebbe ancora Venez-» Tacque. Lo vide sgranare gli occhi.
Ad Antonio piaceva parlare, e Antonio era anche molto, molto, molto poco perspicace.
«Dunque...» Sentì le guance tirare. Un sussulto. No, non un sussulto. Era una risata. «La mia terra cerca di uccidermi, mi hanno strappato il cuore e per sopravvivere devo dipendere da qualcun altro?» Scattò in piedi, Spagna lo seguì.
«Lovi-»
«È a questo che sono arrivato?» La voce si spaccò. «Guardami! L'erede del grande Impero Romano è un moribondo che deve farsi dominare per sopravvivere!» I pugni erano così stretti che le unghie si conficcarono nella carne. «Persino in questo, Feliciano è meglio di me! Persino nella morte!» Il rimbombo del cuore copriva il suono della sua voce. «Lui è forte, è davvero forte, e ha il suo cuore qui, qui dove di solito stanno i cuori!» Si puntò il dito al petto, che faceva male tanto il muscolo al suo interno tuonava. «Ti sembra normale, bastardo? Ti sembra giusto?»
«Lovi...» Ormai non cercava neanche più di parlare.
«Sono davvero stato così stronzo da meritarmi una morte del genere? Dovevo essere carino e gentile con quelli che venivano a distruggermi casa?» Le tempie pulsavano. «Forse sì, sai? Sarei dovuto essere tenero e carino come Feliciano, così tutti mi avrebbero adorato!» La gola si scheggiò. «Invece mi odia persino la mia terra!» L'incendio dentro di sé bruciava. «Va bene, allora! Tutti mi odiano? Allora io odierò tutti, più di quanto loro odino me!» Il respiro faticava ad uscire. «Non morirò consumato dall'invidia, ma morirò consumato dall'odio, contenti? E spero che per voi sia una maledizione! Maledetti! Maledetti! Mal-»
Il respirò si mozzò. La guancia, l'orecchio pulsavano. Anche l'occhio faceva un po' male. Portò una mano alla guancia. Quando riaprì il pugno, sentì chiaramente i solchi lasciati dalle unghie. Le dita erano indolenzite. Guardò Antonio. Non si era accorto di essere caduto. E dubitava fosse caduto solo perché era così debole.
«Alzati.»
Di nuovo quello sguardo, e quella voce ferma. Lovino si rimise in piedi. L'avrebbe fatto comunque.
«Tu sei il territorio spagnolo in Italia.» Non era una spiegazione. Era un ordine. «E come tale ti devi considerare.»
Romano si lasciò andare contro il tronco. Non aveva più energie nelle gambe. Né da nessun'altra parte, in realtà. Però non aveva intenzione di tacere. «Che bella considerazione.»
«Un giorno riavrai Roma.»
Quell'idea continuava a sembrare assurda, ogni volta che veniva pronunciata. Soprattutto ora che Lovino iniziava a dubitare avrebbe visto il nuovo secolo.
«Ti piace?» Romano alzò appena il mento. «Ti piace pensare che la mia vita dipenda da te?»
«La tua vita dipende da me tanto quanto la mia da te.»
Lovino trasalì. La voce del bastardo aveva perso la sua freddezza, così come il suo sguardo. E la sua espressione dura si era sciolta in un accenno di sorriso. Non sarebbe dovuto esserne felice. Non era una consolazione. Non era la consolazione di un cazzo.
«Pensaci, Lovi.» Spagna gli prese una mano, con delicatezza. Osservò le mezzelune rosse sul suo palmo. Puntuale come le tasse e la pioggia a Pasquetta, vi posò un bacio. Avere lo stomaco sottosopra - per il disgusto - era la reazione più comprensibile. Quando abbassò la mano, Antonio ne approfittò per avvicinarglisi. «Nápoles, Sicilia e Cerdeña sono in giro da un po'. Se tu non fossi aggrappato alla consapevolezza di essere un territorio spagnolo, saresti già morto da tempo.»
Era una conclusione stupida, ma stranamente sensata. «E perché sto così male adesso?»
«Hai pensato molto a Felì.» gli ricordò Spagna: «E la guerra ha sconvolto tutti. Tu sei molto sensibile a...» Di nuovo, era a corto di parole giuste. «Agli imperi che scorrazzano per l'Europa.»
«Facendo i loro porci comodi, come i porci che siete.»
Antonio accennò ad una risata. «Ricorda la tua identità, Lovi.» Una mano alla guancia che, pochi istanti prima, aveva colpito. Probabilmente era rossa e gonfia. E bagnata. «Tu sei il Sur de Italia che risponde al Reino de España.» Una carezza leggera. «Lo sai. Esistiamo perché esistono gli umani. Tu hai degli umani per cui esistere. Ricordati di pensare anche a loro.»
Il suo popolo. Già, il suo popolo.
Era oltre un secolo che evitava di pensarci.
Con che coraggio si sarebbe potuto presentare?
«In realtà...» L'espressione di Spagna si fece più... malinconica? «Avevo chiesto un'altra cosa ai miei sovrani.»
«Chiesto?» Gli stava sfuggendo un passaggio.
«Sapevo che non avresti preso bene questo...» Sospirò. «Questo fatto del dover dipendere da me, per sopravvivere.» Era davvero orribile da dire, tanto da far quasi bramare un modo più rapido e indolore per porre subito fine a quella buffoneria. «E poi non mi sembrava giusto. Non è qualcosa di unilaterale.»
«So che stai per dire qualche cazzata melensa, quindi ti anticipo facendoti notare che, sì, è unilaterale, perché tu non rischi la morte.» Continuava a parlare di morte. Se non l'avesse fatto, sarebbe stato sopraffatto dal terrore.
Spagna, ovviamente, ignorò la sua frase. «Avrei voluto salvarti dandoti un altro nome.»
«Non puoi risolvere tutto imponendo nomi alla gente.»
«Reino de España y Sur de Italia.»
Va bene, era morto e non se n'era accorto. Certo, non avrebbe mai pensato che la morte avrebbe portato simili deliri, né avrebbe mai pensato che la sua mente moribonda potesse generare simili vaneggiamenti.
«Se il nostro fosse stato un unico regno, Madrid sarebbe stata anche il tuo cuo-»
«Sant'Iddio nell'alto dei Cieli, non dirlo.» No, non era un'allucinazione e non era neanche morto, perché si rifiutava di credere che la sua mente potesse essere capace di partorire abomini zuccherosi del genere.
«Ma i miei sovrani hanno rifiutato.» Non aggiunse altro. Non ci voleva chissà quale arguzia per intuire tutte le lamentele sull'inutilità delle terre del Sud Italia e relative domande sul perché continuassero a tenersele.
Lovino sentì il bisogno psicofisico di spezzare quel silenzio. «Tu sei già sposato.» disse la prima cazzata che gli venne in mente.
«Dubito durerà ancora per molto.» rispose Antonio, con dispiacere nullo: «Chissà quando vedremo qualche Archiducado de Austria y Hungría.»
«Oh, giusto.» Roteò gli occhi. Era possibile che fossero indolenziti? Era certo fossero gonfissimi, di un bel rosso acceso, e con le occhiaie scure dovevano dipingere un meraviglioso quadro dell'orrore. «Però, sai, non è che smanio dalla voglia di entrare nella sfera d'influenza europea soltanto perché vengo a letto con te.»
«Non essere così volgare, Lovi!»
«Cosa? Mica ho detto niente di strano!» Sentì le guance tirare. Ma non sentiva più il cuore impazzito. Batteva normalmente.
Giusto, lui ce l'aveva un cuore. E anche parecchio rumoroso. Portò una mano al petto. Aveva deciso di fidarsi, no? L'avrebbe fatto, allora. Avrebbe creduto a quella stupidaggine. Non è che avesse nulla da perdere, ormai.
«Ho sempre...» mormorò: «... avuto paura di tornare a casa.»
Non c'era bisogno di spiegare.
«Dovrei voler vedere il mio popolo. E la terra che mi sta facendo del male.» Abbassò lo sguardo. «Tornerò a casa. Un giorno. Se non morirò a breve.»
«Ci vorrà del tempo.» Le mani di Spagna andarono alla sua schiena, e Romano si ritrovò stretto in un abbraccio. «Adesso è troppo pericoloso, Lovi. Se rimarrai qui, sarai al sicuro.»
«Sì, lo so.» borbottò contro la sua spalla: «Me l'hai detto parecchie volte.»
Forse continuava a pensare a ciò che gli era stato sottratto perché era meno spaventoso di ciò che ancora aveva. Lo sapeva che quei frammenti l'avrebbero smembrato, un giorno. Ma lui non sapeva come difendersi da nemici esterni, figurarsi da qualcosa che cercava di ucciderlo dall'interno. Non aveva pensato granché a loro. Sapeva di essere una nazione orribile. Per questo lo odiavano tutti. Però lui aveva paura, e non avrebbe finto di essere una nazione premurosa.
Non sapeva se sarebbe stato meglio. Non sapeva se sarebbe morto a breve. Sapeva solo che, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato per la sua dipendenza da qualcun altro, e che, se fosse morto, sarebbe stato per la sua dipendenza da qualcun altro. Così come da qualcun altro era sempre dipeso ogni singolo istante della sua vita.
Chiuse gli occhi. Anche se solo per poco, voleva fingere di essere un umano. Mortale, fragile, ma capace di decidere da solo. Era una bella sensazione. Quasi come fidarsi.
Se si escludevano le guerre, la vita di un umano era bella. Ricordò qualcosa. Ricordò di quando non c'erano razzie e invasori. Due bambini e un uomo alto e robusto, e una donna piena di gioielli che di tanto in tanto faceva capolino. Viaggiavano, viaggiavano davvero tanto. Erano belli, i luoghi in cui andavano. Li ricordava bene. Avrebbe potuto tracciarne ogni albero, collina e fiume. E poi c'erano le persone. Le persone che incontravano, diversissime da città a città, che li accoglievano e li rendevano partecipi di quelle giornate, di quelle feste. Erano divertenti, quelle città rumorose. Era un ricordo felice, ma ci ripensava di rado, come un tesoro sepolto. Non ci aveva pensato neppure in punto di morte. Era un tesoro sepolto molto in profondità, a quanto sembrava.
Era proprio vero. S'imponeva cose che non desiderava. Perché era davvero ridicolo imporsi di aver paura di un ricordo tanto bello.
«Mi manca.»
«Felì?»
Romano riaprì gli occhi. «Anche.»
Spagna serrò la presa.

.

Note:
* "Zumbugliu": "Bernoccolo" in calabrese.
* "Ti ne falede unu lampu.": "Ti possa colpire un fulmine." in sardo gallurese. [cit. i borbottii della mia beta sarda]
* La Guerra della Grande Alleanza (o Guerra dei Nove Anni, o Guerra della Lega d'Augusta, o Guerra di successione del Palatinato, o Nonloso Inventavelovoi) fu una gigantesca guerra svoltasi tra il Settembre 1688 e il Settembre 1697.
Le fazioni sono quelle descritte: da un lato, la Francia di Luigi XIV, il Re Sole, accompagnato da irlandesi fedeli al (ex)re inglese Giacomo II d'Inghilterra (calciorotato durante la Gloriosa Rivoluzione e sostituito dall'olandese Guglielmo d'Orange); dall'altro, Inghilterra/Scozia/Galles feat. irlandesi fedeli a Guglielmo, ovviamente i Paesi Bassi, e il Sacro Romano Impero, la Spagna, la Danimarca-Norvegia e la Svezia (che nel 1691 decisero di dichiararsi neutrali, per evitare di espandere troppo la guerra nei loro territori commerciali), e il Ducato di Savoia, che tuttavia nel 1696 passò dalla parte della Francia.
Sempre come detto, alla fine la Francia venne sconfitta, e stipulò prima con l'Inghilterra, i Paesi Bassi e la Spagna, poi con il Sacro Romano Impero, una pace dal nome impronunciabile (Trattato di Rijswijk). [ 1, 2, 3 ]
* La Seconda guerra genovese-savoiarda (1672-1673) non implica biscotti ma esattamente ciò che è narrato nel capitolo. Sì, è assurda come sembra. Sì, la Francia ha davvero bombardato Genova (1684) perché quest'ultima aveva accettato l'aiuto della Spagna, ed era dunque automaticamente sua "alleata" - e non riconosceva la supremazia francese, giudicando Francia e Spagna sullo stesso piano. [ 1, 2 ]
* La Guerra di Morea, o Sesta guerra turco-veneziana, fu combattuta tra il 1684 e il 1699 e vedeva... Beh, è abbastanza deducibile dal nome. Alleati di Venezia erano i Cavalieri di Malta, il Ducato di Savoia, ordini religiosi a caso e volontari dal Principato Vescovile del Montenegro (!). La guerra fu l'ultima grande campagna espansionistica di Venezia, e le fruttò la Morea, alias il Peloponneso. [ 1 ]
* La Battaglia di Landen, o Battaglia di Neerwinden, fu una battaglia della Guerra della Grande Alleanza, svoltasi nel Luglio 1693 a Neerwinden, in Belgio. Da una parte, Francia e irlandesi giacobiti (e non giacobini, ché è ancora presto!); dall'altra, Inghilterra, Scozia, Paesi Bassi e Spagna. La battaglia fu vinta dalla fazione francese che però, a causa delle molte perdite, preferì lasciar scappare i nemici piuttosto che annientarli completamente. [ 1, 2 ]
* I quattro fatti avvenuti nel Sud Italia sono quattro eventi catastrofici.
1669: Eruzione dell'Etna
1688: Terremoto del Sannio
1693: Terremoto del Val di Noto
1694: Terremoto dell'Irpinia e Basilicata
L'Eruzione dell'Etna del 1669 durò da Marzo a Luglio, ed è considerata la più devastante in epoca storica. La lava arrivò fino a Catania e provocò vistose modifiche nell'ambiente.
Il Terremoto del Sannio (Benevento e provincia) avvenne nel Giugno del 1688, ed era di magnitudo 7 Richter, IX Mercalli. Nel Settembre 1293 c'era stato un altro terremoto, con lo stesso epicentro e con la stessa intensità.
Il Terremoto del Val di Noto (Sicilia) è il nome con cui si definiscono due terremoti ravvicinati, uno del 9 e uno dell'11 Gennaio 1693. Fu seguito da un maremoto che colpì lo Stretto di Messina e, forse, le Isole Eolie. Si tratta del terremoto più forte avvenuto in Italia (magnitudo 7,7 Richter), ed il ventitreesimo terremoto accertato più disastroso della storia dell'umanità.
Il Terremoto dell'Irpinia e Basilicata avvenne nel Settembre 1694 e colpì gran parte del Sud Italia, tra Avellino e Potenza. Era di magnitudo 6,87 Richter e potrebbe aver provocato anche un maremoto a Napoli. [ 1, 2, 3, 4 ]
* !Citazione d'obbligo! I possibili risvolti fisici negativi su di una nazione dominata sono già stati ottimamente resi in un paio di capitoli (Non dirò quali per evitare spoiler) de Alfred e la mirabolante Macchina dell'Ucronia! di TonyCocchi. Qui, invece, il "problema" di Lovino è paradossalmente l'opposto - Ossia il considerarsi qualcosa che in concreto non esiste (più/ancora), senza avere un "cuore" (Roma, nel suo caso) capace di tenerlo in vita, condannandosi quindi da solo al destino di una "nazione che non esiste più". -, ma ci tenevo comunque a fare una menzione. È una fanfiction tanto carina, dateci un'occhiata, se non la conoscete!
* Il Regno di Sicilia fu fondato nel 1130 e il Regno di Napoli nel 1302. Il Regno di Sardegna nacque nel 1297 come Regno di Sardegna e Corsica, per poi divenire della sola Sardegna nel 1324.
"Cosa? E allora come faceva Lovino a non sapere-"
Potete pensare che siano rimasti bambini molto piccoli per molto tempo, e che solo di recente siano cresciuti e divenuti nazioni riconosciute! ✰
"Soe-"


Ecco, prendete questi fazzoletti, vi torneranno utili per ripulirvi dal miele che vi è precipitato addosso. Vi consiglio comunque di lavarvi il prima possibile con acqua e sapone, ché il miele appiccica-

Ci sono tante cose da dire su questo capitolo, e lo farò in ordine casuale.
Per prima cosa, ricordo che le invettive di Lovino contro Chicchessia non rispecchiano necessariamente il mio parere - Tipo, io non ho niente contro Savoia/Piemonte! (((o(*゚▽゚*)o))) Romano, invece, direi che è comprensibilmente adirato nei suoi confronti.
In compenso, in questo capitolo sono riuscita a mettere una cosa che volevo tanto inserire fin dall'inizio: la varietà di dialetti! (Sì, perché nel mio headcanon sia Lovino che Feliciano si lasciano scappare frasi in dialetti/lingue randomici del loro territorio.) Mi sarebbe piaciuto inserire frasi intere, ma la mia conoscenza dei dialetti è limitata, quindi mi affido a Internet e amyketteh del luogo-
Altra cosa. Dato l'esteso stacco temporale tra i capitoli tre e quattro, il recap all'inizio di questo mi stava portando ad esagerare un pochino con la descrizione degli eventi storici. Tuttavia, ad un certo punto, Lovino si è precipitato in camera mia, mi ha presa per il bavero e mi ha urlato: «Stai scrivendo una cazzo di storia, non un fottuto trattato di Storia!». Quindi, Lovino, grazie per avermi riportata alla realtà! *I lettori tirano un sospiro di sollievo e portano a Romano cesti di pomodori come offerte votive.*
A proposito dello stacco temporale, ho scelto il 1699 non perché succeda qualcosa di importante, ma per dare l'idea di "fine di qualcosa, inizio di qualcos'altro". Anche perché dal 1701 iniziano i disastri, in Spagna e in Europa tutta.

Infine, vorrei approfondire la questione di "dipendere dagli altri per sopravvivere". Spero di aver ben reso il fatto che un'idea del genere sia negativa, sbagliata e umiliante. Quel che spero si capisca è che il problema di Lovino (Come scritto nelle Note qui sopra) non è (ASSOLUTAMENTE!) il non volersi sottomettere all'autorità di qualcun altro, ma di essere una nazione che ha una percezione di sé diversa da quella del proprio popolo. Cioè, nel quasi-Settecento, un napoletano, un palermitano e un cagliaritano si consideravano abitanti del "Regno di Napoli", "Regno di Sicilia" o "Regno di Sardegna", non certo "Italiani del sud"; in compenso, tutti e tre avrebbero concordato di essere "abitanti del territorio spagnolo in Italia". Lovino potrebbe sopravvivere come "Romano" se il suo "cuore" (Roma) gli appartenesse (Come Veneziano con Venezia), ma non ha neppure quello (In quanto capitale dello Stato della Chiesa), dunque l'ostinarsi a pensare a se stesso come una nazione che (al momento) non esiste lo condannerebbe alla sparizione. Semplicemente: la "nazione Sud Italia" non esiste, neppure come idea, quindi la sua nazione incarnata è destinata alla scomparsa.
Allo stesso modo, non è che Lovino accetti di pensarsi "Domini Spagnoli nel Sud Italia" e okay, tutto a posto. Diciamo che la cosa è più "Hai una pistola puntata contro e stanno per spararti. Se accetti questo nome, sei salvo.". Una cosa piacevolissima, insomma, per lui mitigata solo dal fatto che si fida di Spagna.
Non so se sono stata capace di spiegarmi bene, ma vorrei evitare equivoci e/o dare l'impressione che questo fatto sia stato risolto a tarallucci e vino. (((( ;°Д°))))

Spero che, nonostante i temi allegri, questo capitolo sia stato gradito!
(E, dal prossimo, basta con l'angst emo.)
  
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