Il sole stava
per sorgere
sulle rovine del tempio. Un rumore di pietre spostate e grugniti di
scimmia
risuonava tra i resti degli edifici. “Forza. Forza, non
fermatevi”, strillava
re Luigi. Una scimmia con una criniera bianca lo seguiva reggendo una
foglia di
palma a mo’ di ventaglio. Davanti alle due figure si
stagliava una torre
traballante. Una fila di scimmie si stendeva ai piedi del cumulo di
detriti.
Ogni scimmia trasportava un blocco di dimensioni diverse e lo
aggiungeva alla pila
torreggiante. In alcuni punti la struttura era talmente inclinata che
altre
scimmie erano state messe come paletti o colonne e reggevano i mattoni
con le
facce arrossate. “Ancora, ancora. Non battete la fiacca,
luridi scansafatiche.
Voglio che per quando il sole sia sorto risplenda sul mio nuovo
palazzo”.
“Sarà
uno spettacolo
magnifico immagino”, risuonò una voce in
lontananza. L’orango girò la testa e
vide una sagoma tra le ombre del tempio. Delle zampe artigliate e un
manto
striato entrarono in penombra, rivelando Shere Khan. La scimmia che
reggeva la
foglia di palma strillò, mollò la foglia e corse via. Le
altre scimmie che
stavano ricostruendo la torre strillarono a loro volta.
“Tigre, tigre!”,
esclamò una scimmia indicandola. In un parapiglia generale
tutte le scimmie
mollarono le pietre e fuggirono via. Quelle che reggevano in piedi le
fondamenta scapparono a loro volta e in questo modo la torre si
inclinò ancora
di più fino a cedere e a crollare in frantumi.
“Nooo”, gemette re Luigi, mentre
con un rombo si distruggevano tutti gli sforzi delle ultime settimane.
“No, no,
brutti idioti. Che cosa avete fatto?”, disse pestando mani e
piedi nella
polvere della torre appena crollata. Con uno sguardo torvo si
girò verso la
tigre che aveva causato quel disastro. Appena vide il felino
avvicinarsi
zoppicando sogghignò. “Oh, ora capisco
perché siete scappati. Guardate tutti è
Shere Khan, il grande Shere Khan”. L’orango scosse
il fondoschiena davanti alla
tigre: “Sono Shere Khan, la tigre con le chiappe
affumicate”. Le scimmie che
poco prima erano scappate impaurite ora tornarono allo scoperto davanti
allo
spettacolo del loro re. Luigi si mise un dito sulle labbra con uno
sguardo
indifeso: “Oh no, come farò a sconfiggere questo
felino indomabile. Nessuno può
sconfiggere il potente Shere Khan... beh, a parte un soldo di cacio
alto un
metro e venti e pesante venti chili e mezzo. Oh, vi prego salvatemi
dalla tigre
mangia uomini, o dovrei dire mangia ragazzini o dovrei dire che non
riesce a
mangiare i ragazzini”. Le scimmie a quel punto stavano
ridendo a crepapelle e
additando la tigre completamente dimentiche della paura di prima. Shere
Khan
ringhiava sotto i denti irritato. Re Luigi intanto continuava nella sua
pantomima e varie scimmie si erano unite. “Forza Shere Khan
sono completamente
indifeso e vulnerabile… come un bambino”. La tigre
sbuffò ma mantenne la calma:
“Re Luigi sono venuto qui per conferire con te su una
questione importante. Da
un signore della giungla a un altro”. L’orango
smise di agitarsi e guardò confuso
il felino: “Signore della giungla. E di chi saresti il capo,
si può sapere?
Delle tigri con le chiappe carbonizzate”. Shere Khan fece un
sorriso amaro:
“No, ho degli altri sudditi a dire il vero”. In
quel momento tra i mucchi di
pietre infestate dai rampicanti cominciarono a spuntare ad uno ad uno i
lupi.
Le scimmie si ritirarono di nuovo strillando sui muri ancora intatti
del
tempio. Re Luigi si ritrovò braccato dai lupi.
L’orango corse e si rifugiò sul
suo trono insieme alla scimmia dalla criniera bianca. I due primati si
contendevano a vicenda la cima del sedile scolpito lontano dalle fauci
dei
lupi.
“Ho la
tua attenzione
adesso? Vostra maestà?”, chiese calmo Shere Khan.
“Gnnn,
oh, sì,
assolutamente. Benvenuto nel mio regno Shere Khan. E benvenuti anche i
tuoi
sudditi. Giù bello, giù”, disse a un
lupo ringhiante. Shere Khan fece
allontanare i lupi e si avvicinò al trono.
“Siediti pure Luigi. Fa come se
fossi a casa tua”, sorrise la tigre. L’orango si
sedette impaurito sul trono
abbracciato alla sua scimmia attendente. “Come vedi ora sono
il nuovo capo
branco dei lupi”.
“Lo
vedo. Come diavolo
hai fatto? Hai provato a uccidere il loro cucciolo d’uomo
appena un anno fa”.
“Con
un piccolo aiuto da
parte di un viscido amico”, disse la tigre girando il capo.
In quella direzione
si sentì un sibilò e apparve il serpente Kaa che
sghignazzava sibilando.
“Ora,
l’ultima
volta che ero passato da queste parti, queste rovine
sembravano… meno rovinate.
O sbaglio?”
“No,
non sbagli. Puoi
ringraziare il tuo cucciolo d’uomo e quei suoi due compagni
per questo. Cos’è
un re senza il suo palazzo? Oh, se avessi quell’orso tra le
zampe”, disse
tirando su i piedi e facendo il gesto di stringere una gola,
“giuro che… Come ha
potuto tradirmi così quel cucciolo d’uomo? Lo ho
accolto nella mia casa. Gli ho
dato banane. Pensa che eravamo pure cugini”.
“Una
storia terribile”,
mormorò Shere Khan.
“Esatto”,
continuò Luigi,
“Tutto quello che gli avevo chiesto era di dirmi il segreto
su come fare il
fuoco, e lo avrei tenuto alla mia corte come ospite d’onore
per sempre. Ti
rendi conto che privilegio gli concedevo a invitarlo nel mio reame
illuminato?”
Shere Khan sollevò lo sguardo su una scimmia che si grattava
il posteriore per
poi annusarsi il dito e cadere svenuta. “Già,
perle ai porci, re Luigi. Speravo
che la pensassi proprio così quando ho deciso di venire qui.
Sia io che te
abbiamo subito un torto dal cucciolo d’uomo. Ed è
mia intenzione porvi
rimedio”. Luigi aggrottò la fronte: “Che
vorresti dire?”
“Intendo
dire che
voglio vendicarmi del cucciolo d’uomo”, Shere Khan
si avvicinò a una piccola
scultura ancora in piedi di un essere umano, “Ho intenzione
di distruggere lui.
E tutti coloro a cui ha tenuto”, con una zampata ridusse in
briciole la testa
della piccola statua, “Questo include l’orso e la
pantera che hanno distrutto
il tuo bel palazzo. Se ti fa piacere la pantera è stata
eliminata stanotte”.
“Cosa?
Davvero?”,
chiese saltellante l’orango.
“Certo.
L’orso è un’altra
questione ma penso che vorrai occupartene tu di persona. Altrimenti che
divertimento ci sarebbe”.
“Oh,
Khanny mi leggi nel
pensiero. Posso chiamarti Khanny?”. La tigre lo
guardò con uno sguardo tetro.
“Va bene, al Khanny ci arriveremo col tempo. Tornando alla
questione del
cucciolo d’uomo, tutto questo è molto
interessante, le mie orecchie reali ne
sono compiaciute. Ma dimmi come pensi di attuare esattamente il tuo
piano di
vendetta? Il cucciolo d’uomo ora è nel villaggio
degli uomini. Se non sei
riuscito a battere lui che era solo un cucciolo come pensi di fare
contro un
villaggio intero armato di fiamme e fucili?”
“Ci
stavo giusto
arrivando”, disse il felino spaparanzandosi su un muretto
lì accanto e
lisciandosi il pelo, “Dovremmo trovare un modo per far uscire
il piccolo dal
villaggio. E prima di escogitare qualunque piano ci occorrono
informazioni. Io
vedi non sono… Come dire? Molto ben accetto vicino ai
villaggi degli uomini.
Specialmente in questi mesi, mi sono fatto una nomea ammazzando bufali.
Neanche
i miei lupi potrebbero avvicinarsi con discrezione o Kaa”.
Sollevò lo sguardo
in cerca del serpente e lo vide che stava ipnotizzando una scimmia e
cominciava
a spalancare le fauci. “Kaa!”, lo
rimproverò calmo Shere Khan. Il serpente
sentandosi chiamare dalla tigre interruppe all’istante
l’ipnosi della scimmia che
scappò via svelta. “Per favore Kaa, siamo ospiti.
Non mangiare i sudditi del
nostro nuovo amico. Dicevo che quindi non sono nella posizione di avere
informazioni su Mowgli di qui a poco. Ma tu potresti. Le scimmie
bazzicano
spesso i villaggi dell’uomo. E se tu mandassi qualche spia a
vedere, potremmo
scoprire in breve tempo come far uscire Mowgli di
lì”.
Re Luigi
sogghignò: “Un
idea eccellente mio caro Khan– Voglio dire Shere
Khan. Beh, dunque mi
sembra un buon affare. Mi assicuri che quando avrai avuto il cucciolo
d’uomo io
potrò avere Baloo”.
“Avrai
la testa dell’orso
su un piatto d’argento. Adesso manda i tuoi servi, veloce.
Purtroppo stanotte
mentre prendevo il comando alla Roccia del Consiglio, qualcuno
è scappato”,
disse lanciando un’occhiataccia a Kaa.
“Perciò i testimoni vanno trovati e
isolati il prima possibile. Non vogliamo certo che l’intera
giungla sappia di
tutto questo, o non avremo più l’effetto sorpresa
sulle nostre prede. Oh, e
inoltre non vorrei che la cosa giungesse alle orecchie del
colonnello
Hati. Detesto ammetterlo, ma per quanto quell’elefante sia
idiota neanche con
tutti i lupi avrei molte chance di vincere contro un branco di
pachidermi”.
“Oh,
non ti preoccupare
allora. Quanti sono questi testimoni?”
“Sei
lupi. L’ex
famigliola del moccioso”.
“Hu,
bene, me ne occupo
subito. E ho anche un’ideuccia per la tua preoccupazione
riguardo il caro
vecchio colonnello”, disse re Luigi sfregiandosi le mani.
“Davvero?
Quale
sarebbe?”, chiese curiosa la tigre, non aveva ancora trovato
una soluzione
contro la pattuglia di pachidermi. “Te lo dirò a
cose fatte. Intanto
occupiamoci dell’immediato. Fiuuu, fiii”,
fischiò forte Luigi. Tre scimmie si
calarono ai piedi del trono, un po’ sull’attenti
per via dei lupi. “Andate al
villaggio degli uomini e scoprite tutto ciò che potete sul
cucciolo d’uomo. Già
che ci siete prendete anche qualche bel ogettuccio se lo trovate, eh?
Bravi, e
ora andate miei tesori, andate, andate”, disse sollevando le
braccia pelose
ridicolmente lunghe. “Sì, vostra
maestà”, esclamarono le scimmie sparendo tanto
velocemente quanto erano apparse. Shere Khan sorrise sotto i baffi:
“Bene
Luigi. Sembra che questa nuova alleanza porterà buoni
frutti” “Adoro i frutti.
Gradisci una banana?”, disse l’orango porgendogli
uno dei frutti gialli
tirandolo fuori da non si sa dove. “No, grazie”,
disse Shere Khan, guardandolo
confuso. Re Luigi fece spallucce e cominciò a divorarsi la
sua banana. Kaa
guardò l’orango ingozzarsi felice e gli
brontolò lo stomaco. “Shere Khan”,
sibilò avvicinandosi alla tigre, “Non potrei
assaggiare sssoltanto una
ssscimmiettina. Non prendo una preda da quando mi avevi ordinato di
ipnotizzare
i lupi e sssperavo che ieri notte mi sarei rimpinzato con la pantera.
Ma ora
sssono terribilmente affamato”.
“E di
chi è la colpa per
non aver trattenuto Bagheera come gli era stato ordinato?”,
ringhiò Shere Khan
al serpente tremante, “Ma suppongo che tu abbia fatto un buon
lavoro finora. Ma
non posso lasciarti fare uno spuntino delle nostre nuove compagne
d’armi. Visto
che era proprio la pantera che volevi, torna alla Roccia del Consiglio.
Fai
sparire il suo corpo insieme a quello di Akela non voglio che ci siano
ulteriori prove di questa notte”.
“Sssì,
certamente.
Ti assssicuro che non rimarrà alcuna traccia”. Il
pitone sparì veloce tra i
muri cadenti del tempio. La tigre si rilassò sul trono e
allungò lo sguardo
oltre i mucchi di macerie che lo circondavano, verso la distesa verde
della
giungla che cominciava ad essere illuminata dal sole. Gli occhi
osservarono
chiazze verdi di foresta fino a un puntolino marrone sulla riva del
fiume: il
villaggio degli uomini. ‘Mowgli’, pensò
la tigre, ‘Presto tardi sarai mio,
cucciolo d’uomo’.
Mowgli si
svegliò frizzante
al canto del gallo. Di solito non si alzava fino a che qualcuno non lo
buttava
giù dal letto ma questa mattina non vedeva l’ora
di scendere giù dalle coperte.
Coperte! Aveva dormito tutta la notte nel letto e non
sull’albero, non voleva
far arrabbiare ancora Kamya e rischiare di perdere la sua
“punizione”. Fece
colazione ingoiando tutto in fretta, non stava più nella
pelle. Notò che Shanti
non c’era quel mattino. Pensò che fosse uscita
prima di casa o non fosse
tornata dal torrente a prendere l’acqua. Messua lo guardava
con espressione a
metà tra il felice e il rattristato. Kamya lo aspettava
sulla porta. “Allora
Nathoo. Pronto per la tua punizione?”, chiese quando stavano
per uscire.
“Sì”,
rispose impaziente
Mowgli, per poi cambiare in un sì dal tono più
triste e decorso per
l’occasione. Kamya soffocò un sorriso. Aveva
capito quanto in realtà Nathoo
fosse contento, ma era così felice e speranzoso anche lui
per questa nuova
esperienza del bambino che quasi non gli importava. Messua diede al
figlio una
sacca con dentro il pranzo e lo baciò sulla guancia.
“Sta attento mio dolce
Nathoo”, gli disse accarezzandogli il viso, “E se
vedi una tigre o un altro
animale feroce non fare come nelle storie che ci racconti sempre, ma
scappa
via, scappa più veloce che puoi. Capito?”, gli
strinse la mano sulla spalla.
“Va
bene”, sussurrò
Mowgli, come sempre un po’ stranito dalla preoccupazione di
Messua.
“Sono
certo che andrà
tutto bene e non avrà nulla di cui preoccuparsi”,
disse Kamya alla moglie,
“Forza ora andiamo o faremo tardi”, lo
incoraggiò. Messua lo strinse in ultimo
abbraccio poi lo guardò allontanarsi insieme al marito dalla
soglia della casa.
Si tormentò il velo mormorando una preghiera
perché tutto, effettivamente,
potesse andar bene. Il bramino intanto li stava aspettando
all’uscita del
villaggio accanto alla mandria di bufali. I grossi bovini azzurro
ardesia erano
degli animali imponenti dalle corna lunghe e ricurve. Il loro aspetto
intimidiva
ma avevano un’indole pigra e mansueta. Abituati
com’erano al comando dell’uomo
spesso si vedevano mandriani dell’età di Mowgli
che nonostante non arrivassero
al muso di quelle bestie li comandavano a bacchetta con un solo colpo
di
ramoscello. Quando Mowgli e Kamya arrivarono il bramino li accolse e
guidò il
ragazzino in mezzo alla mandria per illustrargli quello che avrebbe
dovuto
svolgere quel giorno. Avrebbe dovuto far pascolare gli animali per
tutto il
giorno e poi farla tornare verso sera. Niente di troppo complicato. I
bufali
erano animali pacifici e portati vicino a un torrente si mettevano a
mollo nel
fango per ore. Il bramino Purun diede a Mowgli una canna di
bambù per dirigere
la mandria. Ora ci fu il problema dei numeri. Siccome sapevano che
Nathoo non
era esattamente un genio con i numeri non volevano certo che si
sbagliasse a
contare nel riportare a casa i capi di bestiame, gli allevatori in
particolar
modo. Fra loro c’era anche Buldeo che possedeva un paio di
capi e se da una
parte gradiva l’idea di Nathoo fuori dal villaggio, dove
magari sarebbe stato
la cena di qualche animale, non gradiva l’idea di perdere una
delle sue bestie.
Ma il bambino li sorprese tutti quando elenco tutti i capi di bestiame
dal
primo all’ultimo, secondo le loro caratteristiche
individuali. Un dente guasto,
il pelo di un colore leggermente diverso, di ogni singolo bufalo sapeva
qualcosa. Quando Buldeo ebbe finito di fare i conti sulla punta delle
dita,
tutti realizzarono che il numero era esatto.
“Come
fai a ricordarli tutti?”,
chiese sconvolto il bramino, “E come fai a sapere tutti
questi dettagli? Di un
bufalo neanche il suo proprietario sapeva del dente guasto”.
Mowgli sorrise
imbarazzato: “Sono nel villaggio ormai da un anno e ogni
tanto sono passato
davanti le stalle. Così ho fatto un po’ di
conversazione e ora so i loro nomi e
qualche altro particolare. Per questo sono sicuro di non perderli anche
se non
so contare bene. Potrei chiedere direttamente a loro se ne manca
qualcuno”.
A quella
risposta Kamya
sì scurì: “Nathoo”,
sbuffò, “Io ...”
“Scusa,
scusa. Lo
so ho sbagliato a dire quelle cose. Dimenticate quello che ho appena
detto.
Giuro che sarò attentissimo ai bufali per non perderne
nessuno. Ti prego so che
lo posso fare… papà”. Kamya di solito
lo avrebbe redarguito di più su tutta la
questione dei bufali parlanti, ma quel papà
lo aveva lasciato senza
parole. Mai prima di allora il bambino lo aveva chiamato padre,
né a Messua
l’aveva chiamata madre. L’uomo compiaciuto si
affrettò a dire: “Va bene sei
perdonato. Non parliamone più e corri a portare quei bufali
sul fiume prima che
cambi idea”.
Nathoo sorrise e
tutto
contento trotterellò in groppa a Mysa, il toro
più grosso della mandria.
Borbottò un paio di frasi che gli uomini in piedi
lì accanto fecero fatica ad
afferrare. Ma il loro stupore poi fu un altro. In men che non si dica
l’intera
mandria era partita spedita in fila ordinata e compatta.
Buldeo era
rimasto a
bocca aperta. Kamya sorrise felice sotto la barba. Il bramino si
accarezzò la
barba bianca. “Ogni volta vedo così lontano nelle
vite degli uomini”: disse
tronfio.