Libri > L'Attraversaspecchi
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Autore: _Gin___    18/12/2020    2 recensioni
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
"What if...?" che parte dalla fine de "Gli Scomparsi di Chiardiluna"
Dopo l'incontro con il Mille Facce, Thorn decide di fidarsi di Ofelia e rinuncia al suo piano di fuga.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap 2 Ciao! :D 
Speravo di riuscire a pubblicare prima ma ahimè sono stata troppo impegnata con il lavoro e i regali di Natale. 
Il capitolo è scritto interamente dal punto di vista di Thorn (mentre nel prossimo torneremo su Ofelia... Penso ci sarà un po' di alternanza durante tutta la storia).
Spero vi piaccia! A presto,
S.


CAPITOLO 2

Thorn si svegliò improvvisamente nel buio della stanza, completamente solo, mentre la sua mente riordinava i ricordi delle ore precedenti. Aveva dormito 191 minuti, ma nonostante i tranquillanti somministrategli dal medico per attenuare il dolore e il suo stato confusionale, finché era rimasto cosciente la sua memoria aveva registrato ogni secondo di ciò che era accaduto in quella stanza.
Era contento di aver impedito ad Ofelia di assistervi.
Ofelia.
Il suo cervello, sempre in grado di compartimentalizzare ogni cosa e concentrarsi solo sulle questioni fondamentali, sembrava incapace di lasciarla andare. Quella ragazza era diventata una presenza costante nella sua mente, un sottofondo impossibile da ignorare. Stava bene? L’aveva ascoltato? Era già partita? L’avrebbe mai più rivista? Il rumore dei suoi pugni sul legno della porta continuava a riecheggiare nella sua testa. Separarsi da lei gli aveva comportato una lacerazione interiore, un’agonia pari al dolore proveniente dalla gamba. Ma era stato necessario.
Una volta chiusa la porta della stanza alle sue spalle, aveva ceduto al dolore, sotto lo sguardo preoccupato di Berenilde e quello terrorizzato del dottore. Non avrebbe sopportato di farsi vedere in quello stato anche da lei. Avevano dovuto spogliarlo per sistemare le sue ferite e farlo distendere sul letto. I farmaci gli avevano annebbiato i pensieri, e invece di riflettere sull’incontro con il Mille Facce e sui nuovi dettagli che aveva appreso dalla lettura di Ofelia, lui si era ritrovato a rivivere in loop i due momenti in cui l’aveva stretta a sé.
Sua moglie.
Aveva rischiato tutto per sposarlo, in un disperato tentativo di salvargli la vita. Aveva accettato di compromettere la sua libertà e di ereditare poteri terribili, aveva sfidato Faruk pur di trascinarlo fuori da quella prigione. E lui l’amava profondamente, ma sapeva con assoluta certezza che non sarebbe mai stato abbastanza. Si era dichiarato in quella cella perché non poteva accettare l’idea di morire senza che lei sapesse, senza che lei capisse i suoi sentimenti. Ofelia gli aveva stravolto la vita, aveva messo in discussione le sue priorità, l’aveva trasformato. Vedendola di fronte al Mille Facce, minacciata e indifesa, aveva realizzato che i dadi del mondo non avevano per lui più alcuna importanza. Avrebbe sconfitto Dio e tutti i suoi burattini per lei. Ofelia non ricambiava i suoi sentimenti, ma le avrebbe restituito la sua libertà, le avrebbe permesso di tornare a casa, di decidere del suo futuro, di vivere la vita in cui lui non avrebbe mai dovuto inferire.
A qualsiasi costo.
Si mise a sedere sul letto, osservando la gamba che era stata massacrata in cella. Il medico era riuscito a salvarla, ma Thorn era perfettamente consapevole del fatto che non sarebbe più riuscito a camminare come un tempo. Sei ore, 18 minuti e 52 secondi prima, il prozio di Ofelia, con l’aiuto di Berenilde, aveva finito di costruire un’impalcatura intorno al suo ginocchio distrutto. Mentre il suo cervello tornava per l’ennesima volta a soffermarsi sulla sensazione delle mani di Ofelia aggrappate alla sua camicia, ai suoi capelli che gli sfioravano il viso, al corpo di sua moglie premuto contro il suo, meravigliandosi ancora una volta di quando il contatto fisico con lei gli provocasse piacere invece che repulsione, la sua memoria aveva registrato la voce dell’uomo comunicargli che se aveva davvero ereditato l’animismo della sua famiglia avrebbe potuto imparare a controllare l’armatura della sua gamba. Ma animismo o no, rimaneva uno storpio.
Distolse lo sguardo dal suo corpo con disgusto e si infilò velocemente la camicia e i pantaloni che sua zia aveva lasciato sul letto. Facendosi forza sulle braccia, si alzò, valutando l’entità delle ferite subite. Il taglio sulla testa, che era stato fasciato, pulsava leggermente. Sentiva la pelle del volto tirare a causa dei lividi e delle escoriazioni, ma il peggio rimaneva la gamba. Non riusciva ad appoggiarla completamente a terra e un dolore costante si irradiava dal suo polpaccio al resto del corpo. Ma per lo meno riusciva a muoversi senza sudare freddo. Avrebbe sopportato il dolore.
Zoppicò velocemente verso la porta del bagno connesso alla camera. Doveva continuare la sua missione, doveva fermare Dio. I nuovi dettagli che aveva appreso dalla lettura del Libro gli avevano indicato quale dovesse essere la sua prossima mossa: avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per raggiungere Babel.
Non era sicuro di aver ereditato l’animismo di Ofelia, ma di una cosa era assolutamente certo: era diventato un attraversaspecchi. L’aveva percepito sulla pelle quando Ofelia aveva attraversato la parete dorata della cella per mettersi al suo fianco. In quel momento aveva deciso che avrebbe sfruttato il suo nuovo potere per sfuggire all’ira di Faruk, ma quando lei gli aveva chiesto di non compiere gesti sconsiderati e di fidarsi, aveva cambiato piano. Non poteva separarsi da lei, non senza essere certo che fosse al sicuro. L’aveva aspettata immobile nella cella, pronto ad afferrarla e trascinarla con sé nel caso in cui non fosse riuscita a fermare Faruk.
Invece aveva ancora una volta distrutto ogni statistica ed era riuscita nell’impossibile. Era tornata in quella cella ed era corsa tra le sue braccia, e mai, mai, come in quell’istante Thorn aveva desiderato essere un uomo diverso. Un uomo in grado di esternare i suoi sentimenti, di renderla felice, di regalarle anche solo un briciolo della libertà che lei aveva restituito a lui. Un uomo degno di lei.
Fece un altro piccolo passo in avanti e il dolore fece fremere i suoi artigli, come per riportarlo alla realtà. No, non sarebbe mai stato degno di Ofelia.
Aprì la porta del bagno, ignorando il dolore proveniente dalla sua gamba, ma rimase stupito quando vide la parete vuota di fronte a sé. Tutto era in perfetto ordine, ma il grande specchio sopra il lavandino era scomparso. Erano trascorsi 97 giorni dall’ultima volta che era stato in quella stanza, ma ricordava perfettamente lo specchio. Che qualcuno l’avesse rotto? Difficile potesse essere stata Berenilde, visto che aveva trascorso quasi tutto il tempo a corte. Forse uno dei domestici? Si erano dimenticati di cambiarlo?
Scosse la testa e tornò nella camera, dirigendosi verso l’armadio. Lo specchio dell’anta gli sarebbe bastato. Si sarebbe mosso attraverso gli specchi del Polo, senza farsi notare, fino a raggiungere i dirigibili.
Aprì il grande armadio di legno e rimase interdetto. L’anta era spoglia. Eppure, il suo cervello aveva registrato la presenza dello specchio solo qualche ora prima, quando Berenilde aveva aperto l’armadio per cercare degli asciugamani mentre il dottore gli fasciava la gamba. I farmaci avevano alterato le sue percezioni? Quello a cui stava pensando era in realtà un ricordo più vecchio? Oppure… Possibile fosse un modo per ostacolare il suo piano? Il Mille Facce aveva intuito le sue mosse e aveva fatto sparire tutti gli specchi? Era stato lì? Il suo pensiero corse ad Ofelia e sperò che fosse già su Anima, lontana da ogni pericolo.
Chiuse l’anta dell’armadio con violenza e serrò la mascella. Poco importava che fossero spariti gli specchi, si sarebbe accontentato di una qualsiasi superficie riflettente.
Ma quando aprì la porta della camera per uscire, rimase pietrificato sulla soglia.
La risposta a tutte le sue domande era seduta sul pavimento, raggomitolata su se stessa e addormentata contro il muro, di fronte alla porta della camera. Thorn percepì il suo cuore saltare un battito e il suo stomaco stringersi.
Non era partita. Non si era nemmeno allontanata da lui.
Ofelia aveva la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta. I lunghi capelli erano raccolti in una treccia laterale e il braccio rotto era ancora legato al collo dalla sciarpa, nella mano sana stringeva il suo orologio. Addormentata, con le gambe nude piegate sotto al corpo e i lineamenti rilassati, gli sembrò improvvisamente molto più giovane. Si chiese come facesse a non aver freddo con solo quella vestaglia leggera addosso, lei che sembrava sempre sul punto di congelare.
Era stata sicuramente lei a togliere gli specchi, doveva aver intuito le sue intenzioni. Si domandò per un istante se fosse entrata nella stanza per rimuoverli personalmente. Aveva visto le sue cicatrici? La sua gamba? Un brivido lo percorse. No, in quel caso l’avrebbe probabilmente trovata seduta sulla sedia di fianco al letto.
Si avvicinò a lei cercando di non fare rumore. Perché era ancora lì? Lo stava sorvegliando? Aspettando? Pregando che la sua gamba sana riuscisse a mantenerlo in equilibrio, si piegò lentamente. Non poteva lasciarla lì, a dormire sul pavimento. Le passò un braccio dietro la schiena e l’altro sotto le ginocchia, sollevandola da terra. L’avrebbe svegliata? O avevano imbottito anche lei di tranquillanti? Da quanto tempo era in quella posizione? Ofelia si mosse leggermente nel sonno e appoggiò la testa contro il suo petto, facendogli trattenere il respiro. Era certo che se si fosse svegliata non avrebbe apprezzato quella vicinanza e il fatto che lui l’avesse presa in braccio. La strinse contro di sé. Era più leggera e più calda di quanto si aspettasse. E ancora una volta, come era accaduto nell’Immaginatoio e in prigione, la sua vicinanza sembrò curare tutte le ferite, fisiche e non, che lo torturavano. Anche il flusso dei suoi pensieri sembrava meno incessante.
Camminò lentamente verso il salotto, dove trovò l’intero gruppo di animisti profondamente addormentati. I più piccoli erano distesi vicini sul divano, la madre di Ofelia era raggomitolata su una poltrona mentre il padre era addormentato sul tappeto. Thorn si mosse il più silenziosamente possibile, svegliare anche solo uno di loro avrebbe scatenato il finimondo. Si avvicinò alla poltrona libera e rinforzò la presa su Ofelia per un istante, osservandola con attenzione prima di depositarla sulla poltrona e sistemarle la coperta. Non l’aveva mai vista così rilassata.
“Mi stupisco riusciate già a reggervi in piedi, figuriamoci trasportare un’altra persona.” Thorn si voltò di scatto verso l’angolo della stanza da cui proveniva la voce, bloccando gli artigli che avevano reagito alla sorpresa. Il prozio di Ofelia stava fumando tranquillamente la pipa, seduto vicino alla finestra.
“L’ho trovata addormentata in corridoio.”
L’uomo annuì. “Voleva sorvegliarvi. Vostra zia, su suo ordine, ha fatto sparire tutti gli specchi ore fa. Ma quando si è svegliata temeva ancora poteste scappare”
Thorn lo scrutò attentamente. Tra tutti i parenti di Ofelia, era quello che più gli ricordava la ragazza. Avevano lo stesso sguardo intelligente e determinato, nascosto dietro un’apparenza tranquilla e riservata. Sapeva che Ofelia era molto legata al suo prozio e forse proprio per quel motivo era l’unico, tra tutti gli animisti, che l’Intendente riuscisse a sopportare per più di cinque secondi. Ma ricordava anche lo sguardo disgustato e spaventato che gli aveva rivolto durante il pranzo.
“Comunque, se siete davvero un attraversaspecchi, c’è ancora uno specchio disponibile. L’unico che non è stato spostato è in questa stanza”, continuò il vecchio uomo indicando l’angolo opposto.
Thorn guardò per un’ultima volta Ofelia, profondamente addormentata sulla poltrona, e si voltò verso lo specchio. Probabilmente aveva ritenuto che la presenza di tutta la sua famiglia bastasse a farlo desistere dall’utilizzare lo specchio.
“State davvero scappando?” chiese l’uomo prima di riprendere a fumare. Thorn fissò attentamente il proprio riflesso allo specchio, soffermandosi sul livido quasi nero sotto l’occhio e sulla sua gamba. No, non poteva scappare, non finché Ofelia fosse rimasta al Polo.
“Ditele che quando…” sospirò appoggiando la mano sulla superficie riflettente. Sotto la sua pelle il vetro sembrava essere diventato liquido. “Che se vorrà parlarmi mi troverà all’Intendenza. La solita regola è sempre valida.” Immerse il braccio nello specchio.
Il prozio annuì guardandolo con una luce diversa negli occhi. “Siete un tipo interessante”, Thorn lo sentì mormorare, prima di sbucare nell’armadio del suo ufficio.


Quattro ore e sei secondi dopo, mentre Thorn sfogliava velocemente tutti i libri su Babel che era riuscito a recuperare, nel tentativo di immagazzinare nuove informazioni su quell’arca, Ofelia comparve improvvisamente nel suo ufficio, cadendo sul pavimento.
Thorn aggrottò la fronte. Non si aspettava di vederla comparire così presto, ma non poteva negare di esserne contento. In quelle quattro ore una parte del suo cervello si era concentrata solo su di lei, sulle possibili motivazioni che l’avevano fatta restare al Polo. Era incredibile come la sua mente, solitamente governata da assiomi, leggi e regole, si popolasse di dubbi e incertezze quando pensava a lei. “Dovreste controllare se l’armadio è aperto prima di piombare così nel mio ufficio. E verificare se possiedo un riflesso, il Mille Facce conosce il mio aspetto”, le ricordò aprendo un altro libro.
“Oh, siete davvero qui”, esclamò Ofelia quasi sorpresa, rialzandosi e sistemandosi il vestito.
“Come avevo detto al vostro prozio”, puntualizzò lui sfogliando velocemente le pagine. Conosceva già a memoria la mappa dell’arca.
“Non ne ero sicura… Pensavo vi foste dimesso”, sospirò l’Animista e lui chiuse il libro, studiandola.
“Assieme al titolo nobiliare mi è stato fatto dono anche del mio vecchio lavoro.”
Si scrutarono in silenzio per qualche momento. Ofelia appariva più riposata e, a parte il braccio rotto, non sembrava riportare altre ferite sul suo corpo. Ma il loro incontro con il Mille Facce aveva avuto qualche altra ripercussione su di lei? Lo scontro con Faruk?
“Come state?” Avevano parlato contemporaneamente, così le fece un cenno per indicarle di rispondere per prima.
Era strano. Più strano del solito.
Sembrava che tra di loro ci fosse un imbarazzo nuovo, una formalità che era scomparsa in quella cella ma che ora si era ripresentata, più forte di prima. Era a causa del matrimonio? Della sua dichiarazione? O più semplicemente in prigione la loro distanza si era attenuata a causa del pericolo imminente?
“Sto bene”, rispose Ofelia e la sua sciarpa le sistemò meglio gli occhiali, leggermente rosati, sul naso. A cosa stava pensando? Non era mai riuscito a comprendere cosa scatenasse il cambiamento del colore delle sue lenti. “Voi? La vostra gamba?” Gli occhi di Ofelia corsero sulla fasciatura intorno alla sua fronte e sui lividi sul suo viso. Si domandò cosa significasse il suo sguardo. Era preoccupata? Spaventata? Disgustata? Almeno non poteva vedere la gamba dietro la scrivania.
“La ferita sulla testa e i lividi guariranno a breve”, disse afferrando l’ennesimo volume sul tavolo. Sentire il suo sguardo addosso, in quelle condizioni, lo metteva a disagio. “La gamba non tornerà più come prima. Una parte dei tendini e dei nervi sono stati distrutti” ammise senza avere il coraggio di guardarla. Non voleva vedere la pietà nei suoi occhi. Si ripeté che la gamba non cambiava nulla, il suo corpo era già ripugnante prima, e Ofelia in ogni caso non l’avrebbe mai visto, era stata estremamente chiara su quel punto. “Il vostro prozio mi ha costruito un’armatura per permettermi di camminare, portategli i miei ringraziamenti”, aggiunse rileggendo la storia di Babel.
“Se avete ereditato il mio animismo, potreste imparare ad animarla, vi renderebbe le cose più facili!”
Thorn trattenne una smorfia udendo l’entusiasmo nella voce di Ofelia. “Non penso di averlo fatto.”
“Ma siete un attraversaspecchi.” Thorn rialzò lo sguardo e scorse un piccolo sorriso sul volto di Ofelia. Sembrava quasi orgogliosa e ciò fece stringere il suo stomaco.
“Sì. Non riesco a leggere e non so se ho ereditato il vostro animismo, ma posso attraversare gli specchi. Devo ammettere che è più comodo e veloce della mia Rosa dei Venti.”
Ofelia emise un piccolo suono che sembrava una risatina e improvvisamente sembrò che la temperatura della stanza si fosse alzata di qualche grado. Si rese conto che non l’aveva mai sentita ridere davvero.
“Io non ho ereditato nulla da voi”, continuò Ofelia scrollando le spalle.
“Impossibile.” Nel corso della storia, in ogni Cerimonia del Dono c’era stato uno scambio di poteri. Nessuna esclusa.
“Pensavo di aver ereditato la vostra Memoria. Subito dopo il nostro matrimonio ero riuscita a cogliere altri particolari della mia lettura dai miei ricordi, ma adesso è tutto come prima... Confuso.”
“Potrebbe esserci un’interferenza tra i vostri poteri e quelli che avete ereditato”, Thorn rifletté, chiedendosi se Ofelia sarebbe stata in grado di annientare pure quella statistica. Forse il suo potere da lettrice interferiva con la Memoria che aveva ereditato, così come per lui era accaduto il contrario. O forse, essendo lui stesso un bastardo, i poteri ereditati da Ofelia erano troppo deboli perché si manifestassero. “Se non avete ereditato nulla, meglio per voi. Entrambi i miei poteri sono terribili, sarei contento di avervi risparmiato questo fardello”, disse guardandola attentamente. Non riusciva a immaginarla dotata dei suoi Artigli o della sua Memoria. Eppure, per un istante, la parte di lui più orribile ed egoista aveva sperato che Ofelia avesse bisogno del suo aiuto per imparare a controllare i nuovi poteri. Ma aveva già interferito troppo, non poteva più essere egoista. “In ogni caso,” sospirò, “annullerò il matrimonio.”
Ofelia strinse le labbra e rimase in silenzio per 12 secondi, prima di annuire. “Mi sembra una buona idea.” Thorn non si era aspettato delle proteste, ma vedere Ofelia accettare la cosa così serenamente riusciva comunque a ferirlo. Sapeva che lei non l’aveva sposato di sua spontanea volontà, però… Però in quella cella, per alcuni istanti, aveva pensato ci fosse del reale affetto nei suoi confronti dietro le motivazioni di Ofelia. Si era dichiarato sperando che contro ogni probabilità Ofelia provasse dei sentimenti per lui, che stesse cercando di salvarlo perché teneva a lui e non solamente per un innato senso di giustizia.
Ma lei non aveva risposto.
“Così potrò testimoniare al processo”, continuò l’Animista annuendo convinta.
Ed ecco spiegato perché fosse rimasta al Polo. “Assolutamente no.” Non aveva ucciso un uomo per rimetterla nelle mani dei Miraggi un’altra volta.
“Perché no?!” per la prima volta da quando era comparsa nel suo ufficio, Ofelia si mosse, avvicinandosi alla scrivania. “Una volta annullato il matrimonio non sarò più vostra moglie e la mia testimonianza sarà ritenuta valida!”
Thorn chiuse il libro di scatto e appoggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita delle mani. “Non testimonierete.” Sentiva i suoi artigli pizzicare alle estremità del suo sistema nervoso e cercò di tenerli a bada. “Tornerete su Anima.”
Ofelia sbatté le mani sulla scrivania, facendo volare intorno a loro fogli e appunti, con suo immenso disappunto. “Non ho alcuna intenzione di tornare su Anima. Rischiate di tornare in quella prigione e di essere mutilati perché avete ucciso un uomo, a causa mia!
“Ve lo ripeto: non ho rimpianti”, disse calmo. Odiava la violenza, ma sapeva che avrebbe ucciso senza esitazione chiunque altro avesse mai tentato di ferirla. “Siamo finiti in quella situazione perché ho sottovalutato la minaccia, è stato un mio errore. Mi prenderò le mie responsabilità, ma non vi metterò di nuovo un pericolo”, sentenziò categorico. “Tornerete a casa con la vostra famiglia e riprenderete la vostra vita normale, dimenticherete quello a cui avete assistito. Quella tra me e Dio è una faccenda che non vi riguarda, lasciate a me il compito di risolverla.”
Ofelia sembrava furiosa. “Io ho liberato l’Altro, la faccenda non riguarda solamente voi.”
“Non sapete nemmeno se questo ‘Altro’ esiste davvero. Non vi coinvolgerò in questa storia.” Thorn si chiese in quale momento il suo piano avesse davvero iniziato ad andare a rotoli. Quando aveva annullato il contratto stretto con Faruk e di conseguenza il loro matrimonio, 103 ore prima, pensava che in quel modo l’avrebbe protetta. Era stato pronto a rinunciare a tutto pur di sapere che lei sarebbe tornata su Anima, sana e salva. E invece si erano ritrovati in un vortice di avvenimenti che la stavano trascinando sempre più a fondo.
“Non siete stanco di portare il peso del mondo sulle vostre spalle?” Ofelia sembrava improvvisamente esausta. “Non vi sto chiedendo di rinunciare. Rendetemi partecipe, condividete quel peso con me! Mi avevate promesso di non tenermi più all’oscuro su faccende che potessero riguardarmi. Sappiamo entrambi che questa ora mi riguarda.” Lo stava osservando con un’incredibile determinazione e Thorn sospirò. Cercare di fermare Ofelia era difficile più che cercare di fermare un treno in corsa. Avrebbe dovuto escogitare qualcos’altro per impedirle di partecipare al processo, aveva bisogno di tempo per riflettere. “Annullerò il matrimonio. Siete libera di fare ciò che volete, anche restare”, concesse. Sarebbe stato contento di vederla restare, se la motivazione dietro alla sua decisione fosse stata lui e non un pazzo che si era eretto al grado di Dio. “Per quanto riguarda il resto, ne riparleremo. Ora ho da fare.” Si alzò con fatica dalla sedia, e zoppicando fece il giro della scrivania, fino a raggiungere l’armadio. Sentiva lo sguardo di Ofelia su di sé. “Avete altro da dirmi?”
“Non so se la cosa possa interessarvi”, rispose Ofelia avvicinandosi allo specchio, ancora stizzita. “Ma vostra cugina si chiama Vittoria.”
Thorn annuì leggermente. Era lieto che Berenilde e la figlia stessero bene, ma aveva cercato di non concentrarsi su cosa significasse la nascita di quella bambina.
“Ah, quasi dimenticavo”, Ofelia infilò una mano nella tasca del suo vestito, estraendone il suo orologio. “Ho recuperato il vostro orologio dalle guardie della prigione”, disse avvicinandosi a lui e porgendoglielo.
Thorn prese l’oggetto dalla sua mano, guardandola attentamente, e la sua Memoria lo riportò sulle mura, sotto la pioggia. Sentiva il freddo avvolgerlo, l’acqua scorrergli sulla pelle, le labbra morbide e calde di Ofelia contro le sue. Strinse l’orologio tra le dita, cercando di rimanere aggrappato alla realtà. Vide gli occhiali e le guance di Ofelia arrossire e per una volta seppe per certo che stavano pensando alla stessa cosa.
Non l’avrebbe baciata di nuovo. Ofelia era stata molto chiara a riguardo e lui non aveva intenzione né di molestarla né di ricevere un altro schiaffo. Ma avendola così vicino, dopo ciò che era successo all’Immaginatoio e in prigione, era difficile resistere alla tentazione di stringerla a sé. Era sua moglie, almeno per qualche altra ora. Non desiderava altro che poterla sfiorare, abbracciare, ma ogni tocco non faceva altro che amplificare quel bisogno.
Trattenne la mano che si era allungata verso il suo viso, per sistemarle una ciocca di capelli, e fece un passo indietro. “Ofelia, non dormite sul pavimento. Se avrete bisogno di parlarmi mi troverete qui.”
La donna annuì lentamente in silenzio, senza staccare lo sguardo dal suo, e scivolò nello specchio.
   
 
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