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Autore: _Gin___    12/12/2020    3 recensioni
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
"What if...?" che parte dalla fine de "Gli Scomparsi di Chiardiluna"
Dopo l'incontro con il Mille Facce, Thorn decide di fidarsi di Ofelia e rinuncia al suo piano di fuga.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.”
  

Ho divorato la saga dell’Attraversaspecchi durante la quarantena e questa storia nasce dal finale del secondo libro (che è in assoluto il mio preferito): mi sono sempre chiesta cosa sarebbe successo se Thorn avesse aspettato il ritorno di Ofelia in prigione anziché scappare.
Adoro particolarmente Thorn e spero quindi di rendergli giustizia (anche se è così difficile da scrivere!)
La storia è abbastanza ben delineata nella mia testa e sarà lunga almeno 5-6 capitoli, cercherò di pubblicare abbastanza regolarmente ma dipenderà anche da quanto sono presa dal lavoro.
Ho letto i libri principalmente in inglese e francese, quindi se notate errori in qualche nome ditemelo e provvederò a rimediare! Non è la prima volta che scrivo una storia su questo universo ma è la prima volta che lo faccio qui, quindi sono curiosa di sentire cosa ne pensate. Commenti, consigli e critiche sono sempre super apprezzati.
Spero vi piaccia,
S.

CAPITOLO 1
 
“Avete onorato il contratto, piccola di Artemide. Concedo a Thorn un titolo nobiliare e lo affranco dalla sua condizione di bastardo. Di conseguenza sarà sottoposto a un altro processo, stavolta nelle dovute forme. Aprite la porta.
 
Ofelia fremeva mentre i gendarmi aprivano lentamente la porta dorata della cella di Thorn. Sperava che lui l’avesse ascoltata e non avesse compiuto alcun gesto sconsiderato. Era sicura che avesse scaricato la pistola addosso al Mille Facce, ma nella stanza erano rimasti fin troppi oggetti che avrebbe potuto utilizzare. Inoltre, aveva già perso grandi quantità di sangue e la gamba sembrava essere in condizioni terribili. E se avesse sottovalutato le sue condizioni? Era in pericolo di vita? Temeva di non ritrovarlo nella cella. Aveva escogitato un piano per fuggire? Era possibile uscire da quella cella senza farsi notare?
Ma quando finalmente la porta si aprì e Ofelia entrò nella cella al fianco di Faruk, con tutto il corteo al seguito, Thorn era ancora seduto a terra, la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi. L’acqua che usciva dai tubi del lavandino gli scorreva tra i capelli e sul corpo, formando intorno a lui una pozza rossastra. Per un istante Ofelia credette di essere arrivata troppo tardi e sentì le sue gambe tremare.
“Thorn!” La voce angosciata di Berenilde gli fece riaprire gli occhi e il suo sguardo si posò immediatamente sulla donna che stava correndo verso di lui. Ofelia era esausta, si sentiva completamente svuotata e ormai i muscoli le si muovevano in automatico, senza bisogno di alcun impulso nervoso. Crollò in ginocchio davanti a Thorn, che non aveva mai smesso di guardarla, e gli gettò il braccio sano intorno al collo, appoggiando la fronte sulla sua spalla. Non sentiva l’acqua che le bagnava le scarpe e le gambe, non sentiva il dolore del braccio rotto, non sentiva il brusio dei cortigiani al seguito di Faruk. Non sentiva più nulla.
E allo stesso tempo sentiva tutto.
Sentiva la mano di Thorn appoggiata sulla sua schiena, sentiva il suo sguardo ancora incollato sul suo viso, sentiva il suo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente.
“Vi concedo un titolo nobiliare” Thorn, ancora concentrato sulla donna stretta contro di lui, trattenne il respiro. La voce di Faruk era tornata annoiata e inespressiva, ma a Ofelia non importava. Ce l’aveva fatta. “Vi affranco dalla vostra condizione di bastardo. Il processo si terrà tra dieci giorni, per ora siete libero.” Dal gruppo di cortigiani si levarono nuovamente delle proteste, ma lo Spirito di famiglia si era già voltato per tornare indietro.
Ce l’avevano fatta.
Erano salvi.
Erano salvi.
Erano salvi.
“Grazie.” La voce di Thorn non era stata nulla più che un sussurro impercettibile, un sospiro contro la guancia di Ofelia, ma lei sentì un enorme peso sollevarsi dal suo cuore e le sue spalle si rilassarono. Sciolse l’abbraccio e si tirò indietro, alzando lo sguardo verso di lui con un enorme sorriso. Non si era mai sentita così felice.
Ma quando i loro sguardi si incrociarono, Ofelia sentì il suo stomaco chiudersi e le budella contorcersi.
Lo sguardo di Thorn era metallo ardente. I suoi occhi non si erano mai spostati dal viso di lei da quando era rientrata nella cella e sembrava guardarla come se fossero le uniche due persone nella stanza. No, le uniche due persone in tutto il Polo.
Ofelia fu costretta a distogliere lo sguardo per riuscire a riprendere fiato, mentre le lenti dei suoi occhiali si tingevano di rosa. Non l’aveva mai guardata in modo così… intenso.
“Oh Thorn!” Berenilde si era accasciata a sua volta sul pavimento, aggrappandosi alla camicia fradicia dell’intendente. “Ero così preoccupata! Faruk sembrava impazzito! Qualsiasi cosa dicessi, o facessi…” Ofelia notò gli occhi della donna riempirsi di lacrime. Non l’aveva mai vista perdere il controllo in quel modo. La paura di perdere il nipote e l’impossibilità di comunicare con Faruk dovevano averla profondamente sconvolta. “Continuava a ripetere la stessa frase, sembrava un fantasma… Nemmeno la bambina…” Berenilde si voltò verso Ofelia e lei realizzò che gli occhi di Thorn non erano gli unici che la scrutavano attentamente. Oltre ai due Draghi, tutta la sua famiglia, le due guardie vicino alla porta dorata e Archibald, che teneva ancora la figlia di Berenilde tra le braccia, a distanza di sicurezza dal suo corpo, la stavano osservando attoniti. “…Come avete fatto?”
L’Animista non sapeva cosa rispondere. Di certo non poteva rivelare cos’era accaduto nella cella o cosa avesse scoperto durante la lettura del frammento contenuto nel libro dello spirito di famiglia del Polo. Inoltre, non era nemmeno sicura di come fosse riuscita a risvegliare Faruk dalla sua ipnosi. Era come se improvvisamente un’altra memoria, una memoria non sua, si fosse impossessata di lei, facendole capire come dovesse agire. Ma tutto ciò non aveva senso. Oppure… Era stato l’effetto dei poteri ereditati da Thorn con il loro matrimonio? Cercò risposte nel viso dell’Intendente ma l’uomo continuava a guardarla avidamente, come se tutto il resto non avesse importanza.
“Siete liberi.” Annunciò una delle guardie schiarendosi la gola. “Avete intenzione di rimanere qui?”
“No…” farfugliò Ofelia. Ancora inginocchiata a terra, si avvicinò a Thorn. La gamba dell’uomo era piegata in un angolo innaturale e l’acqua che gli scorreva sul volto aveva portato via ogni residuo di trucco, rivelando completamente i lividi e le ferite. Conciato com’era, era un miracolo non avesse ancora perso i sensi. Non sarebbe mai riuscito a rimettersi in piedi da solo. Ofelia gli passo il braccio sano dietro alla schiena mentre Berenilde si rialzava in piedi. La lettrice cercò di spingere sulle sue gambe nel tentativo di alzare entrambi da terra ma l’unico risultato ottenuto fu un grugnito di dolore da parte di Thorn. L’intendente era troppo alto e pesante per lei, soprattutto con un braccio fuori uso e in quelle condizioni.
“Lasciate fare a me.” Il prozio, che era entrato nella cella per avvicinarsi a loro, le tese una mano per aiutarla a rialzarsi, prima di accovacciarsi al fianco di Thorn.
“Tenete”, l’ex Ambasciatore mise la bambina tra le braccia di Berenilde come se si trattasse di un pacchetto più che di un infante. Sogghignando si abbassò a sua volta e si posizionò il braccio di Thorn intorno alle spalle. Scambiò un cenno d’intesa con il prozio e insieme sollevarono l’intendente. Ofelia vide Thorn stringere la mascella, ma l’uomo non emise alcun suono, continuando a seguirla con lo sguardo. “Visto che la pistola che vi ho portato prima è stata inutile, facciamo che con questo siamo pari.”
“PISTOLA?!” Berenilde si guardò intorno freneticamente, notando solo in quel momento l’arma abbandonata a terra e i proiettili sul pavimento. Ofelia sospirò, Archibald aveva davvero il dono di intervenire nei momenti meno opportuni. Strizzò i lembi del suo vestito e si avvicinò a una delle guardie mentre i tre uomini uscivano lentamente dalla cella, seguiti dal resto del gruppo. Berenilde continuava, invano, a chiedere spiegazioni sulla pistola.
Ofelia si fece restituire gli oggetti personali di Thorn e si fermò per un istante sulla soglia, cercando di imprimere i dettagli di quella cella nella sua memoria. Erano successe così tante cose, in così poco tempo… Il matrimonio. Thorn. Il Mille Facce. Faruk.
L’Altro.
La sua vita era stata rivoltata e messa sottosopra.
“Ofelia…” L’animista si girò di scatto.
Sua madre e il resto della famiglia la guardavamo con apprensione, impalliditi. Non avevano ancora aperto bocca. Berenilde cullava la bambina irrequieta tra le sue braccia. Il prozio, Archibald e Thorn erano fermi qualche metro più avanti. L’intendente aveva voltato la testa nella sua direzione, in una posizione decisamente scomoda, costringendo gli altri due uomini a bloccarsi. Aveva ancora lo stesso sguardo incandescente e Ofelia sentì una morsa piacevole alla bocca dello stomaco.
“Signora Thorn,” sbottò l’ex Ambasciatore. Con un cenno della testa la intimò a raggiungerli. “Vostro marito non è particolarmente leggero. Né profumato. Se potessimo darci una mossa, avrei cose più piacevoli a cui dedicarmi.” Il fatto che Archibald non avesse ancora ricevuto un’artigliata o uno sguardo pieno d’odio confermava ad Ofelia che le condizioni di Thorn fossero più gravi di quanto lasciasse trapelare.
Si posizionò di fronte a Thorn, suo marito, guardandolo dal basso verso l’alto per alcuni lunghi secondi. Archibald alzò gli occhi al cielo.
“Grazie.” Mormorò Ofelia, vedendo le sue lenti colorarsi di rosa. Doveva smetterla di guardarla in quel modo. La faceva sentire indifesa, scombussolata, come se tutti i suoi organi interni fossero annodati tra loro. “Per non aver compiuto gesti sconsiderati.”
“Non faccio mai niente di sconsiderato” ripeté serio l’intendente. “Avevo un piano di riserva, ma non è servito… Voi distruggete ogni statistica.” Anche il suo tono di voce era incandescente e Ofelia dovette ricordarsi di respirare per non rischiare di andare in apnea.
Si studiarono in silenzio ancora per qualche istante, mentre Ofelia lottava contro l’istinto di avvicinarsi a lui per stringerlo. Avrebbe rischiato di fargli del male. Poi, improvvisamente, Ofelia vide il calore nello sguardo di Thorn spegnersi. L’intendente cercò di fare un passo in avanti e i due uomini al suo fianco ripresero a camminare, sostenendolo.
Ofelia si fece da parte, confusa, lasciandoli passare. Le sembrava di aver appena ricevuto una doccia gelata. O che qualcuno avesse spento tutte le fonti di calore presenti al Polo. Non capiva.
Tremando leggermente seguì gli uomini fuori dalla prigione, dirigendosi verso la dimora di Berenilde.
La sua famiglia, ancora in silenzio e sotto shock, li seguiva poco dietro.

Usciti da Città-cielo, quasi mezz’ora dopo, Thorn non le aveva più rivolto uno sguardo. Continuava ad avanzare faticosamente, con il sudore che gli bagnava la fronte e la mascella contratta. Se finché erano rimasti nella cella era sembrato non esistessero altre persone al di fuori di loro due, in quel momento Ofelia si sentiva come se la sua presenza fosse stata cancellata dalla memoria di Thorn.
Il prozio lo aiutò a salire su una carrozza e Ofelia ci si infilò dentro a sua volta prima che sua madre potesse fermarla. Aveva il terribile presentimento che se l’avesse perso di vista anche solo per un istante non l’avrebbe mai più rivisto. Archibald ridacchiò, sedendosi vicino a lei. “Allora, quali sono i piani per la vostra luna di miele?” Nessuno lo degnò di una risposta e il prozio fece passare lo sguardo tra lei e Thorn, che fissava qualcosa fuori dal vetro, leggermente imbarazzato. 
Ci fosse stata sua madre seduta al posto di Archibald, Ofelia avrebbe creduto di essere stata rispedita indietro nel tempo di circa un anno, al suo primo incontro con Thorn su Anima. L’ansia la stava attanagliando.
Trascorsero tutto il tempo del viaggio in silenzio, ad esclusione delle battute di Archibald che vennero ignorate dal resto del gruppo. Ofelia nel frattempo si interrogava per capire cosa avesse suscitato quel cambiamento così improvviso nell’umore dell’intendente. Di suo marito, si ripeté. Aveva detto, o fatto, qualcosa di sbagliato? Thorn stava semplicemente soffrendo a causa di tutte le ferite? Sembrava quasi caduto nello stesso stato catatonico che aveva pervaso Faruk qualche ora prima. Era un effetto dell’incontro con il Mille Facce? L’adrenalina causata da tutti gli avvenimenti di quella giornata la stava abbandonando e si sentiva sempre più stanca e scombussolata. La sua mente era offuscata e non riusciva a pensare con lucidità. Il braccio rotto le lanciava fitte di dolore e aveva bisogno di dormire. Ma soprattutto, aveva bisogno di parlare con Thorn, da soli.

Arrivati finalmente alla dimora di Berenilde, Thorn scese dal mezzo reggendosi sul prozio, con una smorfia di dolore, e zoppicò con difficoltà fino all’entrata mentre l’ex Ambasciatore aiutava Berenilde e tutti gli animisti a scendere dalle loro carrozze. Un uomo calvo e con spessi occhiali scuri li stava aspettando davanti all’entrata principale.
“Questo è il dottore”, annunciò Berenilde conducendoli in casa. Doveva averlo contattato prima di lasciare la prigione. “Fate stendere Thorn nella camera da letto”, la donna indicò una porta al prozio, “e qualcuno faccia sedere Ofelia prima che svenga!”
L’Animista riuscì a schivare la madre e le sorelle che cercavano di trattenerla e sgusciò dietro i due uomini e il dottore nel corridoio, seguita da Berenilde, che aveva adagiato la figlia in una culla in salotto, e Archibald. Il dottore entrò nella camera con Berenilde, ma Thorn si fermò sulla soglia, liberandosi dal sostegno del prozio, nonostante restare in piedi gli costasse un’enorme fatica. “Non entrate”, ordinò tra i denti, dandole la schiena. Anche la sua voce era diventata gelida e Ofelia seppe con assoluta certezza che si stava rivolgendo principalmente a lei. “Siete libera.”
“Cosa significa?” Ofelia fece un passo in avanti, cercando di toccarlo.
“Considerate nullo il matrimonio. Dimenticate tutto quello che è successo in quella cella. Prendete la vostra famiglia e tornate su Anima.” Chiuse la porta dietro di sé, lasciando il resto del gruppo in corridoio.
Ofelia rimase immobile per qualche istante, mentre il suo cervello registrava le parole dell’intendente.
Tornate su Anima.
No.
Assolutamente no.
 
   
 



“Come sta?” chiese Ofelia appena Berenilde entrò nella sua stanza. Quando Thorn le aveva sbattuto la porta in faccia lasciandola nel corridoio, aveva cercato in ogni modo di farsi aprire ma alla fine il prozio e Archibald avevano dovuto trascinarla di forza in salotto, dove il resto della famiglia l’aveva obbligata a distendersi su una delle poltrone. L’avevano sommersa di domande a cui Ofelia non aveva dato risposta e l’unico a rimanere in silenzio, stranamente, era stato l’ex Ambasciatore. Quando i suoi famigliari avevano finalmente capito che lei non avrebbe soddisfatto la loro curiosità, Ofelia si era ritrovata da sola con i suoi pensieri.
Considerate nullo il matrimonio.
Tornate su Anima.
Stava impazzendo. La sua sciarpa, che le teneva il braccio rotto legato al collo, si muoveva contagiata dal suo animismo e il bicchiere sul tavolino accanto alla poltrona continua a cadere e rialzarsi. Thorn voleva davvero annullare il matrimonio? Stava cercando ancora una volta di proteggerla? O era solo un tentativo di lasciarla all’oscuro dei suoi piani? Stava escogitando un piano per fuggire? Voleva davvero che lei dimenticasse tutto ciò che era accaduto? Il matrimonio? L’incontro con il Mille Facce? Le sue spiegazioni? Anche…
Ofelia si ritrovò a mordicchiarsi i guanti mentre Berenilde la studiava con un misto di apprensione ed esasperazione. “È vivo, ma la gamba è in pessime condizioni.”
“Devo parlargli.”
“No”, sbottò Berenilde facendo un cenno alla zia Roseline e al prozio. “Ho bisogno di voi due.” Riempì il bicchiere d’acqua e lo passò ad Ofelia insieme ad una pastiglia. “Dovete riposarvi, prendetela.”
“Ho bisogno di parlargli, prima che annulli il matrimonio o tenti una fuga!” Riprovò Ofelia con una nota di disperazione nella voce.
L’espressione di Berenilde si addolcì leggermente. “In questo momento non è nelle condizioni di annullare alcunché. In quanto alla fuga, se vuole uscire da quella stanza dovrà prima passare sul mio cadavere. Riposatevi.”
“Devo…”
“No”, la bloccò Berenilde perentoria. Ofelia iniziava a percepire gli artigli della donna come una scarica elettrica sulla pelle. “Prendete. Quella. Pastiglia.” Ofelia sospirò e mandò giù la capsula bianca, conscia che il tranquillante avrebbe avuto effetto in breve tempo. Non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che Thorn le avesse nascosto qualcosa. Qualcosa che poteva aiutarlo ad uscire di lì.
Avevo un piano di riserva.
Mentre le palpebre iniziavano a farsi pesanti, Ofelia continuava a rimuginare su quella frase. Qual era il piano? Se l’idea iniziale era stata quella di chiedere una pistola ad Archibald, quando aveva ideato il piano di riserva? Durante l’incontro con il Mille Facce?
Ofelia chiuse gli occhi. Prima che lei uscisse dalla cella per fermare Faruk… Thorn le aveva detto che non aveva più importanza. E aveva detto…
Anche voi mi avete insegnato molto.
Mentre il tranquillante le annebbiava la mente e le rendeva impossibile aprire gli occhi, Ofelia cercò di aggrapparsi a qualcosa, a qualcuno, con il braccio sano. “Gli specchi.”
“Cosa state dicendo?” domandò Berenilde confusa.
“Toglietegli gli specchi”, mormorò cadendo in un sonno profondo.
   
 
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