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Autore: zorrorosso    20/12/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 23
Honi soit qui mal y pensé

Era giorno inoltrato, in una mattina di inizio estate, quando infine anche il vento dei campi soffiò in loro favore. Le assi e le tele delle ali, crearono il suono simile a quello di un corno, un flauto di corteccia, richiamo soffiato da misteriose creature in una natura che si faceva di nuovo paese, persone e città.

Quando la macchina scese a terra, una figura in lontananza si avvicinò verso i tre, correndo. 

Athos era armato e vestito di tutto punto, con la solita vecchia uniforme, ma sembrava che ci fosse di più: il cappello appoggiato sul capo era decorato con altre tre piume, il rapière e tutte le cartucce rimaste, sia sue che quelle di altri, elegantemente attaccate alla tracolla, il moschetto imbracciato con una seconda tracolla di scorta, appoggiata sulle spalle, in opposto alla prima. Due colli di pizzo pregiato, uno più vecchi dell’altro e così le maniche di camicie nascoste sotto altre vesti.
Almeno due pezzi di metallo dorato, come medaglie o collane, brillavano appoggiate al petto. Al posto del vecchio giglio strappato, scendevano i ricami delle camicie ed i lunghi capelli pettinati, la barba rasata di fresco ed i baffi leggermente più lunghi erano ordinatamente acconciati con una punta di cera.

Nel ducato dell’Orleanaise, la famiglia de la Fère e la loro contea, erano state spesso onorate di favori e ospitalità. In molti conoscevano i suoi membri più vicini alle amicizie del Duca. Tuttavia questa non sembrava occasione per onori e regali.
Dal loro arrivo a Beaugency, Athos aveva trovato ospitalità e dialogo con diversi personaggi, ma la sua salute ed il presunto funerale, per qualche giorno, lo avevano tenuto lontano da mercati, ville e taverne. 
Dialoghi con la gente del posto o relative onorificenze non sembravano nei suoi piani, neppure il giorno prima.
 
D’Artagnan si stupì della grazia con cui un uomo potesse correre così elegantemente, adornato dal peso di tutte le vesti e le armi, ma Porthos ed Aramis arricciarono il naso a quella strana vista.

“Da dove spuntano tutte quelle vesti? Non ricordo averlo mai visto indossare tanti merletti tutti insieme. E quella cravatta! Da quale cuccia è venuta fuori? Un oltraggio all’eleganza!”- sussurrò Porthos guardando l’orizzonte ad occhi stretti e fronte aggrottata.

“E che dire di tutte quelle cartucce e del rapière? Non avrà per caso deciso di partire per il fronte?”- disse Aramis con altrettanto sospetto.

Il combattente si fermò e prese fiato, sorrise ed aprì le mani in un gesto così sereno da sembrare un sogno. I suoi occhi brillarono della felicità di aver incontrato di nuovo i suoi amici dopo lungo tempo. Eppure un barlume di qualcos'altro dietro ai suoi modi eleganti e aggraziati, dietro quella gentilezza e salute, non sembrava trasmettere la stessa serenità.

“Amici carissimi! Fratelli d’altra madre...”- disse Athos, mentre la sua voce musicale sembrava quasi cantare in un’armonia particolare, mai udita prima.

Il volto di D’Artagnan si sollevò alla vista del compagno, nuovamente nel pieno delle forze.

“Finalmente vi siete ripreso!”- gridò con entusiasmo. 

Il ragazzo gli corse incontro, distendendo le labbra e stringendo occhi brillanti in un ampio sorriso che sembrò prendere tutto il suo corpo di una rassicurante gioia: finalmente qualcosa di cui gioire e festeggiare! Il loro amico in salute e in buon umore! La strada del ritorno sembrava aprirsi verso il palazzo reale e i tanto ambiti onori del sovrano!

Al contrario, l’espressione serena di Athos sembrava non creare lo stesso tipo di emozioni verso gli altri due combattenti. Aramis e Porthos si avviarono lentamente, senza la stessa fretta o lo stesso entusiasmo.

“Fratelli?”

“Qualche cosa non va”- sussurrarono i due.

“Ricordate l’ultima volta che ci ha chiamato così?”

I due si scambiarono uno sguardo di sconforto, l’ansia salì tra i loro respiri, i loro sguardi trasmisero inquietudini e tormenti un tempo dimenticati, mentre le loro spalle crollarono all’evidenza dei ricordi e del presente.

“La disfatta del ‘23! Quella nella quale perse tutto!”- dissero all’unisono.

Athos abbozzò un altro splendido sorriso e strinse le mani in un gesto di armonica preghiera, nella nostalgia dello stesso evento passato, i suoi occhi ricordarono un barlume di gioia e subito dopo una sorta di breve malinconia, scorsero da un lato all’altro delle palpebre, tornando vagamente indifferenti, ma senza mai incontrare gli sguardi increduli e di Porthos e Aramis.

“E se, perse tutto allora... Cosa gli è rimasto?”- chiese Porthos.

Aramis non rispose, senza parole, sgranò gli occhi su Athos, mentre la mente dell’amico fu attraversata da un veloce pensiero, anche lui arricciò il naso per un solo attimo, quasi come per confermare le preoccupazioni, nel ricordo e la conferma degli stessi eventi passati, ma poi mostrare di nuovo il sorriso così bello e sereno.

“È ora di partire”- disse Athos in fretta e con voce calma, facendosi strada dietro di loro e verso la macchina.

“No no no no, dobbiamo ancora fare i bagagli!”- gli ricordò Porthos.

“Dobbiamo prendere i nostri libri, le nostre cose e i nostri cavalli!”- gli ricordò Aramis, voltandosi.

“Quali cose, quali averi! Nulla è più importante dell’amore! Dobbiamo partire subito per ritrovare la bella Constance! Non vedete come il cuore del nostro povero amico piange addolorato il suo ritorno?”- disse lui, nel tentativo di distogliere i tre da quel discorso.

D’Artagnan smise di masticare. L’arrosto era così buono da non trovare motivo di sprecare gli avanzi. I suoi compagni sembravano veramente indaffarati nei loro discorsi, che ascoltarli era quasi un intrattenimento e non trovò di meglio da fare, che sgranocchiare quel pezzo di carne attaccata all’osso.

Constance?! 

Per un attimo, le delizie gli avevano ricordato della sua stessa umanità: i pensieri del suo stomaco lo avevano distratto dal doloroso pensiero del suo cuore e della ragazza fuggita ad Orleans senza di loro. Anche D’Artagnan cominciò a notare che l’atteggiamento dell’uomo si era fatto strano e cominciava a destare in lui un certo dubbio. 
Dei tre, Athos era sempre sembrata l’ultima persona che avrebbe voluto aiutare Constance.

“Cuore?”- anche la speranza di D’Artagnan si spense nel dubbio di troppe parole gentili, una attaccata all’altra, troppo miele, tutto troppo buono per essere vero.

“Constance aveva lasciato anche del denaro, non possiamo certo lasciarlo incustodito!”- aggiunse il ragazzo.

“Eh, D’Artagnan Carissimo...”- la voce musicale di Athos non trasmise più la stessa armonia.

“Carissimo”- ripetè Aramis incrociando le braccia, fattosi all’improvviso più serio. Scambiò su di lui un’occhiata glaciale e voltò il mento in un gesto quasi impercettibile verso Porthos.

“Per tutti i santi del Paradiso, trovatene uno in grado di proteggervi!”- disse lui mostrandogli il pugno.

“Avete di nuovo perso tutto! Ma questa volta non avevate nulla! Diavolo che non siete altro! Avete perso del nostro!”- sibilò Aramis prendendogli di proposito il braccio della spalla ferita e stringendo. Senza approfittarsi dei suoi punti deboli, ma trasmettendo giusto e proporzionato dolore di risposta, senza mai provocarne di più di quanto la lealtà gli concedesse.

“I miei libri!”- continuò lasciandolo andare e voltandogli le spalle.

“I miei vestiti!”- urlò Porthos

“Tutti i soldi di Constance!”- disse D’Artagnan nella disperazione.

“No! Non fatemi così scellerato! Non ho bevuto nulla e, come promesso, ho mantenuto sempre attenzione e salute. Dunque qualche cosa di vostro è rimasto ancora nelle stalle della taverna”.

“Divina provvidenza! Avete risparmiato il mio cavallo bianco? - disse Aramis, sollevato da un sospiro e un sorriso, ma quell’espressione fu presto soffocata di nuovo dallo sconcerto.

“Eh, no. Ronzinante”.

“Ronzinante?”- esclamarono i tre nel più completo stupore.

“Era l’unico cavallo con un nome, mi dispiaceva giocare un animale a cui era stato dato un nome”- spiegò Athos.

“Oh dispiacere? Dispiacere?”- chiese Aramis.

“Ve la do io una ragione per provare dispiacere! Prendete Ronzinante, strigliatelo, nutritelo, baciatelo, trattatelo come se fosse vostro figlio, e mettetevi subito in viaggio per Orleans!”- ordinò Porthos.

“Ma è il mio cavallo!”- ribatté D’Artagnan.

“È meglio se per il momento lo prenda Athos in prestito e stia parecchio alla larga da noi, per la sua stessa salute e la sua stessa vita”- sussurrò Porthos rivolto verso il ragazzo. D'Artagnan notó gli sguardi di Aramis, i pugni di Porthos e annuí con riluttanza.

“Volentieri, con grandissimo piacere, amici miei! Conosco almeno due locande disposte ad ospitare noi, Ronzinante e questo mostro! Tutto a credito!”- disse Athos senza troppe preoccupazioni.

“Porthos! Aiutatemi a recuperare almeno i miei libri e i vostri bottoni! Magari riusciremo a rimediare anche il mio cavallo...”

“Era un bel cavallo”- aggiunse D’Artagnan, ripensando al crine bianco.

“Per favore, non ricordatemelo!”- ribattè Aramis.

“Dimenticavo! Al contrario di Parigi, i De La Fère sono ben visti in questo ducato!”- aggiunse Porthos.

“Capisco dunque il perché di tutti i doni che vi ornano! Dopo quello che avete perso in una sola notte, chiunque in queste terre sarebbe disposto a considerarvi ricco e generoso... A parte noi”- continuó alzando le spalle.

“Siate comunque maledetto”- aggiunse Aramis.

“Cominciate a cavalcare. Vi diamo un’ora di vantaggio!”

“Non temete troverò sicuramente qualcuno disposto ad ospitarci! Aspettatemi ad Orleans per l’ora di pranzo, offro io! Buon viaggio!”- Athos si congedò dagli altri con un ampio inchino.

“E allora sbrigatevi!”- dissero i due tra fischi e imprecazioni.

D’Artagnan ripensò a Ronzinante, ricordò passare una mano tra il suo crine stopposo con un sorriso compiacente. Non era un bel cavallo, ma aveva un nome, era ancora vivo ed ancora suo!
_____________

Il risveglio arrivò all’improvviso.

Sbarrò gli occhi come se, per un attimo, l’incubo in cui si trovava fosse davvero terminato, come se un’immagine spettrale, incisa nella sua mente, avesse preso il sopravvento su quella mattina di tarda primavera e la realtà si presentasse come un sollievo.

Sciacquò il volto con l’acqua del lavatoio e preparò per rivestirsi, ma soltanto in parte. 

Era il momento di agire e proclamare vendetta, imbarcarsi verso quel suo intimo viaggio e ripagare tutti quanti della loro stessa moneta: uccisi con le loro stesse armi, ma aveva bisogno di altro tempo per fare apparire tutto come doveva sembrare agli occhi dei suoi albergatori e degli altri astanti. Dare l’impressione di non aver mai lasciato i suoi appartamenti ed essere soltanto immersa in qualche lettura.
Per questo, avrebbe dovuto attendere ancora e non avrebbe chiamato subito la servitù. Le bastava dare l’impressione di essere sola, rinchiusa nella sua stanza.

Al contrario, il risveglio di George fu lento e pigro, l’uomo si rigirò tra le lenzuola, come se nulla fosse accaduto, come se non ci fosse ragione di preoccuparsi del futuro. Per un attimo, non le sembrò neppure l’uomo adagiato al suo fianco, la sera prima, ma qualcun altro. 

Un ombra avanzò agli angoli del suo sguardo, come se il fantasma dei suoi sospetti, l’oggetto del suo lutto potesse davvero vederla e testimoniare di persona ciò che era appena trascorso: l’ennesimo tradimento.

Non si sentì in rimorso, non era certo Andromache, non era legata al suo amore segreto da nessun vincolo, così come non era legata alla celebrazione di nessun lutto, se non quello della sua stessa colpa. 
Necessità, pericolo e una sensazione indescrivibile di eterna difficoltà e battaglia, giustificavano brevemente i suoi sentimenti e le sue azioni. 
Non era mai stato amore e il suo cuore non provava sentimenti, o forse soltanto non avrebbe voluto provarne.

Un sospetto corse nella mente di Milady. Tuttavia nessun testimone, nessuno scandalo, nessun cuore tradito da quel gesto di istintiva passione, di piaceri e frustrazioni negate altrove, aveva preso luogo. Niente e nessuno, neppure il suo fantasma era tornato a giudicare i suoi istinti, le sue intime colpe.

Portò una mano sulla bocca, al collo, da dove la pesante collana era stata allacciata tempo prima con dolore e distrazione. Non ricordava essersela mai tolta, eppure non c’era. Non c’era la sera prima, quando George si era misteriosamente presentato alla sua villa, come non era mai stata appoggiata al suo posto, nel cassetto. 

La stanza cominciò a girare, mentre un senso di vaga confusione prese i suoi pensieri. Certo con tutti quei diamanti, la collana era un oggetto pesante, avrebbe sicuramente notato se fosse caduto o scivolato via naturalmente eppure... 

...Eppure quelle ultime ore, nella notte dalle tristi passioni, erano state soltanto una lunga serie di tormenti, un vago incubo affogato tra le lacrime e i ricordi di un tempo lontano.

Quello era il risveglio, quello era il presente, il suono apocalittico di un dramma che stava percorrendo. Un sospetto, un’idea corse tra gli occhi brucianti dal pianto, lacrime che non potevano più sgorgare, tristezza soffocata da intime passioni.

Si preparò per la promenade senza vestirsi a lutto. Come se l’occasione fosse una semplice casualità e come se la passeggiata non fosse stata meticolosamente progettata per confermare un insidioso sospetto coprire di nero la sua mente.

Quando la vera tomba fu scoperchiata, rivide nelle sue memorie il suono d'un altra musica: morti risvegliati dalla tromba dell’apocalisse, neri sepolcri aperti sotto un cielo di angeli, che non sono angeli veri, ma soltanto dipinti. Figure piatte fatte soltanto di legno e gesso, strati di colore nobili e poveri, che mentono agli occhi, rappresentando una dimensione inesistente, portano la mente l'assurda follia dell’illusione. Uno spaccato tra Paradiso e Inferno, tra passato e futuro, nell’interminabile Giudizio Universale della sua vita.

Un dipinto destinato all’ordine del Cavaliere Gaudente, finito comunque nel bel mezzo delle Malebolge e simbolo stesso dell’ipocrisia.

“È questo il mio giudizio? È questo il mio personale inferno? È questo dunque, il demone a cui appartengo?”- chiese involontariamente Milady, Anne, a se stessa.

Il Duca di Buckingham la raggiunse alle spalle, si avvicinò alla tomba aperta, senza nome, ma il sospetto di chi avesse dovuto contenere avanzò nei suoi respiri.

La donna era in lacrime, piangeva, singhiozzava. Anche quando non era vestita a lutto, il suo cuore in realtà ne stava sostenendo uno più pesante degli altri.

“Che cosa vi affligge?”- chiese, cercando di capire.

“Niente, ricordi del passato...”- rispose lei.

“Certo! Del nostro passato! Ma ora sono qui con voi, non avrete più nulla da temere!”

“Voi?! George: ricordatemi, perchè siete tornato qui?”

“Per voi... Mia adorata! La vostra attesa è finalmente terminata ora che sono qui per voi! Non è questo ciò che desideravate?”

“George! Oh George!”- la voce di Milady si spezzò in un pianto che sembrò del tutto commosso.

Però i suoi sospiri evocarono in lui il ricordo di un nemico fin troppo recente.

In una reazione di completa rabbia, strozzata dall’avidità dei suoi stessi falsi sentimenti, George sorrise, strinse gli occhi e scosse la testa: avevano dato la Torre di Londra alle fiamme, preso la collana, la sua donna e la sua macchina: la guerra era soltanto cominciata. 
Athos l’avrebbe pagata cara!

“Vergogna ai malpensanti!”

Honi soit qui mal y pensé.

E Morte a tutti gli altri.
  
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