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Autore: Alyeska707    21/12/2020    4 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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brevissima inutilissima premessa: mi sono divertita un SACCO a scrivere questo capitolo, spero piacerà altrettanto anche a voi ^^ nel dubbio, preparatevi! 
 
CAPITOLO 3 


«We, amico!» Geoff batté il cinque a Duncan oltrepassando la soglia.
«Ciao Duncan!»
«Ciao, Brid. Chissà perché non ti aspettavo, era talmente ovvio che Geoff ti avrebbe portata dietro!»
«Beh, ma perché questa è una vittoria per entrambi, amico!» Geoff circondò le spalle della sua ragazza e per un attimo Duncan venne colpito dal dubbio che ci fosse dell’altro.
«Per entrambi? Non l’avrai messa incinta, Geoff…?»
«Ma Duncan!» esclamò Bridgette. «No che non sono incinta, che c’entra?»
Duncan si rivolse a Geoff, che lo stava guardando in cagnesco: «Che c’è, amico? Eri talmente solenne…»
Impiegò meno di un secondo, il surfista, a tornare solare. «Perché sono stato assunto, amico! Ho un lavoro! Finalmente io e Bri potremo andare a convivere in una bella casa! Hai già dato un’occhiata, piccola? Io voglio un giardino, con la piscina!»
«Vola più basso, amico. Devi ancora cominciarlo, il lavoro.»
«Infatti…» mormorò Bridgette. «Ma vedrai che tutto questo si realizzerà, amore. Non domani, ma un giorno sì.» Si alzò in punta di piedi per baciare il fidanzato e Duncan si voltò per evitare un conato di vomito. Quei due erano talmente sentimentali, insieme…

Si sistemarono nel buco di sala e iniziarono a parlare del più e del meno. Comunque il lavoro per cui Geoff era stato assunto, era quello di addetto-fotocopie presso una redazione giornalistica. Ne avrebbe dovuta fare di strada, per guadagnarsi quella piscina. Eppure lui sembrava entusiasta già così, per quel poco che gli sarebbe spettato. Chissà perché se ne stupiva ancora, Duncan. Infondo lo conosceva piuttosto bene, il suo amico: Geoff era capace di urlare di gioia per un paio di infradito fluo, per una giornata di sole, per una buona colazione. Gridava di gioia, letteralmente: «WUH-UH!» e non si era risparmiato nemmeno in questa occasione: «WUH-UH!»
«E stasera? Cosa fai stasera, amico? Noi abbiamo dei piani per niente male, se ti va di aggiungerti.»
«Mmm» Duncan aggrottò le sopracciglia in un’espressione contrariata. «Una serata da palo coi due piccioncini? Anche no, ragazzi.»
«Meglio fare il palo con noi e magari rimorchiare qualcuna, che restare in questo buco da solo tutta la sera, no?» insistette Geoff. Lui ci teneva al suo amico Duncan, sì, anche nonostante il suo fare scostante, nonostante il suo chiudersi in sé stesso sotto la sua tipica espressione da “non saprai mai quello che sto pensando davvero, amico”. Geoff era così semplice invece, a suo confronto; era così caldo, così «Amico!», così «Ho un tatuaggio sul sedere, lo vuoi vedere?». Duncan era così «Togliti di torno», invece. Ma andava bene, era fatto così: Geoff l’accettava.
«No» rispose Duncan. «Perché non sono solo, stasera.»
«Ah no?» Geoff gli diede un paio di colpi di gomito. «Ah no, canaglia? Eh? E cosa combini, eh?»
In quel momento suonò il campanello. Che fosse Gwen, in anticipo? No, non era Gwen. Era una ragazza, ma non Gwen: era Courtney, che si fiondò ad abbracciare Duncan non appena le ebbe aperto la porta. «Ho passato il mio esame! L’ho passato!» ripeteva, a voce troppo alta e troppo, troppo maledettamente vicina alle orecchie del punk.
«Be…ne?»
Duncan era rimasto immobile con le braccia sospese in aria, indeciso tra il toccare Courtney per restituirle l’abbraccio, e il prenderla per i fianchi per allontanarla gentilmente. Non si vide obbligato alla scelta, però: Courtney si stacco rapida da lui non appena si accorse delle figure di Bridgette e Geoff, Geoff che se la stava ridendo di brutto, perché che canaglia, il suo amico!
«Ciao!» si presentò subito Courtney. «Sono Courtney, una… voglio dire, la, amica di Duncan.» E iniziò a stringere loro le mani. Geoff rivolse a Duncan un’espressione ambigua: ma che voleva dire, quello che Courtney aveva appena detto? Duncan gli accennò un no con la testa, un no che Geoff, però, vide senza cogliere a pieno, perché disse:
«Quindi è con lei che hai pianificato la serata, eh Duncan?»
In quel momento Duncan, una di quelle infradito fluo che all’amico piacevano tanto, gliel’avrebbe volentieri lanciata in faccia.
«Hai dei piani per me, Duncan?» Inizialmente confusa, si illuminò in una decina di secondi, voltandosi verso il punk. «Dei piani per festeggiare il mio risultato d’esame? Che bel pensiero, Duncan!»
Ma Duncan non sapeva neanche che dovesse fare un esame, quel giorno… e poi, esame di cosa? Magari avrebbe dovuto saperlo, ma di sicuro non lo ricordava, né gli interessava ricordarlo. Ormai, però, come poteva rispondere? Era spalle al muro, e per colpa del suo stesso amico.
«Niente di che, Courtney. Solo un horror nell’appartamento di fianco.»
«Di fianco?» fece Courtney, confusa.
«Sì, ci vivono due ragazzi, mi hanno invitato, cioè Gwen mi ha invitato, e così…»
«E così tu hai pensato di invitare anche me! Grazie, Duncan! Sei il migliore!»
Sì, lo era. Ma non in quel momento: quella non era proprio la sua prestazione migliore.

 
*****

Erano tutti stravaccati in sala nell’appartamento di Gwen e Trent. La presenza di Courtney, alla fine, si stava rivelando di poco conto; Gwen non si era indispettita per essersi ritrovata un'estranea in casa, Trent invece era sembrato addirittura sollevato del fatto che Duncan non fosse solo. Questa volta, però, ci aveva pensato il punk a presentare la ragazza: «È Courtney, la proprietaria della casa che ho in affitto» Courtney aveva aggiunto un saluto e basta, questione chiusa.
L’unico inconveniente della presenza di Courtney, a dirla tutta, l’aveva riscontrato il braccio di Duncan che, nonostante i muscoli, vacillava sotto la stretta della ragazza, che puntualmente gli infilzava le unghie lunghe nella carne, ad ogni momento vagamente pauroso del film. Se lo ricordava più traumatizzanti, Duncan, certe scene. Invece quella sera, stretto tra una Courtney terrorizzata e il bracciolo del divano, quell'horror gli era sembrato un semplice film di nicchia. Aveva stemperato la delusione, alimentata dalle aspettative del ricordo, con la birra che Gwen e Trent avevano messo a disposizione, con le patatine e i pop-corn. Duncan e Gwen erano gli unici che stavano mangiando, lui a un’estremità e lei a quella opposta del divano. Courtney e Trent, troppo paralizzati dalla paura e dallo schifo degli sbudellamenti del film, si limitavano a passare le ciotole di snack da una parte, poi dall’altra, poi di nuovo nella prima direzione, di nuovo nella seconda. Gwen di tanto in tanto se ne usciva con: «Sì! Me lo sentivo!» e Duncan aggiungeva: «Ah sì, me la ricordavo questa.»

Dopo un’ora e mezza di sangue e sventramenti, il film terminò. Gwen riaccese la luce, prima spenta per creare la giusta atmosfera da horror, e le venne da ridere alla vista di Courtney, schiacciata contro Duncan per la paura, e Trent, immobile e cadaverico.
«Siete diventati più pallidi di me, voi due» aveva commentato indicandoli.
Era tardi, ma non davvero tardi. Così Gwen, vedendo la ciotola di pop-corn svuotata, penso di aggiungerne altri, per passare altro tempo insieme a conversare del film, prima che gli ospiti se ne andassero.
Quindi Gwen afferrò la ciotola e disse: «Vado a preparare altri pop-corn.» In quel momento Duncan si ricordò che quello dei pop-corn, in origine, avrebbe dovuto essere il suo compito.
«Cavolo, mi sono completamente scordato che dovevo portarli io, aspetta che ti aiuto.»
Si alzò a fatica, staccando Courtney, e seguì Gwen nella cucina. Iniziarono a commentare il film, mentre i pop-corn scoppiavano nel microonde. Gwen si era seduta sul ripiano, aspettando che fossero pronti.  
«E che killer! Mi sarei buttata tra le braccia di quell’assassino!»
«Guarda che Trent ti sente.»
Gwen sorrise. «No, starà parlando con Courtney di quanto terrorizzati fossero entrambi!» I due ridacchiarono e Gwen si sporse per raggiungere altre due lattine di birra nel frigo. Ne offrì una a Duncan.
«Io ero più preso dalla ragazza, comunque.»
«Quella castana?»
«No, l’altra. La solitaria coi capelli tinti.» Gwen si immobilizzò per una manciata di secondi, prima di visualizzare l’attrice nella mente. «Per un attimo ho pensato ti stessi riferendo a me. Che stupida.»
«Perché sei solitaria?»
«Eccome se lo sono.» Un sorso.
«In effetti un po’ ci assomigli, a quella ragazza.»
«Ah sì? Allora ti piaccio!» Gwen stava scherzando, scompigliandosi i capelli con la mano per riprodurre il gesto della tipica ragazza che ama mettersi in mostra, stereotipo che, a lei, non apparteneva proprio.
«Non ti ho mai nascosto di notare le tue qualità, bellezza.» Duncan si avvicinò al suo viso. Gwen, per scherzare, gli rovesciò uno spruzzo di birra addosso: l’inizio di una guerra che finirono entrambi fradici, tra urli divertiti e risate. Al sentirle, anche Trent e Courtney erano accorsi. Erano rimasti… confusi, ma che stavano facendo? Avevano due espressioni contrariate, non riuscivano proprio a capirlo, il divertimento che invece si agitava nell’animo della dark e di Duncan. Loro non riuscivano a smettere di ridere!
Quando erano riusciti a calmarsi, Duncan aveva detto: «Sarà meglio che vada a cambiarmi», e Courtney aveva colto l’occasione per liquidarsi, perché: «Domattina mi devo svegliare presto. Periodo di esami, studio duro!»
«Buona fortuna!» l’aveva salutata Gwen, e la serata era finita così.


*****

Duncan tornò nel suo appartamento. Dopo aver constatato che la serratura della porta d’ingresso era rimasta come bloccata dopo essere entrato, si tolse la maglia, fradicia di birra, e si stese sul divano. No, non è proprio corretto: prese un’altra bottiglietta di birra e si stese sul divano; ora sì. Prima di accendere quel vecchio cassone di tv, sintonizzato sulla metà dei canali, riusciva a sentire il suono alto di voci proveniente dall’appartamento di Gwen: le intonazioni erano distinguibili, ma non le parole. Come aveva detto Trent: pareti sottili, e la sala di Duncan, che era più una “stanza all’ingresso” che salotto vero e proprio, era proprio contro alla cucina dei due fidanzatini, stanza dove dovevano trovarsi in quel momento, a giudicare dal rumore. Duncan non ci fece molto caso; si domandò che cavolo gli fosse preso così di colpo, quello sì, perché era curioso (soprattutto delle dinamiche che non lo riguardavano), ma per il resto… Lui l’aveva sempre sostenuto, che le relazioni serie, quelle che ti vincolano ventiquattr’ore al giorno per un periodo di tempo troppo lungo per risultare vivibile, sono come un camice di forza che non fa che stringersi e stringersi, sempre di più, fino a bloccare il respiro. Ovvio che si finisse per implodere, qualche volta. Duncan sarebbe imploso di continuo! Gli tornò in mente il modo in cui Courtney si era presentata al suo amico Geoff: «Sono Courtney, una… voglio dire, la, amica di Duncan.» Che cavolo significava quella correzione di articolo? Un trattamento esclusivo, forse? Eppure Duncan non le aveva mai lasciato intendere che si stessero frequentando in esclusiva, o roba del genere… Secondo la prospettiva del punk, erano solo finiti a letto insieme un paio di volte, capita, e non raramente; mica implicava un legame affettivo, questo. Nessun tipo di esclusività. Ma Geoff lo aveva intuito e di sicuro era stata questa la ragione per cui, stringendo la mano di Courtney, aveva alzato lo sguardo oltre di lei, cercando l’espressione sul volto di Duncan, che confermava i suoi pensieri: ha totalmente frainteso, questa!
Gliel’avrebbe dovuto spiegare, Duncan. Che palle, i discorsi seri. Non c’era fretta, però: chissenefrega di quello che pensava la ragazza, alla fine. Poteva costruirsi i film mentali che preferiva, la coscienza di Duncan era a posto. Se fosse diventata più invasiva allora sì, le avrebbe fatto notare che scollarsi non sarebbe stata una brutta idea. Sforzandosi di parlarle con dolcezza, però: il punk avrebbe fatto meglio a tenere a mente che quella che aveva affittato, era la casa che apparteneva a lei. Non poteva permettersi di venire sfrattato, non così presto! Sbuffò solo al pensiero, segnandosi a mente una nuova lezione di vita: evitare di sedurre le donne che potrebbero potenzialmente rovinarti, rovinarti per davvero.
In quel momento notò che Gwen era appena entrata e se ne stava in piedi, ancora bagnata della birra della lotta di prima, all’ingresso.
«Hai lasciato la porta socchiusa» mormorò.
Duncan si mise a sedere. «La serratura è rotta. Ma che hai fatto alla mano?*»
Gwen sollevò il braccio, come dimentica del dolore che, invece, le arrivava forte e chiaro. Sentiva tutta la mano pulsare, era rossissima e alcune nocche erano sbucciate, sanguinanti. «Ho dato un… pugno.»
«A Trent?» Questo sì che sarebbe suonato esilarante, alle orecchie di Duncan.
«No, al muro… un paio, di pugni.»
Gwen articolava tutte le sue affermazioni tenendo costante un tono di voce basso, quasi volesse nascondersi, farsi piccola. Come se si sentisse in colpa per l’impulso accolto con impeto. Sembrava una bambina che viene beccata a rubare delle caramelle, aveva pensato Duncan guardandola. E lui ne aveva visti, di bambini così: ovviamente non lui, però. Lui non si era mai fatto beccare. I suoi amichetti sì, però. Che imbranati.
Gwen socchiuse la porta alle sue spalle, come l’aveva trovata, e avanzò verso Duncan, adesso meno innocente, più nervosa.
«Il fatto è che sono così incazzata con Trent!» Si interruppe per un profondo respiro. «Ha fatto una scenata colossale dopo che ve siete andati. E sai perché? Per la birra rovesciata in cucina! Per della birra rovesciata che avrei pulito in due minuti prima ancora che lui potesse chiedermi per favore di farlo!  E invece no, cazzo. Non ho pulito un bel niente. Certe scenate mi fanno venire voglia di… di strapparmi i capelli, ecco!»
«Ti consiglio di distrarti un po’ allora, dolcezza. Non vogliamo che i tuoi bei capelli facciano questa brutta fine.» Le allungò la bottiglia di birra che aveva aperto poco prima per sé.
«Non hai niente di più forte?» chiese Gwen dopo averne preso un sorso.
A Duncan venne spontaneo sogghignare. «Vuoi proprio finire male stasera, eh?» Si alzò per andare a prendere la bottiglia di gin, appoggiata sul ripiano della tv.
«Voglio soltanto smetterla di pensare» rispose Gwen, sospirando. «Voglio rilassarmi e sentirmi come nuova. Sai come si fa?»
Duncan le allungò la bottiglia di alcol in risposta. «Direi che questo non è un cattivo inizio.» Poi notò le condizioni della ragazza: ancora fradicia.
«Non vuoi metterti qualcosa di asciutto?»
Gwen lo guardò di sottecchi, staccandosi dal collo della bottiglia. «Ma come siamo gentili. Sai che non pensavo?»
«Non costringermi a ritirare la mia disponibilità. Che non è gentilezza, comunque. E ricordati che potrei cacciarti da qui in qualsiasi momento, dato che è casa mia.»
«No!» l’interruppe Gwen, tutta divertita: «è casa di Courtney!»
«Sì, hai ragione tu. Comunque se vai fino alla fine del corridoio, là trovi la mia camera. Dovrebbero esserci delle maglie sparse in giro.»
Gwen gli rivolse un’occhiata sospettosa. «Siamo sicuri che non mi pentirò di esserci entrata, dopo?»
«Se vuoi posso accompagnarti. Possiamo restare lì dentro quanto vuoi, se è questo che mi stai chiedendo.»
«Certo che non ti stavo chiedendo questo, stupido! È che sai, non vorrei trovare, che so… manette, o altre robe strambe che userai per i tuoi giochetti!»
Duncan era scoppiato a ridere. Ma era già brilla, Gwen?
«Un paio di manette non è una cosa stramba. E comunque no, non c’è niente di tutto questo, tranquilla.»
Gwen non accennò a muoversi comunque. Lo guardava come paralizzata con le sopracciglia aggrottate. Ecco di nuovo la bambina in lei: adesso stava cercando di convincere i grandi che non era assolutamente stata lei, quella a rubare le caramelle.
«Ok, streghetta. Vado a prenderti qualcosa io, va meglio?»
Gwen annuì soddisfatta, e gli gridò dietro: «Prendi anche qualcosa per te, ne avresti bisogno, mi sembra!» Poi si rincollò alla bottiglia di gin. Le faceva letteralmente schifo. Però funzionava: tra i brividi di ribrezzo per l’amaro della bevanda, sentiva i nervi alleviarsi, anzi no: i nervi non li sentiva più. Era come un’onda, un’onda che ondeggia, che ondondoondola come un’onda e… cade. Si abbandonò a peso morto sul divano di Duncan e chiuse gli occhi, percependo quelle stelline che si stavano aggiungendo nella sua testa sempre più numerose, cancellandole tutti i problemi.
Duncan tornò da lei e le buttò una maglia in faccia.
«Ne avrei bisogno, dicevi?»
Gwen si scoprì il volto dalla maglia di lui per riuscire a guardarlo negli occhi. «Sì! Sei praticamente nudo!»
«Guarda che sarebbe solo una grande fortuna per te, se lo fossi.» Duncan si abbassò alla sua altezza e, dopo averle preso la mano ferita, iniziò a fasciarla con una benda. Aveva imparato per esperienza che era sempre bene averne, di bende: le lezioni le imparava, lui, a forza di ferite.
«Guarda» lo riprese Gwen, con sarcasmo, «che solo perché hai un bel fisico e una bella faccia, non significa che muoia dalla voglia di andare a letto con te.»
Duncan riprese a ridere. Cavolo se gli teneva testa, quella smilza, pallida bellezza! Sembrava già andata, oltretutto. Si alzò impiegando un secondo per sentirsi in equilibrio sui piedi. Poi si guardò intorno: quella salettina era tagliata in modo diverso, rispetto alla sua. La cucina era per metà, a vista, l’altra no: si infilò in quel vano per sfilarsi la maglietta bagnata e indossare quella di Duncan, tutta nera, con un teschio disegnato sul petto.
«Come mi sta?» Si sistemò le mani sui fianchi per farsi vedere dal punk come una modella.
«Da favola. Anche se la tua era più scollata…»
«La smetti di scherzare?» Lo raggiunse di nuovo sul divano, ridacchiando.
«Facciamo un gioco!» esclamò poi.
«E a che gioco vuoi giocare, Gwen?»
Ci pensò su. «Non lo so… di solito non gioco mai.»
Duncan prese un sorso di gin e sistemò la bottiglia tra loro.
«Obbligo o verità, allora» disse. «Chi non risponde o si tira indietro, beve.»
«Perderai tu di sicuro» rise Gwen. Aveva uno strano modo, Gwen, di non risultare mai sgradevole agli occhi di Duncan. Qualsiasi tipo di osservazione che, detta da qualcun altro, gli sarebbe suonata dannatamente insopportabile, uscita dalle sue labbra suonava come un gioco, un gioco che non vuole essere preso alla lettera, un gioco a cui Duncan avrebbe giocato per tutta la notte.
Iniziarono:
Gwen: «Perché ti sei trasferito?»
«Perché mi sentivo incatenato, dove stavo prima. A me piace sentirmi libero.»
«Piace anche a me.»
«Bene. Obbligo o verità, Gwen?»
«Verità.»
Duncan era tentato di chiederle di Trent, di esprimerne un giudizio, di rispondere quanto fosse convinta di amarlo. Ma tenne a freno la lingua: non era il caso. Gwen era in collera con Trent, e l’atmosfera era bella così, composta soltanto da loro due. Così le disse: «Ti dispiace così tanto che io sia senza maglietta?»
Gwen sorrise. Che vanesio. Voleva soltanto sentirsi dire quanto fosse ben scolpito.
«Non mi infastidisce» gli rispose quindi. Quanto fece ridere Duncan, quella risposta! Era intelligente, Gwen. Parlare con lei era divertente. Sapeva il fatto suo.
«Obbligo o verità, Duncan?»
«Obbligo.»
Le labbra di Gwen si distesero in un ghigno divertito.
«Vai a metterti una maglietta.»
«Ti prometto che lo farò al prossimo giro, se ancora lo vorrai.»
Gwen gli avvicinò la bottiglia di gin. «Intanto bevi, però.» Nessun problema, per Duncan. Era decisamente più sobrio di quanto non fosse lei.
«Ora è il tuo turno: obbligo o verità?»
«Obbligo!»
Duncan si protese in avanti.
«Baciami, se vuoi vincere.» Si aspettava un no secco, a dire la verità. Si aspettava un: «Sono fidanzata, cazzo! Lo vuoi capire? E lo sei anche tu!» Sì, perché avrebbe scommesso che non fosse chiara nemmeno a lei, la relazione tra lui e Courtney, relazione che non c’era, appunto.
Ma questo non successe. Sì, perché Gwen non ribatté proprio. Raccolse la sfida ricambiando il sorriso divertito del punk e si protese a sua volta verso di lui: contatto di labbra. Però non si ritrasse subito dopo averlo sfiorato: rimase per un attimo lì, accarezzando le labbra di lui con le sue. Per un attimo, perché subito dopo Duncan le avvicinò la testa alla sua, invitandola, portando una mano dietro al suo capo, ad approfondire il contatto. La spinse in avanti, contro di lui. Anche Gwen avvicinò le mani alla faccia di Duncan, lungo la sua mascella, le orecchie, il collo. E Duncan buttò a terra la bottiglia che se ne stava appoggiata tra di loro, noncurante del fatto che il poco alcol che era rimasto si sarebbe rovesciato sulle piastrelle. Si avvicinarono ancora di più, si incollarono, l’una contro l’altro per ogni centimetro di corpo, e Duncan spinse Gwen giù, a sdraiarsi sul divano sotto di sé, senza interrompere quel bacio che, da innocente sfida tra amici, era diventato più sporco, passione, lingue che non riescono a smettere di giocare tra loro e insistono. Gwen giocava con la cresta di Duncan, le gambe a cingergli il bacino. Che effetto gli stava facendo, quella ragazza. L’avrebbe ucciso.
Si staccò dalle sue labbra, Duncan, per lasciarle una scia di baci sul collo, sempre più giù, verso il bordo della maglietta, un bordo elastico, un bordo che Duncan strattonò un po’ per poter scendere ancora un po’ più giù, fino a che Gwen non l’aveva detto: «Trent.»
Cazzo. Aveva rovinato il momento. Lui le stava riservando un trattamento tanto speciale, e tutto quello che Gwen sapeva rispondere, era nominare il suo ragazzo, nell’appartamento di fianco a dov’erano loro. Erano stati silenziosi, comunque. Non poteva aver sentito nulla. Magari era pure andato a dormire, in questo caso sogni d’oro, Trent! Perché c’è chi si rifugia nei sogni per vedere delle belle scene, diceva spesso Duncan, e chi i sogni li fa succedere nella realtà: era questo il suo caso. Quasi, almeno: finchè la ragazza sotto di lui non aveva chiamato il nome di Trent. Cazzo. Duncan si bloccò e, al posto di procedere sfilandole quella maglietta fin troppo larga, appoggiò la testa al suo petto. Sentiva il cuore batterle veloce.
Puoi raccontarmi quello che vuoi, ma che effetto ti faccio, Gwen.
Rimasero così per un po’ abbracciati e in silenzio. Gwen avrebbe voluto che il ragazzo continuasse, facesse qualcosa, qualsiasi cosa, si sentiva così bene, così elettrizzata, così ubriaca, così noncapisconiente, così… chiuse gli occhi: così stanca.
Duncan non sapeva che fare, anche se sapeva quello che avrebbe voluto: andare fino in fondo. Sì, però la ragazza era totalmente ubriaca, sarebbe stato davvero incredibile se avesse accettato quelle sue carezze anche da sobria. Era anche fidanzata con un altro, che non avrebbe apprezzato. Ma no, a Duncan non importava davvero di Trent. Di Gwen, però, di più, ed era certo che quando si sarebbe svegliata senza vestiti e accanto a lui, la mattina dopo, l’avrebbe maledetto fino alla fine dei suoi giorni e avrebbe smesso di rivolgergli la parola. No, piccola Gwen. Duncan non ha intenzione di ferirti.
Se avesse sollevato la testa per rivolgerle un’espressione interrogativa, d’altra parte, temeva la sua reazione: magari si era totalmente dimenticata, complice l’alcol, che il ragazzo al quale era avvinghiata non fosse il suo Trent, magari aveva mormorato il suo nome proprio perché il suo cervello stava ricostruendo la scena come se fosse insieme a lui. Duncan riuscì solo a pensare: che fregatura, e rimase così, con la testa appoggiata al suo petto, fin quando non sentì il battito di Gwen normalizzarsi e si accorse che si era addormentata. La coprì con una coperta e si spostò nella sua camera da letto.



*: citazione dello stesso Duncan, TDWT, ep.13 

Buon pomeriggio a tuttiii
Credo di non aver mai aggiornato una storia con questa velocità, WOW (per me, spero anche per voi XD)
L'ho scritto già prima, ma lo ripeto di nuovo giusto per sottolineare il mio essere terribilmente ripetitiva: ho ADORATO questo capitolo! Sapete quando vedete proprio i personaggi durante il flusso di ispirazione, e vi limitate a descrivere quello che loro stanno dicendo alla vostra testa? Wow, così sembra psicopatico... COMUNQUE AVETE CAPITO ^^
Se vi è piaciuto (ma anche no) mi raccomando recensite (per favore!), che leggere le vostre impressioni è l'unico modo efficace che ho per lavorare sul mio stile (ed è anche un enorme incentivo ad impegnarmi per continuare a scrivere bene e rapidamente XD ... cosa che in realtà nel prossimo periodo sarà dura a causa sessione: ma se il Purgatorio non mi renderà soggiogata, mi sforzerò di sintonizzarmi :) 
A presto!

Alyeska
   
 
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