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Autore: FraJV_94    21/12/2020    0 recensioni
Vivienne Shepard è una giovane studentessa del college con una problematica famiglia alle spalle, alle prese con una minaccia proveniente dal passato che incombe su di lei. La sua protezione verrà affidata a una misteriosa Organizzazione, di cui Emily Lennox è la più brillante agente, da sempre impegnata nella ricerca di una pericolosa criminale.
La vita delle due donne si intreccia alle indagini, tra presente e passato, entrambe alle prese con amori difficili e destini complicati.
"-Devo farti un paio di domante. Vorrei che tu mi rispondessi con sincerità, se ti è possibile-
Vivienne lo guardò sorpresa. Era la prima volta da quando era arrivata in quel luogo che qualcuno la trattava con gentilezza, senza imporle di fare qualcosa.
Annuì.
-Allora, ti ricordi com'è iniziata la storia con David Cooper?-"
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2 
 
Voglio vedere la mia famiglia.
A Will Crew, giovane e promettente agente dell’Organizzazione, la richiesta di Vivienne Shepard era sembrata più un capriccio che una vera necessità, ma suo malgrado aveva dovuto seguire le direttive di Chris e aveva attivato la procedura per contattare la famiglia della ragazza ed eventualmente organizzare una visita.  
Ovviamente la famiglia era già stata messa al corrente della presa in custodia della ragazza, ma non avevano ricevuto tutte le informazioni che avrebbero voluto. Il protocollo prevedeva che venissero rilasciate limitate informazioni e per Will non avrebbe avuto senso infrangere il protocollo per dar adito alle richieste di una mocciosa ricca e viziata, come l’aveva definita lei stessa dopo l’irruzione di Vivienne nel loro ufficio. 
Will telefonò, dunque, al fratello della ragazza che, però, le comunicò che avevano già accordato una visita, prevista per il giorno seguente, e che era stato contattato dal Direttore dell’Organizzazione in persona. Will rimase senza parole: mai e poi mai una tale trattamento era stato riservato a qualche civile sottoposto a protezione da parte dell’Organizzazione!  
Era furente e appena terminata la telefonata si fiondò da suo responsabile di livello più alto, Thomas Evans, scavalcando Chris. 
-Dimmi che non è vero!- esclamò, irrompendo nel suo ufficio. 
Evans, un uomo sulla cinquantina con i capelli corti e grigi e lo sguardo risoluto, era in riunione con altri due agenti, che squadrarono Will esterrefatti per le modalità del suo ingresso. 
-Il Direttore in persona ha chiamato la famiglia di quella li?- esclamò Will, sbattendo un pugno sulla scrivania.  
-Cosa?- fece uno dei due agenti, stupito. 
Evans guardò tutti scocciato. –È una sua decisione e tu la devi rispettare- rispose poi deciso, fissando la ragazza. Era uno sguardo severo, che però Will riuscì a sostenere. Non era cosa da tutti. 
-Io non voglio far da balia a quella ragazzina- 
-Non mi interessa quello che vuoi fare tu. E a quanto mi è stato riportato, sei parecchio indisponente nei suoi confronti- 
-Mi sembra il minimo! E comunque è lei che…- lo interruppe Will, ma lo sguardo che le lanciò la zittì all’istante. 
-Se non vuoi essere tolta dal caso o sospesa,- continuò lui, -farai meglio ad essere collaborativa al 100%. Se questa missione dovesse fallire, verrai sottoposta a un’inchiesta- 
Will sbuffò. Era già stata sottoposta a ben due inchieste, dovute soprattutto al suo atteggiamento irruento e poco collaborativo, ma le aveva superate brillantemente entrambe. Aveva la segreta presunzione che avrebbe potuto superarne una terza senza alcun problema. 
-Non falliremo- rispose, sicura. 
Evans scosse la testa. –Ti rendi conto che stiamo parlando della vita di una ragazza? Di una persona vera? Hai la responsabilità della sua vita fra le mani e tratti tutto come un gioco!- tuonò. 
-So che non è un gioco- fece, offesa. -È lei che fa di tutto per…- 
-Lei che fa di tutto?!- sbottò Evans, questa volta seriamente arrabbiato. Si alzò in piedi. –È stata strappata dal suo mondo e costretta ad adattarsi in questa situazione. Le abbiamo stravolto la vita ed è normale che reagisca così! Dov’eri quando ti è stato spiegato come relazionarsi come le vittime e i testimoni?! Ti ricordo che un serial killer ha cercato di ammazzarla- 
Will non rispose, punta nell’orgoglio, e abbassò lo sguardo. Era consapevole che lo stava deludendo perché non si stava comportando in modo professionale, come lui le aveva insegnato. E poi avevo saltato tutte quelle stupide lezioni di psicologia, come le considerava lei. 
-Sei presuntuosa e arrogante. Sono stanco di dover sopportare il tuo comportamento e di doverti giustificare. A missione terminata, se non avrò riscontrato un miglioramento nel tuo atteggiamento, chiederò una sostituzione in via definitiva. E ora vai a studiare il fascicolo dell’FBI sul caso: compila una relazione e consegnala all’agente Rogers prima del loro arrivo- 
-Si- rispose Will, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. 
-Sissignore, d’ora in poi- 
Will alzò lo sguardo, spiazzata. Considerava Evans come un secondo padre e sentiva di averlo deluso. 
-Sissignore-  
 
˜ 
 
Vivienne fissava sconsolata il vassoio che l’agente Avery Wood le aveva portato dalla mensa. Si trovavano nella stanzetta da cui era già evasa una volta e avrebbe dovuto mettere qualcosa sotto i denti - aveva cenato la sera prima, poi nel cuore della notte era stata rapita dagli agenti dell’Organizzazione e da quel momento non aveva più mangiato nulla. Erano circa 12 ore che si trovava in quel posto così poco confortevole per lei e il suo stomaco iniziava a brontolare. Ciò che le aveva portato quell’agente, per quanto il gesto fosse in sé molto gentile, non era per nulla invitante: sembrava un pasticcio di carne con qualche verdura lessa per contorno e il gusto era terribile.  
Vivienne infilzò il pasticcio di carne con la sua forchetta per qualche istante, prima di decidere che, no, non avrebbe mangiato quella roba e avrebbe aspettato il prossimo pasto, con la speranza che le venisse servito qualcosa di commestibile. 
-Dobbiamo andare da Evans- disse Will, entrando bruscamente nella stanza. –Bisogna coordinare le nostre unità con l’FBI e dobbiamo aggiornarli sui nuovi avvenimenti- 
Avery annuì e seguì Will fuori dalla stanza. Vivienne li seguì, ma venne fermata da Will. 
-Tu stai qui- disse, sbarrando la strada. 
-No, ho il diritto di sapere anche io!- protestò Vivienne, arrabbiata. 
-Ti aggiorniamo dopo, tranquilla- fece Avery. 
Sbuffò. –Posso almeno fare un giro fuori? Ci sarà un posto in cui posso stare al di fuori di queste mura ... Qui c’è sempre tanta puzza, ho bisogno di aria pulita- 
Will alzò gli occhi al cielo -Io non credo che…- iniziò, ma venne subito interrotta da Avery. 
-Posso accompagnarla io, rimarremo nel perimetro della base- disse. 
Will protestò vistosamente. -No, devi partecipare anche tu! La signorina può aspettare il tuo ritorno al termine della riunione senza fare tante storie!- 
Avery alzò le spalle. -Dopo la tentata evasione di questa mattina preferisco rimanere con lei. Credo che Evans non avrà nulla da ridire a proposito, mi puoi aggiornare tu dopo la riunione?- 
Will non rispose. Si limitò a lanciare un’occhiata furente a i due ragazzi e poi uscì dalla stanza sbattendo la porta alle sue spalle.  
-Che caratterino- sibilò Vivienne, sorridendo, soddisfatta.  
Afferrò la giacca scura che aveva sul letto e che le era stata prestata da uno degli agenti che l’avevano prelevata la notte precedente. Seguì l’agente Avery lungo i corridoi asettici e incolori di quell’edificio, fino al raggiungimento di una porta blindata, dall’aria massiccia e resistente. 
Il ragazzo inserì un codice per poterla aprire, e Vivienne cercò di sbirciare la combinazione. 
-Cambia ogni tre ore- la informò lui, captando le sue intenzioni. 
-Grazie per l’informazione- ribatté lei, prima di inspirare a pieni polmoni l’aria pulita e fresca che entrava dalla porta finalmente spalancata sul mondo esterno. La luce del sole era accecante e faceva più freddo di quanto Vivienne si aspettasse, ma non era un problema per lei. Dopo quelle ore di prigionia, quell’aria, anche se fredda e tagliente, le sembrava la più buona che avesse mai respirato. 
-Quando arriva mio fratello?- chiese al ragazzo, con gli occhi chiusi e la testa inclinata all’indietro. Voleva assorbire più luce solare possibile. 
-Penso domani in mattinata- 
Vivienne squadrò l’ambiente che la circondava, un quadrato di erba verde e dall’aspetto artificiale, delimitato ai lati da alte siepi scure. Aveva la netta sensazione che dietro le siepi ci fossero altri muri grigi e tristi. Si sedette a terra, il terreno era soffice e leggermente umido. 
-Da quando sono arrivata nessuno mi ha spiegato nulla di tutto… questo- chiese Vivienne, sollevando le mani, ad indicare l’ambiente che la circondava. 
-Cosa ti interessa sapere?- sospirò Avery, scrutandola attentamente. 
-Ad esempio se siete pericolosi trafficanti di droga o se siete la CIA o qualcosa del genere- 
Avery sorrise. -Qualcosa del genere- 
Vivienne lo incalzò con lo sguardo e con un leggero cenno della testa.  
-Ti trovi nel quartier generale dell’Organizzazione, è un’agenzia paramilitare non governativa. Sei qui perché è stata richiesto di fornirti protezione in seguito all’evasione dei quel criminale e siamo in attesa di coordinarci con l’FBI- 
Vivienne sapeva già quelle cose. Era interessata ad altro. -E come funziona qui?- 
-In che senso?- 
Vivienne alzò le spalle. -Non so, da quanto tempi lavori qui? Poi proprio non capisco, siete tipo delle spie?- sorrise, strafottente. 
Seguì qualche istante di silenzio. La ragazza lo guardò stupita, non pensava che l’argomento fosse delicato. D’altronde gli aveva solo chiesto di parlarle del suo lavoro, ma lui si era incupito tutto d’un tratto, immerso nei suoi pensieri. 
-Da sei anni- sospirò, infine. 
Vivienne era troppo curiosa per mostrare sensibilità ed empatia, pensava di poter fare ancora qualche domanda prima di superare un qualche limite. -E dove vivevi prima?- 
Avery una strana smorfia. –Ho sempre vissuto qui- 
La risposta lasciò Vivienne basita. –Che cosa vuol dire?- 
Sospirò. – I miei genitori erano agenti. Io sono nato all'ospedale della base – proprio qui, qualche metro sotto di noi – e sono cresciuto qui- 
Vivienne deglutì, iniziando a percepire una certa tristezza. Si sentì improvvisamente a disagio. 
-E poi sei diventato un agente- 
-Proprio così-  
-Ed è una cosa comune o..?- 
-Direi abbastanza- rispose Avery, annuendo deciso. -Molti degli agenti che lavorano qui sono figli di agenti e sono nati qui, come me, ma non tutti. Altri sono selezionati al college o da altre agenzie, o tra ex soldati in congedo- 
Vivienne fece una smorfia. -Tu sei stato obbligato a diventare agente?- 
-Oh no, assolutamente!- esclamò Avery. Si sedette vicino alla ragazza. -Io ho deciso di arruolarmi e non tutte le persone che nascono qui sono costrette a diventare agenti, possono decidere di lasciare la base e farsi una vita al di fuori, oppure possono decidere di rimanere ma lavorare in amministrazione o come inservienti- 
-Mi aspettavo mi raccontassi che foste obbligati a vivere e lavorare qui, mi sento sollevata!- esclamò Vivienne, sorridendo. Iniziava a rilassarsi di nuovo, nonostante percepisse ancora un velo di tristezza. -Non mi sembri felice, però- aggiunse, quasi sottovoce, guardandolo di sottecchi.  
Lui scosse la testa. -Sto bene. Mi piace il mio lavoro. Comunque si, se lavori qui devi vivere qui, insieme agli altri agenti. E tu invece? C’è qualcos’altro oltre questo stereotipo della ragazzina bionda, ricca e viziata?- 
Vivienne strinse gli occhi, con le labbra serrate e tese. Detestava essere apostrofata in quel modo, nonostante sapesse esattamente come veniva percepita dal mondo esterno. -No, sono esattamente così come mi vedi. Viziata, presuntuosa e maleducata- rispose piccata. Si alzò e ripulì i pantaloni dal terriccio del terreno con una mano. - Adesso vorrei tornare nella mia cella-   
-Ah percepisco giusto un velo di permalosità!- 
Vivienne alzò gli occhi al cielo. -Posso essere anche acida e scontrosa se necessario-  
-Lo vedo- disse Avery, ridendo.  
Tornarono nella stanza riservata a Vivienne, e nel tragitto l’agente le diede altre informazioni sul luogo in cui si trovavano. 
La sede dell’organizzazione si trovava in una cittadina del Massachusetts, il cui nome non era stato rivelato a Vivienne, ed era organizzata come un campus in erano presenti tutti i servizi di una normale città. Tutti gli edifici, ad eccezione dei negozi, erano disabitati, perché gli unici abitanti della città erano gli agenti stessi e tutti risiedevano negli alloggi limitrofi alla base o nel dormitorio interno al quartier generale. Era, di fatto, una città fantasma. La base, il cosiddetto quartier generale, si trovava lontano dal centro della città, nel mezzo di una radura circondata da un fitto bosco e gran parte dell’edificio si trovava sottoterra. 
Avery le aveva spiegato che non tutte le aree della base erano accessibili a tutti e che era raro che i civili avessero la possibilità di fare ingresso in uno qualsiasi degli edifici della base. L’organizzazione lavorava per facoltosi clienti privati, agenzie investigative o governi, quindi di norma era difficile che ci fosse anche solo la possibilità che gli agenti dell’organizzazione si imbattessero in ordinari civili.  
-...ma tu non sei una civile normale, non è così?- chiese Avery a Vivienne, al termine del suo racconto.  
-Non lo sono i miei nonni- rispose subito Vivienne, corrucciata. -Io sono una normale studentessa del college, ma la mia famiglia è molto ricca-  
-E con sospetti legami con la malavita- 
Fulminò Avery con lo sguardo. -Se sai già tutto, è inutile che tu mi faccia delle domande-   
-Non volevo offenderti- rispose subito lui, dispiaciuto.  
Lei si voltò e incrociò le braccia sul petto. La famiglia Shepard era una facoltosa famiglia di banchieri di Boston, con tentacoli in certi loschi affari che spaziavano dall'industria all’alta finanza, dalla politica all’editoria, grazie a svariate società di investimento che, con ingenti somme, influenzavano e orientavano cruciali attività economiche a livello internazionale. Negli anni avevano costruito un impero economico in cui Vivienne si sentiva incastrata e da cui voleva scappare. I suoi nonni avevano controllato ogni aspetto della vita di Vivienne e della sua famiglia, imponendo stile di vita e scelte per il futuro. Vivienne avrebbe seguito il percorso che i suoi nonni avevano disegnato per lei, a prescindere dalla sua volontà. Ciò che ovviamente trovava più disturbante era la questione legata alla poca legalità che circondava la sua famiglia e si sentiva terribilmente sporca per tutto questo. 
 
˜ 
 
 
Dopo il breve momento trascorso in uno dei piccoli giardinetti interni dell’Organizzazione, era giunta l’ora di cena. Vivienne aveva atteso che fosse prelevata dagli agenti Rogers e Crew, che insieme ad Avery l’avevano accompagnata in mensa. Iniziava a trovare opprimente l’avere sempre qualcuno di quegli agenti intorno, senza aver mai un momento di privacy. Avrebbe voluto star da sola per poter metabolizzare a suo modo, ovvero lanciando per aria i suoi effetti personali istericamente, tutta quella situazione in cui si trovava. D’altro canto, dopo il poco efficace tentativo di fuga e il suo atteggiamento continuamente aggressivo e imprevedibile, gli agenti dell’Organizzazione non volevano più lasciarla senza sorveglianza, temendo problemi e annessi danni.   
-Non vi sembra strano che David Cooper mi abbia trovata proprio a Seattle, lo scorso anno?- disse Vivienne, seduta a uno dei tavoli rotondi e di metallo della mensa. 
-Non così tanto- le rispose seccamente Will, con tono ovvio. -Ti stava seguendo e controllando- 
-Nessuno sapeva che fossi a Seattle, ad eccezione della mia famiglia- 
-Magari le tue amiche si sono lasciate sfuggire qualcosa senza rendersene conto- disse Avery, stuzzicando il cibo con la forchetta. I pasti continuavano ad essere poco invitanti. 
-No- rispose Vivienne, -erano in ritiro con la compagnia di danza in quei giorni. E comunque anche volendo, non avrebbero potuto perché non lo sapevano proprio- 
-L’ipotesi è che possa averti seguita in aeroporto- intervenne Chris. Era sicuramente più grande di qualche anno rispetto ai due ragazzi, ma Vivienne non avrebbe saputo assegnare una precisa età a nessuno di loro. Aveva intuito che l’agente Rogers fosse il loro superiore o avesse comunque un grado più alto da come loro si rivolgevano a lui. In realtà Will aveva quasi sempre un atteggiamento supponente anche con lui, alternato a occhiate maliziose che Vivienne aveva notato fin dal primo istante, ma eseguiva gli ordini che lui le impartiva, spesso senza risparmiare proteste. Come in quel momento.  
-Sono informazioni riservate, non devi parlarne con lei!- esclamò arrabbiata, rivolta a Chris.  
-È il tuo capo e gli parli così?- si intromise subito Vivienne, a cui piaceva punzecchiare le persone.  
-Non è il mio capo e tu devi farti gli affari tuoi- sibilò Will sporgendosi verso di lei, che non si mosse di un centimetro. Fin dal primo momento, tra di loro si era scatenato un forte sentimento di antipatia ed entrambe non perdevano occasione per infastidire l’altra. 
-Adesso basta- fece Chris, tirando indietro Will. - Non sono il tuo capo, ma sono comunque l’agente responsabile di questa operazione e so cosa posso o non posso dire. È chiaro?- 
Vivienne sorrise beffarda, mentre Will guardava Chris in cagnesco e si mordeva la lingua.  
-E tu,- continuò Chris, questa volta rivolta a Vivienne, -dovresti smetterla di avere questo atteggiamento. Non siamo i tuoi lacchè personali, siamo qua per lavorare- 
Lei gli rivolse lo sguardo. -Beh, in ogni caso la vostra ipotesi è sbagliata, perché ho viaggiato con il jet privato dei nonni. Ho deciso all’ultimo e sono partita dal loro aeroporto privato-. Avery alzò un sopracciglio, osservando come, ogni qual volta che Vivienne si sentiva attaccata, rispondesse tirando in mezzo la sua famiglia facoltosa, come se volesse darsi un tono. -E se mi avesse seguita,- continuò lei, -perché avrebbe aspettato una settimana prima di…- 
-La vuoi smettere?- la interruppe nuovamente Will, bruscamente.  
Vivienne la ignorò e si voltò, invece, verso Chris. -Puoi dire alla tua ragazza di lasciarmi stare?- 
Will arrossì violentemente, mentre Chris non distolse lo sguardo da Vivienne, che lo fissava con aria di sfida. -Non è la mia ragazza e tu devi darti una calmata- disse, con tono piuttosto fermo. Non sembrava arrabbiato, quanto scocciato. Avery, al contrario, aveva assunto uno sguardo corrucciato. Vivienne aveva intuito che c’era qualcosa tra quei tre, l’atteggiamento tra Will e Chris non era molto professionale, ai suoi occhi; inoltre, Avery saltava ogni volta che gli altri due si scambiavano anche solo uno sguardo, e assumeva poi un’espressione da cane bastonato. Vivienne era particolarmente perspicace e aveva capito al volo la situazione. Aveva anche deciso che ne avrebbe approfittato un po’, almeno finché Will non avesse smesso di infastidirla. 
-Beh, a me sembra proprio il contrario- 
Will scattò in piedi, furente. -Stai esagerando!- 
Chris afferrò il braccio di Vivienne e la fece alzare in piedi bruscamente.  
-Adesso io e te andiamo via- disse. 
Vivienne iniziò a divincolarsi, cercando di sfuggire dalla sua presa. -Mi stai stringendo troppo forte!- protestò, anche se in realtà non stava provando dolore.  
-Smettila- rispose lui, spostandosi verso l’uscita della mensa, trascinando Vivienne. –Siamo già tutti nervosi perché è un’operazione anomala e il tuo comportamento non aiuta nessuno- 
-Posso camminare da sola!- esclamò lei. 
La gente che superavano li guardava divertiti, ma ovviamente nessuno provava ad aiutare Vivienne, mentre Avery e Will erano rimasti in mensa, entrambi muti e pensierosi. 
Chris e Vivienne camminarono per alcuni minuti attraverso scale e corridoi labirintici fino a raggiungere una sala riservata agli interrogatori. Non era la stessa sala in cui Vivienne era stata condotta la prima volta. Chris la fece sedere su una sedia e le legò gli avambracci ai braccioli della sedia. 
-Ma cosa fai?!- protestò Vivienne, scalpitando.  
Aveva provato a opporsi ma Chris era più forte di lei e i suoi tentativi di liberarsi dalla sua presa erano falliti miseramente. I movimenti di Chris erano decisi ma non violenti. 
-Adesso ti calmi- intimò lui, guardando Vivienne dritta negli occhi. 
Lei serrò le labbra. Non accettava il trattamento che le stavano riservando e non avrebbe smesso di creare problemi finché non le avessero permesso di vedere la sua famiglia. Non aveva fatto nulla di male e si sentiva come se stesse subendo una evidente violazione dei suoi diritti. Non aveva intenzione di cambiare il suo atteggiamento. 
-Ascolta,- continuo Chris, -riesco a capire come ti senti in questo momento, ma…- 
-Dubito fortemente- lo interruppe lei, lanciandogli uno sguardo di fuoco. 
-…ma anche tu devi capire che stiamo lavorando e questo non è divertente neanche per noi- 
-Come no- sospirò Vivienne, d’un tratto angosciata. L’agitazione si stava trasformando in ansia, esternamente sembrava si stesse tranquillizzando, immobilizzata com’era, ma dentro di sé l’angoscia cresceva ogni secondo di più.  
Si sentiva sola, attorniata da sconosciuti inquietanti e armati, e il pensiero che non sarebbe mai più uscita da quell’edificio proprio non l’abbandonava. Razionalmente sapeva che non era possibile, che qualcuno sarebbe arrivata a salvarla, ma aveva difficoltà a convincersi. I suoi timori, a un certo punto, sembrarono concretizzarsi.  
-Presto sapremo se sarà possibile fornirti una sistemazione diversa, ma al momento non posso dirti di più, posso solo chiederti di portare pazienza- 
Vivienne sentì lo stomaco stringersi. Iniziava a mancarle l’aria. -Se? Che diavolo vuol dire?- 
Chris, in quel momento seduto di fronte a lei, allungò una mano, come se cercasse un contatto fisico con lei, ma la ritrasse quando Vivienne fece uno scatto all’indietro cercando di allontanarsi da lui. Era stato un movimento istintivo, non si sentiva realmente minacciata da lui. Cercando di nascondere quel breve momento in cui aveva mostrato un po’ di debolezza, come se avesse paura, Vivienne tornò all’attacco. -Non esiste che non sappiate cosa fare con me, non ho intenzione di continuare a subire le vostre prepotenze!- 
Chris non rispose. Inizio a guardare Vivienne dritto negli occhi. Lei sostenne lo sguardo, ma in realtà era curiosa di osservarlo meglio. Non voleva, d’altro canto, essere la prima a distogliere lo sguardo. Quando squillò il cercapersone di Chris, lei approfittò di quel momento per spostare finalmente gli occhi, osservando il resto del viso di Chris. Notò come i capelli castani avessero riflessi biondi e fossero molto ordinati, mentre la barba, che era decisamente corta, aveva riflessi rossicci che si notavano appena e sembrava che dovesse essere rasata. Il naso era regolare come il resto del viso, anche se saltavano subito agli occhi una vistosa cicatrice sulla fronte, vicino al sopracciglio destro, e una sul mento, obliqua, un po’ più piccola. La mandibola era strutturata e la fronte ampia, con le sopracciglia folte e scure. Gli occhi, di un azzurro molto chiaro ma intenso, spiccavano sulla carnagione leggermente abbronzata. Vivienne aveva anche notato le spalle e il petto muscolosi, come ci si poteva aspettare da un militare. O paramilitare, Vivienne non aveva ancora ben chiara tutta la questione. Dovette ammettere che era un bel ragazzo. 
Quando lui ripose il cercapersone in tasca, tornò a guardare Vivienne, che non smise di squadrarlo. Chris si sentì leggermente in imbarazzo, quindi si schiarì la voce, cercando di attirare la sua attenzione. 
Vivienne tornò a guardarlo negli occhi, quasi con sufficienza. Chris iniziava davvero a detestare questo suo atteggiamento.  
-Domani arriverà tuo fratello, ma se non ti calmi non ti permetteremo di incontrarlo- 
-Non puoi farlo!- esclamò subito Vivienne, divincolandosi e inarcando la schiena. Si sentiva come un animale in gabbia. 
-In realtà sì,- rispose con calma lui, -posso fare quello che voglio, anche costringerti ad assumere un calmante così forte da farti dormire finché Cooper non sarà arrestato. È quello che vuoi?- 
Vivienne si divincolò ancora per qualche secondo, poi si impose di tranquillizzarsi prendendo respiri profondi. L’angoscia continuava a divorarla ma non voleva dare alcuna soddisfazione a nessuno di loro. 
Digrignò i denti, come se stesse ringhiando. –Ho dei diritti, sai? Non potete fare quello che volete- 
Lui sorrise, poi fece per uscire dalla stanza. 
-Ehi!- protestò lei. -Non ho intenzione di rimanere da sola in questa stanza dove probabilmente avete ucciso qualche terrorista!- 
Chris sorrise, senza farsi vedere da lei, ma non le rispose, continuando ad avvicinarsi alla porta. 
-Ehi!- protestò ancora lei, sbattendo i piedi a terra. 
Chris, teatralmente, si girò a guardarla. –Promettimi che d’ora in poi starai calma e non farai casino- 
-Non posso-  
-Bene, allora vado a dire in infermeria di preparare i medicinali- 
-Non lo fai, tanto- sibilò Vivienne, ostentando una sicurezza che celava ben altro. Era davvero preoccupata che le parole di Chris non fossero soltanto una minaccia a vuoto. 
Lui sorrise, in un modo che Vivienne trovò spaventosamente bello ed enigmatico. 
-Se ne sei sicura- fece, alzando le spalle. 
Vivienne, confusa, si chiese se stesse flirtando con lei. 
Infine, stringendo i denti, si arrese. –Va bene, ci proverò. Ma voi cercate di non provocarmi più- 
Chris sorrise ancora, e si avvicinò per slegarle i polsi. La guardò ancora dritta negli occhi. Da quella distanza, Vivienne riuscì a sentire bene il suo profumo, fresco e con un tono leggermente agrumato. Fece una smorfia, riconoscendo che, in fin dei conti, era davvero un buon profumo. Non poté che constatare quanto fosse affascinante a i suoi occhi, nonostante la sala per gli interrogatori dei terroristi e tutto il resto. 
-Non ti assicuro nulla- 

*to be continued*

Eccoci al termine del secondo capitolo, piuttosto introduttivo come il precedente, e spero di riuscire a coinvolgere e incuriosire voi che la state leggendo. 
 
La mia idea è di aggiornare una volta a settimana, mi piacerebbe dare contuinutà alla storia.  
Suggerimenti o critiche sono sempre ben accetti.
 
Fra :)
  
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