Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Calipso19    22/12/2020    0 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Vivere senza tentare, significa rimanere col dubbio che ce l'avresti fatta.



Q promise di stare accanto a Michael al posto suo, dato che Jackie decise di tornare in Italia a trovare i parenti. Il viaggio in aereo, faticoso e nauseante, era diventato quasi una regolarità per lei. Atterrò a Roma, dove l'attendeva il fratellastro Guglielmo, giunto sin lì dalla Spagna per rivedere tutta la famiglia e visitare la Città Eterna con l'amata sorella. Egli, dopo la prima visita di Jackie che gli aveva permesso di ritrovare i contatti con la famiglia Flint, si era premurato di visitare periodicamente la casa materna e tutti gli altri, che erano stati altrettanto felici di vederlo. Sebbene Guglielmo abitasse in Spagna, e Jackie addirittura oltre oceano, la famiglia Flint poteva dirsi chiaramente riunita. Le visite erano periodiche, di una o due date l'anno circa, ma ogni volta era gioia e complicità assoluta. Jackie si trattenne a Roma con il fratello per 3 giorni, passati senza quasi dormire e alla scoperta delle meraviglie antiche e della semplicità italiana.
Ma la cosa che la rendeva più felice era il tempo che aveva a disposizione sola con il fratello.  

- Non mi hai detto di Lupe - notò Jackie, mentre erano seduti a un bar a godersi una fresca bibita. - Come sta?

- Doveva sposarsi - rispose lui, con una smorfia d'amarezza. - Ma lui l'ha abbandonata all'altare.

- Eh? - Jackie spalancò gli occhi, esterrefatta. - Perché?

- Nope… Era un tipo strano. Un'ex-alcolista che Lupe tentava di redarguire. L'avevo avvertita più di una volta di stare attenta, ma sai.. Quando il cuore di una donna è innamorato, lei stessa perde la testa. - Jackie annuì distrattamente. - Comunque si è ripresa subito, e ha deciso che la vita matrimoniale non fa per lei.

- Perché non la sposi tu? - propose Jackie improvvisamente. L'idea le era appena balenata in testa, e non le sembrava così male. Dopotutto, suo fratello e Lupe vivevano insieme, sebbene lei fosse solo la sua domestica. Svolgeva già i compiti che avrebbe dovuto fare una moglie. Guglielmo la guardò inorridito.

- Absolutamente no! Qué tipo de ideas se te ocurren?

- Bè, non sarebbe così male…

- No no no! Jackie, Lupe è solo la mia domestica, e mi gran e querida amiga. Perché dovrei sposarla?

- Perché non dovresti? - Insistette lei. Katherine le aveva da sempre insegnato che una volta fattosi adulto, un uomo doveva trovare una donna e sposarla, fare dei figli con lei e crescerli. Questo era lo stile di vita che mamma Jackson le aveva inculcato sin da piccola, e sebbene non ci riflettesse più di tanto, Jackie credeva ancora che tutti si comportassero così. Toccava al fratello aprire la sua mente ingenua.

- Lupe ha 5 anni più di me, ed è molto materna. Mi fa quasi da tata. - Guglielmo sorrise.

- L'amore non ha età Guglielmo. - Sorrise anche Jackie, e il fratello scosse la testa esasperato.

- Ma io non l'amo! - esclamò. - E lei non ama me. Te l'ho detto prima, siamo grandi amici. E poi io non voglio nemmeno sposarmi: ho la mia carriera che m'impegna abbastanza. - La fissò con i suoi occhi color della notte in modo intenso, e Jackie deglutì intimorita. - Quién te ensenò que cada uno tiene que casarse con?

- Cosa hai detto? - A volte Guglielmo parlava la propria lingua senza accorgersene.

- Chi ti ha detto che ognuno deve per forza sposarsi? Non è mica un obbligo sai? - Guglielmo rise. Jackie arrossì di colpo.

- Umh.. Katherine, la mamma di Michael.

- E' una persona molto religiosa?

- Si, molto.

- Allora capisco. - Raccolse le mani e le appoggiò sul tavolino. - Non la biasimo, ma una madre insegna a su hijo lo que él cree… E se èl cree que ognuno deve sposarsi, insegna a te questo. - Jackie annuì.

- Ho capito. Effettivamente non ci ho mai pensato. Ho sempre dato per scontato che quello che mi dicessero contasse per tutti.

- Sei giovane, ma quasi completamente adulta Jackie. Impara a riflettere ora. - E Guglielmo chiuse il discorso. Il treno per Firenze li attendeva.

Durante questi suoi viaggi, Jackie si era sempre soffermata sull'immagine d'oro della famiglia, da cui cercava di raccogliere più amore e affetto possibile, da utilizzare come scorta per i successivi mesi di lontananza.
Ma diventando adulta il bisogno di affetto fisico era leggermente calato (ma in proporzioni davvero microscopiche. Jackie amava coccolare e farsi coccolare), e ciò le aveva permesso di ampliare lo sguardo non solo alle campagne circostanti Villa Flint, ma a tutto il suo paese.
Più volte era stata attratta dalle lusinghe di Siena e Arezzo, a cui erano state concesse un paio di gite, e anche dallo stesso diadema dell'Italia Centrale, Firenze, che guarda caso era la sua città natale, che poteva visitare in ogni momento.
Nonno Andrew amava portarla a spasso fra le meraviglie architettoniche e pittoriche della città, e sebbene avesse poca dimestichezza con le parole per dimostrare le sue capacità di comprensione (sapeva usare benissimo la retorica solo per dibattere su qualcosa che non riguardava lei stessa, ma le sue idee), Jackie si scoprì affascinata dal dolce suono delle conversazioni, quelle per esempio che intraprendeva suo nonno quando incontravano un suo conoscente per strada, dall'andamento regolare con cui si passa di pensiero in pensiero, dall'ipotesi alla dimostrazione, dalla tesi all'antitesi.
E davanti a quegli scambi d'informazione, Jackie pensò che la parola fosse l'arma più letale per svelare le proprie norme di vita, e per contrastare quelle della falsità.
Ma anche la causa di tanti fraintendimenti.

- Se non la smetti di farti tutte queste seghe mentali, finirai con l'ammalarti di alzhaimer fra 2 anni e non di più! - Le disse Luca Gabriel, fintamente serio, quando lei, approfittando di un attimo di assoluta complicità, gli rivelò i propri pensieri.

- Io invece li considero fonte massima di ispirazione! - esclamò Fabiana spegnendo il registratore con il quale aveva catturato le parole della sorellastra. Jackie sbattè le palpebre e sorrise, divertita dalle due reazioni differenti. I suoi fratelli erano ormai adulti fatti, in carriera e nel pieno delle forze. Fabiana era anche fidanzata, e scriveva libri. Gabriel insegnava in un teatro. Nonno Andrew amministrava le rendite agricole di Villa Flint, che venivano gestite da Rino e Genna, due vecchi amici di famiglia. L'atmosfera austera della casa era riscaldata dall'armonia familiare, e Jackie sorrise felice. Era bello essere a casa!
 
---

Si svegliò avvertendo un inusuale profumo di focaccia e erbe mediche. Confusa, si stropicciò gli occhi e si accorse di essere avvolta in un lenzuolo fino e ruvido, e un piumone pesante dalla federa bordeaux. Allora ricordò: era a casa, a villa Flint!
Euforica, si vestì in tutta fretta, uscì di casa e si lavò il viso nell'acqua gelida della fontana nel cortile sul retro e rientrò in cucina. Zia Caterina stava sfornando con le mani tremanti una fumante focaccia di granoturco. Il viso della vecchia si illuminò appena scorse la nipote.

- Jaqueline! - esclamò felice. - Vieni a fare colazione!

- Buongiorno! - Luca entrò dalla porta d'ingresso e si precipitò in cucina.

- Già sveglio fratello? - chiese Jackie, notando che erano solo le sei e mezza del mattino.

- In Italia la giornata inizia prima rispetto all'America tesoro. Io e Guglielmo stiamo andando dal consulente immobiliare, dato che nostro fratello ha intenzione di prendersi uno studio legale qua a Firenze, e io la considero un'idea geniale. Vieni con noi? - Jackie scosse il capo.

- Non posso. Ho promesso a Giada che sarei andata a trovarla al suo negozio oggi prima di pranzo. Grazie comunque. - Luca sollevò le spalle e uscì fischiettando, non prima di aver baciato la zia sulla fronte.
Caterina appoggiò sul tavolo la focaccia gialla e una torta al cioccolato dall'aspetto molto invitante.

- Nessuno può abitare a villa Flint senza prima aver dato un morso alla mia specialità! - disse risoluta, tagliando una grossa fetta della torta, tanto ricca che Jackie ne avrebbe avanzata volentieri la metà, se avesse potuto. Ma l'anziana parente sembrava troppo determinata per poterle chiedere qualsiasi cosa. Caterina le mise il piatto sotto il naso, e la giovane si sentì nauseata dalla quantità di cibo offertole.

- Emh, non è necessario che ti disturbi tanto zia…

- L'ho appena fatto, e comunque non è un disturbo. Andrew va matto per questa torta, ne mangerebbe all'infinito. - Jackie sospirò, ammirando discretamente le qualità mangerecce del nonno, e raccolse un pezzo di torta con la forchetta. Dopo averla assaporata, rimase di stucco. La miscela di burro, uova fresche, cacao puro e latte cremoso risvegliarono tutte le sue papille gustative assopite.

- E' in assoluto la più buona che io abbia mai assaggiato, zia! - esclamò Jackie sinceramente contenta.

- Mi fa piacere! E' l'unica cosa che sono ancora in grado di fare bene! - rispose zia Caterina, compiaciuta.

Passare del tempo sola con la nipote la rendeva felicissima. Jackie viveva lontano, ma quando veniva da loro, la sentiva più vicina che mai. Aveva gli stessi occhi di Anna, l'altra sua nipote che aveva tanto amato.  

- E' tutto merito del mio ingrediente segreto! - disse ancora, mentre Jackie era intenta a masticare la sua terza fetta, grande quanto le precedenti. Evidentemente dal nonno aveva ereditato uno stomaco prepotentemente elastico.

- Ma è davvero così segreto? Cioè, nessuno è mai riuscito a capire di che si tratta?

- Nessuno mia cara, so conservare al meglio i miei segreti - e rimase un attimo in silenzio a osservare il giovane viso accanto al suo, vecchio e rugoso. - Però, dato che abiti lontano, per te potrei fare un'eccezione!

- Vuoi dirmi davvero che ingrediente usi? - Jackie era stupita.

- Si, ma solo se mi prometti di non svelarlo a nessuno!

- Oh che onore! Tranquilla zia, so mantenere benissimo i segreti!

- Bene. Allora mangia quella fetta. - ordinò la vecchia donna, mentre si avvicinava. - Il mio ingrediente è.. Olio di fegato di merluzzo!

Jackie sgranò gli occhi, e riversò ciò aveva in bocca sul pavimento, suscitando nella zia un'allegra risata.
In preda alla vergogna più totale, la poverina si affrettò a ripulire tutto e, con le gote infiammate, liberò il suo imbarazzo nel suo stupore e nelle scuse.

- M-mi dispiace… sono mortificata .. - Non riusciva a dire altro, poiché quella figura l'aveva paralizzata. Ma la vecchia zia non pareva affatto offesa. Anzi.

- Hahaha, mia cara! Ci sei cascata vero? Sei proprio ingenua! - E giù a ridere come una ragazzina. Jackie non sapeva se unirsi a quell'esilarante ilarità o mettersi a piangere. Optò infine per l'ipotesi che la divertiva di più. Non aveva mai sentito qualcuno ridere con così tanto gusto.
 
---

Dopo esser scampata dalla doti culinarie del tutto discutibili della zia, Jackie si diresse al negozio di Giada, che si trovava nei pressi dell'Arno. Giada era stata la migliore amica di sua madre, ed era rimasta in contatto con la famiglia Flint grazie a Jackie. Gestiva un negozio di cianfrusaglie d'antiquariato insieme alla figlia Josephine, L'Oasi del Tempo, come diceva l'insegna, accompagnata da due lancette d'orologio e un pendolo abbastanza ambiguo che Jackie sbirciò imbarazzata.

- So cosa stai guardando e so anche che sei scandalizzata. Anche io odio quell'insegna. Il diavolo la porti.. - Giada D'Amico uscì dal negozio asciugandosi le mani nel grembiule che indossava, e rivolse a Jackie un sorriso gentile. La sua prima peculiarità era sempre stata la franchezza più assoluta. - Ma nonostante questo particolare inquietante, sono felice di rivederti, Jaqueline Foster.

- Giada!! - Jackie si avvicinò per abbracciarla, ma la donna le tirò un buffetto sul cappello, facendoglielo scivolare sugli occhi.

- Assomigli troppo a tua madre con questo cappello! - la rimproverò, sorridendo malinconicamente. - Avanti, vieni dentro. Abbiamo cambiato i mobili due mesi e fa e voglio farteli vedere. Chissà mai che riesca a cambiare pure l'insegna.

- Come vanno le cose Giada? - conversò Jackie, mentre varcavano l'ingresso. Josephine stava spazzando per terra, e appena vide la giovane le rivolse un sorriso che andava da guancia a guancia e pareva più una smorfia, e non disse nulla. Jackie la salutò in francese, consapevole che non avrebbe ricevuto alcuna risposta vocale. Non aveva mai sentito Josephine dire una sola parola, e si chiedeva sempre se mai l'avrebbe sentita parlare. Raccontò a Giada della fattoria e del proprio lavoro in America, e poi ammirò il nuovo arredamento del locale. Centinaia di ninnoli erano disposti ordinatamente su scaffali di mogano vecchi e decorati, i davanzali ospitavano libri, statue e posacenere di diverse fatture, e per la stanza erano sparsi divani, cassettoni, comodini e grandi stampe ottocentesche, che Jackie si perse ad ammirare.

- Il tuo negozio è una meraviglia, Giada! - si complimentò. - Questi quadri sono splendidi, scommetto che hai un sacco di richieste.

- Ci scommetterei anch'io bella, se solo ne avessi, di richieste… - Mormorò la donna, sinceramente sconsolata. Jackie la guardò perplessa.

- Amore mio, è tempo di crisi. Tutti comprano le lampade a neon, non vanno più di moda quelle a olio di una volta! I quadri? Meglio una bella stampa dell'eroe musicale del momento! I dischi in vinile? Roba da scarsi e vecchi modaioli! - rise amaramente. - Scusa lo sfogo, ma in questo momento gli affari mi innervosiscono. Odio ammetterlo ma non sono mai stata così tanto in rosso.

- E' terribile! - esclamò Jackie. - Ma come è possibile? Tutte queste cose..?

- Le vendo, certo. Ma in modo così lento che al mese non copro le spese del mutuo. E ovviamente non mangiamo. Non m'importa tanto del negozio, fossi solo io potrei continuare benissimo così. Il problema è Josephine. - Guardò la figlia che, inconsapevole, ammirava il proprio riflesso in uno specchio con un tale sguardo alienato e assorto che Jackie rimase confusa e leggermente stupita.

- Cos'ha Josephine? - chiese osservandola. I capelli della ragazza le cadevano nel naso ma ella sembrava non tenerne conto.

- Caracolla tutto il giorno per il negozio, e non fa nulla di veramente utile. O meglio, nulla che non possa fare anch'io senza molto disturbo. Il fatto è che lei vuole farmi piacere, e allora le assegno dei compiti che lei svolge, così è soddisfatta e alla sera riesce a dormire. Il punto è che le entrate non bastano per entrambe, e lei mangia quanto un bovino, per non parlare della sua passione per i nachos. Se solo la facessero lavorare, sarei certamente più tranquilla.

- Perché? Non riesce a trovare un posto? Se vuoi posso aiutarti io a cercare… - Si offrì subito Jackie.

- Oh, il posto l'ha trovato. Stanno cercando un pizzaiolo da due mesi ormai, e nessuno vuole quel posto perchè la paga è minore del 20%. Nonostante questo, per me andrebbe comunque benissimo. Anzi, sarebbe perfetto. Ci siamo presentate innumerevoli volte. L'unica cosa che Josephine sa fare bene è la pizza, e la diverte anche. Ma si sa, la gente ignorante...

- Come 'la gente ignorante'…? - chiese Jackie, sinceramente confusa. Giada la guardò eloquente.

- Bè, mi sembra ovvio. - Jackie rimase in silenzio, e la donna aprì la bocca dallo stupore. - Non dirmi che non te ne sei mai accorta.

- Di cosa, precisamente? - chiese la giovane, imbarazzata.

- Jaqueline… Josephine è tarda. Autistica. E' evidente.

Jackie rimase di stucco, come se un getto d'acqua ghiacciata l'avesse svegliata da uno stato di lungo torpore. Improvvisamente ogni nodo giunse al pettine: ecco perché non parlava, capiva solo il francese e si comportava in modo così svampito. Diventò rossa per la vergogna, accorgendosi dell'enorme gaffe che aveva fatto, e abbassò lo sguardo.

- Sono mortificata Giada, non me ne sono mai accorta. Scusami tanto, sono proprio stupida.

- Che dici? E' bellissimo! - esclamò Giada. - Significa che non te ne importa nulla delle apparenze, o di quanto strano sia il comportamento di una persona. Si vede che non giudichi gli altri, e questo può essere solo positivo, secondo me. Hai preso tutto dalla mamma. - disse sorridendo. - Grazie al cielo. - Aggiunse un po' più seria.

Jackie rise sollevata, divertita dalla propria sbadataggine. Poi ricordò il problema.

- E' per questo che non la vogliono assumere? Perché è autistica?

- Già. - sospirò Giada, sconsolata. - Il proprietario del locale è il padre di un amico di Josephine, e pensavo che questo sarebbe servito a darle quantomeno una possibilità. Ma non c'è stato verso…

- Dobbiamo andarci a parlare.

- Tanto è inutile. Ci abbiamo già provato, che credi?

- Non ne dubito, ma un tentativo in più non guasterà di certo. Cos'abbiamo da perdere? - chiese Jackie risoluta, e la donna la guardò sospirando.

- Sei decisamente tutta tua madre. - Ripeté, e sentì che quella particolarità cominciava a farle male, ricordandole momenti passati sepolti sotto il lutto della migliore amica. Chissà se se ne rende conto, pensò Giada, guardando Jackie che chiedeva a Josephine, in francese, se le andava di mangiare una pizza dal suo amico. La ragazza autistica sorrise e annuì, marcando bene i gesti con la testa. Ora che lo sapeva, Jackie notò che non si poteva proprio dire che fosse una persona normale, e si chiese come avesse fatto a non accorgersene da sola. Ripromettendosi mentalmente di essere meno stolta e di migliorare il proprio acume, attese Josephine mentre si metteva sciarpa e cappello e avvertiva la madre della loro uscita. Giada le salutò cordiale ma priva di fiducia: si era rassegnata già all'impossibilità della figlia di trovare lavoro.

Le due ragazze si incamminarono, e dopo una passeggiata di 20 minuti e un autobus, sotto il sole a picco, Josephine le indicò una piazzetta nascosta da un piccolo parco e una piccola insegna 'La Margherita' che rappresentava l'immagine di una pizza fumante.

- Carino. - commentò Jackie, e Josephine annuì al suo parere con adorazione.

Sotto il portico davanti all'entrata, un giovane ragazzo biondo col grembiule stava spazzando per terra, e sembrò non accorgersi di loro fino a quando non gli furono vicine di un passo. Allora alzò la testa e, non appena vide Josephine, il suo volto si aprì in un sincero sorriso.

- Ciao bimba! Mi hai portato una cliente nuova? - esclamò andandole incontro, e Jackie lo trovò simpatico. Josephine invece, sembrava adorarlo con tutta sé stessa: annuì con fervore e si avvicinò per abbracciarlo. Il loro affetto era evidente e guardandoli, Jackie pensò a Michael. Il ragazzo finì di stringere la mora e si avvicinò a lei, sorridendo con discreto imbarazzo. - Chiedo scusa, era tanto che non la vedevo. - esordì.

- Figurati, non c'è problema. - Gli porse la mano. - Mi chiamo Jaqueline, piacere di conoscerti. - Il ragazzo rimase leggermente di stucco. Probabilmente non era abituato a presentarsi così formalmente a ogni cliente che si presentava. Dopo un attimo di smarrimento però, rinsavì e ricambiò la stretta con piacere.

- Paolo, piacere mio cara. Vi va una pizza?

- Perché no? Che ne dici Josephine? - chiese Jackie. La ragazza la fissò per un attimo con grande intensità, e annuì intuendo la domanda. Paolo la ripeté in francese per accertarsi che avesse capito, e lei rispose annuendo con più insistenza. Risero e lui le condusse dentro. Il locale non era molto spazioso, ma era ben arredato e colorato. I mobili in legno e i tavoli scuri gli davano un aspetto antiquato, per non parlare nella grande quantità di bottiglie di vino appese alle pareti. Jackie ne contò almeno duecento: una collezione che faceva il suo effetto. E accanto all'entrata, il calore profumato del forno a legna, dove un pizzaiolo muscoloso si affannava dietro a tre pizze contemporaneamente, e una fila di ordini attendeva pazientemente sul balcone. In effetti, guardando meglio, Jackie notò che il locale era pieno. Dovevano avere molto da fare. E osservando l'aria affannata del pizzaiolo, avevano bisogno di una mano. Paolo notò che Jackie lo stava osservando, e intuì i suoi pensieri. Le fece sedere in un posto tranquillo vicino a un grande vaso di fiori e prese le ordinazioni. Dopodichè, trafficò un po' in giro per servire gli altri clienti e tornò da loro per chiacchierare.

- Allora gestisci tu il locale? - chiese Jackie.

- Non esattamente. Il proprietario è mio padre, e solitamente sta dietro la cassa. Adesso non c'è, ma è lui che prende tutte le decisioni. Io faccio un po' di tutto: all'orario di apertura sono qui ad accogliere i clienti, prendo le ordinazioni, faccio le pulizie, tengo i conti in ordine e quando siamo troppo pieni mi lavo le mani e faccio la pizza. Franz non c'è la fa da solo quando siamo tanti. E la pizza qui, la vogliono tutti. - Le fece l'occhiolino. - Appena l'assaggerete capirete perché.

Josephine si distrasse guardando i fiori. Diventava strabica nel tentativo di raccogliere in un unico sguardo l'intera forma a tutto tondo di un petalo o un pistillo. E raramente prestava attenzione a loro o a cosa stessero dicendo, sebbene traducessero tutto in un accurato francese per non farla sentire esclusa. Era come una bambina piccola che si annoia ad ascoltare le conversazioni degli adulti, e cerca di scappare per interessarsi d'altro. Approfittando di questo suo momento di svago, parlarono un po' di lei.

- Dove l'hai conosciuta?

- Facevamo il liceo insieme. Devo ammettere che non l'ho conosciuta per caso: volevo dei crediti formativi e per ottenerli mi ero iscritto come aiutante nella classe di sostegno. C'era una sola alunna, ed era lei. Mi ha fatto molta tenerezza, perché stava sempre da sola. Allora mi sono preso cura di lei. Non è stato un sacrificio sai? E' divertentissima quando vuole.

Jackie annuì e sbirciò la ragazza avvertendo un principio di malinconia. Sarebbe riuscita a farle avere il lavoro?
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Calipso19