Fandom: Saint Seiya
Rating: Verde
Personaggi/Pairing: Gold Saint, Camus, Milo,
Hyoga.
Tipologia: One-shot
Genere: Sentimentale,
Hurt/Comfort
Note: One-shot
spin-off della mia “Nei Giardini che Nessuno Sa”
Disclaimer: Personaggi,
luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama
ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.
Auguri
a Jinny di buone
feste, buon Jule e
tutto il corollario. Hyoga paperottolo tutto per te. Ti dedico questo
parto e
spero che questa dedica sia una sorpresa gradita. Ti voglio bene.
§§§§
'CAUSE I'M GOING TO MAKE
THIS PLACE YOUR HOME
La
notte si protraeva, la
fiamma azzurra del Toro si stava lentamente
spegnendo sulla Meridiana dello Zodiaco mentre il Santuario intero,
silenzioso
e pacifico, veniva pattugliato da poche manciate di soldati semplici,
la
maggior parte dei quali posizionati intorno alla Tredicesima Casa a
protezione
della Dea, appena tornata nella Terra Santa dopo mesi di attesa
spasmodica
successiva alla fine della Guerra contro l’esercito di Hades.
Atena
era tornata nella sua Terra e le voci successive al suo ritorno
erano corse veloci di bocca in bocca: Atena era tornata, con lei
c’era uno dei
Bronze Saint e anche gli altri Bronze erano ancora vivi e sulla via
della
guarigione in Giappone.
Il
Nobile Shion, che aveva ripreso il proprio ruolo di Gran Sacerdote,
aveva parlato brevemente con il facente funzione comandante dei soldati
semplici e lui non aveva perso tempo: voci basse ma agitate discutevano
tra le
colonne di marmo nella fredda oscurità appena appena
ingentilita dalla luce
della Luna e la speranza e l’ottimismo avevano ricominciato a
circolare.
Dopo
il colloquio con i Gold Saint e accompagnata
da Nachi, la stessa Atena si era ritirata insieme a Shion in una delle
stanze
che erano rimaste per anni vuote: esausta per il viaggio e per le
energie che
ancora non le erano tornate del tutto dopo aver riportato in vita i
suoi
guerrieri, la Dea aveva fatto cercare Marin con la richiesta di farsi
trovare
ai piedi del Santuario all’alba e aveva salutato i
convalescenti, promettendo
loro che presto sarebbero tornati con gli altri Bronze Saint.
Fu
dopo una mezz’ora circa dal congedo di Atena
che Milo tentò di alzarsi dal proprio letto; il
greco sentiva il viso avvampare per la febbre
ancora alta e, per qualche istante, la testa gli girò a tal
punto che quasi ricadde
sul materasso umido; ma riuscì all’ultimo a
riprendere controllo del proprio
corpo e, dopo qualche istante, decise che poteva tentare di nuovo di
muoversi
nella Prima Infermeria appena illuminata dalle lanterne a olio -
attenuate al
massimo per non recare disturbo ai Gold Saint che lì erano
ricoverati -.
Seppur
affaticato, Scorpio mosse qualche passo
incerto verso il giaciglio a meno di due metri dal suo e, toccando
Camus sulla
spalla, ne attirò l’attenzione.
Milo
era sicuro che non si fosse nuovamente addormentato – da
quando la
Dea aveva preso congedo nessuno dei compagni aveva ripreso sonno e
ognuno di
loro era immerso nei propri pensieri – e difatti, quando
questi si fu voltato,
ne vide gli occhi rossi splendere per le lacrime che tuttavia non
riuscivano a
cadere lungo le guance, tanto era il controllo che Aquarius riusciva a
esercitare sulle proprie emozioni, anche quelle più
devastanti e – normalmente
- incontrollabili.
Senza
dire nulla, Scorpio sollevò la coperta di lana ruvida e si
sdraiò
sul basso materasso di paglia asciutta prima di cingergli il corpo
magro con le
braccia; nascose quindi il proprio viso tra i capelli di Camus,
lasciando
quest’ultimo a rannicchiarsi contro di lui.
“Hyoga…”
mormorò Aquarius con un filo di voce.
Per
tutta risposta, Milo lo strinse più forte: “Sta
bene, Camus. Quel
pulcino ha la pelle dura, e anche gli altri marmocchi.”
“Non
sono più bambini da tempo, Milo.”
sussurrò il compagno: Ci hanno
visti morire, hanno affrontato la Morte più volte di quante
noi potremmo dire
di aver fatto… Sono fin troppo adulti.” gli fece
notare lui con una nota di
amarezza e dolore nella voce.
“Forse.”
concesse Scorpio: “Ma ricordo un bambino correre incontro al
proprio Maestro con la gioia di un figlio che rivede il
padre… Ricordo un
ragazzo piangerlo tante volte… Mentalmente saranno adulti,
ma emotivamente sono
ragazzi che non hanno radici e che si sono aggrappati agli adulti
attorno a
loro con la forza della disperazione dei naufraghi in mezzo al mare.
Hanno
bisogno di noi più di quanto vogliano ammettere. E io voglio
esserci.”
“Milo
ha ragione.”
Dal
letto accanto, spuntò la chioma bionda e spettinata di
Kanon, il
quale si puntellò sul gomito per stare dritto. Nonostante il
dolore alle
costole, il secondo Gemini concentrò l’attenzione
sui due compagni più anziani;
aveva gli occhi arrossati e il pallore del suo viso faceva a pugni con
i
pesanti segni neri attorno alle orbite ma si sforzò di
restare lucido: “Li ho
visti, i marmocchi… Non erano per niente in forma mentre li
vedevo scappare
intanto che affrontavo Rhadamantis.”
A
Kanon sfuggì un sibilo di dolore per un movimento brusco ma
si
affrettò a rassicurarli con un gesto della mano prima di
proseguire a parlare:
“Era una guerra, è vero, ma quei ragazzi erano
conciati molto male, erano a
pezzi – emotivamente e fisicamente -.”
“Atena
ha scelto di non dirci nulla, ma chissà quanto deve esserle
costato…” intervenne Camus mentre si sforzava di
tenere gli occhi aperti.
Dohko
alzò la testa da un punto a pochi passi dal letto di Kanon e
guardò i compagni senza però aggiungere nulla.
“Tra
poche ore partirete, comunque.” il secondo Gemini si
spostò un po’
di più verso Scorpio e Aquarius: “A quei marmocchi
farà piacere vedervi.”
“Però
poi portateli qui.” si udì dire da Aldebaran, la
cui voce bassa
proveniva dall’altra parte della stanza: “Voglio
vedere coi miei occhi quel
moccioso di Seiya e tirargli le orecchie.”
“Probabilmente
finiresti per strappargliele.” puntualizzò Kanon
con aria
torva: “Però sì, vederli non sarebbe
una brutta idea.”
“Atena
ha detto che li porterà qui non appena saranno nelle
condizioni
per viaggiare perciò presto potremmo rivedere quelle facce
da schiaffi.”
“Che
modi sono, Death Mask?”
Cancer
rispose al rimprovero di Capricorn con uno sbuffo irritato ma
nella stanza si diffuse un mormorio di assenso generale, decisamente
nessuno
aveva ripreso sonno; e tuttavia, l’atmosfera era molto
più leggera di quanto
non lo fosse stata nell’ultimo mese, più
rilassata, come se fosse caduto uno
spesso velo che copriva la luce.
“Adelfos,
che succede?”
Aiolia,
con voce roca, si rivolse al fratello maggiore, corrucciato
intanto che stava sdraiato sul giaciglio accanto al suo; Aiolos non
rispose
subito ma si limitò a fissare per qualche minuto il soffitto
in pietra; quando
finalmente la sua voce, seppur bassa ma autorevole – nessuno,
neppure Saga, era
capace di ignorarla -, si fece udire nella sala, fu per dire tre
semplici
parole: “Li porteremo qui.”
Tutti
si ammutolirono ma anche senza esplicarlo a voce erano concordi
con Sagittarius.
“È
davvero tempo che questa storia finisca e che fratelli e amici si
riuniscano. Che la Grecia riaccolga i suoi figli esiliati da
lotte… da lotte
intestine… da lotte fratricide.”
Saga
era stato sdraiato accanto a Kanon su esplicita richiesta di Atena
quando erano stati riportati in vita e in quei mesi di convalescenza
aveva
tratto conforto dalla sua vicinanza mentre erano ancora incoscienti e
potevano
soltanto sfiorarsi e toccarsi con i Cosmi. In quelle settimane da
quando si
erano risvegliati, sempre più spesso si erano ritrovati a
sussurrarsi
vicendevolmente richieste di perdono tra le lacrime, avvolti dalle
ombre della
notte e con le mani strette; e anche in quel momento, la sua presenza
era ciò
che lo teneva ancorato alla realtà, che gli permetteva di
riflettere e andare oltre
il rammarico e il disgusto per se stesso.
Ed
era pensando a lui… pensando ad Aiolos, ad
Aiolia… A tutti quelli che
avevano sofferto per causa sua che aveva pronunciato quelle parole con
un filo
di voce; era pensando ai corpi martoriati dei Bronze bambini che aveva
pronunciato quelle parole come se fossero state una supplica, una
preghiera.
Aiolos
girò la testa verso l’amico più caro
della sua vita, verso quel
compagno che aveva amato con fierezza e tenerezza fin dal primo giorno
- e per
il quale aveva pianto sia in vita che nella morte per
l’oscurità che l’aveva
ghermito -, e gli rivolse il sorriso più caldo che poteva,
un sorriso che
voleva essere assoluzione e conforto, amicizia e amore; poi, seppur a
fatica,
si puntellò con il gomito per mettersi dritto e lo
guardò negli occhi, come se
volesse scrutargli l’anima.
“Siamo
guerrieri, Saga.” Aiolos esitò per un attimo, come
se faticasse a
trovare le parole giuste per affrontare quel discorso, ma poi si
riprese e nei
suoi occhi riapparve una scintilla di luce che Saga disperava di vedere
ancora:
“Ma siamo anche esseri umani… E vederli soffrire
così è stato difficile per
tutti. Per alcuni sono nostri fratelli, per altri nostri
figli… In una maniera
o nell’altra, siamo una famiglia; magari non legata dal
sangue, ma non sempre è
il sangue a fare una famiglia. E questa è casa
loro.”
Un
mormorio di assenso percorse la sala.
“Ci
siamo puntati i coltelli alla gola.” il tono di Gemini era
basso e
colmo di rammarico ma si sforzò di continuare:
“Non c’è giustificazione a
ciò,
e non cerco… redenzione. Tuttavia, non voglio sprecare
questa seconda
possibilità. Riportiamo i ragazzi in Grecia, ricostruiamo
ciò che la
scelleratezza e la violenza hanno distrutto… Ciò
che la mia scelleratezza ha
distrutto…”
“Fratello,
se c’è qualcuno di colpevole, questo-”
“Non
è nessuno di noi.”
A
sorpresa, la voce calma di Shaka, seppur lievemente tremolante, si
fece udire al di sopra dei sussurri nervosi dei compagni, i quali lo
videro
mettersi seduto a gambe incrociate nonostante il dolore dei muscoli
ancora
atrofizzati dalla lunga immobilità.
Mu
guardò l’amico con preoccupazione ma non disse
nulla.
“Nessuno
di noi è colpevole.” ripetè Virgo con
decisione: “Sono state
fatte scelte sbagliate, dettate dai sentimenti,
dall’avidità, dal dissapore…
Anche da una fedeltà distorta, se vogliamo. Ma ognuno di noi
ha riparato ai
propri sbagli mettendo in gioco senza alcuna esitazione la propria
anima… Il
proprio corpo… Il proprio essere davanti al Muro del Pianto.
Nessuno ha
esitato, nessuno si è tirato indietro. E ciò
è stato sufficiente ad Atena. Ci
ha riportati indietro e non l’ha certo fatto
perché ci crogiolassimo nei sensi
di colpa. L’ha fatto perché potessimo vivere
ancora.”
Saga
e Kanon abbassarono gli sguardi ma annuirono.
“Perciò,
domani mattina i maestri partiranno per il Giappone e faranno
in modo di riportare tutti qui. A quel punto, il futuro
potrà essere scritto di
nuovo. E questa volta, sarà scritto da noi. Riportiamoli a
casa.” concluse
Virgo prima di ricoricarsi con il respiro corto, perfino quel piccolo
movimento
era stato uno sforzo immane per il suo fisico.
Aries,
disteso sul letto accanto a quello di Virgo, allungò la mano
per
stringere quella dell’amico, senza dire nulla.
Non
ce n’era bisogno.
E
l’alba li avrebbe trovati ancora lì, silenziosi ma
uniti in quella
comunione di spiriti e Cosmi che avevano imparato ad abbracciare senza
riserve.
Solo
con un amore talmente forte e senza confini che neppure la Morte
aveva scalfito.
Quell’amore
che li avrebbe portati a percorrere strade vecchie con occhi
nuovi.
Quell’amore
impossibile da affogare nel sangue, quell’amore che si era
nutrito di odio e ne era uscito più forte che mai.
Quell’amore
che li avrebbe sostenuti nella prova più difficile della
loro vita: quella di ritrovarsi.
§§§
Dohko
e Shiryu erano usciti dalla biblioteca da pochi minuti con le
braccia intrecciate e gli occhi umidi quando Camus si chinò
sulle fiamme
indebolite del caminetto per ravvivarle con l’attizzatoio;
nel silenzio rotto
dal crepitare delle fiamme che divoravano i ceppi di legno
sull’alare, Camus
restava in ginocchio, il cuore a mille nel petto e le orecchie che
fischiavano
mentre l’emozione minacciava di soffocarlo, intanto che Milo
– seduto sul
divano con Hyoga – massaggiava la schiena di Cygnus che
sussultava per i
singhiozzi incrontrollabili del giovanissimo guerriero.
“Respira,
ragazzo.” Cercò di calmarlo Scorpio senza
interrompere il
contatto: “Va tutto bene, è solo accaduto tutto
insieme. Respira… Inspira… e
poi espira… Bravo, così…”
Quando
il fuoco fu di nuovo vivo nel caminetto, Camus si alzò in
piedi
e, seppur titubante, si avvicinò ai due prima di
inginocchiarsi nuovamente, ma
questa volta davanti al suo allievo; pur se
tremando, posò le proprie mani sulle sue ginocchia con fare
rassicurante e
paterno.
Al
contatto, il quattordicenne sussultò.
“Hyoga…
Mon petit... Guardami.” gli mormorò Aquarius con
un filo di
voce.
Cygnus
alzò una mano tremante, come a voler dire che stava bene, e
sollevò lo sguardo per incrociare quello del Maestro.
Quest’ultimo,
pur sorridendogli, si sentì mancare il respiro nel vederne
gli occhi segnati da pianto e stanchezza, il viso arrossato e bagnato
di
lacrime che ancora non ne volevano sapere di fermarsi e i lineamenti
deformati
dagli spasmi.
“Va
tutto bene, ragazzo.” Gli ripetè lui:
“Riesci a respirare?” gli
domandò poi.
Hyoga
non rispose ma annuì mentre Milo continuava a massaggiargli
la
schiena.
Dopo
qualche minuto, tuttavia, Cygnus si scostò dal tocco di
Scorpio e
si spinse verso l’angolo più estremo del divano:
“S-Sto bene. Non
preoccupatevi.” rantolò lui, “Non
c’è bisogno…”.
I
due Gold Saint si scambiarono un’occhiata poi Milo si
alzò in piedi e
lasciò il posto a Camus; Aquarius si affrettò a
occupare il sedile per poi
tendere la mano verso il proprio allievo mentre lo guardava con
espressione
seria: “Hyoga. Né tu né i tuoi fratelli
state bene e lo sai. Sai che siete a
pezzi e che avete bisogno di aiuto… Che avete bisogno di
noi. Per una volta,
per una volta soltanto, lasciate che prendiamo in mano la
situazione.” disse
con tono severo ma sfumato di supplica.
“Non…
Non voglio che mi vediate…”
“Così?”
completò per lui Milo.
Hyoga
annuì e nascose il viso tra le braccia; le sue spalle
sussultarono
per i singhiozzi che avevano ripreso a uscire.
“Di
cosa hai paura, Hyoga?” chiese Camus: “Cosa ti
spaventa a tal punto
da spingerti a reprimere le tue emozioni?” Aquarius
fissò Cygnus con aria
preoccupata mentre il giovane Bronze Saint si ostinava a restare con il
viso
nascosto; Scorpio, di lato, restò pensieroso per qualche
minuto mentre il
compagno cercava di abbattere la barriera eretta da Hyoga poi, come se
fosse
stato colto da una folgorazione improvvisa, alzò lo sguardo
verso il compagno,
la cui espressione preoccupata e ansiosa era ancora rivolta verso il
russo
inconsolabile.
Dopo
aver attirato l’attenzione del francese, Milo gli fece cenno
di
lasciar fare a lui.
Seppur
a malincuore, Camus obbedì e, in silenzio, si
spostò mentre
Scorpio si accomodava in ginocchio accanto al bracciolo; questi
posò una mano
sul polso di Cygnus e lo costrinse ad alzare lo sguardo: “Non
avere paura,
Hyoga. Piangi, sfogati, nessuno penserà che sia un segno di
debolezza e nessuno
ti negherà amore per questo. Lo giuro su Atena e sul
Santuario.”
Quelle
parole ebbero l’effetto di un pugno nello stomaco e se Camus
impallidì come se tutto il sangue gli fosse stato succhiato
via, Hyoga semplicemente
crollò.
Crollò
tra le braccia aperte e accoglienti di Scorpio urlando come un
animale ferito mentre il più anziano stringeva a
sé quel ragazzino, ferito non
solo nel corpo ma soprattutto nello spirito, con l’amore che
una vita di
battaglie non gli aveva permesso di ricevere, affamato di contatto e
calore
com’era.
Intanto,
nel cuore e nella mente di Aquarius, quel senso di colpa che
l’aveva sempre pungolato nel profondo gli mozzava il respiro
in gola.
Lui
avrebbe voluto rendere Hyoga emotivamente forte, inattaccabile, un
vero guerriero votato soltanto alla Dea…
Ma
aveva sbagliato.
Oh,
se aveva sbagliato.
L’aveva
reso più forte ma l’aveva anche ferito nel modo
peggiore.
Aveva
ancora tempo per rimediare?
Camus
alzò lo sguardo pieno di lacrime che non si curava
più di
nascondere e si focalizzò sulle due figure abbracciate
davanti a lui, vide
Hyoga tremare e singhiozzare tra le braccia di Scorpio e
notò quest’ultimo
rivolgergli un’espressione irritata, come a spingerlo ad
avvicinarsi e a prendere
il suo posto.
Poteva
quasi sentire le sue parole non dette.
È
il tuo allievo, è di te che ha bisogno ora, non di me.
Poteva
crederci o avrebbe rischiato di fargli ancora più male?
Tuttavia,
non ebbe tempo per continuare a rimuginare sui propri errori
perché l’istinto prese il sopravvento sul
raziocinio e si ritrovò con Hyoga
aggrappato alle sue spalle, perso nelle lacrime e nel turbinio di
sentimenti.
Per
un attimo, l’immagine di un Hyoga bambino si sovrappose a
quella del
ragazzo che stava abbracciando e sentì il cuore fermarsi nel
petto quando i
lineamenti disperati di Cygnus sembrarono venire sostituiti
dall’espressione
gelidamente mortifera di un cadavere congelato.
“Sono
qui, Hyoga…” si ritrovò a sussurrare
Camus con voce rotta:
“Respira, è tutto finito. Mi dispiace…
Ma adesso… Adesso cambierà tutto.
Abbiamo avuto un’altra possibilità e non la
sprecherò. Te lo prometto.”
Hyoga
singhiozzò più forte e Camus non potè
che aumentare la stretta sul
corpo del ragazzo.
Dèi,
era praticamente suo figlio, l’aveva cresciuto lui, ne aveva
visto
i momenti più alti e i baratri più profondi.
Forse non condividevano lo stesso
sangue ma lui lo amava al di là di questo…
Come
poteva restare indifferente?
“N-Non
voglio perderti ancora… Maestro…
папочка”
“Non
mi perderai più, Hyoga… Hai capito?”
Aquarius nascose il viso tra i
capelli arruffati di Cygnus metnre l’emozione lo sopraffaceva
senza che lui
facesse niente per impedirlo: “Non perderai più
nessuno, non verrai più
lasciato solo. Per nessun motivo.”
Scorpio,
con il groppo in gola, annuì prima di abbracciare entrambi,
gettandoglisi addosso: “Nessuno di voi ragazzi
verrà più lasciato da solo… Vi
stanno aspettando tutti al Santuario, a casa. Perché con noi
avrete sempre un
posto dove tornare, una famiglia ad accogliervi a braccia aperte e una
casa che
non vi sarà mai più preclusa.”
sussurrò lui prima di scostarsi leggermente per
afferrare un plaid abbandonato lì accanto.
E
mentre Hyoga, seppur ancora tra le lacrime, iniziava lentamente a
calmarsi e a venir avvolto dal tepore che precede il sonno, Camus
accettò la
coperta e la drappeggiò addosso al ragazzino tra le sue
braccia; poi, come se non
avesse avuto peso, lo sollevò e ne posò la testa
contro la propria spalla.
“Repose-toi,
mon petit.”