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Autore: Nadine_Rose    23/12/2020    2 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Capitolo 44

 

Sinfonia d’amore

 

“Abbi pazienza, mia donna affaticata,

abbi pazienza per le cose del mondo,

per i tuoi compagni di viaggio, me compreso,

dal momento che ti sono toccato in sorte.

[…] Abbi pazienza, mia donna impaziente,

tu macinata, macerata, scorticata,

che tu stessa ti scortichi un poco ogni giorno

perché la carne nuda ti faccia più male.

Non è più tempo di vivere soli.”

Primo Levi, 12 luglio 1980

(da Ad ora incerta, l’opera poetica dedicata alla moglie Lucia Morpurgo)

 


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Immagine dal film “Il pianista”

 

Napoli, marzo 1947

 

A tarda sera, quando ormai anche l’ultimo cliente del Gran Cafè se n’era andato, le dita di Davide continuavano ad accarezzare i tasti del pianoforte a coda laccato in mogano, eseguendo una sua composizione. L’armoniosa melodia non quietava il frastuono dei suoi pensieri.

Amava Hannah che, per la giovane età, avrebbe potuto essergli figlia e, in una sera come quella, nel silenzio della sala vuota, l’aveva baciata, mentre guidava la sua mano nella Sonata No. 16 di Mozart. Seduti sulla panchetta, i loro corpi eran troppo vicini, i loro cuori irrimediabilmente legati dal passato.

Lei gli aveva raccontato ogni cosa, finanche di quanto fosse grata a se stessa per aver ceduto alle dolcezze dell’amore con il fidanzatino perduto in guerra, prima che, a Mauthausen, accettando la proposta di una Kapò, finisse nel postribolo frequentato dai Funktionshäftlinge[1], sotto la falsa identità di una studentessa tedesca antinazista. Lui, invece, le aveva omesso la vera causa della morte di sua figlia, accennando soltanto a una grave colpa che pesava sulle sue spalle.

Lo sviluppo struggente della melodia lo condusse adagio verso le note dell’Ave Maria di Schubert che iniziò anche a cantare.

Si sentiva in pace con la sua defunta moglie, interpretando come un segno l’essersi ritrovato a Napoli e, quindi, l’aver conosciuto Hannah per mantener fede a una promessa da lei fatta a Sarah. Non era il senso di colpa che, giustamente, avrebbe potuto provare verso Maria e neanche l’imbarazzo per l’enorme differenza d’età con la donna che amava a impedirgli di ricominciare una nuova vita, ma l’incapacità, ovvero la mancata volontà, di perdonare se stesso per aver acconsentito all’eutanasia della sua adorata figliola.

Il calore della voce baritonale, la passione nelle note perfette stringevano il cuore delle due ragazze, fermatesi dietro un pilastro della sala interna ad ascoltarlo.

“Tu sai cosa lo tormenta, non è vero?” La voce di Hannah era rotta dalla commozione e dal patimento d’amore, mentre gli occhi di entrambe contemplavano la bellezza da lui emanata.

“Credo di sì”, rispose Sarah e sospirò, “ma dev’essere lui a raccontartelo.” Nelle parole dense di malinconia per la sofferenza provata dall’amica, vibrava una sorta d’invidia originata dal senso di fallimento per la sua vita matrimoniale.

Destinataria lei stessa della sensibilità di Davide e testimone, a Fossoli, della delicatezza nel modo di rapportarsi alla moglie, Sarah sapeva che, una volta riappacificatosi con il passato, questi avrebbe accolto Hannah, donandole la più bella storia d’amore.

Li lasciò soli e, recatasi nel reparto caffetteria, si rattristì, all’udire il signor Gennaro che commentava l’egregia esecuzione musicale con il giovane addetto al bancone e intento a ripulirlo. “Quell’uomo è sprecato qui”, disse rammaricato, seppur conscio di quanto la presenza di Davide avesse alzato di livello la clientela del Gran Cafè.

Sarah era consapevole che, prima o poi, gli eventi della vita l’avrebbero costretta a un nuovo addio, a separarsi nuovamente dai suoi affetti, da un padre, da una sorella e, con Matteo, non avrebbe potuto nemmeno sfogare il suo dolore, dato che lui non li vedeva di buon occhio.

Sulle ultime note dell’Ave Maria, le luci della caffetteria e del laboratorio di pasticceria si spensero. Il suono dei passi che Davide aveva udito alle sue spalle divenne presenza al suo fianco.

Le fece spazio sulla panchetta e, non appena fu seduta, senza tentennamenti, prendendole le mani tra le sue, le disse: “Hannah, tempo fa ti ho accennato di un peccato che mi tormenta.” La sua voce era velata per lo sforzo fatto nel cantare e l’emozione, i loro occhi erano già pozzanghere d’acqua, i loro sguardi come fiumi che si riversano l’uno nell’altro. “Adesso anch’io sono pronto a raccontare.”

Nella comprensione di Hannah, trovò il perdono di sé. Le sue lacrime furono asciugate dai baci di due labbra acerbe e dalle carezze sul viso di polpastrelli di seta. Sul cuore della giovane donna che, alla sua tragica confessione, aveva reagito con la maturità di chi la vita ha costretto a crescere in fretta, Davide poggiò il capo in una dolce tregua, prima che la tenerezza sfociasse in passione. Al loro toccarsi, il fianco di Hannah sfiorò il pianoforte, lasciando sfuggire una nota stonata che fece da apertura all’armoniosa sinfonia d’amore di gemiti e sospiri.

Nonostante la liberazione del cuore e l’appagamento dei sensi, quella notte fu portatrice di un nuovo tormento. Nel suo continuo girare e rigirare la testa sul cuscino, Davide si chiedeva cosa lo differenziasse dagli uomini che entravano nei Sonderbauten[2] per sentirsi vivi, persone e, sebbene fosse stato l’amore a guidare il loro atto carnale, provava un senso di colpa verso Hannah, come se di lei avesse reciso il fiore dell’innocenza.

Una fitta pioggia iniziò a battere sulle finestre. Era il cielo che piangeva al posto suo. Al boato di un tuono, sobbalzò dal letto e si rivestì in fretta. Era pronto a ricominciare con Hannah la sua nuova vita.

Fradicio di pioggia, bussò alla porta della donna che amava. Il paese addormentato non poté vedere la sua corsa né udire il ritmo forsennato dei suoi passi e del suo respiro che, alla vista di Hannah vestita di seta e di stupore, parve fermarsi, come il cuore che sembrò perdere un battito. E, al cuore, motore della vita, assoggettò i movimenti del suo corpo, prendendole le mani e piegandosi su entrambe le ginocchia.

“Hannah, vuoi essere mia moglie?” La proposta di Davide non fu accompagnata dal luccichio di un anello, ma dal sigillo eterno di un bacio posato sul dito anulare sinistro con labbra bagnate di lacrime e brina.

 

“Sì, io ti prendo così,

tu sei chi mi dà pace,

nella pace che è qui.

Sì, io ti prendo così,

tu sei chi mi dà il cielo,

sotto il cielo di qui.

Sì, io ti dico di sì.”

 

Claudio Baglioni, Io ti prendo come mia sposa (2009)

 

***

 

Il tuono la ridestò, rimbombando come una delle tante bombe che furono sganciate sul campo di Fossoli tra l’agosto e il novembre del ’44, provocandone la chiusura e il trasferimento a Gonzaga.

Come allora, con il cuore in gola e gli occhi dilatati nel buio della stanza, Sarah sedette di scatto sul letto e, allungando una mano al suo fianco, ricercò la presenza di Hermann.

Impiegò pochi secondi per tornare nella realtà presente, ma, ancora trafelata dallo spavento provato, non la sfiorò il pensiero di suo marito, sorpreso in mare dall’improvvisa tempesta.

 



[1]“Detenuti-funzionari”, prigionieri di fiducia, come i Kapò, ai quali veniva affidata la sorveglianza degli altri internati e che godevano di diritti speciali.

[2]“Edifici speciali”, bordelli nei campi di concentramento.

   
 
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