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Autore: milkbreeeead    24/12/2020    2 recensioni
[spoiler del timeskip]
Hinata Shoyo è morto, e ha bisogno delle fredde braccia di Kageyama per rinascere di nuovo.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Hinata Shoyo era morto.

O meglio, per essere chiari, non era proprio morto, ma era morto. Tutto di lui non aveva più forma. Lui stesso non era altro che un guscio vuoto, un carapace disabitato; era pelle secca caduta via, era un involucro di plastica senza merendina dentro. Vuoto era tutto ciò a cui riusciva a pensare, un vuoto che implodeva dentro di lui e come un buco nero stava risucchiando tutte le stelle che illuminavano il suo cielo, il suo viso. Era come se il suo cuore si fosse atrofizzato, lasciando della sua presenza solo un'ombra scura.

Non ci era voluto molto prima che lo cacciassero dalla squadra in cui giocava a Rio; dopotutto, a che serve un giocatore che non può giocare? Era come un pupazzo, appena si rompe si butta subito via. E Hinata si era rotto, e non solo interiormente, ma anche fisicamente, e infatti in seguito a un atterraggio malfermo dopo una schiacciata aveva riportato una lesione al tendine d'Achille: infortuni di questo tipo richiedono parecchio tempo per risanarsi, e molta fisioterapia. Il suo era un caso grave; e infatti, la squadra non aveva esitato a buttarlo fuori. Fine dei giochi, per Shoyo. Fine della sua carriera nella pallavolo, che significava fine della vita per come la conosceva.

'Non si torna più come prima', aveva letto online, cercando qualche informazione a riguardo per rassicurarsi -cosa che non aveva funzionato. 'I giocatori, dopo un infortunio del genere, perdono reattività nei movimenti; per di più, da infortunato il valore di un giocatore sul mercato cala drasticamente'.

Si era chiuso in se stesso, dopo l'accaduto. Aveva passato giorni interi a piangere e a maledire la sua stupida gamba, che aveva rovinato la sua carriera ancor prima che iniziasse. E si sentiva perso, si sentiva come se fosse in un grande incubo che lo stava inglobando dentro di sé. Lacrime scorrevano lungo le sue guance e le scalfivano, le erodevano, come pioggia acida: e per lui che non piangeva mai, non era cosa da poco. Era come se avesse visto il mondo crollare in mille pezzi tra le sue mani e ne stesse stringendo le schegge, ferendosi la pelle, e piangeva come se fosse spontaneo, come se fosse una cosa di tutti i giorni. Dormire, piangere, mangiare. Era la sua routine adesso; stringeva il cuscino, affondava la testa dentro di esso, e riversava tutto il suo dolore al suo interno. Mangiava noodles mediocri in scatola e quando non piangeva guardava le fotografie degli anni del liceo col club di pallavolo, sfiorando i visi dei suoi migliori amici, Kageyama in particolare. Oh, quanto avrebbe voluto che fosse lì! Era l'unica persona che sarebbe riuscita a infondergli un pizzico di coraggio, e ciò che più desiderava era uno di quei suoi freddi abbracci. La verità era che Tobio non li sapeva dare, però Shoyo li amava comunque, perché era l'unico a riceverne, e l'unico a sapere che sensazione si provasse tra le sue braccia. Però Kageyama non era lì: era in Giappone, si allenava, come avrebbe tanto voluto fare lui; e se il corvino non poteva esserci, quantomeno voleva sentire la sua voce. Hinata lo chiamava quasi tre volte alla settimana giusto per ricordarsi che avrebbe sempre risposto, e ci sarebbe sempre stato; e parlavano a lungo se potevano, discorrendo di tutto e di niente. Aveva bisogno di conferme di quel tipo in quel momento in cui tutto sembrava effimero, ma non aveva la forza per alzare la cornetta e digitare il suo numero di telefono, e nemmeno per parlare. Per di più, non voleva che lui lo sapesse e si allarmasse senza pretesto. Non era affar suo: doveva gestirlo da solo. Kageyama aveva altri affari di cui preoccuparsi: mica poteva star dietro al suo vecchio amico del liceo! Erano adulti, adesso. Ed era Hinata quello patetico tra i due, che ancora gli correva dietro pur senza speranze.

Tuttavia, dopo qualche giorno passato da solo, si accorse che gli era venuto l'orzaiolo a furia di piangere; e con le palpebre pesanti e la voce tremolante e impastata, aveva digitato non il numero di Kageyama, ma quello di Oikawa, che come Hinata si trovava a Rio, per chiedergli se potesse acquistargli una pomata.

"Hai la voce strana," chiese lui, "tutto bene?"

Scosse la testa, ma lui non poteva mica saperlo. "Raffreddore," disse.

"D'estate?"

"Portami solo quella pomata, per piacere" tagliò corto. Tooru, un po' confuso, acconsentì, e dopo una mezz'ora si presentò a casa di Shoyo per rendergli la pomata. Ciò che vide non appena Hinata aprì la porta era fuori dalla sua comprensione: la sua casa era a soqquadro, fazzoletti di carta usati sparsi per terra, scatole di noodles che avevano l'aria di essere empie da parecchio tempo abbandonate in un lavello sudicio, coperte sgualcite e forse un po' sporche sul suo letto, e una opprimente puzza di chiuso che aleggiava per la casa. Oltretutto, le serrande erano abbassate e una stampella era appoggiata allo stipite della porta della camera da letto, mentre l'altra, notò, era sotto l'ascella di Shoyo, che aveva lo stesso livello di scarsa igiene che dominava nella sua abitazione. Le palpebre erano gonfie e arrossate, e sotto di esse si allungavano due aloni neri; dei principi di barba stavano spuntando sul suo mento, i suoi capelli erano oleosi e scomposti - ricordavano molto il taglio di Kuroo Tetsurou in qualche modo, come se si fosse premuto il cuscino sulla faccia per una quantità prolungata di tempo, e in effetti aveva anche i segni della federa sulla guancia. Sembrava davvero, davvero stanco.

"Dio, Shoyo, da quanto tempo è che non ti fai una doccia? E che hai fatto al piede?"

Hinata sembrò arrossire per la vergogna. "Sono desolato per il casino, ma sono stati dei giorni... pesanti. Ti spiegherò meglio in qualche email, che ne so. Potresti... lasciarmi solo?"

Oikawa lo guardò come se fosse impazzito. "Assolutamente no! Adesso ripuliamo questo porcile e mi spieghi tutto." Shoyo sospirò, arrendendosi alla tenacia del più grande, che lo aiutò a rassettare la casa - o meglio, fece tutto lui, visto che il fulvo era costretto a stare fermo per il tutore che aveva al piede. Si era abbandonato sul divano, osservando il suo amico raccogliere biancheria in giro per il piccolo appartamento. Quando ebbe concluso e la casa fu linda come prima -o quasi, Tooru si stagliò di fronte a lui con espressione di disappunto, le braccia conserte.

"Hai bisogno di farti tirare su il morale" sentenziò, mentre Shoyo sospirava. "E come pensi di farlo, Grande Re? La mia carriera si è frantumata in mille pezzi"

Oikawa restò in silenzio, sovrappensiero; poi sul suo viso si insediò un'espressione civettuola. 
"E infatti non sarò io!"

Il rosso inclinò il capo, perplesso.
"E chi dovrebbe essere...?" Oikawa sollevò le sopracciglia, facendo un mezzo sorriso che non prometteva nulla di buono: conosceva il castano abbastanza da sapere che quando faceva quella faccia una pessima idea gli stava frullando nel cervello.
Tooru scrollò le spalle, passeggiando avanti e indietro lungo il soggiorno e dicendo: "Mi hai raccontato di te e Tobio-chan qualche settimana fa, non è così?"

Shoyo si sentì arrossire e annuì. Lui e Tooru, in una serata passata tra birre e partite di pallavolo alla televisione, si erano ritrovati a parlare alle due di notte, mezzi ubriachi, rispettivamente di Tobio e di Hajime, e del fatto che entrambi fossero così coinvolti in quelle relazioni unilaterali che non riuscivano a desistere anche se senza speranza, visto che entrambi i due amati abitavano altrove e avevano tutt'altri interessi. Tooru, però, ne sapeva una in più del diavolo, quindi affidargli quell'informazione era stata davvero una mossa spropositata.

"... E mi hai detto che vi sentite spesso e che ti manca".

"Potresti non dirlo così ad alta voce?!"

Oikawa lo ignorò, proseguendo: "Perché non gli chiediamo che cosa fa questa settimana?" incalzò, mostrandogli il cellulare acceso, che aveva il numero di Tobio impresso sulla schermata. Hinata sobbalzò sul divano, improvvisamente in panico. "Oikawa, non vorrai mica-"

Tooru ammiccò come a dire 'ci penso io'; poi, cliccò il tasto verde della chiamata sulla schermata e mise Tobio in vivavoce. Shoyo seppellì il viso tra le mani, non accettando di immaginare cosa stesse combinando l'amico e in condizioni troppo sfavorevoli per potergli strappare via il telefono di mano. La voce di Tobio rimbombò nella stanza, e il cuore di Shoyo prese a battere fin troppo velocemente per i suoi gusti. 

"O-Oikawa. Cosa c'è?" farfugliò, come faceva sempre quando gli parlava. Non riuscì a trattenere un sorriso all'udire la sua voce, e a immaginarlo sussultare mentre rispondeva al telefono.

"Senti, Tobiuccio caro, proprio qui accanto a me c'è un gamberetto che smania dalla voglia di-"

"Di parlarti!" lo interruppe sonoramente Shoyo, prima che ne dicesse una delle sue.

"E perché non mi hai chiamato dal tuo telefono...? Siete ubriachi? E non è tipo mattina da voi?" Shoyo sospirò. "Ti disturbiamo?" chiese per cortesia.

"No, assolutamente. Proprio oggi è il mio primo giorno di ferie" il viso di Tooru si illuminò, e fece il sorriso di chi la sa lunga. "Ah davvero?" disse con un tono di voce più alto del normale "E che programmi hai per le vacanze natalizie?"
Shoyo per un secondo lo immaginò scrollare le spalle. "Niente di particolare, torno a Miyagi dai miei, forse. Perché me lo chiedi?"

"Che ne dici di venire qui a Rio?" Shoyo strabuzzò gli occhi e gesticolò animatamente, mimando una X con le braccia, ma Tooru sembrò ignorarlo, ridacchiando di sottecchi. Dall'altro capo del telefono e del mondo, Tobio stava in silenzio, forse controllava la sua agenda, visto che a Shoyo parve di udire un frusciare di carta. "Non penso di avere impegni. Prendo un volo last minute e vi raggiungo."

"Sul serio?!" Esclamò il rosso, saltando in aria, quasi urtando il piede malfermo.

"Sì, ma non esaltarti. Non lo faccio mica per te, idiota!" Tooru colse la palla al balzo, e disse: 
"Ah, sì? E per chi lo faresti, sentiamo?" 
Kageyama balbettò qualcosa, poi riuscì a rispondere:
"Per me, naturalmente! Sai che palle stare con la famiglia..."

"Va bene! Aggiornaci, allora! Ah, e starai da Hinata!" disse, chiudendogli in faccia il telefono. Hinata si gettò a capofitto tra i cuscini del divano, mugugnando qualcosa che Oikawa non riuscì a captare, ma tirò a indovinare. "Ti chiedi perché l'abbia fatto?" lui annuì. "Beh, sei sottotono e hai bisogno che il tuo uomo ti tiri su! Un po' di compagnia non ti farà male. Vedrai che mi ringrazierai".

***

Se c'era una cosa che avrebbe dovuto tenere a mente quando ancora poteva, era non fidarsi mai dei piani di Tooru Oikawa, perché sarebbero andati sempre a monte.

Tutto stava andando a rotoli, e non era stata nemmeno una sua iniziativa. Certo non immaginava che sarebbe andata bene, visto che Kageyama non era stato avvisato del fattore infortunio, ma neanche così tanto male. Al momento erano seduti spalla contro spalla nell'abitacolo della macchina di Oikawa, che guidava attraverso la notte nelle strade vuote e fredde di Rio de Janeiro, e Kageyama non accennava ad aprir bocca; quando era arrivato e l'aveva visto con la stampella sottobraccio e il tutore al piede era rimasto attonito e anche parecchio deluso, visto che non ne aveva idea e Shoyo non si era nemmeno preso la briga di dirglielo. Non lo biasimava, certamente; era giusto che fosse arrabbiato, anche perché si scrivevano praticamente ogni giorno e si videochiamavano quando avevano abbastanza tempo, addirittura. Era passata una settimana da quando l'avevano invitato e in tutto quel tempo non gli aveva detto niente. Ne aveva tutto il diritto. Ma faceva male. Faceva male averlo lì e non sentirlo proferir parola. Faceva male avere tutta la responsabilità della sua stupidità gravargli addosso.

Oikawa si dileguò dopo averli lasciati davanti casa di Shoyo, il quale, recuperando la stampella e inforcandola sottobraccio, fece per entrare, ma fu bloccato dal corvino. 
"Perché non me lo hai detto? Non lo ritenevi abbastanza importante da farmelo sapere?"

"Non volevo farti preoccupare inutilmente. Ho pensato che siamo adulti e indipendenti adesso, quindi dovevo farci i conti da solo" rispose senza guardarlo. 

"Non è questione di essere indipendenti o meno. È questione di principio; ci sentiamo tutti i giorni, pensavo fosse scontato che cose di questo tipo si devono dire."

Hinata sbuffò. "Non ho voglia di litigare, Kageyama."

Il corvino cambiò argomento, sorvolando la questione. "Com'è successo?"

"Non lo so, stavo giocando a beach volley e dopo aver schiacciato sono atterrato e mi ha fatto male il polpaccio, come se qualcuno mi avesse dato un calcio. Non so nemmeno se ho appoggiato male, è semplicemente successo. Possiamo entrare a casa ora?"

"Ti puoi appoggiare a me, se vuoi" Il cuore di Hinata si strinse, ma scosse la testa. "Sarai stanco per il jet lag, non voglio affaticarti".

"Stai scherzando?" chiese con tono sarcastico, ma Hinata lo ignorò, e si mise ad armeggiare con la serratura, per poi aprire la porta sul suo appartamento, che Kageyama sembrò trovare accogliente. "Ha il tuo odore, che schifo" commentò, facendogli abbozzare un sorriso. "Zitto, che almeno io non puzzo. Il tuo appartamento a Tokyo sa di piedi." Kageyama gli lanciò uno sguardo di sfida. "Ah, sì? Se non fossi infortunato, ti tirerei un cuscino".
"Vedi di non sporcarli, che ci devi dormire sopra." 

Shoyo, zoppicando con la sua stampella, gli mostrò la sua camera da letto e lo invitò a lasciare lì i suoi bagagli, cosa che fece; poi, lui tirò fuori dalla valigia il suo pigiama e fece per indossarlo, per poi bloccarsi, notando che il rosso era appoggiato sullo stipite della porta a fissarlo sfilarsi la maglietta, assorto.
"Che hai tanto da guardare...?" chiese Kageyama, sulla difensiva, mentre Hinata scuoteva la testa, arrossendo. "N-Niente! Sei... sei più muscoloso dell'ultima volta".

"Certo che lo sono, idiota. Non ci vediamo da ottobre scorso".

"S-sì. Hai ragione. Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?"

Kageyama lo guardò con aria severa. "Vedi di non fare gli onori di casa, con quella gamba. Distenditi sul divano e cerca qualche partita in TV, ti raggiungo fra poco" Il cuore di Hinata perse un battito all'udire le parole di Tobio. Odiava quell'infortunio, odiava quel tutore, odiava quelle stampelle! Avrebbe voluto correre, camminare, saltare. Portare Tobio in riva al mare, andare per viuzze e stradine, salire e vedere la vista di Rio dal Cristo Redentore, magari mettersi sulle punte e baciarlo. Cosa avrebbe fatto tra tutte quelle cose? Niente, assolutamente niente, Kageyama si sarebbe annoiato e se ne sarebbe andato in men che non si dica. Ed era tutta colpa sua.

Si distese sul divano, le lacrime agli occhi. Non doveva piangere, non davanti a lui, però c'erano così tante cose per cui valeva la pena piangere e che andavano decisamente oltre la barriera di contenimento. Si sforzò per tenerle dentro mentre Kageyama si sedeva accanto a lui e lo guardava con aria confusa. "Tutto bene, Hinata?"

Con voce tremante, diede voce ai suoi desideri. "Me lo dai un abbraccio, Kageyama?"

Lui fece un sorriso perplesso, aggrottando le sopracciglia. "Perché mai vorresti un abbraccio da me?" Shoyo sospirò: non poteva certo dirglielo così, su due piedi. O meglio, su uno solo.

"Tu dammelo e basta".

"Va bene, credo" disse acconsentendo, e lo cinse con le braccia, poggiando il mento sulla chioma fulva del ragazzo che stava stringendo, il quale si allungò per aggrapparsi a lui, in un abbraccio quasi disperato, affannato, ma al contempo rilassante; Shoyo si sentì sollevare, e si abbandonò in lui, nel suo odore; appoggiò la testa sul suo petto, tentando di ascoltare il suo cuore, cercando di capire se corresse quanto il suo: ed era così. Batteva e scalpitava e rimbalzava nella sua cassa toracica, e quasi voleva alzare il naso verso di lui e dirgli anche per lui era così, che anche lui sentiva quelle cose nel petto e nello stomaco.

Ma avrebbe rovinato tutto. Quindi andava bene così.

Kageyama sciolse l'abbraccio ordinatamente, poggiando le mani sulle sue braccia come a chiedergli di scostarsi cortesemente. Shoyo si sedette più composto, fissando il pavimento con sguardo vuoto. Ne voleva ancora, ma non era il momento. "Hai sonno?" gli chiese. Lui scrollò le spalle. "Ho dormito parecchio in aereo, non ne voglio proprio sapere."

Un silenzio di tomba crollò sui due, che ne sentirono il peso sulle spalle. Poi, Kageyama decise di rompere il ghiaccio. "Ti hanno cacciato?"

Hinata si morse il labbro, annuendo. "In men che non si dica"

"Pezzi di merda" esclamò, stringendo i pugni.

"Mi hanno detto che non si torna più come prima, Tobio" mormorò Hinata, il viso tra le mani "nessuna squadra in nessun continente mi vorrà". Kageyama estese una mano per accarezzargli la schiena, e iniziò a descrivere dei cerchi immaginari su di essa; poi, emettendo un sospiro, cercò qualche parola per rassicurarlo. "Ehi, scemo. Va tutto bene, okay? Guarirai, e tornerai in campo con la stessa tenacia di prima. Dov'è finito l'Hinata che conosco io, quello che non si lascia scoraggiare da niente? Quello che temo e ammiro allo stesso tempo? E poi, chi sarebbe così stupido da rifiutare di ammettere nella sua squadra il nuovo Piccolo Gigante della Karasuno?"

Si lasciò scappare un sorriso malinconico, e sollevò il viso tracciato dalle lacrime. 
"Mi ammiri, Kags?"

"Credo... di aver detto una cosa del genere, sì" disse guardando altrove, imbarazzato, mentre Hinata sorrideva e allungava una mano verso la sua, che inaspettatamente strinse senza troppi indugi. "Anche io ti ammiro, l'ho sempre fatto, anche se spesso l'ho mascherato con la competitività e con la gelosia. In realtà ti sono grato per un sacco di cose, ma venire qui in questo momento... Hai rinunciato alla tua famiglia per venire qui, e so che magari l'hai fatto per te stesso, però mi ha fatto stare molto bene. Ho passato due settimane ad autocommiserarmi, ma in questo momento mi sento molto meglio, ed è solo merito tuo. Volevo che lo sapessi."

Kageyama oscillò lo sguardo tra il viso dolce di Hinata e le loro mani intrecciate, con fare frastornato, e al fulvo venne un po' da ridere. Poi il corvino si grattò il capo e si strinse nelle spalle, come se stesse per dire qualcosa di parecchio scomodo.

"Se posso dirti la verità, l'altro giorno ho mentito. Non sono venuto qui per me stesso, ma per te. Cioè, uhm, vedere la tua faccia da babbeo online non è niente rispetto a vederla dal vivo e-e sono venuto qui solo per... prenderti a schiaffi, sì" confessò, farfugliando scuse per coprire malamente ciò che realmente intendeva; Hinata gli dedicò una risatina, e gli accarezzò una guancia. "Anche tu mi sei mancato- cioè, mi è mancato... Oh Dio, sono un adulto e ancora mi preoccupo di cercare scuse. Mi sei mancato e basta. Cioè, tutto quanto di te, dal tuo cipiglio arrabbiato alla punta dei tuoi piedi".

"Le videochiamate non bastano più, eh? Neanche a me" tirò a indovinare Kageyama, con un sorriso rassegnato. Hinata annuì, stringendogli più forte la mano.
"Volevo portarti da qualche parte, qui a Rio - dannata la mia gamba. Se vuoi andare in giro, però, puoi sempre chiedere a Oikawa. Non ti obbligherò a stare rinchiuso con me, se non vuoi".

Lui scosse la testa. "Chi ha detto che io non voglia? E poi, credi davvero che io abbia un livello di sopportazione abbastanza alto da riuscire a passare una giornata con Oikawa senza dargli un pugno?" Hinata rise. "Non è così fastidioso!"
"Non lo conosci bene abbastanza, povero scemo..." risero entrambi, e c'erano ancora quelle mani l'una dentro l'altra che non accennavano a sciogliersi, come paradigma del loro legame, come due anelli incastrati tra loro, indissolubili.

"Senti, Shoyo, ci pensavo da quando siamo arrivati a casa tua. Vorrei farti una proposta".

"Ovvero?"

"Vuoi... venire a stare da me? C'è... una camera vuota in casa mia che aspetta solo di essere abitata. Ed è triste vivere da soli. Ho anche un bel cortile, e quando ti passerà il problema al tendine ti alzerò tutti i palloni che vuoi. E poi, potrei aiutarti con la storia della gamba. Dopotutto, Oikawa presto tornerà in Argentina, no? Saresti solo. Che motivo hai di restare a Rio?" Shoyo sorrise e un brivido scese lungo la sua spina dorsale. Suonava tanto come una proposta di matrimonio, tutto sommato.

"Perché occupare una stanza inutilmente?"

Kageyama scrollò le spalle. "Va bene, se non ti va di stare nella mia casa che puzza di piedi la terrò per qualcun altro".

"N-Non hai capito cosa intendevo! Posso stare nella tua stanza. Insieme a te".

E in quel momento, la sua mano in quella di Kageyama e gli occhi castani incastrati nei suoi azzurri, si sentì di nuovo vivo, sentiva il sangue ribollire nelle vene, l'aria pompare nei polmoni, la pelle formicolare, e il mondo riacquisire quella sfumatura leggermente saturata che aveva ai suoi occhi prima che avvenisse l'incidente.
Se non poteva più vivere per la pallavolo, avrebbe vissuto per Tobio, per quegli occhi azzurri e per quegli abbracci freddi. 

S.A.

Buone feste a tutti! Carico qui questa one shot Kagehina che ho adorato scrivere, anche questa è tratta dalla mia raccolta su wattpad. Spero vi piaccia :)

Fede

   
 
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