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Autore: Placebogirl_Black Stones    24/12/2020    4 recensioni
Avanzò di qualche passo lungo il corridoio finché non li vide, bianchi e delicati, davanti alla sua porta: uno splendido mazzo di gigli.
Emise un sonoro sospiro e avanzò verso la porta, con gli occhi fissi su quei fiori candidi. Quando i suoi piedi furono a pochi centimetri dal mazzo, si chinò per osservarli meglio, affascinata da quel bianco puro.
Memore delle parole di Shuichi, estrasse velocemente il telefono e aprì la fotocamera, avvicinandolo ai gigli.
Fu allora che notò quel piccolo particolare: una macchia scura, di un grigio dalle diverse striature, che stonava su quel petalo così bianco. Era come se un pittore avesse dipinto un quadro perfetto per poi far cadere quell’unica, dispettosa macchia di colore in un punto in cui non avrebbe dovuto esserci.
Avvicinò la mano lentamente e con l’indice toccò quasi sfiorandolo quel piccolo cilindro dai contorni irregolari, che si sgretolò espandendosi.
Cenere. Cenere caduta da una sigaretta.
Sgranò gli occhi, mentre nella sua mente le immagini scorrevano come un fiume in piena. Adesso tutto aveva preso forma, tutto aveva un senso. Aveva trovato il tassello del puzzle che gli mancava per completarlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jodie Starling, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ASHES AND WINE
 
 
Arrivò a passo svelto, diffondendo il rumore dei tacchi nell’aria, e si diresse direttamente verso la sua scrivania. Quando la sentì avvicinarsi alzò lo sguardo dal documento che stava leggendo e fece scorrere gli occhi sulla sua figura: stringeva il cellulare nella mano destra e nei suoi occhi dello stesso colore del cielo poteva leggere quella che sembrava preoccupazione. Cosa poteva mai essere successo da renderla inquieta già alle otto del mattino?
 
- Va tutto bene?- le chiese.
- Ho bisogno del tuo aiuto Shu- andò dritta al punto, fissandolo seriamente.
 
Fece roteare di poco la sedia girevole quel tanto che bastava per rivolgersi verso di lei e incrociò le braccia al petto, assumendo la posizione tipica di chi si rende disponibile all’ascolto.
In tutta risposta  Jodie gli mise il cellulare a un palmo dal naso,  mostrandogli la fotografia sullo schermo: un mazzo di giacinti. Dal loro aspetto curato e dalla composizione precisa era facilmente intuibile che fossero stati acquistati da un fiorista e non raccolti per puro caso da qualche parte.
 
- Sono giacinti- disse semplicemente, non capendo come quel mazzo di fiori potesse averla turbata a tal punto da chiedere il suo aiuto.
- Li ho trovati davanti alla porta di casa mia ieri sera, quando sono rientrata- spiegò.
- E quindi?- cercò di capire meglio.
- Chi potrebbe mai avermi lasciato dei fiori?- allargò le braccia.
- Forse hai un ammiratore segreto-
- Non scherzare Shu, è una cosa seria!- lo riprese - Potrebbe essere anche uno stalker! Quante storie si sentono di donne che si vedono recapitare a casa mazzi di fiori e alle fine scoprono di essere perseguitate da qualcuno che tiene sotto controllo ogni loro movimento. Oppure potrebbe addirittura essere qualcuno che ce l’ha con l’FBI, o con me in particolare perché sono un’agente dell’FBI-
- Io non credo- chiuse gli occhi, sicura della sua affermazione.
- E perché?- chiese perplessa.
- Perché nel linguaggio dei fiori il significato dei giacinti è “Ti prego, perdonami”-
 
Jodie lo fissò quasi inebetita, come se quella rivelazione fosse stata per lei la scoperta più incredibile del mondo. Probabilmente, pur essendo donna non si era mai interessata dei fiori a tal punto da saperne cogliere il significato nascosto.
 
- Perché qualcuno dovrebbe mandarmi dei fiori per chiedermi di essere perdonato?- chiese perplessa.
- Forse ha commesso uno sbaglio con te e ora vorrebbe rimediare-
- E non può semplicemente venire a dirmelo in faccia invece che fare queste cose da malati?!- ritrasse il telefono scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
- Quindi? Cosa dovrei fare per aiutarti?-
- Beh, cercare di scoprire chi è che mi lascia fiori davanti alla porta-
- Vedrò che posso fare- concluse, tornando a girarsi verso il suo documento.
- Non mi stai prendendo sul serio, non è così?- appoggiò le mani sui fianchi, stizzita.
- Sono solo fiori Jodie. Adesso mettiti al lavoro-
 
 
……………..
 
 
Il giorno dopo, la storia si ripeté. Sentì il rumore dei tacchi ancora più forte e veloce del giorno precedente, segno che il suo nervosismo era aumentato. Si era accorto che non aveva gradito il modo con cui aveva liquidato il discorso, come se non gli importasse nulla di quello che lei riteneva un problema. Ma la verità era un’altra.
Arrivò davanti alla sua scrivania e questa volta vi sbatté letteralmente il cellulare sopra, indicandolo con l’indice e guardandolo con l’espressione di chi sta per dire “Allora? Hai visto che avevo ragione?”.
 
- Questo tu lo definisci soltanto un innocuo gesto fatto da qualcuno che vuole farsi perdonare?- chiese, ma la sua domanda era più retorica che una reale ricerca di una risposta ai suoi dubbi.
- Sono violette- disse semplicemente, fissando l’immagine che ritraeva un piccolo vaso con dei fiori altrettanto piccoli ma dal colore intenso.
- Non mi serve una lezione di botanica Shu, mi serve capire chi sta facendo questo!- alzò la voce, guardandolo con rabbia - Lo vedo anch’io che sono violette!-
- “Riparare ai propri errori”, è questo il significato. Sono sempre delle scuse, come quelle precedenti- rispose, mantenendo un tono calmo, quasi distaccato.
- Ma tu vuoi aiutarmi sì o no?!- lo fissò accigliata.
- Te l’ho già detto, credo semplicemente che siano innocui regali da parte di qualcuno che è seriamente dispiaciuto per qualcosa che ti ha fatto. Prova a pensare se c’è qualcuno che conosci che può averti ferita in qualche modo o che si è comportato male con te-
- Credo di averlo davanti agli occhi-
 
Dopo aver lanciato quella frecciata, che bruciava come veleno sotto pelle, girò i tacchi e se ne andò, lasciandolo lì ad occhi chiusi come un cane abbandonato sulle rotaie di una stazione deserta dimenticata da tutti.
 
 
…………………..
 
 
Nei successivi due giorni non la sentì più proferire parola su quella faccenda. In realtà non la sentì più proferire parola su nulla che non fosse strettamente legato al lavoro: si limitava ad arrivare al mattino, salutarlo con un “ciao” nemmeno troppo caloroso e sedersi alla sua scrivania. Il suo rifiuto di aiutarla doveva averla ferita parecchio, come d’altronde era prevedibile. Forse aveva sottovalutato il suo livello di coraggio: Jodie era realmente spaventata da quella situazione. Così decise di fare il primo passo, certo che la sua reazione iniziale non sarebbe stata delle migliori.
 
- Hai ricevuto altri fiori?- se ne uscì all’improvviso, mentre entrambi se ne stavano in silenzio concentrati sul proprio lavoro.
- Credevo non ti interessasse- rispose fredda, cercando di liquidare in fretta la conversazione.
- Non ho mai detto che non mi interessava-
- No, hai solo fatto capire che per te era una cosa da niente e senza importanza-
- È forse successo qualcosa di più grave?- la fissò, per cercare di farle capire che era davvero interessato alla sua questione.
- No, continuo semplicemente a trovare fiori davanti alla porta tutte le sere quando rientro dal lavoro. Nessun biglietto, nessun indizio su chi sia la persona che li porta. Solo fiori-
- E che fiori hai trovato negli ultimi giorni?-
 
La vide sospirare, per poi estrarre il telefono senza troppo entusiasmo, ancora non completamente convinta del suo reale interesse per quella vicenda. Cercò le foto nella galleria e gliele mostrò: un vaso di calendule, simile a quello precedente di violette, e un mazzo di ortensie blu.
 
- Le calendule simboleggiano dispiacere e pentimento. Regalare calendule significa far capire che si è davvero dispiaciuti e pentiti per quello che è stato e che si è pronti a ripartire senza più commettere gli stessi errori. Le ortensie blu invece simboleggiano le scuse, almeno nell’Hanakotoba. C’è una leggenda secondo cui un imperatore giapponese donò delle ortensie blu alla famiglia della donna che amava, per farsi perdonare il fatto di averla trascurata per seguire i suoi affari- fece una pausa, per poi abbozzare un piccolo sorriso - Chiunque sia questa persona, ha una vasta conoscenza del linguaggio dei fiori sia occidentale che orientale, non c’è che dire-
- Anche tu non scherzi- gli fece notare, ritraendo il telefono - Ma a me non viene in mente proprio nessuno che debba essere perdonato da me. Non ricordo di aver litigato con nessuno, almeno non di recente-
- Potrebbe anche essere relativo a un fatto di vecchia data allora-
- Ok, ma perché uscirsene solo adesso con questo teatrino dei fiori?
- Ognuno ha i suoi tempi, Jodie- si limitò a dire, come se fosse una verità assoluta e indiscutibile.
 
Seguirono alcuni minuti di silenzio, in cui nessuno dei due disse nulla. Jodie continuava a fissare le immagini sul cellulare, probabilmente cercando quella spiegazione che non sembrava voler arrivare.
A volte le risposte più difficili sono proprio quelle che abbiamo davanti agli occhi, ma che per qualche motivo non riusciamo a vedere.
 
- Se noti altri particolari o se dovessi sentirti per qualche motivo in pericolo, tienimi informato d’accordo?-
 
 
…………………….
 
 
Uscì dall’ascensore e inspirò profondamente ad occhi chiusi. Ormai quello di trovare fiori era diventato un appuntamento fisso al quale però lei non riusciva ad abituarsi. Si chiedeva cosa avrebbe trovato quella sera. Forse doveva iniziare anche lei ad informarsi sul linguaggio dei fiori.
Avanzò di qualche passo lungo il corridoio finché non li vide, bianchi e delicati, davanti alla sua porta: uno splendido mazzo di gigli.
Emise un sonoro sospiro e avanzò verso la porta, con gli occhi fissi su quei fiori candidi. Quando i suoi piedi furono a pochi centimetri dal mazzo, si chinò per osservarli meglio, affascinata da quel bianco puro.
Memore delle parole di Shuichi, estrasse velocemente il telefono e aprì la fotocamera, avvicinandolo ai gigli.
Fu allora che notò quel piccolo particolare: una macchia scura, di un grigio dalle diverse striature, che stonava su quel petalo così bianco. Era come se un pittore avesse dipinto un quadro perfetto per poi far cadere quell’unica, dispettosa macchia di colore in un punto in cui non avrebbe dovuto esserci.
Avvicinò la mano lentamente e con l’indice toccò quasi sfiorandolo quel piccolo cilindro dai contorni irregolari, che si sgretolò espandendosi.
Cenere. Cenere caduta da una sigaretta.
Sgranò gli occhi, mentre nella sua mente le immagini scorrevano come un fiume in piena. Adesso tutto aveva preso forma, tutto aveva un senso. Aveva trovato il tassello del puzzle che gli mancava per completarlo.
Scattò una foto al mazzo di fiori nella sua interezza e poi una seconda foto solo al fiore sul cui petalo vi era la cenere, accertandosi che l’immagine fosse il più nitida possibile. Soffiò via con rabbia la cenere, raccolse i gigli e li portò nel suo appartamento. Poi uscì nuovamente e si diresse verso l’ascensore.
 
 
Dopo dieci minuti di guida, fermò la macchina davanti al condominio dove abitava Shuichi.
Si diresse a grandi passi verso l’entrata e suonò il citofono la cui targhetta riportava il suo nome. Dopo pochi secondi sentì la sua voce.
 
- Chi è?-
- Sono io- disse semplicemente, certa che l’avrebbe riconosciuta.
 
………………..
 
 
Pochi minuti dopo aver aperto il portone d’ingresso, sentì suonare il campanello: Jodie doveva essere arrivata.
Andò ad aprire la porta, ma invece di invitarla ad entrare restò appoggiato con un avanbraccio sullo stipite.
 
- Vista l’ora deduco ci siano sviluppi sul misterioso portatore di fiori- sorrise beffardo - Cosa ti ha portato stavolta?-
- Se mi fai entrare ti spiego tutto- disse seria, fissandolo intensamente.
 
Gli sembrò di notare un bagliore strano nei suoi occhi, un qualcosa di diverso da ciò che vi aveva letto nei giorni precedenti: qualcosa di simile alla determinazione profonda, mista a qualcos’altro che non riuscì a decifrare.
 
- Certo, entra pure- si scostò dalla porta per permetterle di passare.
- Grazie-
 
Si richiuse la porta alle spalle e la invitò a sedersi sul divano del salottino.
 
- Stavo preparando la cena, purtroppo non è ancora pronta ma se nell’attesa vuoi bere qualcosa dimmi pure-
- Strano che tu stia ancora preparando la cena, sei uscito dal lavoro almeno mezz’ora prima di me oggi- assottigliò lo sguardo.
- Ho dovuto occuparmi di altre faccende prima, tutto qui- si mise sulla difensiva, ma senza farglielo notare troppo.
 
Sì, c’era decisamente qualcosa di strano nell’atteggiamento di Jodie. Aveva come l’impressione che stesse cercando di metterlo con le spalle al muro. Forse aveva finalmente trovato la risposta che cercava?
 
- Comunque prendo volentieri un bicchiere di vino se ce l’hai- si sedette comodamente sul divano, accavallando le gambe.
- Sherry?-
- Il mio preferito- sorrise.
 
Si recò in cucina e tornò pochi minuti dopo con un calice contenente quanto da lei richiesto. Lo appoggiò sul tavolino di fronte al divano e si sedette di fianco a lei, stendendo un braccio sulla parte superiore dello schienale.
 
- Allora, cos’è successo?- le chiese.
- Stasera ho trovato questi- gli mostrò subito la foto sul cellulare.
- Oh, dei gigli bianchi. Riconoscere i propri errori e ricominciare da capo, è questo il significato-
- Sempre molto informato- gli sorrise, ma sembrò più un ghigno tipico di chi stava fingendo.
 
Non rispose, si limitò a sorridere e ad accendersi una sigaretta.
 
- Ti da fastidio se fumo?- le chiese.
- No, tranquillo-
- Comunque per venire fino a qui pensavo ci fosse qualcosa di più rilevante del solito mazzo di fiori- fece cadere la cenere in eccesso della sigaretta sul posacenere in metallo posto sul tavolino insieme al bicchiere di Sherry che Jodie sorseggiava di tanto in tanto.
- Infatti c’è. Guarda qua- gli mostrò un’altra foto.
- È uno dei gigli fotografato da vicino. Non ci vedo nulla di strano-
- Davvero non noti nulla? Guarda bene Shuichi-
 
La vide allargare l’immagine su un petalo del fiore e allargò di poco gli occhi quando realizzò il motivo di quel gesto. Quel petalo aveva qualcosa che gli altri non avevano: una prova schiacciante.
 
- Allora, l’hai notata?- chiese di nuovo Jodie, piegando leggermente la testa di lato - Cenere-
- Sì, la vedo- rispose semplicemente - E con ciò? L’unica cosa che possiamo dedurne è che il nostro “uomo dei fiori” è un fumatore- concluse, inspirando una boccata di fumo dalla sigaretta.
- Proprio come te- lo fissò nuovamente con quell’espressione di sfida.
- Non sono certo l’unico al mondo ad avere il vizio del fumo- si giustificò.
- Vero, ma sei uno dei pochi che conosco-
- Dove vuoi arrivare Jodie?- le chiese diretto, spegnendo la sigaretta e lasciando il mozzicone all’interno del posacenere.
- Piantala di fingere Shu, ormai ho capito che ci sei tu dietro queste misteriose consegne di fiori!- alzò il tono della voce, facendo uscire quella rabbia che fino ad ora aveva cercato di reprimere per far funzionare al meglio la commedia che aveva deciso di recitare - Perché lo hai fatto?!-
- Cosa ti fa pensare che sia stato io?-
- Vediamo…la cenere di sigaretta non è sufficiente? Allora aggiungiamo il fatto che conoscevi perfettamente il significato di ogni singolo fiore, che non sembravi minimamente preoccupato nonostante tu abbia visto che la situazione mi turbava e che stranamente nell’ultima settimana hai lasciato l’ufficio almeno mezz’ora prima di me ogni singolo giorno. Avrei dovuto accorgermene prima, tu sei uno che può lavorare anche fino alle dieci di sera se te lo lasciano fare! E poi il fatto che avessi portato dei fiori sia con un significato occidentale, sia con un significato orientale: essendo di sangue misto, conosci bene entrambe le due culture. Diamine, avrei dovuto accorgermene prima!- scosse la testa.
 
Rimase in silenzio per qualche secondo, con gli occhi serrati. Ormai non poteva più continuare a fingere, il suo piano era stato smascherato. Gli mancava poco per portarlo a termine, solo un ultimo gesto e poi sarebbe riuscito nel suo intento, ma Jodie lo aveva scoperto prima che potesse completare l’opera. L’aveva sottovalutata, o forse era stato il fato a giocargli un brutto tiro. Forse se Jodie non si fosse accorta di quella traccia di cenere di sigaretta, non sarebbe mai arrivata alla conclusione che fosse lui il misterioso uomo dei fiori nonostante le avesse lasciato non pochi indizi.
Riaprì gli occhi e la fissò serio.
 
- Non ci arrivi da sola? Ripensa al significato di tutti i fiori-
- Se volevi chiedermi scusa per qualcosa non potevi semplicemente dirmelo in faccia?! Ti rendi conto di quanto mi ha allarmata tutto questo?! Credevo davvero che ci fosse qualche malintenzionato che mi stava tenendo sotto controllo! E poi per cosa dovresti farmi tutte queste scuse? Dammi una spiegazione Shu perché io in questo momento non riesco davvero a capire!- parlò in fretta, vomitando le parole una dietro l’altra senza quasi prendere fiato.
 
Era davvero furiosa e quando Jodie si arrabbiava in quel modo era difficile fargliela passare subito. Doveva giocarsi il tutto e per tutto.
 
- Aspetta un attimo qui- le disse, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina.
 
Tornò pochi minuti dopo con in mano un mazzo di rose rosa. Diciotto bellissime rose rosa per l’esattezza.
Si sedette nuovamente accanto a lei e le porse delicatamente i fiori, che la donna accettò con sguardo incredulo. La vide portarsi le rose vicino al volto e inspirarne il profumo socchiudendo gli occhi. Sembrava che una parte di lei gradisse quel regalo, ma l’altra parte non riusciva a darsi pace cercando disperatamente una risposta a tutto ciò. Era comprensibile: Jodie era nata donna, la curiosità e il bisogno di sapere erano parte della sua natura.
 
- Questi avrei dovuto portarteli domani, ma ormai il mio piano è andato in fumo. Sono diciotto, numero che indica una richiesta di perdono. Regalare diciotto rose rosa è il gesto perfetto per chiedere scusa per un grosso errore commesso. Ho pensato che delle semplici scuse non fossero sufficienti, così  mi sono detto che i fiori potevano essere la giusta soluzione. Di solito alle donne piacciono, ma tu sei sempre stata un po’ strana- sorrise.
- Scuse per cosa Shuichi?- chiese nuovamente, sospirando.
 
Lo aveva chiamato Shuichi. Da quando si erano conosciuti, da quando si erano messi insieme cinque anni prima e fino a quel momento lo aveva sempre chiamato Shu. Doveva essere davvero esasperata per arrivare a tanta formalità.
 
- Per averti piantata in asso senza troppe spiegazioni cinque anni fa- confessò infine.
- Shu…- fu tutto quello che riuscì a dire lei, mentre lo fissava con quegli occhioni azzurri completamente spalancati dietro le lenti di quei grossi occhiali che amava tanto.
- Ho realizzato di non averti mai chiesto scusa per il dolore che ti ho causato. Durante i tre anni in cui sono stato nell’Organizzazione, ti chiamavo per lavoro, ma non ti ho mai fatto una sola telefonata per sapere come stavi o per scusarmi-
- Non eri tenuto a farlo- lo interruppe.
 
Teneva la testa china, lo sguardo fisso sulle rose poggiate sulle sue gambe e i capelli che le coprivano parzialmente il volto, impedendogli di vederne l’espressione e capirne i sentimenti.
 
- No, ma avrei dovuto-
- Quindi era un dovere, non qualcosa che sentivi di fare spinto dalla coscienza o dalla magnanimità-
 
Il suo tono era diventato duro, quasi freddo. Gli dava l’impressione che le sue scuse non fossero state gradite.
 
- Non devi scusarti Shuichi, avevi le tue motivazioni per fare quello che hai fatto. Non è colpa di nessuno se le cose fra di noi sono andate in questo modo. Siamo amici e siamo buoni colleghi. Va bene così- concluse, continuando però a non guardarlo in faccia.
 
Lo aveva chiamato di nuovo Shuichi.
Cosa poteva fare per uscire da quel punto morto in cui erano arrivati?
 
- Le motivazioni che avevo, per quanto valide potessero essere, non giustificano il dolore che ti ho causato. A volte la cosa giusta da fare non è sempre quella che ti rende felice-
- Hai detto che quando eri infiltrato nell’Organizzazione non mi hai mai telefonato per chiedermi come stavo- alzò finalmente il volto, guardandolo - Non lo hai fatto perché avevi paura che potessi illudermi di un tuo ripensamento o perché non ci hai minimamente pensato?-
 
Aveva gli occhi lucidi, troppo lucidi per poter trattenere ancora a lungo le lacrime. Aveva risvegliato in lei un antico dolore che il tempo non era riuscito a cancellare.
 
- Jodie…-
- Rispondi- lo intimò.
- Cosa vuoi che ti dica?-
- Soltanto la verità-
- E sarai disposta ad accettarla, qualunque essa sia?-
 
Abbassò di nuovo la testa, consapevole che quella domanda aveva già preannunciato la risposta.
 
- In quel momento ero concentrato sulla missione, non ho avuto tempo per pensare a mente lucida a quello che avevo lasciato dietro di me prima di volare in Giappone e restarci per i successivi tre anni- ammise.
 
La vide annuire e rialzare di nuovo la testa. Questa volta una lacrima le aveva rigato la guancia sinistra.
 
- Quando dici “la missione” intendi Akemi, giusto?- chiese con la voce che tremava.
- Anche-
- Quindi di lei conservi ancora un messaggio nel cellulare, ti sei tagliato i capelli che tenevi lunghi da quando ti ho conosciuto, ma a me non hai pensato neanche una volta in tre anni…-
- Lei è morta, Jodie. È morta per colpa mia-
- Quando mi hai lasciata senza troppi giri di parole dentro quella macchina, il mio cuore è andato in pezzi. Ho cercato di rimetterli a posto, ma non è più tornato come prima. Quando ho visto la tua reazione dopo che hai saputo della morte di Akemi, quello che avevo ricomposto è andato di nuovo in frantumi. È stato lì che ho capito che l’amavi davvero, che non era stata solo una missione per te. L’ho ricomposto ancora una volta, ma poi hai inscenato la tua morte e si è spezzato di nuovo. Mi chiedo quante volte si possa spezzare un cuore prima di non riuscire più a ricomporlo… -
 
Fece una pausa dal suo discorso, asciugandosi le lacrime che ormai scendevano copiose sulle sue guance. Vederla così lo faceva sentire anche peggio di quanto già non si sentisse. Anche lui stava realizzando in quel momento quanto l’avesse fatta soffrire. Avrebbe voluto dare la risposta giusta alla domanda di Jodie, ma lui la cosa giusta con lei non l’aveva mai saputa fare.
 
- Tutte le volte che il mio cuore è andato in frantumi è stato per colpa tua. Ma a me non hai pensato nemmeno una volta- terminò il suo discorso, ricominciando però a piangere.
- Jodie…mi dispiace- le disse semplicemente, mentre posava una mano sulla sua.
- Anche a me…Non posso accettare le tue scuse- alzò gli occhi colmi di lacrime e cercò di sorridergli.
 
Cercò di trovare qualcosa di sensato da dirle, qualcosa che potesse farle cambiare idea, ma non riuscì a trovare nulla. Come poteva giustificare il suo comportamento? Cos’altro aveva da offrirle se non le sue scuse?
Mentre pensava a tutto ciò, Jodie scostò delicatamente la sua mano, ancora appoggiata sulla sua, depose le rose sul tavolo e si alzò dal divano, muovendo i primi passi verso la porta.
Istintivamente, si alzò di scatto e la raggiunse, afferrandole il polso per bloccarla.
 
- Aspetta Jodie- la fece girare verso di lui, per poterla guardare in faccia - Prendi almeno i fiori, sono un regalo-
- Non posso accettarli Shu- rispose quasi sussurrando, fissando il pavimento e scuotendo la testa.
- Perché?-
- Perché quelle rose simboleggiano le tue scuse e non posso accettare nemmeno quelle. Se in quegli anni trascorsi lontano da me avessi pensato di chiamarmi anche una sola volta per scusarti o semplicemente per sentirmi, non avrei esitato ad accettare le tue scuse e anche quelle rose bellissime, perché avrei saputo che le tue scuse erano vere e sincere- provò ancora una volta a sorridere fra le lacrime - Ma se ti scusi dopo tutti questi anni perché quando era il momento di farlo non ci hai pensato nemmeno una volta…fa sembrare le tue scuse soltanto un modo per mettere a tacere la tua coscienza. Suonano false ed è per questo che non posso accettarle. Preferisco che tu non me le faccia e che continuiamo ad andare avanti come abbiamo fatto fino ad oggi. In fondo, abbiamo mantenuto un bel rapporto anche senza scuse no? Io so che ci sei per me e tu sai che ci sono per te. Va bene così-
 
Lasciò la presa sul suo polso, consapevole che era arrivato il momento di lasciarla andare.
Aveva perso. L’aveva persa.
Per la prima volta nella sua vita, si maledì per essere una persona così fredda. Aveva sacrificato non solo se stesso per raggiungere il suo obiettivo, ma anche delle persone a lui care che niente e nessuno avrebbe potuto restituirgli. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stato grande il prezzo che aveva dovuto pagare per portare a termine la sua missione. Troppo grande. Aveva messo a tacere i suoi sentimenti per Jodie per poter recitare al meglio la sua parte con Akemi, aveva usato quest’ultima per arrivare all’Organizzazione e poi aveva piantato in asso anche lei, dandola in pasto ai suoi carnefici. E ora, dopo tutto questo, pensava davvero di poter riavere Jodie? Solo perché lei lo amava ancora alla follia, non voleva certo dire che fosse disposta a lasciarsi alle spalle tutto quanto. Certi dolori non si cancellano, restano sulla pelle come tatuaggi indelebili. A volte l’amore da solo non basta.
Jodie mosse qualche passo verso di lui e quando i loro volti furono a pochi centimetri l’uno dall’altro, si sollevò leggermente sulla punta dei piedi e gli diede un leggerissimo, delicato bacio sulla guancia, vicino all’angolo della bocca. Per un attimo gli sembrò di essere stato toccato da un angelo, una creatura ultraterrena. Forse persino un fantasma del passato.
Si guardarono intensamente un’ultima volta, poi la donna indietreggiò, gli rivolse un ultimo sorriso e infine si voltò e raggiunse la porta.
 
- Ci vediamo domani, Shu- lo salutò, aprendo la porta e chiudendola subito dopo dietro di sé.
 
Restò fermo lì, immobile, ritto in piedi come una statua, fissando la porta nella speranza di vederla tornare indietro. Ma la porta rimase chiusa.
Prese un lungo respiro e tornò nel salotto, dove sul tavolino lo aspettavano le rose che Jodie aveva lasciato. Il dolce profumo che avevano lasciato nella stanza lo infastidì: era un profumo adatto a un lieto fine, non alla “tragedia” che si era appena consumata.
Il suo sguardo si spostò sul bicchiere di Sherry ancora pieno per metà e sul posacenere con i resti della sigaretta fumata poco prima. Si chiese se in fondo c’era ancora una speranza per lui e Jodie, se lei avrebbe mai cambiato idea, se valeva la pena continuare a lottare dopo quella sconfitta, oppure se di loro restavano soltanto cenere e vino.
 
 
Is there a chance?
A fragment of light at the end of the tunnel?
A reason to fight?
Is there a chance you may change your mind?

Or are we ashes and wine?
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Ciao! Innanzitutto grazie a tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a questo punto, vuol dire che la mia storia vi è piaciuta e ne sono felice! Questa one shot è stata scritta in occasione del Red Starling Secret Santa indetto dalle fan della coppia ShuJodie su Tumblr ed è nata dal prompt “Shuichi apologizes to Jodie” scelto da Daftne the Queen, di cui sono la Secret Santa.
Avrei potuto fare un finale felice dove Jodie accettava le scuse ma mi è uscita così, perdonatemi! Magari in futuro potrei valutare di fare un continuo dove Shu ci riprova e Jodie accetta J  
Due parole sul contenuto della storia:
- tutte le informazioni sul linguaggio dei fiori che avete trovato, sia di quello occidentale sia dell’Hanakotoba (che è il linguaggio dei fiori Giapponese, diverso da quello occidentale) le ho trovate in giro per il web da varie ricerche. Non sono assolutamente un’esperta di botanica e non ho il pollice verde, quindi se trovate qualcosa di non proprio corretto non vogliatemene ;)
- le strofe finali in grassetto sono il ritornello della canzone “Ashes and Wine” di A Fine Frenzy, da cui è tratto anche il titolo di questa one shot e che ha ispirato l’intera storia insieme al linguaggio dei fiori.
Spero davvero vi sia piaciuta e ne approfitto per augurare Buon Natale a chi leggerà!
Baci
Place
   
 
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