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Autore: hirondelle_    25/12/2020    0 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
La loro casa era calda e sapeva di pulito. Kariya avrebbe imparato a riconoscerne il tipico odore di tè alle erbe solo qualche anno più tardi, quando avrebbe iniziato l’università e sarebbe tornato a casa solo nei fine settimana, nostalgico al punto da desiderare quel torpore malinconico e dolceamaro anche nei momenti in cui non ne sentiva davvero il bisogno.
Vedere suo padre di fronte a lui sorridere, con quell’accenno di rughe attorno alle labbra e agli angoli degli occhi, forse rientrava a pieno diritto nelle cose che gli portavano più serenità in assoluto. Kariya arrossì al pensiero e nascose il viso nella sciarpa. “Tutto bene?” gli chiese Hikaru con un sorriso. “Dimenticato niente?”
“No,” borbottò lui evasivo, distogliendo lo sguardo da Midorikawa e Hiroto. Certo, era bello vedere suo padre così felice, ma la presenza del suo insegnante rendeva tutto più imbarazzante. Non si era ancora abituato a vederlo entrare in casa con quel suo sorriso smagliante, salutare Ryuuji con un bacio e stringerlo per la vita con tanta disinvoltura, come se fossero insieme già da anni. Erano rimasti lì per un po’, a dondolare come due stupidi, per poi scoppiare a ridere come bambini e inciampare i piedi sulle rispettive scarpe. Una scena caotica che aveva del paradossale. Hiroto era entrato nelle loro vite da due settimane e Kariya già non ne poteva più.
Si girò verso Hikaru, ancora sulla soglia della porta, lui e il suo ridicolo berretto giallo. Hiroto era stato gentile ad accompagnarlo, se non altro perché almeno lo avrebbe tolto dall’imbarazzo di assistere quella scena. “Andiamo intanto,” si lagnò, superandolo e iniziando a scendere i gradini a due a due. “Non voglio rischiare di perdere il countdown per questi due vecchiacci”.
“È presto,” ridacchiò il ragazzino, seguendolo. “Ma capisco cosa intendi dire”.
“No che non puoi capire, non ci devi avere a che fare tutti i santi giorni”.
Hikaru lo raggiunse e gli prese la mano prima che potesse ruzzolare giù dal pianerottolo. “Sono innamorati,” gli sorrise, “È una cosa bella”.
Kariya lo guardò di sottecchi ma non disse niente, prendendo a camminare più spedito non appena uscirono dal cancello. “Non so se mi conviene presentarlo a Kyosuke, avrà quell’espressione da ebete per tutta la sera”.
Hikaru fece spallucce. “Non penso che a Kyosuke importi davvero qualcosa di tuo padre,” rispose.
Il ragazzino ovviamente aveva ragione e Kariya si sorprese del proprio disappunto, quasi Kyosuke gli stesse facendo un torto personale. “Beh, comunque sia, se avrà qualcosa da dire dovrà prima vedersela con me”.
Hikaru ridacchiò e lo prese sottobraccio. Era felice e spensierato come mai lo aveva visto. “Allora è meglio che si guardi le spalle, dico bene?”
“Non prendermi in giro,” sbuffò Kariya, ma doveva ammettere di sentirsi ridicolo.
Camminarono insieme fino al tempio, Ryuuji e Hiroto appena dietro di loro. In lontananza si potevano già sentire i cori dei festeggiamenti e qualcuno aveva già acceso qualche fuoco d’artificio. Il loro respiro si condensava di fronte ai loro occhi, annebbiandogli la vista.
“Hai già pensato al tuo desiderio?” chiese Hikaru.
“Anche se fosse, non potrei dirtelo,” rispose Kariya. “O non si avvererebbe”.
Il ragazzo lo attirò leggermente verso di sé, le loro braccia ancora intrecciate. Masaki aveva affondato le mani nelle tasche, perché in realtà si era dimenticato i guanti. Poteva quasi sentire il respiro di Hikaru infrangersi leggermente contro la sua pelle della sua guancia. Anche se avevano parlato a lungo, Kariya non riusciva ancora a credere che il loro rapporto si fosse evoluto così tanto in sole due settimane. Hikaru sembrava molto cauto, intimorito quanto lui da un’esperienza per loro nuova e in un certo senso prematura, ma Kariya si era più volte ritrovato a cercare le sue dita con le proprie, a giocare con qualche suo ricciolo ribelle, a spostarglielo dalla fronte con una carezza. Era una sensazione che non aveva mai provato prima d’ora: per quanto a volte si sforzasse di negarlo a se stesso, cercava Hikaru costantemente, perché si era accorto quanto la sua presenza lo stesse cambiando. Quanto lo rendesse felice. E quanto trattenersi con lui fosse difficile, ma doveroso, specialmente quando erano a scuola o davanti ai loro amici.
Distinguere la sagoma di Kyosuke che li attendeva all’entrata del tempio, mano in tasca e occhi sul cellulare, gli fece capire quanto la cosa lo facesse realmente soffrire. Hikaru si divincolò dalla sua stretta con un sorriso mesto, e gli diede una pacca dietro la schiena, intuendo che era arrivato il momento di assecondare le apparenze… Kariya aveva intuito già da tempo che lo faceva soprattutto per lui. Ma non era ancora sicuro se gli stesse bene o meno.
“Ohi,” li accolse Kyosuke non appena gli arrivarono davanti. “Mi spiegate perché sono quello che vive più lontano di tutti ma sono stato il primo ad arrivare?”
Kariya aprì bocca per insultarlo, ma fu preceduto dalla voce allegra di suo padre. Sussultò, perché non si era nemmeno accorto che lui e Kira li avessero raggiunti. “Credo sia colpa mia, eheh”.
Kariya buttò un’occhiataccia in sua direzione. Midorikawa teneva il loro professore per mano con naturalezza disarmante e stava sorridendo a Kyosuke come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo.
Però doveva ammettere che non aveva mai visto Kyosuke fare una faccia simile e persino Hikaru doveva aver pensato a qualcosa del genere, perché si mise a ridacchiare nervosamente.
“Tsurugi-san,” lo salutò Kira in tono affabile.
“Kira-sama…” si inchinò Kyosuke, allibito. Poi si voltò verso Kariya, incerto sul da farsi. “Andiamo,” sbottò a un certo punto, trascinandoselo dietro per il cappuccio.
“Non volete aspettare Endou-san?” chiese Midorikawa e Kyosuke si girò verso di loro con fare interrogativo.
“Chi è Endou-san?” chiese, infatti.
“L’allenatore della Raimon, dovresti saperlo,” rispose Kariya, divincolandosi dalla sua stretta. “Ci eravamo dati appuntamento di fronte al tempio”.
“E perché non è qui?” brontolò l’altro, “Io volevo andare a prendere l’amuleto. C’è già la ressa!”
Kariya sbatté gli occhi, non immaginando che Kyosuke potesse essere il tipo da badare a convenzioni sociali così astruse. Il fatto che indossasse un abito tradizionale avrebbe dovuto essere un indizio più che eloquente: se lo appuntò nella mente per la prossima volta che avrebbe provato a comprendere quello stranissimo ragazzino. Kyosuke sembrò notare la perplessità nel suo volto e arrossì: “Me l’ha chiesto mio fratello, che ti credi?”
“Perché non è qui? Avremmo tanto voluto conoscerlo,” intervenne Hikaru con il tatto che Kariya poteva solo invidiargli.
Kyosuke sembrò vacillare, insicuro su cosa dire. “Beh…”
Furono interrotti da un grido allegro proveniente dalle porte del tempio. Si girarono (e un po’ tutti i presenti con loro) verso la strada, nella direzione da cui stava arrivando Endou-sama, accompagnato da due uomini che Kariya non avevo mai visto. Hikaru lo salutò allegramente, Kariya si limitò a rivolgergli un cenno imbarazzato.
Minna!” ripeté il loro allenatore, sorridendo. “Scusate il ritardo!”
“Ciao Reize,” salutò uno degli sconosciuti che lo accompagnavano, stringendo suo padre in un abbraccio quasi fraterno.
Hiroto si avvicinò ad Endou e gli appoggiò una mano sulla spalla, “Avete trovato traffico?”
Endou arrossì, massaggiandosi la nuca con fare imbarazzato. “Dovevo andare a prendere i miei fidanzati. E la mia smart si è… tipo… kaput. Insomma, sì. Proprio un pa-chooom. Sai com’è”
Kariya non aveva mai visto il suo insegnante tanto confuso. “Kaput…? Pa-choom…? Fidanzati…?”
“È solo che non sa guidare,” borbottò l’uomo alla sua destra, gli enormi occhiali verdi a coprirli gran parte del viso e i capelli raccolti accuratamente in delle trecce spesse quanto il suo polso. “Ma è troppo orgoglioso per ammetterlo, altrimenti saremmo venuti con la mia macchina”.
“La smart è comoda da parcheggiare, con la tua non bastano due piazze,” protestò Endou, cingendogli le spalle in un gesto troppo intimo perché fosse davvero arrabbiato. Kariya ormai aveva capito che era davvero difficile trovare qualcosa che turbasse il loro allenatore, ma qualcosa in quella interazione lo colpì particolarmente. Non aveva idea del perché quelle persone fossero venute dal distretto di Inazuma fin lì, ma suo padre fu presto di aiuto.
“Kariya, avevi detto che avresti voluto incontrare le Muse,” spiegò Midorikawa, “Loro sono Gouenji Shuuya e Kidou Yuuto. Rispettivamente la Quarta e la Quinta Musa. Il loro ragazzo… beh lo conoscete già.”
Kariya avrebbe voluto dire “piacere mio”, ma le sue buone intenzioni vennero facilmente coperte dai gridi di stupore attorno a lui. Kariya si girò verso Hikaru e Hiroto, infastidito. Forse perché Midorikawa gli aveva già anticipato qualcosa, ma non condivideva la loro reazione. “Ma che c’è?” borbottò all’orecchio di Hikaru, che fissava il trio come se avesse visto un fantasma. “Ok, non è una cosa così comune, ma non mi sembra che…”
“Gouenji Shuuya?!” balbettò il ragazzino, interrompendolo, “quel Gouenji Shuuya?!”
Kariya si girò verso l’uomo alla sinistra di Endou, un tipo stravagante dall’accecante cappotto rosso e l’aria pacata. Portava i capelli biondi sciolti lungo le spalle e all’orecchio brillavano due improbabili orecchini, ma il suo aspetto non gli diceva nulla di che.
“Non dirmi che non conosci… Gouenji Shuuya!” sussurrò Hikaru con voce appena tremante dall’emozione.
Lo sconosciuto tossicchiò, imbarazzato ma in qualche modo consapevole di qualunque cosa stesse implicando il ragazzino. “Sì, sono io,” rispose piano, assottigliando gli occhi scuri in un sorriso mesto.
Hikaru strinse i pugnetti, ammirato. “Giochi ancora a calcio?”
Ma chi è?” sibilò Kariya, e fu prontamente ignorato.
“No, mi sono ritirato da diversi anni ormai” gli spiegò Gouenji, “Ho una certa età”.
Endou gli picchiettò sul petto, ghignando orgoglioso. “Non sottovalutatelo, è ancora il bomber di fuoco,” esclamò, “Poi più tardi potremmo fare due tiri”.
!” strillò Hikaru, concitatissimo all’idea di vedere all’azione uno dei suoi idoli.
Kariya non aveva ancora capito chi fosse questo Gouenji Shuuya, ma era contento per lui.
Hiroto si rivolse a Ryuuji: “Quindi conoscevi già Endou Mamoru?” gli domandò, esterrefatto. Lui annuì: “Diciamo di sì, anche se conosco meglio Gouenji e Kidou-san. Sono stati loro a suggerirmi di iscrivere Kariya alla Raimon”.
“Davvero?” chiese Kariya, scoprendo tutto ad un tratto che doveva alle Muse più di quanto pensasse. Se non fosse andato alla Raimon non avrebbe conosciuto Kyosuke, o Endou. Né Kirino. E nemmeno Hikaru.
Kidou si limitò ad annuire e ad osservarli in silenzio. Era difficile capire dove si stesse posando il suo sguardo. “Mi fa piacere abbiate fatto amicizia,” disse solo, e a Kariya sembrò una frase molto strana, ma Hikaru non parve cogliere quanto quelle parole suonassero ambigue.
Invece, si voltò verso Kariya, visibilmente di buon umore di fronte alle ottime prospettive di quella serata particolare. “Andiamo a prendere gli amuleti per il fratello di Tsurugi-san!” esclamò.
“Sì,” mormorò Kariya, confuso. Buttò un’occhiata di sfuggita allo strano trio, per poi seguire Kyosuke e Hikaru e farsi largo tra la folla.
Forse era vero che certe cose non andavano lasciate al caso, perché non avrebbe saputo cosa farne.
   
 
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