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Autore: May90    24/08/2009    2 recensioni
[Fiction a due voci] [Ben lontana dalla vicenda originale] [La mia prima fanfiction...^_^]
Capitolo 19 "Feelings And Desires" =
"Prese un altro sorso di vino e, una volta riappoggiato il bicchiere sul tavolo, si mise a giocare passando con finta non curanza l’indice smaltato di rosso sul bordo del calice. Un’altra scena di repertorio, ma sempre molto efficace, dovevo ammetterlo. - Fai bene a parlare di gatti. – riprese, senza mutare l’espressione rilassata, ma fissando intensamente quel gesto che fingeva essere spontaneo – In quanto felini, hanno molti istinti feroci insiti in loro e un innato desiderio di scoprire le cose di persona. Non si tirano mai indietro. Quando hanno uno scopo, poi, diventano implacabili. - - Quindi l’avresti presa come una sfida? Non voleva esserlo in ogni caso. – scrollai le spalle – Strano, comunque. Credevo che i gatti fossero soprattutto animali nobili, eleganti, amanti del benessere e della tranquillità. Non questi grandi avventurieri. – - Quando sono allo stato selvatico, finiscono per essere più simili alle tigri che ai cagnetti domestici. A meno che tu non mi stia paragonando ad un innocuo barboncino. – e alzò gli occhi affilati come lame sul mio volto. - Tu invece ti stai paragonando ad una tigre…? – commentai con una smorfia dubbiosa – E soprattutto, in che modo dovresti sembrare così selvatica? Vivi in una ricca dimora, partecipi spesso a serate mondane, hai sempre una perfetta manicure… -"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tyki Mikk
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15

I’m The Teacher



"Non aspettare il momento opportuno: crealo!"
(George Bernard Shaw)






Grazie al Conte, perché qualsiasi altro riferimento divino sarebbe fuori luogo, il giorno successivo nessuno venne a disturbare il mio sonno.
Mi aspettavo che almeno Road avrebbe avuto l’indecenza di lasciarmi dormire sono le inevitabili quattro ore, per avermi a disposizione semi-scattante per le nove. In realtà mi svegliai all’una al suono sincronizzato di tutti gli orologi di casa, quando ero ormai in un tranquillo dormiveglia che mi stava preparando ad un sereno risveglio.
Dopo l’inevitabile doccia, mi stupii di trovare ancora quasi tutti nel salone del pranzo.
- Buongiorno. – salutai educatamente appena oltrepassata la porta.
- “Buongiorno”, Tyki-pon…! – rispose subito il Conte, con una nota di sarcasmo nella voce gioiosa. Dovuta all’ora tarda, molto probabilmente.
Road, immersa in un libro di scuola con una smorfia disgustata stampata in faccia, lasciò scoppiare il palloncino di chewing-gum e mi rivolse un cenno della mano. Skin era ancora seduto al suo posto solo perché si stava accaparrando forse il terzo bis del dolce, mentre Lulubel si stava giusto alzando e mi si parò davanti per imboccare la porta.
- Buongiorno. – disse, con voce piatta e mi svicolò per uscire. Chiuse la porta dietro di sé con un tonfo sonoro.
L’ultima che notai fu Vivy, ma solo perché sembrava del tutto assente. Era presissima dalla lettura di un fascio di fogli che stringeva tra le mani, notai, con una certa agitazione. Si accorse della mia presenza solo quando spostai la sedia alla sua destra per prendere posto e allora alzò il viso, rivolgendomi un immediato sorriso.
Mi accorsi vagamente che i colori dei Noah le donavano ancora meno del solito. Quella tonalità mortifera della pelle contrastava in modo insopportabile con i suoi lunghi capelli neri, sciolti e con le ciocche leggere che le sfioravano ancora più liberamente del solito le guance e il collo fine. Le scure cicatrici sembravano un affronto al suo volto delicato e liscio, mentre il modo in cui si strofinava gli occhi assonnati e segnati era troppo naturale e ingenuo per essere messo in relazione con il crudele bagliore giallo che illuminava le sue iridi.
Mi salutò, dolcemente: - Buongiorno, Tyki… - e riportò tutta l sua attenzione sulla lettura.
- Cosa stai facendo? – chiesi, sporgendomi lievemente verso di lei per sbirciare. Erano spartiti e testi di romanze con in cima una titolatura in un perfetto corsivo: “Carmen”.
- Ripasso… In teoria… - rispose, con un’espressione un po’ inquieta – Tra poco riusciremo finalmente a portare in scena “La Carmen”… -
- Perché la scorsa rappresentazione era saltata, giusto? – ricordai improvvisamente.
- Si. Un problema di abiti di scena… Adesso sarà la volta buona… Sempre se riuscirò a memorizzare di nuovo la parte… - sospirò e tornò a sillabare in silenzio le strofe, aiutandosi con gesti della mano per richiamare alla mente i movimenti della musica.
Mi chiesi da quanto tempo fosse così occupata a studiare l’opera. Forse era una sveglia prematura la causa della sua aria assonnata. Mi dava un’impressione strana… Ma non feci in tempo né a chiedere né ad indugiare su questo pensiero.   
- Pranzate, allora? – chiese il Conte, convocando una cameriera-akuma con un battito di mani.
- Be’ si… - annuii, con sufficienza – Anche se è tardi, non posso pensare di resistere fino a stasera… -
- Vivy, mia cara…? – chiese ancora il Conte, richiamando anche la sua attenzione.
- Si. – rispose, tranquilla.
- Credevo avessi già mangiato… - osservai, stupito, mentre appoggiava le sue carte poco lontano e tornava a voltarsi, raggiante.
- Aspettavo te, no? –
Non potei che sorriderle di riflesso e rivolgerle un cenno di ringraziamento con il capo.

Eravamo da poco arrivati al contorno, in tempo record dato che l’ora era già parecchio tarda per essere ancora a tavola, quando il Conte parlò, rompendo definitivamente la sinfonia di posate, calici e piatti che aveva accompagnato la prima parte del pasto. Alzammo tutti e due insieme la testa, sicuri di non aver capito bene le sue parole.
- Scusate, Conte…? – esclamammo, quasi all’unisono.
- Non fate finta di non aver capito… - insinuò Road, con un sorrisetto nefasto, ma senza alzare gli occhi dai suoi compiti. Capii in quel momento perché si trovasse ancora lì a studiare nonostante non stesse chiedendo aiuto al Conte…
- Domani – ripeté il Conte, con ancora maggiore enfasi – ci sarà una splendida serata indetta dalla Corte Piemontese! Vorrei che voi due partecipaste! –

Per un momento restammo in silenzio.
Io cercavo di trovare qualcosa di dire, qualcosa che non risultasse offensivo a nessuno.
Del resto, il Conte sembrava seriamente prendersi gioco dei dubbi che appena la sera prima avevo condiviso con Vivy.
Non volevo che avesse troppa confidenza con gli ambienti cortigiani. Ciò mi avrebbe messo nella condizione di doverla tenere d’occhio, di dovermi preoccupare anche del suo buon nome, di doverle guardare le spalle. A volte era così fastidiosamente indifesa.
E dire che a quanto mi ricordavo da quel giorno al convento, in quel passato decisamente passato, doveva avere un bel caratterino. Adesso che era una Noah, adesso che le serviva, dove l’aveva messo!? Al di là che lei potesse essere interessata a questa esperienza, dovevo impedirglielo per quanto mi era possibile. Non volevo ulteriori problemi. E non potevo certo lasciarla in balia di pettegolezzi vari…
Solo che se mi fossi opposto con troppa veemenza, non solo avrei probabilmente offeso lei, ma avrei anche finito per scatenare la difesa sfrenata del Conte al progetto, cosa che mi avrebbe impedito definitivamente di liberarmi da quell’impiccio.
Se si aggiungeva che probabilmente, oltretutto, il capo poteva avere un piano in proposito, la situazione non poteva essere peggiore…
Odiavo finire invischiato in questi vicoli ciechi…
Sbuffai sonoramente e guardai Vivy.
Lei sbirciò la mia espressione insofferente per qualche istante, poi alzò gli occhi al cielo e sospirò:
- Ho capito, tocca a me… -

- Sapete che cosa comporterebbe questo, Conte? – chiese Vivy, celando il fastidio senza risultati davvero evidenti.
- Ma certo! La risoluzione di tutti i vostri problemi! – rispose lui, gioviale.
- Di quali problemi parlate? – riprese lei, gli occhi gialli già in due fessure.
- Quelli riguardanti la vostra promessa di matrimonio! –
- Non abbiamo problemi al riguardo. Non abbiamo mai acconsentito a questa vostra imposizione.-
La guardai vagamente incuriosito. Stava davvero dando man forte alla mia posizione? Nonostante di certo non fosse la sua? Con uno strano sollievo, mi accorsi che si stritolava le mani sotto il tavolo e che forse quell’aria fiera era più che altro causata dallo sforzo che compiva nel dire una cosa simile.
- Vivy… Bugiarda… - rise Road, da dietro il libro.
Tuttavia, lei la ignorò del tutto, anche se la sua espressione aveva per un attimo mostrato qualcosa di simile al panico, prima di tornare a concentrarsi sul suo interlocutore.
- Se lo dici tu, mia cara! – accondiscese il Conte, allargando ancora la vasta paresi – Capisco le tue remore e il tuo rispetto per Tyki! Comunque, è necessario che tu venga presentata al mondo nella sua massima nobiltà! Al di là di ogni obbligo questo comporti… - e mi scoccò un’occhiatina tutt’altro che benevola - …è giusto che tu prenda il tuo posto in società! E al fianco di una persona che possa non solo aiutarti nell’ambientarti, ma anche farti da appoggio con la sua ottima fama!-
- Sentite, non potete girare intorno al problema… - cercò di rispondere Vivy, con gli occhi ardenti di collera.
- Non ci giro intorno! – rispose, tranquillo.
- Non scherzate! Non si parla solo della presentazione in società! Non si tratta solo del mio parere!  Piuttosto il… - saltò su.
Finalmente riconobbi nel massimo splendore l’altezzosa monaca che avevo conosciuto. Se questo era un “purtroppo” o un “per fortuna”, non mi era chiaro. Tuttavia l’impressione durò poco, giusto fino alla brusca interruzione.
- E fossi in te non direi nient’altro! O potrei toccare davvero il centro del problema! – riprese gioioso il capo, ma con una punta minacciosa nel tono e senza lasciarla finire.
Lei assottigliò le labbra in una maschera di contrizione e mi rivolse uno sguardo inquieto.
Davvero non capivo di cosa stessero parlando ora, ma certamente era qualcosa che nessuno dei due avrebbe gradito spiegarmi. Anche se non sopportavo di essere tenuto così all’oscuro delle cose, non aveva senso obbligarla a percorrere quella strada tortuosa ora che il Conte sembrava essere così irritato.
Ci sarebbero state altre occasioni per ribellarsi, ormai non aveva senso.
- Va bene così… - le dissi, a bassa voce, anche se sapevo che il Conte avrebbe sentito ugualmente.
- Davvero, Tyki? Ti pieghi così in fretta a fare la sua “guardia del corpo”? – commentò inaspettatamente Road, con aria malevola.
- Non ha molto senso discutere con voi… Tanto ormai è stato già tutto deciso, no? – commentai, indifferente.
- Toglietemi solo una curiosità! –
Mi voltai verso Vivy, il cui viso contratto mostrava chiaramente l’onda di ira che la attraversava. Scattò in piedi dal suo sedile come una belva pronta al balzo.
Ora potevo davvero dire che faceva quasi paura…
- Con che ruolo mi presenterò a quelle persone!? Qui nessuno ha acconsentito ad alcun legame legittimo! Cosa sarò domani sera!? -
Il Conte rise, di una risata sarcastica agghiacciante.
- Non è a me che devi chiederlo! Dipende dal nostro Tyki-pon! Se desiderasse farti passare per una semplice amante saresti più contenta!? -
Il suo viso divenne improvvisamente rossissimo. Di imbarazzo, conoscendola. Nello stesso tempo, però, sembrava che non vedesse l’ora di trovare parole abbastanza taglienti con cui rispondere. In quel caso poteva davvero finire male… Perché per quanto normalmente fosse del tutto indifesa, in quello stato temevo avrebbe finito per far arrabbiare davvero il Conte… Ciò che ne sarebbe venuto avrebbe probabilmente messo in mezzo anche qualche malcapitato… Me, per esempio…
- D’accordo. Ho capito. Dato che la scelta è mia, non intromettetevi per favore. – mi inserii, prima che si potesse scatenare il finimondo – E comunque ho abbastanza onore da non voler umiliare la mia dama con simili insulti alla sua integrità. -
Questo sembrò calmarla almeno un po’. Abbastanza comunque da indurla a tornare a sedersi, con un gesto fluido. Non so come feci a trattenere un qualunque segno di sollievo.
- Bene! Hai ragione! Non dirò più nulla! – acconsentì il Conte, con un cenno pacificatore del capo – Anche se mi dispiace, Tyki, che tu non sia soddisfatto di questo impegno mondano! Eppure c’è un lato positivo, non credi? -
- Quale? – chiesi, scettico, accettando il dolce che la cameriera-akuma mi stava porgendo.
- Con domani avrai mantenuto la tua “promessa” di portare Vivy a ballare! –
La diretta interessata non disse nulla, ma spostò, nauseata, la coppa di fragole e gelato che le era stata posta davanti. Skin, noncurante, la afferrò con entrambe le mani e la attaccò voracemente con il cucchiaino alzato. Road, da parte sua, a quelle parole fece una smorfia disgustata, ma non disse nulla e finse di girare un’altra pagina del libro di scuola.

Chiaramente, come per un tacito accordo, nessuno dei due cercò di toccare il discorso del pranzo.
In effetti, mi era stato pienamente dimostrato che non era sempre così docile come sembrava. Eppure questo non mi rassicurava poi molto per l’ormai prossima presentazione in società. Mi sbagliavo a immaginare che avrebbe taciuto a qualunque osservazione malvagia, che avrebbe sofferto per qualunque stoccata a fior di labbra che avrebbe potuto captare. Molto probabilmente avrebbe risposto a tono a qualunque frase leggermente allusiva e avrebbe dimostrato chiaro disprezzo a chi sapeva meritarselo. Onestamente non sapevo dire quale delle due prospettive sarebbe stata più adatta ad un ambiente pieno di malelingue, ma ormai c’era poco da fare. In ogni caso, avrei dovuto tenerla d’occhio…
Solo che il Conte l’aveva in pugno. Era talmente evidente da rodermi di curiosità. Cosa poteva essere stato ad obbligarla a tacere, nonostante la rabbia che la scuoteva? Perché mai odiava così tanto il Conte? E lui che cosa sapeva di così importante e segreto da poterle imporre il silenzio con una semplice minaccia?
D’altra parte, comunque, non avevo diritto di chiederle nulla in merito. Dovevo accontentarmi della sua generosa collaborazione al mio desiderio di sottrarmi al contratto matrimoniale. Onestamente avevo creduto che la sua garanzia di sostenere la mia posizione fosse stata più cortese che sincera. Adesso le ero riconoscente, anche se… Ad essere sincero mi aveva rassicurato non poco capire che lei non aveva cambiato idea… Che aveva parlato così solo per quell’accordo che lei stessa aveva liberamente siglato nei miei confronti… Lei la pensava diversamente… Lei voleva sposarmi… E quando ci pensavo, la risposta era sempre e solo “bene”… Perché “bene”?

- Sei proprio sicuro? -
- Tu no? – la presi in giro, con un sorrisetto.
- Voglio dire… Proprio adesso che abbiamo appena mangiato? – chiese, incerta.
- Non vorrei insistere, credimi, ma il ballo non è domani? Quanto tempo credi che abbiamo a disposizione per fare questa prova? –
- Hai ragione, scusa… - rispose, annuendo.
- E poi non dovresti essere così scarsa nel ballo, no? – osservai, malizioso.
- Ma no… Non credo… - rispose, ma per il nervosissimo incrociò le braccia sul petto, guardando a terra.
Avevamo stranamente trovato un salone semivuoto e l’avevamo appena eletto a luogo per la simulazione del ballo del giorno successivo. Del resto, dato che era così insicura, temevo seriamente che davvero non fosse così brava a ballare. Il giorno successivo sarebbe stato un bel problema e un pessimo inizio per la sua reputazione.
- Bene… Allora, prova la posizione… - la incitai allargando le braccia per spingerla ad avvicinarsi.
Lei comunque non mosse un passo e mi guardò stranita: - In che senso? –
- Fammi vedere che posizione tieni… - le spiegai, aggrottando le sopraciglia alla sua aria stupita.
- Quindi… -
- Vieni qui e prova a legarti a me con mani e braccia nella posizione di partenza… In che altro modo te lo devo spiegare…? –
- Emh… - distolse lo sguardo, con aria imbarazzata – Che ne dici di farlo tu…? –
Sospirai e mi stupii di provare una sorta di fastidiosa impazienza. Non tanto per la sua chiara inesperienza, ma perché non capivo come potesse provare un simile imbarazzo per un semplice ballo.
Mi avvicinai e le passai il braccio sinistro dietro la schiena, con assoluta naturalezza, per poi prenderle la mano destra nella mia. Mi accorsi solo dopo di non portare neanche i guanti, ma chi me lo faceva fare di tenerli anche in casa? E poi la sua mano non era fastidiosa, ma piccola, delicata e fresca al contatto. Almeno quanto la sua vita era sottile fino ad apparire fragile, nonostante la rigidità che in quel momento la tensione le provocava.
- Ti ci ritrovi? – le chiesi, abbassando lo sguardo quanto bastava per guardarla in viso.
- Si… Ora che me l’hai mostrato, si… -
Ma in realtà sembrava molto più concentrata sui suoi piedi che sulla posizione del busto.
- Vivy… Guarda che dovresti starmi un po’ più vicina… - osservai.
- Dici…? – chiese, con vaga inquietudine.
- Si. – risposi. Volontariamente fui un po’ brusco nel momento in cui strinsi improvvisamente il braccio intorno alla sua vita per accostarla di più a me. Lei sobbalzò, ma alzò finalmente lo sguardo sul mio volto.
- Così và meglio… - le risposi, con un sorriso che voleva essere conciliante, ma, ne ero certo, appariva molto più malizioso.
- Bene… - rispose, gli occhi grandi e gialli spalancati e il colore smunto dei Noah che era andato colorandosi in un tenero rossore – Meno male… -
- Se ti sembra di ricordare la posa, possiamo mettere la musica, giusto? -  
Prima ancora che potesse rispondere, con uno schiocco di dita intimai di far partire la musica ad un akuma appollaiato su una sedia poco distante. Una volta che ebbe svolto il suo compito, gli feci un cenno perché uscisse e lui ubbidì, silenziosamente. Di certo non volevo uno spettatore tra i piedi.
- Sei pronta… ? – chiesi, non appena la porta si richiuse.
- Non proprio, ma va bene… - rispose, con un sospiro nervoso.
Quel walzer era decisamente troppo lento e morbido, osservai. Tuttavia, andava bene per una simile verifica. Lasciai che fosse lei a partire, ma fu un pasticcio di strani passi in diverse direzioni e un po’ fuori tempo.
Mi misi a ridere, spontaneamente: - Va bene…Basta così… -
Vivy si fermò, ma arricciò le labbra, tra l’offeso e l’imbarazzato, e si sottrasse dalla mia presa:
- Non ridere, però… So di essere piuttosto imbranata, ma in tutto questo tempo di inattività ho scordato come si fa… -
- Scusa… - dissi, cercando di apparire serio – Era un modo per vedere se ricordavi abbastanza i movimenti. Mi sembra di no. -
- Insomma, Tyki, però mi hai fatto portare… Ti sembra? Dovresti essere tu a condurre la danza… - protestò.
- Hai ragione, però te l’ho detto che era una prova. Dai vieni. – le dissi.
Allora mosse qualche passo inquieto e prese la mano che le avevo porto, lasciando che di nuovo la accostassi a me e riprendessi la posa.
- Ora conduco io, ok? Così ti senti più tranquilla? – chiesi, gentilmente.
- Si, è meglio… - rispose, ansiosa.

Sul subito fu piuttosto difficile. Era troppo rigida e tendeva ad incespicare, senza lasciarsi trasportare e condurre. Più di una volta dovetti contare per non farle perdere il ritmo dei passi. Sembrava che davvero stessimo cominciando dall’inizio…
- Vivy. Non guardarti intorno. – la richiamai di nuovo, quando vidi il suo sguardo vagabondare per la stanza.
- Eh? – chiese, con aria un po’ svanita.
- Dico, dovresti guardare me, non tutto il resto dell’arredamento. – osservai, con un sorrisetto.
- Si, hai ragione… - rispose, con tono mortificato, cercando disperatamente di tenere il suo sguardo fisso nei miei occhi.
Dopo qualche giro, tuttavia, stava di nuovo squadrando una sedia con aria cupa.  
Sospirai e mi fermai, per l’ennesima volta.
- Scusa… - disse subito, mordendosi un labbro.
- Niente scuse, Vivy. Lo sai che non mi interessano. – risposi, scuotendo la testa – Pian piano le cose stanno andando meglio. Non hai nulla di cui scusarti. –
- Non è vero. – commentò, con una smorfia affranta – La verità è che non sono per nulla capace e tu stai perdendo un sacco di tempo per permettermi di affrontare la serata di domani. E le speranze sono poche. –
- Non è vero. Ti dico che stai migliorando parecchio e in poco tempo. E tutto perché effettivamente avevi già imparato a ballare, te lo sei solo dimenticata. –
- Mi riprendi continuamente e hai ragione dato che sto sbagliando tutto. –
- Vivy… - sbuffai. Era già la seconda volta che si lasciava andare allo sconforto e non sapevo più davvero cosa dire per rassicurarla.
- E’ così. Mi dispiace… -
Più si lamentava e meno avremmo potuto risolvere. Così tentai l’ultima carta.
- Tu hai solo bisogno di un maestro di danza. - affermai, posandomi le mani sulla vita, con aria autoritaria – Ma nessuno può essere abbastanza qualificato da colmare le tue lacune in così poco tempo. Tranne forse qualcuno che abbia i passi e le posizioni nel sangue. Io non conosco nessuno del genere, tu? -
- Cosa intendi…? – chiese, guardandomi sospettosa.
- Rispondi. –
- No, nessuno di simile… - disse.
- Ecco… - ammisi – Del resto, io non sono un buon esempio… Io non ho mai imparato a ballare, ma come per il discorso del pianoforte, so suonare a causa di qualcosa di innato… Di stampato nel sangue, se vogliamo dire così… – la guardai di sottecchi – Tuttavia, pensi che non stia facendo un buon lavoro… Vuoi che ti cerchi un sostituto? –
Alzò gli occhi al cielo, con un sorriso: - No. –
- Bene. Perché credo in effetti di essere portato a questo compito. Sei d’accordo? -
- Si… -
- Quindi, io sono il tuo insegnante. E se io dico che domani ballerai come una regina, devi crederci e basta. Chiaro? –
Lei mi guardò per un momento e poi annuì: - Sissignore. –
- Brava. Adesso vediamo di continuare. – affermai, cercando di restare ben serio e deciso. Ma lo ero stato già per troppo e soffocai per poco una risata.

Nel giro di qualche ora, giusto in tempo per la cena, la situazione era decisamente migliorata. Teneva bene il tempo, si lasciava condurre senza opporre resistenza e pian piano aveva imparato ad assumere un po’ più di elasticità nel movimenti, senza apparire troppo rigida. Sicuramente era in grado di partecipare ad un ballo, anche se avrei dovuto evitare che qualcun altro la richiedesse per una danza. Cosa molto difficile, in effetti, e io certo non potevo negare un ballo ad alcuno che lo chiedesse… Era un gesto troppo maleducato…
Preferii non renderla partecipe dei miei timori, dato che sembrava rassicurata dal fatto che da un po’ ormai non la stavo più riprendendo. Era molto più tranquilla o almeno questa era la mia impressione.

Tuttavia, continuavano ad esserci cose che non potevo lasciarle passare…
A metà dell’ennesimo walzer, non sopportavo più di vederla fissare in quel modo ogni altra cosa mentre ballava con me. Mi faceva saltare i nervi.
In quel momento, in effetti mi stava andando già meglio di qualche giro prima, quando aveva guardato insistentemente un vago punto alla destra della mia faccia. Ora teneva gli occhi fissi sul mio petto, o meglio sulla mia camicia non completamente abbottonata. Non sapevo davvero se offendermi perché continuava a non guardarmi negli occhi o sentirmi lusingato del modo in cui osservava, imbarazzata, quel lembo di pelle scoperta…
Sospirai: - Però, Vivy, non puoi tenere la testa così bassa… -
Sobbalzò, come se non si aspettasse di essere interpellata, e per un attimo si sforzò di contraccambiare il mio sguardo, con aria smarrita. Però il suo viso, da rosso che già era, divenne paonazzo.
- Hai ragione… - osservò, cercando subito con gli occhi qualcosa su cui distogliere l’attenzione che mi aveva appena rivolto.
- Se ho ragione, perché non mi guardi? -
- E’ che… - cercò di difendersi - … io ho sempre e solo ballato con mia madre… -
- E quindi…? –
- Come!? Insomma, non crederai che sia come ballare con un uomo! - esclamò, sempre più in difficoltà
Non ci avevo pensato. Aggrottai le sopraciglia: - Quindi ti distraggo? –
- No… Non esattamente… Ma mi imbarazzo… - rispose, con voce fievole.
- Però dubito che guardarmi negli occhi ti sia più difficile che fissare ostentatamente il mio torace, ti sembra? – aggiunsi, con un sorrisetto malizioso e accostandomi un po’ di più a lei.
No, non avevo resistito. In effetti quelle parole e quell’atteggiamento insinuatore mi erano venuti spontanei, anche se, dato il carattere di Vivy avrei fatto meglio ad evitarmeli. Subito cercò di sottrarsi a me e dovetti fare forza con il braccio, mio malgrado, per evitare che si divincolasse.  
- Stai calma. Era una battuta. - cercai dire, anche se non avevo alcuna vera intenzione di scusarmi.
Lei tacque, riottosa. Però il suo viso spaesato e colorito esprimeva e scatenava ben altre emozioni. Imbarazzo. Timore. Tensione. Volevo credere, profonda attrazione. In me del resto, significava desiderio. In tutte le sue forme.
- Dici che se mi chiudo la camicia riuscirai a guardarmi negli occhi…? – chiesi, ancora malizioso.
Lei strinse le labbra, ma di nuovo si rifiutò di rispondere.
- Se non ti darò modo di distrarti, forse, riuscirai a pensare solo alla posizione… - spiegai, cercando di apparire razionale.
Perché il problema era quello, giusto? Il fatto che per ballare bisognasse tenere lo sguardo in quello del compagno. Era quello il problema… Per forza… Non che speravo, volevo, guardare a fondo nei suoi occhi… Non che volevo guardasse dritto nei miei… No di certo…
- La verità è che sei comunque troppo vicino... Per qualunque cosa… - disse infine, faticosamente.
No, non per qualunque cosa, sussurrò eccitato qualche recesso della mia mente. Non so come riuscii a farlo tacere. Non so come riuscii ad impormi di non trasformare quella semplice posizione di ballo in un abbraccio e…
- E’… comunque molto più ardito questo tuo modo di comportarti, piuttosto che contraccambiare una semplice occhiata, no…? – riuscii a dire, schiacciando ogni altro istinto.
- Ma… Non riesco a sostenere il tuo sguardo… - rispose, sincera, con un tremito della voce.
- Provaci… - dissi, d’istinto, lasciando la sua mano e posando invece le dita sul suo mento – Se non ci riesci con me, con un cavaliere qualunque cosa farai…? –
- Non importa… - disse, girando la testa e cercando di allontanare la mia mano.
- Si che importa… Non vorrai fare cattiva figura… - osservai, senza accorgermi di quanto il mio tono fosse diventato basso e privato.
- Non farò cattiva figura… Non mi importerà… Sei… -
- Cosa…? – chiesi, in un sospiro.
- Sei… tu a… -
- Io… sono una persona che conosci… Io dovrei rassicurarti… - dissi.
Ma non credevo ad una sola delle parole che avevo detto. Non ci stavo pensando, cercavo solo di imporle finalmente di ricambiare lo sguardo che tenevo fisso su di lei, intensamente.
Fu solo allora che abbassò la mano che cercava di scacciare la mia.
- Sei tu… ad essere… troppo… speciale… -
Sul subito non capii quel sussurro affranto e appassionato che mi aveva rivolto.
Probabilmente, perché, non appena smise di lottare, riuscii finalmente ad indirizzare il suo volto verso il mio e stavo gustando ciò che mi era stato negato per tutto quel tempo. Con le dita, il contatto con il suo mento sottile e morbido. Con gli occhi, il viso arrossato, le labbra di un delizioso rosso, il respiro un po’ mozzato che vi scaturiva e finalmente le sue iridi che fissavano me. Avevo vinto.
Solo dopo, udii l’eco che quelle parole producevano in me. Solo dopo, mi chiesi cosa voleva dire quel “speciale”. Solo dopo, percepii chiaramente il vero motivo della sua emozione, della sua ansia.
Perché era di certo lo stesso che, ora che i nostri occhi erano così legati, produceva la tentazione vorace che attraversava la mia pelle… Mi accorsi in quel momento che aveva ragione… Eravamo davvero troppo vicini…
Lei era inerte. Si lasciava sostenere da me, dalla stretta che tenevo intorno alla sua vita, come se avesse bisogno di essere tenuta in piedi. Mentre il destro era abbandonato al suo fianco, il braccio sinistro era ancora legato alla mia schiena e, mi accorsi vagamente, la mano stringeva forte un lembo della camicia.
Adoravo i suoi occhi. Questo semplice concetto passava nella mia mente, mentre altrettanto inconsciamente avvicinavo con cautela il mio viso al suo. Anche se in quel momento erano di quell’intenso giallo, erano così grandi, affettuosi e ora immensamente languidi.
Feci appena in tempo a rallegrarmi del fatto che il mio gesto non avesse provocato alcuna reazione contraria da parte sua. Restava immobile, ad aspettare ciò che avrei fatto. Sembrava che a quel punto non fosse più in grado di guardare altro che me.
Feci appena in tempo a sentire l’ennesima ondata di calore. L’ennesima prova, da pochi minuti a questa parte, che non potevo ribellarmi a quel desiderio folle. L’ennesima prova che non mi sarei fermato, che l’avrei baciata e poi stretta forte a me e poi assediata di mille e più attenzioni… Fino a farla mia… Non c’erano altre possibilità…
Feci appena in tempo a sentire appieno tutte quelle consapevolezze…
Quando qualcuno bussò alla porta.

Entrambi, come se l’ossigeno ci fosse stato sottratto improvvisamente, trattenemmo il respiro. Tuttavia, reagimmo con calma, quasi con rassegnazione, a quella odiosa e improvvisa interruzione.
Vivy si rimise in equilibrio stendendo la mano sulla mia spalla e solo allora tolse definitivamente l’altro arto che era avvolto alla mia schiena. A quel punto, anch’io la liberai del braccio che la stringeva, a malincuore.
- Tyki… - sussurrò.
Battei le palpebre.
Mi accarezzò piano la mano con cui tenevo ancora il suo mento sollevato. E sorrise, dolcemente, anche se con una vena di amarezza. Credevo di capire a cosa fosse dovuta… Sperai di non sbagliarmi…
- Scusami… - risposi, lasciandola andare.
Bussarono ancora, con maggiore insistenza.
- Avanti! – risposi.
Con un cigolio, da un piccolo spiraglio della porta si affacciò la testa di Road.
- E’ pronta la cena. -
- Arriviamo subito. Grazie, Road. – disse Vivy, dopo aver intercettato il mio sguardo, che di sicuro si era un po’ incupito alla vista della bambina.
Era bizzarro come riuscisse sempre ad essere inopportuna. E nel suo caso era difficile che fosse un caso.
Forse perché captò il mio fastidio, non disse nulla e non si azzardò ad esprimere alcuna particolare reazione. Si limitò a richiudere la porta.

Vivy mi guardò, smarrita, e capii che stavamo pensando la stessa cosa.
Non si poteva ricominciare da capo né da dove tutto si era interrotto. L’occasione era perduta.
- Andiamo…? – chiese, incerta.
- Si. – risposi, con un sospiro nervoso.
- Va bene. –
Eppure, mentre uscivamo per andare a cena, pensai che non sarebbe finita così. Pensai che assolutamente avrei creato un’altra occasione, presto o tardi…

- Quindi? Com’è andata? – chiese il Conte, allegro come sempre.
- Bene. Vivy se la caverà senz’altro. – risposi, sicuro.
- Davvero!? Mi fa piacere! – rispose, battendo le mani a tentacolo con ostentato entusiasmo.
– Se non si lascerà prendere dal nervosismo e dall’imbarazzo… - aggiunsi, incapace di trattenermi.
Lei chiaramente divenne ancora una volta paonazza in viso, ma annuì con vigore: - Assolutamente farò del mio meglio… -
Sorrisi vagamente, avvicinando alla bocca il bicchiere di vino.
- Quindi… Avete solo bisogno degli abiti adatti! – esclamò di nuovo il Conte.
- Veramente no… Ne ho un sacco… - commentai, scettico.
- Ma sono tutti usati! –
- Be’, certo… Sapete, quando si mettono addosso diventano usati… - alzai le sopraciglia, decisamente allibito.
- E’ logico! Ma non va bene! –
- Perché no? Non sono mica rovinati! -
- Insomma, Tyki! Ti ci vuole un vestito nuovo! –
- Direi di no… - sbuffai – Tuttavia se ci tenete tanto e pagate voi… D’accordo… -
- Sicuramente Vivy ne ha bisogno! –
- Dite? – chiese lei.
- Si! – rispose, tutto carico – Ti ci vuole qualcosa di molto più appariscente! Quasi un vestito di scena, per capirci! –
- Ma a me non piace quel genere… - tentò di lamentarsi.
- Ma è necessario! – concluse, intransigente.
Sospirammo entrambi. Una pessima giornata per i nostri tentativi di ribellione.
- Bene! Credo proprio che vi farò andare insieme! Almeno vi terrete d’occhio a vicenda! – concluse, ridendo.
- Quando? – chiesi, rassegnato.
- Domani mattina! Così avrete la scusa per svegliarvi presto! – passò lo sguardo su entrambi i nostri visi poco convinti - Tanto il pomeriggio sarà dedicato ai preparativi! E la cena al castello credo sarà piuttosto presto! –
- Va bene, Conte! – rispondemmo allora, con una sincronia che poteva rivaleggiare con quella dei gemelli.




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*si rannicchia in un angolo buio*
Però un commentino... Piccolo piccolo... So che siamo un po' tutti in giro per vacanze varie... Ma... Sob...

Ad ogni modo...
Questo capitolo doveva essere più lieve, molto meno "reattivo". Tuttavia, è andata così...
Dopo aver tentato di riscrivere le scene iniziali del pranzo quasi 8 volte, alla fine ho concluso per far esplodere un po' dell'irritazione repressa della povera Vivy... 
Non ho potuto fare a meno di questa scena della lezione di ballo, anche se doveva davvero essere molto meno... sensuale... XDDDD
Tuttavia, ripeto, l'ispirazione ha portato qui...
Tanto, non crediate che tutto sia destinato ad esplicitarsi così in fretta... *risata sadica*

Alla prossima!!!! ^_^



  
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