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Autore: heulwen_mai    28/12/2020    2 recensioni
Post 14 luglio. Oscar è sopravvissuta, André è sopravvissuto, non tutto è rose e fiori.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Bernard Chatelet, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Oscar reclama per sé il letto piccolo che è appartenuto a Diane, ai piedi di quello grande in cui è morta madame de Soissons. Non vuole più dormire accanto ad André. Non vuole parlargli. Vorrebbe dimenticarsi la sua faccia.

 

André la ignora allo stesso modo; nell’altra stanza Alain riesce a fatica a cavargli fuori qualche monosillabo. Alain si lamenta di voler scendere alla mescita- dovresti venire con me, lasciarla nel suo brodo, quella. Sei ancora in gamba, e donne se ne trovano sempre.

 

Intontita dalla febbre e dalla mancanza d’aria, Oscar si sente diventare incorporea e ignorabile come il fantasma di Diane che nel dormiveglia vede fluttuare sul letto. Anche Diane è morta soffocata, di una morte priva di decoro. Quando arriva il mattino, ogni giorno, Oscar si scopre ancora viva, stanca come se non avesse dormito, e annoiata. E’ noiosissimo morire così.

 

 

 

“Quando tornerà Rosalie?” chiede ad Alain. Si compiace del modo secco e diretto in cui glielo chiede. Lo guarda negli occhi senza paura, perché è un suo subalterno e lo sarà sempre, non importa quanto lei sia malata e sola.

 

Alain si stringe nelle spalle e le mette in mano una scodella di schifo. “Ancora con questa storia? Non pensate mai che forse Rosalie avrà altre cose a cui pensare, a parte voi?” Ricambia lo sguardo e sorride, nel suo modo non amichevole.

 

Oscar ha pianto, in questi due o tre giorni, per la sua tata. Ma c’è stato un momento in cui tutti i pezzi del rompicapo si sono incastrati insieme, e ha capito: la tata Marie non è morta. La notizia della sua morte è solo un nuovo espediente di André e Alain per tenerla imprigionata, disperata e succube.

 

Alain non è l’unico amico di André, né il più vecchio dei suoi amici. C’è anche Rosalie, e senza dubbio se la tata fosse morta Rosalie lo saprebbe. E se lo sapesse, lo avrebbe detto a Oscar. Rosalie le è leale. Rosalie la ama.

 

“Può darsi,” risponde ad Alain. Inghiotte il contenuto della scodella (una minestra cattiva, vecchia di giorni e fredda) senza soffermarsi sul sapore.

 

Aspetta l’occasione giusta. Non ha la forza per scappare, ma se la farà venire. La sua prima tappa sarà la casa degli Châtelet; poi a casa, a rivedere le sue donne, a spremere quegli ultimi momenti con loro. Le manca tutto, tutto, del suo mondo.

 

 

 

 

“I documenti saranno pronti a giorni,” dice André, rivolto al buio della camera, mentre si mette a letto. “Alain ha già procurato una carrozza. Stai pronta.”

 

Sono le prime parole che le rivolge da giorni. Quel che dice potrebbe essere vero, come potrebbe non esserlo; Oscar non si fida di lui. Ma ne prende atto. La febbre che le riempie la testa comincia a bollire, a scorrerle incandescente nelle vene degli arti. Tutto il suo corpo, tutto il suo essere, suona l’allarme.

 

“Oscar,” ripete André. Ha un tono lamentoso, irritante. “So che ci sei… sono stanco di questa storia.”

 

Oscar no. Non è stanca, è elettrizzata come una sfera di vetro strofinata con una pelle di gatto. Il poco futuro che ha davanti le appare come un crocicchio notturno illuminato per un secondo dal chiarore del fulmine: scomparire in terra ignota o tornare per un’ultima visita al mondo dei vivi.

 

Trasalisce avvertendo la vicinanza di un altro corpo al suo. “Eccoti,” dice André fermo accanto al letto di Diane. Avrà seguito il suono del suo respiro sibilante.

 

Chino su di lei, le sfiora una spalla. Oscar non si sorprende della delicatezza con cui la tocca. Senza poterla scorgere sa la sua espressione contrita.

 

 

 

Ecco una domanda oziosa ma buona per intrattenersi nel tragitto: cosa le farebbe André se la sapesse svicolare sul pianerottolo deserto e silenzioso, verso l’aria immobile della notte?

 

Per di più con addosso gli stivali che gli ha rubato. Sono larghi per lei, difficili da manovrare. Minacciano di sfilarsi a ogni passo, di farla inciampare. Oscar però non inciamperà. Nonostante il bollore della febbre si sente padrona di sé stessa. Se necessario si metterà a correre, correrà fino a vomitare.

 

André si è addormentato, e dietro di lei la porta si chiude sulle due stanze completamente buie. Alain a sua volta deve essere crollato con la faccia appiccicata alle sue carte. Idioti; non avrebbero dovuto farsi cullare dal senso di vantaggio che la malattia di Oscar ha loro concesso finora. E non avrebbero dovuto lasciarle i vestiti di Bernard.

 

Un passo lento alla volta, Oscar arriverà a casa. In fondo alla strada sterrata del vicolo, ecco la via Saint Antoine, remota ma raggiungibile. Sarà più facile camminare sul selciato. Oltrepassa la mescita ancora aperta e male illuminata, poco chiassosa a quest’ora. L’ansia ha per un attimo la meglio, la spinge a voltarsi per trovare solo oscurità e silenzio. Ma non calma; Oscar si ferma in ascolto, stringendo gli occhi nel tentativo di catturare ogni ombra in movimento. Non vede nulla, ma sente il rumore inconfondibile di passi.

 

“Ehi,” fa una voce. I passi accelerano.

 

Oscar si lancia verso la luce dei lampioni della via Saint Antoine, i polmoni in fiamme. Quelle gambe come stecchi, quel corpo gracile e privo di forma, adesso le pesano come piombo. I passi si avvicinano e la raggiungono senza sforzo. Una mano la afferra per il braccio.

 

“Cosa diavolo fate?” le abbaia Alain in un orecchio. La trascina all’indietro come una corrente oceanica, mentre lei vede le luci dei lampioni che si allontanano attraverso un velo di lacrime impenetrabile.

 

Si immagina di risalire le scale trascinata in quel modo, il suono della porta sbattuta da Alain, il ritorno alla prigionia monotona. Risvegliarsi domattina nel lettino di Diane, ascoltare i discorsi tetri nella camera affianco, aspettare che Rosalie le porti la divisa, o che giunga la morte, o l’esilio- qualunque delle tre cose verrà per prima.

 

Davanti alla mescita ci sono due dei compagni di bevute di Alain, figuri anonimi vestiti da operai.

 

“Alain, cos’è quello spaventapasseri che ti tiri dietro? Hai acchiappato un fantasma?”

 

“Non sono affaracci vostri,” risponde Alain.

 

Uno dei due si fa avanti, titubante perché Alain è alto e grosso. “Chi è questa donna?” chiede.

 

Oscar annaspa e cerca di gridare; ecco due diversivi che deve sfruttare a proprio vantaggio. Dalla bocca le esce solo un lamento da bestiola ferita, che però è efficace nel catturare la simpatia dei due operai alticci. Con gesti circospetti, senza fare mostra di voler attaccare briga, afferrano Alain e lo strattonano.

 

“Lasciatemi, deficienti!”

 

Oscar è adesso contesa tra due forze opposte- il benintenzionato che la tira da una parte e Alain che cerca di risucchiarla verso il baratro che è il portone socchiuso del casamento. Si tende tutta verso le braccia del giovane operaio che la tiene per la vita, e finalmente la presa di Alain cede. L’altro operaio lo ha colpito alla nuca, forte.

 

“Vai,” le dice il giovane. La spinge via da sé e si tuffa a dare manforte al suo amico. I due immobilizzano Alain, lo pregano di stare fermo, di non importunare quella donna, e Alain bestemmia e insulta ma non riesce ad avere la meglio. Anche lui è passabilmente sbronzo, forse più degli altri due.

 

Oscar non si volta. La sua corsa è irrefrenabile, forsennata. Dietro di lei sente un ultima volta la voce di Alain.

 

“Non perdete tempo a tornare,” grida. “Ce ne andremo senza di voi.”

 

Tra sé e sé Oscar dà loro la sua benedizione. Se ne vadano al diavolo.

  
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