Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    29/12/2020    2 recensioni
Una volta iscrittosi all'università, Syaoran si trasferisce in un nuovo appartamento con due coinquilini e mezzo, e si ritrova a vivere esperienze del tutto impreviste. La sua vita però cambierà del tutto quando verrà assunto per lavorare presso una persona con cui non sapeva neppure di aver instaurato un legame... Un legame che lo riporterà alle sue origini, spingendolo a trovare quella famiglia che gli manca.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XVIII



 
 
 
Durante la cena io e Syaoran parliamo del più e del meno, incentrandoci maggiormente sulle aspettative che abbiamo per l’imminente vacanza. Mi chiede che tipo di persona sia Hana-chan, e io gliela descrivo come meglio riesco a rammentarla. 
«Ricordo che a primo impatto quasi mi intimorì, quando ci conoscemmo. Sembrava così seriosa, e invece alla fine si è rivelata essere un po’ imbranata e molto golosa. Tuttavia non la vedo da parecchi anni, quindi non saprei dirti se è cambiata o meno.» 
«Però ti metteva a tuo agio», commenta con certezza, prima di addentare il pollo. 
Ne afferro una coscetta anch’io, replicando: «Sì, andavamo molto d’accordo». 
«Allora deve essere una bella persona.»
Annuisco con un sorriso, assaggiandolo a mia volta, facendomi scappare di nuovo un mormorio di apprezzamento. Ma è più forte di me, per quanto mi sforzi non riesco a trattenermi – e d’altronde, qui non c’è nessuno a rimproverarmi per il mio mancato adempimento alle regole di bon ton.
«Ti sta piacendo la cena?» 
«Tantissimo! Non solo il pollo, ma anche tutto il resto! Sei veramente un ottimo cuoco!» 
Ed è vero. Nonostante a casa abbiamo uno chef di prima classe che cucina per noi, non ho mai assaporato qualcosa di tanto delizioso nella sua semplicità.
Vedo le sue guance farsi leggermente purpuree e un timido sorriso farsi largo sul suo viso. 
«Ti ringrazio. Anche se secondo me stai esagerando.»
«Non esagero, dico sul serio», insisto, mostrandogli ulteriormente il mio gradimento mangiando con gusto lo stufato. 
«In tal caso, devi complimentarti con te stessa. Anche tu hai contribuito», mi fa notare, sebbene io abbia fatto ben poco. 
Mi stringo nelle spalle, sottolineando: «Con te che mi guidavi». 
Si pulisce le mani, riconoscendo: «Per essere la prima volta, sei stata un’ottima allieva».
«Perché tu sei un ottimo insegnante», replico prontamente. «Non mi riferisco solo ad adesso, ma in generale.» 
Stavolta le sue gote arrossiscono in maniera più palese, e sposta lo sguardo sul cibo. Che i complimenti lo imbarazzino?
Mi schiarisco la gola e bevo qualche sorso d’acqua, pensando ad un nuovo argomento. Ci sarebbero così tante cose di cui vorrei parlare con lui… 
«Come trascorri solitamente il Natale?» 
«Dai tempi del liceo con amici, organizzando ogni anno feste a tema a casa di qualcuno. Quando ero più piccolo lo trascorrevo a casa mia, dove Maru e Moro addobbavano tutte le stanze e il cortile, mentre io e Kimihiro cucinavamo per Yuuko-san. Ah!» Il suo sguardo, da malinconico, diventa improvvisamente più presente, quasi come se si fosse appena ricordato qualcosa. «Sai che anche noi avevamo un coniglio?»
«Sul serio?» 
«Sì, si chiamava Soel, ed era tutto bianco, proprio come Mokona. Dopo che morì ne prendemmo un altro nero, che ribattezzammo Larg. Ora se ne prendono cura i miei fratelli.»
«Come mai questi nomi?» 
«Derivano da due rune, Sôwilô, che significa “sole”, e Laguz, che significa “acqua”.»
Lo ascolto ammutolita, sempre più ammaliata dalla sua immensa conoscenza. 
«Yuuko-san amava questo genere di cose. Ti ho mai detto che era un’antiquaria?» Ad una mia negazione prosegue: «Quel negozio era tutto per lei. Ci teneva tantissimo, e ricordo che vi trascorreva quasi l’intera giornata. Era pieno di cianfrusaglie, appartenenti a tutte le epoche, e molti di quegli oggetti li trovavo estremamente interessanti. Ci fu un periodo in particolare in cui vendette e acquistò numerosi articoli esoterici». 
«Del tipo?» 
«Talismani, libri di magia e stregoneria, cristalli, resine e incensi, cere e così via. Tra questi c’erano anche delle rune, e così Yuuko-san le scoprì, ne imparò i significati e li insegnò anche a noi. Se ne appassionò a tal punto che divenne il suo hobby praticare divinazione e coltivare piante “magiche”, tanto che la gente cominciò a pensare che fosse entrata a far parte di qualche setta.»
Serro le labbra, volendone sapere di più, ma indecisa se chiedere o meno. 
«Naturalmente non era così. Semplicemente era una persona piuttosto estrosa, poco convenzionale. Meglio dire che fosse totalmente fuori dai canoni.» 
A questo tace, assumendo un’espressione indecifrabile. Chissà a cosa sta pensando… 
«Cosa intendi con “fuori dai canoni”?»
Con questa domanda sembro metterlo a disagio, per cui immediatamente me ne pento.
«S-scusami, non devi necessariamente rispondere.»
«No, è che… Se te la descrivessi potrebbe non sembrarti una brava persona e non vorrei che tu fraintendessi, né vorrei involontariamente danneggiare la sua immagine.» 
Mi chiedo come mai si faccia tanti problemi, ma poi capisco: evidentemente, ne vuole mantenere un ricordo pulito.
Prende un respiro, sembrando decidersi, sebbene riprenda a parlare con gli occhi fissi nel suo piatto, dove fa rotolare gli ossicini del pollo con le bacchette.
«In poche parole, aveva diversi vizi, tra cui l’alcool e il fumo. Essenzialmente era una scansafatiche e trascorreva quasi tutto il giorno a comandarci a bacchetta, ma escludendo questi piccoli difetti non ci ha mai trattati male. È sempre stata buona e, in definitiva, gentile con noi. Non ci ha fatto mancare nulla e, anche se ci dichiarava quotidianamente il suo amore e noi non le credevamo sempre, sapevamo che nel profondo del suo cuore era costantemente vero. E poi, sebbene fosse trascorso del tempo dalla morte di suo marito, per quanto fosse una donna avvenente, sfacciata e seducente, non ha mai avuto occhi per nessun altro uomo. Era completamente dedita ai suoi figli.» 
«Avrei tanto voluto conoscerla…» mi faccio sfuggire, provando ad immaginarla.
Lui fa un minuscolo sorriso intriso di tristezza, prima di allungare una mano su una mensola alla sua sinistra e afferrare il cellulare lì posato. Lo sblocca scrollando varie applicazioni e probabilmente diverse immagini, prima di porgermelo. 
«Io, Yuuko-san, Kimihiro, Maru e Moro.» 
Lo afferro con la mano pulita e lo volto nella mia direzione, spalancando subito le labbra dinanzi alla fotografia che mi mostra. 
Essa ritrae Syaoran nella sua prima adolescenza, affianco ad un ragazzo che sembra poco più grande di lui, due ragazze all’altro lato, identiche – ma quindi sono gemelle! –, e una donna stupenda al centro che cerca di cingerli tutti.
Il fratello di Syaoran è molto alto e slanciato, quasi sembra librarsi in altezza, e forse tale impressione è accentuata dal fatto che sia piuttosto mingherlino; ha i capelli lisci e neri e due occhi azzurri che non sfigurano per niente dietro gli occhiali, anzi, le lenti sembrano accentuarne ancora di più il chiarore. Le gemelle si somigliano in maniera incredibile, sia nei tratti del viso che nella corporatura e statura; le uniche differenze stanno nel taglio di capelli e nello stile di abbigliamento, con quella coi capelli corti rosa che indossa un abito da bambolina, e quella coi lunghi capelli celesti che indossa un vestito gothic lolita. Sposto poi lo sguardo su Yuuko-san, e mi basta un’occhiata per capire cosa voleva dire Syaoran. Sembra infatti indossare soltanto un kimono nero in maniera molto provocante, che ha come fantasia nuvole di fumo e fiori scarlatti. Mi soffermo sul suo viso, sul suo pallido incarnato, i suoi occhi dalla tinta cremisi e il taglio sottile, le sue labbra vermiglio, i suoi lunghissimi e liscissimi capelli corvini. E non posso fare a meno di notare quanto Kimihiro-san le somigli.
«Siete tutti bellissimi. E Yuuko-san era veramente meravigliosa.» 
«Grazie.» 
Gli riporgo il cellulare, chiedendogli: «Quanti anni avevi lì?» 
«Quattordici, compiuti da poco.» 
Quattordici… soltanto due anni fa anche io avevo quattordici anni. Ora mi sento così piccola a confronto… 
«Tu hai mai avuto animali domestici? Non mi sembra di averne visti al kōtei.»
«Avevamo un canarino, ma dopo che è morto non ne abbiamo più presi. Tomoyo-chan ha un gatto siberiano. È una gatta in realtà ed è super pelosa e morbida quanto un peluche. Si chiama Shirasaki.» 
Afferro anche il mio cellulare, mostrandogliene qualche foto. 
«Puoi anche andare avanti, ce ne sono varie.»
«Ti piacciono i gatti, quindi?» 
«Mi piacciono tutti gli animali, in realtà.» 
Fa un cenno di comprensione con la testa, non replicando nulla, continuando a guardare Shira-chan.
«Tu invece?»
«Non ho alcuna preferenza particolare, ma se dovessi chiedermi di scegliere tra cani e gatti probabilmente opterei per i primi.»
«Mmh, sembri più un tipo da cani in effetti.» 
«Tu invece non sembri una tipa da gatti. Solitamente le persone che amano i gatti hanno la tendenza ad essere scostanti, fredde, introverse.» 
«Allora a quanto pare io sono un’eccezione», scherzo, al che fa una mezza risata. «Tu invece sei dolce, premuroso e ispiri tanta fiducia. Rientri nella categoria.» 
Sta per replicare, ma sembra ripensarci; trattiene una risatina, nascondendosi con una mano. 
«Forse potrei cambiare idea sui gatti», mormora tra sé.
«È adorabile, vero?» 
«Decisamente.» 
Toglie la galleria, restituendomi il telefono, e mentre lo poso si alza, cominciando a sparecchiare. 
«È il momento della torta», annuncia allegramente.
Mi faccio scappare un’esclamazione di giubilo, battendo le mani. 
«Torta torta torta», cantileno, mentre lui si alza per aprire il frigo. 
Si affaccia da una spalla, ridendo. 
«Non sbirciare.»
«No.» 
Mi copro gli occhi con le mani, attendendo trepidante. Sento la porta del frigo chiudersi, una sedia spostarsi, dopodiché silenzio. 
«… Posso guardare?» 
«No, non ancora.» 
Attendo confusa un suo segnale, ma resto muta e immobile, finché non percepisco qualcosa di sottile e freddo toccarmi il braccio. Lo sposto in automatico, ma le dita di Syaoran si posano su di esso, tenendomelo e ammonendomi: «Mantieni gli occhi chiusi». 
Faccio un cenno col capo, sentendomi il viso accaldato, e tento di normalizzare il respiro. Le sue dita mi sfiorano il polso e io avverto la pelle d’oca su tutto il corpo, come se mi avesse appena lasciato una scarica elettrica nelle vene, permettendole di scorrere nel mio sangue. 
Quando si allontana mi permette di riaprire gli occhi, e io direziono lo sguardo direttamente sulla torta, posta davanti alle candele del centrotavola.
«Wow!» esclamo strabiliata. È così ricca di dettagli e dalla forma impeccabile! È totalmente ricoperta da panna bianca come neve, altri riccioli ne contornano la parte superiore a formare un cerchio, nel cui centro ci sono fragole rossissime, stelle di cioccolato ricoperte da brillantini dorati, e un babbo natale fatto in pasta di zucchero.
Appoggio le mani sul legno per sporgermi verso essa, notando solo allora il sottile braccialetto che mi scivola sulla mano. Sollevo il polso, osservandolo controluce. Si tratta di una sottile catenina d’oro, fatta da minuscoli anelli uniti gli uni agli altri, nelle cui congiunture sono incastonati piccoli brillanti rosati. All’estremità, vicino al gancetto, pende una piccola piuma che sembra in madreperla, su cui è tracciato una sorta di simbolo simile ad un cuore con ali e protuberanze. Mi ricorda un po’ quella del regalo fatto a mia madre. Forse appartiene alla stessa linea.
«È stupendo…» mormoro incantata, prendendo quella piccola piuma tra due dita. 
«Ti piace?» si accerta Syaoran, sembrando insicuro. 
«Tantissimo!» confermo emozionata, guardandolo col batticuore. Lui non immagina di certo che con quella piuma rappresenta la libertà che mi sta donando. «Come mai questa scelta?» 
«Non ti saprei dire con certezza… Appena l’ho visto l’ho visualizzato subito sul tuo braccio. Mi sembrava realizzato apposta per te. Successivamente, al momento dell’acquisto, la commessa mi ha rivelato che l’incisione sul ciondolo rappresenta la memoria.» 
Dinanzi a quelle parole sgrano gli occhi, sentendomi mancare il fiato. Avevo quasi rimosso che Syaoran sa, sa già che c’è un pezzo mancante in me… E nonostante questo… nonostante questo, è rimasto al mio fianco…
«E ho pensato che sarebbe potuto diventare un portafortuna, che ti potesse aiutare a ritrovare il passato. Ma soprattutto…» China lo sguardo, sembrando vergognarsi nel continuare con un borbottio: «… Mi farebbe piacere se, ogni volta che lo indossi, ti ricordassi di me». 
Continuo ad osservarlo ad occhi spalancati, sentendo le lacrime raccogliervisi. Certo che mi ricorderei di lui. Lo ricorderei per sempre. E anche se, malauguratamente, dovessi dimenticarlo, il mio cuore sono certa che non lo cancellerebbe. 
Mi alzo da tavola, schiarendomi la voce.
«Anche io ti ho fatto un regalo. Posso andare a prenderlo?»
Ne sembra stupito, ma ciononostante acconsente con un cenno.
Corro a cercare il pacchetto in borsa, osservando che, inconsciamente, ci siamo fatti anche un regalo simile. Glielo porto emozionata, sperando possa piacergli. D’altronde, è il primo dono che gli faccio. 
«È solo un piccolo pensiero, una sorta di ringraziamento per tutto quello che fai per me. Se l’incarto è fatto male è colpa mia, ho voluto occuparmene io stessa, e se non si è ancora capito non sono molto brava con i lavori manuali…» specifico, mettendo a tappeto i miei difetti. 
Lui mi fa un complimento inaspettato, commentando che è ben fatto, e quasi in rispetto dei miei sforzi lo apre ponendo la massima attenzione, cercando di togliere lo scotch senza strappare la carta. Dinanzi a tanta meticolosità e precisione mi tremano le gambe, soprattutto se considero che tutto questo lo fa per me.
Mi stringo la gonna tra le dita, sfiorandomi il regalo che mi ha fatto mentre lui apre il suo, rivelando l’orologio da polso che cela. La particolarità sta nel quadrante, su cui è incisa una mappa del mondo in stile antico su un mare di stelle. 
Prima che possa esprimersi lo anticipo, spiegando: «È per non farti fare mai tardi. So che sei sempre pieno di impegni, quindi ho pensato potesse essere un oggetto utile nella tua vita quotidiana, che potessi usare tutti i giorni. Per le sue peculiarità mi sono rifatta al nostro discorso sul firmamento e al tuo amore per i viaggi, sperando che tu possa visitare più luoghi possibili e scoprire tutto ciò che li caratterizza. Ecco perché lo stile è antico. Le punte delle lancette somigliano alla stella polare, per guidarti senza farti perdere», concludo arrossendo, chiedendomi se non mi sono spinta troppo oltre. 
Senza dire nulla si mette in piedi a sua volta, mi si avvicina e mi avvolge tra le sue braccia. Resto per un attimo impietrita, ma ormai sto cominciando ad abituarmi al suo calore. Alla sua gentilezza. Alla sua bellezza. Alla sua forza. Chiudo le palpebre, ricambiando il suo abbraccio, impacciata e contemporaneamente pienamente a mio agio. Ancora mi è poco chiaro come io, in sua presenza, possa avvertire sensazioni tanto contrastanti.
«Grazie. È bellissimo», sussurra appena accanto al mio orecchio, facendomi rizzare tutti i peli. 
Stringo le dita sul suo maglione, ricambiando allo stesso modo.
«Grazie a te.»
Mi sembra che passino minuti interi. In quel silenzio assoluto, le uniche cose che si odono sono il ticchettio delle lancette, il lento gocciolare di qualche rubinetto, il pigro scorrimento del traffico a distanza e qualche clacson. Mentre vicino, più vicino che mai, c’è il muto suono della ferrea presa di Syaoran su di me. Delle sue mani che mi carezzano i vestiti. Del suo pacato respiro, che mi soffia tra i capelli. Del suo cuore, che palpita dolcemente contro la mia guancia. Ad occhi chiusi vi poggio l’orecchio, ascoltandolo meglio. Cosa mi sta dicendo…? 
«Sakura», mi richiama, distraendomi da quel piacevole ascolto.
Mi distanzio di poco, notando che ha un’espressione travagliata; indica la torta, tornando coi piedi per terra prima di me. 
«Se non la mangiamo presto si scioglie.» 
La sua voce, ha assunto una nuova cadenza. È come se fosse imbarazzato, ma felice, e contemporaneamente dispiaciuto. Non riesco proprio ad inquadrarla, ma per il momento lascio perdere, dedicandomi ai fatti concreti.
«Hai ragione, sarebbe un peccato!» 
Mi apro in un sorriso e torno subito al mio posto, facendo gli occhi a cuoricino. Me ne taglia una fetta e, non appena la assaggio, mi sembra di sciogliermi sulla sedia. 
«È così buona! Devi assolutamente congratularti con Fay-san!» 
«Riferirò.»
Continuo a mangiarla con gusto, pensando intanto che se il suo coinquilino aprisse una pasticceria avrebbe un successo assicurato.
Quando finiamo di cenare lo aiuto a lavare piatti e stoviglie, nonostante le sue obiezioni. Io asciugo, mettendoli a posto dove mi indica, e una volta che tutto è tornato pulito mi chiede: «Ti va di rivedere i ragazzi?»
«Tantissimo!» esclamo emozionata, non aspettandomelo. «Però non ho nessun regalo per loro…» mi adombro.
«Non è necessario, credo che per loro poter stare con te un’altra volta sia più che sufficiente.» 
«Continuano a domandarti di me?» chiedo sorpresa, al che ridacchia, confermando.
«Quasi ogni giorno. Mi domandano come stai, se mi hai scritto, cosa racconti dalla provincia, eccetera.» 
Commossa acconsento, preparandomi con lui ad uscire. Ci imbacucchiamo a dovere, visto che la temperatura è calata: mi aiuta a sollevarmi la sciarpa fino al naso e mi abbassa il cappello di lana sino a nascondermi le orecchie, spostandomi i capelli dagli occhi affinché non mi diano fastidio; poi, non appena scendiamo nelle strade di Tokyo, afferra la mia mano, per non perdermi tra la calca.
Mi lascio guidare da lui verso il luogo di ritrovo con gli altri, e nel tragitto sposto meravigliata lo sguardo dalla tenue neve leggera che cade dal cielo biancastro all’asfalto quasi scomparso, dietro questo mare di persone. Mai viste così tante. Mai sono stata tanto a contatto con la neve, avendola osservata sempre tramite il vetro di una finestra. Forse solo da bambina ho avuto modo di toccarla e giocarci. Forse. E mai ho visto così tante luci illuminare e colorare la mia città, rendendola tanto magica. 
Quando ci ricongiungiamo ai suoi amici loro mi salutano con allegria, le ragazze persino mi abbracciano esprimendo la loro nostalgia. Con Suzuran-san stavolta c’è un uomo che scopro – con grandissimo stupore – essere suo marito, mentre Shōgo-san, purtroppo, è da solo, essendo Primera-san impegnata in un concerto all’estero. Hikaru-san e Umi-san sono a loro volta accompagnate da un’altra ragazza, Fuu-san, e tutte e tre mi presentano i rispettivi fidanzati. Ryūō-san è amichevole ed espansivo come sempre, e subito si adopera a mettermi a mio agio, nonostante le nuove presenze.
Passeggiamo in gruppo nel centro, in mezzo alle luminarie, facendoci poi una foto accanto all’albero più grande di Tokyo, davanti al quale si ammassa tantissima gente. Cerco di non farmi notare troppo, facendomi piccina stringendomi a Syaoran, ma allo stesso tempo mi rendo presente, volendo lasciare a coloro che oramai sono diventati anche miei amici una minima parte di me. Della vera me.
Dopo averne scattata più di una, Umi-san insiste che vorrebbe taggarmi, e si sorprende del fatto che io non abbia né instagram né altri social. Ho ovviamente line, ma non posto mai nulla e, comunque, posso condividerlo solo con pochi. Forse dovrei crearmi un falso account, come Hana, e non come Sakura. Ma se lo scoprisse mio fratello, sicuramente avrebbe da ridire che è rischioso.
Ryūō-san, invece, non se ne stupisce, trovandola una conseguenza naturale del mio essere provinciale. Lo assecondo al meglio, e fortunatamente il discorso non dura a lungo, in quanto risolvono la questione mandando le foto direttamente a Syaoran – che in seguito le avrebbe mandate a me. 
Per le strade, e soprattutto attorno agli alberi illuminati, mi accorgo che ci sono tantissime coppie, e Suzuran-san subito coglie la palla al balzo, rifacendosi a questa mia osservazione per spiegare: «È perché popolarmente Natale è visto come se fosse San Valentino. Stanotte starai da Syaoran-kun?» 
Lo ha chiesto con una certa allusione, dinanzi alla quale anche Hikaru-san ha assunto un’espressione da gatto, Fuu-san da volpe, nascondendosi le labbra dietro una mano, mentre Umi-san sembra l’unica che prova un po’ di empatia per me.
«S-sì», balbetto impacciata, anche se non è detto che sia realmente così. Anzi, suppongo che dopo mi accompagni direttamente a casa.
Loro sogghignano sotto i baffi, cozzandomi con la spalla. 
«Ehehe, fate i bravi – ma non troppo.»
Le guardo perplessa, non capendo del tutto cosa vogliono insinuare, ma dato che fanno un occhiolino all’unisono mi limito ad annuire, incerta. 
Successivamente andiamo tutti insieme a comprare un bubble tea, giochiamo in una sala giochi – dove io mi scopro essere talmente fortunata da vincere praticamente tutto e dobbiamo necessariamente andarcene prima che mi possano accusare di imbrogliare – e ci facciamo tante foto buffe in una purikura. Ce ne prendiamo tutti una copia in ricordo e io, dopo averla messa in borsa, me la stringo al petto come un tesoro inestimabile. Per ricambiare tutto questo cedo loro i premi vinti, consistenti per lo più in buoni sconto, peluche e portachiavi – anche perché io non so che farmene.
Quando le nostre strade si separano mostro la mia gioia a Syaoran, ma lui sembra leggere la stanchezza al di là delle mie iridi brillanti. 
«Rincasiamo», consiglia e non ho la forza di oppormi, per cui ancora una volta mi lascio condurre da lui fino a casa, con le palpebre pesanti. È solo quando ci ritroviamo di fronte alla porta del suo appartamento che mi ridesto di botto, fissandola esterrefatta.
Senza darmi spiegazioni apre la porta, invitandomi ad entrare, e mentre si spoglia dice con tutta la tranquillità del mondo: «Puoi dormire in camera mia, non preoccuparti. Ti posso prestare un cambio di vestiti e, uhm… vuoi farti un bagno caldo?» 
«S-Syaoran! P-perché…» Non riesco a formulare neppure una frase, restando imbambolata all’ingresso. Cosa ci faccio di nuovo qui?
Lui mi osserva confuso. 
«I tuoi genitori non te l’hanno detto? Mi hanno chiesto di ospitarti stasera, per non farti stare sola a casa.» 
Mi si raccolgono le lacrime agli occhi, non riuscendo a crederci. Posso realmente restare?
«Ma se disturbo…»
«No che non disturbi», ribatte prontamente. «Mettiti comoda e fa’ come se fossi a casa tua. Vado a prepararti il bagno, anche se devi tener conto che sicuramente non sarà come alla villa.»
«Grazie e… scusami», replico impacciata, cominciando a togliermi sciarpa e cappello. 
«Non scusarti», mi rimbrotta bonariamente, rimettendomi a posto i capelli, evidentemente scompigliatisi. «È un piacere per me averti qui. Almeno mi fai compagnia.»
Solo allora, mentre mi volta le spalle con apparente spensieratezza, mi rendo conto che, proprio come me, anche lui potrebbe sentirsi solo.
Mi adopero quindi ad essere una buona convivente, ringraziandolo quando mi prepara il bagno riempiendomi già la vasca di acqua calda e mettendo da parte per me diversi asciugamani e un suo pigiama per cambiarmi. Cerco di non impiegarci troppo tempo, pur concedendomi qualche minuto per distendere i nervi e annusare l’aria, riconoscendo una vaga essenza molto delicata. Raccolgo un po’ di schiuma, avvicinandola al naso, e così mi accorgo che è simile ad un miscuglio di agrumi, bergamotto e lavanda. Adocchio i prodotti posati su una mensola, chiedendomi quale abbia utilizzato – e se sia lo stesso che usa anche lui. Scuoto vigorosamente la testa, cercando di non soffermarmi troppo su quel pensiero, e così facendo alcune bolle mi volano attorno. Soffio su alcune di esse dalla schiuma che ho raccolto tra le mani, cercando di non bagnare il pavimento più del dovuto, ma rendendomi conto di star perdendo tempo mi appresto ad asciugarmi e rivestirmi.
Fortunatamente, ho l’abitudine di portare sempre con me delle salviettine struccanti per ogni evenienza (ad esempio, se mi si scioglie il trucco e devo aggiustarlo all’ultimo minuto), per cui mi strucco anche e mi sciacquo il viso, assicurandomi che non ne resti neppure una traccia. Mi sciolgo anche i capelli una forcina alla volta, aggiustandomi le onde con le dita, e raccolgo tutte le mie cose, stringendomele tra le braccia.
Prima di uscire, tuttavia, mi osservo in tutta la mia lunghezza allo specchio, ridacchiando alla mia immagine. I vestiti di Syaoran mi vanno larghissimi! E poi, non è questa la prima volta in cui indosso abiti maschili? Assumo un’aria da maschiaccio, trattenendo una risata. Paradossalmente, non sembra starmi poi così male.
Divertita apro la porta e trovo Syaoran a dare da mangiare a Moko-chan. Notandomi mi accompagna fino in camera e mi invita ancora una volta a mettermi a mio agio prima di lasciarmi lì, sostituendomi in bagno.
Mio malgrado mi siedo rigidamente sul suo letto, del tutto a disagio. Mi guardo intorno in quel suo minuscolo mondo ordinato e spartano, dove non c’è niente di superfluo. Le ante dell’armadio sono ben chiuse, il letto è completamente ben fatto, sulla scrivania ci sono libri, penne, e un portatile, impilati in una maniera impeccabile. Eppure, in quello zelo riecheggia Syaoran. È così presente, in quel piccolo posto dove passa gran parte del suo tempo. E soltanto adesso realizzo di trovarmi nella sua stanza, e di star praticamente invadendo la sua intimità. E poi, ho usato i suoi stessi prodotti, e adesso lui farà il bagno dopo di me, e questo è il suo pigiama, e praticamente condividiamo lo stesso odore, e…
Avvampo e mi butto sul letto, scalciando all’aria. Affondo la faccia tra due cuscini, ma nel momento in cui inspiro contro la federa mi sembra di impazzire ulteriormente. Ahhh, profuma tutto di lui!
Prendo a testate uno dei cuscini, dandomi una regolata. Non posso emozionarmi così proprio adesso, non in sua presenza! Devo comportarmi in maniera cortese e garbata.
Mi volto pertanto a pancia in su, e facendo respiri profondi tento di ritrovare la compostezza. Provo a distrarmi prendendo il cellulare, scorrendo le immagini in galleria. Cerco di non concentrarmi eccessivamente sulle foto che ritraggono anche Syaoran – consapevole che continuerò a guardarle una per una ogni notte una volta che tornerò a casa, come al solito – e passo subito alla cartella dedicata a Shira-chan. Sorrido nel vedere quella bellissima batuffolina, finché poi non mi accorgo che ce ne sono alcune di me con lei. In una addirittura sono in posa da gatto. Arrossisco come un pomodoro, sperando che Syaoran non le abbia viste.
Poso il cellulare, riguardando le foto fatte in cabina con tutti e ricordando quanto abbiamo dovuto stringerci per poterci entrare. Ridacchio nel vedere le scritte e i disegni ridicoli di cui ci siamo circondati, per poi mettere tutto a posto sul suo comodino e ristendermi.
Allungo un braccio e ammiro controluce il bracciale, lasciandomi rapire dai suoi scintillii rosati, finché Syaoran non bussa alla porta e si affaccia.
«Sei ancora sveglia?»
«Aspettavo che finissi», spiego, celando al meglio l’agitazione che mi imperversa.
«Non ce n’era bisogno.» Fa un piccolo sorriso e piega di poco la testa, augurandomi serenamente: «Buonanotte, Sakura». 
«A-aspetta!» Lo blocco prima che possa andare via, stringendomi una mano al petto. «Tu dove dormirai?» 
«Sul divano in cucina», risponde con naturalezza, al che scuoto vigorosamente il capo. 
«Non se ne parla.» Lui è sempre più stanco di me, fa molte più cose di me, per cui ha bisogno di riposare meglio di me. Mi alzo e corro da lui per afferrarlo per un braccio, trascinandolo fino al letto, dove lo costringo a sedersi. «Tu dormi qui. Io dormo in cucina.» 
«Sakura, sei mia ospite», argomenta testardo. «Il letto tocca a te.»
«Ma io non voglio privartene», ribatto impettita. 
Continuiamo a battibeccare per un po’, finché non mi torna in mente un mio minuscolo, intimo desiderio. Potrebbe effettivamente esaudirsi…
Mi siedo accanto a lui, sperando di sembrare sicura di me. 
«D’accordo allora, dormiremo tutti e due qui», proclamo decisa, celando tutta la vergogna che provo. «Dopotutto il tuo letto è abbastanza grande per entrambi.»
Non appena apre bocca, con un’espressione che lascia subito intendere che stia per obiettare, spengo la lampada sul comodino e mi stendo. 
«Buonanotte», gli auguro, voltandomi verso la finestra. 
Fa un sospiro, prima di augurare altrettanto debolmente, girandosi presumibilmente al lato opposto.
Osservo tacita la neve che cade contro la notte, avvertendo il mio cuore placarsi poco alla volta.
«Neh, Syaoran…» mormoro impacciata, stringendomi le coperte sotto il mento.
«Mh?»
Mi volto verso di lui, osando sottovoce: «Posso… posso tenerti la mano…?»
Si gira anche lui su un fianco e fa solo un breve cenno d’assenso, porgendomela. La avvolgo tra le mie un po’ esitante, ma non appena entro in contatto con la sua pelle riesco a farmi coraggio per dare voce anche alla mia seconda richiesta.
«Mi canticchi qualcosa?»
Avvampo e mi nascondo contro le nostre mani giunte. Non gliene faccio una colpa se adesso mi deriderà. Mi sto comportando proprio come una bambina…
Sorprendentemente, senza commentare alcunché intona a bocca chiusa “Twinkle Twinkle Little Star”. Mi lego a qualche nota con lui, chiudendo le palpebre, per poi perdermi nelle nostre voci fuse insieme, e da quel minuscolo sentiero canoro mi lascio guidare verso il mondo dei sogni.










 
Spiegazioni:
- Come detto nel capitolo 9, col termine "kōtei"  si indica la residenza del primo ministro.
- Il nome della gatta, Shirasaki, è il nome del castello in cui vivono Tomoyo e Amaterasu a Nippon.
- Il disegno sulla piuma del braccialetto regalato a Sakura è lo stesso che sta sulle piume di Sakura nel manga (ma immagino si fosse intuito).
- Il bubble tea, chiamato anche "boba", è una bevanda taiwanese a base di tè contenente palline gommose di tapioca o gelatina di frutta, che esiste in diverse varianti.
- I purikura somigliano alle cabine per fototessere, ma lì oltre a scattare e stampare foto è possibile anche ritoccarle seguendo dei temi o in maniera "kawaii", con la possibilità di aggiungervi adesivi e anche scrivervi sopra.

 
  
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