Capitolo terzo
You're
so unassuming
You know what you're doing
You're looking right through me
And you don't realize
I just see a scared boy
Who's looking for new toys
Just trying to fill a void
And you don't realize…
(“Slow dance” – Kelly
Clarkson)
Steve era rimasto malissimo
nello scoprire che Bucky gli aveva mentito, o meglio che non gli aveva
raccontato tutta la verità. Dopo aver parlato con Kevin era tornato a casa e
aveva aspettato che anche Bucky rientrasse, ma non gli aveva detto niente, non
gli aveva rivelato di aver incontrato Kevin né di aver scoperto che non
trascorreva tutto il tempo al gruppo di sostegno. Era la prima volta che non
era sincero con il suo compagno e si chiedeva perché, ma in fondo al cuore
sapeva di conoscere già la risposta.
Non voleva parlare con Bucky
di quell’argomento perché aveva paura di ciò che il giovane avrebbe potuto
dirgli. Chissà, forse era rimasto talmente ferito e addolorato dopo aver saputo
della sua tentazione di restare nel 1948 da non riuscire a smettere di pensarci
e forse, a poco a poco, aveva perso la fiducia in lui e aveva smesso di amarlo.
Forse nelle ore in cui gli diceva di essere al gruppo di sostegno in realtà
Bucky frequentava qualcun altro, magari un ragazzo conosciuto proprio durante
gli incontri.
Steve non era certo di
volerlo sapere.
Eppure quella notte, mentre
se ne stava sveglio nel letto, fissando alternativamente il soffitto e la
figura addormentata di Bucky al suo fianco, il Capitano decise che non poteva
più nascondersi, che non era giusto né per lui né per Bucky.
Se la situazione era giunta
fino a quel punto, la colpa era principalmente sua e adesso doveva assumersene
la responsabilità. Era stato lui, mesi prima, a lasciarsi affascinare dalla
possibilità di una vita più semplice e ordinaria negli anni Quaranta, era stato
lui a volersi scaricare la coscienza raccontando tutto a Bucky. Certo, lui e
Bucky si dicevano sempre tutto, erano abituati così fin da ragazzini, non si
erano mai nascosti niente… ma certe cose, probabilmente, era meglio non dirle
o, magari, dirle in modo diverso. A causa delle sue parole Bucky si era sentito
in colpa, aveva creduto di aver costretto
Steve a tornare indietro in un mondo che non amava per occuparsi di lui, si
era messo in testa di essere un peso nella vita del suo compagno. Perciò si era
allontanato da lui sempre di più e forse adesso aveva conosciuto qualcun altro
o forse, semplicemente, stava meditando di lasciarlo e andarsene dalla casa di
Brooklyn. Per non essere più di peso a
Steve.
Quella notte insonne servì
almeno a far prendere un’importante decisione al Capitano: il giorno dopo
avrebbe seguito Bucky, avrebbe scoperto dove andava e che cosa faceva quando
non era a casa e poi lo avrebbe affrontato e finalmente avrebbero parlato. Se
Bucky gli avesse detto di non voler più stare con lui… beh, avrebbe dovuto
accettarlo, in fondo se lo era meritato.
Il mattino dopo, dunque,
Steve fece proprio così. Dopo una colazione frettolosa e laconici monosillabi
in risposta ai tentativi del Capitano di intavolare una conversazione, Bucky si
avviò alla porta dell’appartamento, pronto a uscire.
“Esci anche oggi, Buck?
Pensavo che potessi darmi una mano a finire di addobbare le stanze” tentò
Steve, sperando di non dover arrivare al punto di pedinare Bucky come se fosse tornato ad essere il Soldato
d’Inverno!
Bucky squadrò gli addobbi
natalizi con un’espressione ben poco entusiasta.
“Mi sembra che tu abbia
quasi finito” commentò. “Comunque non farò tardi e, se ci tieni tanto, nel
pomeriggio potrò aiutarti… anche se non vedo proprio dove potresti infilare
altre decorazioni. Buona giornata, Steve.”
La porta si richiuse dietro
le spalle del giovane e Steve rimase a fissarla con uno sguardo deluso.
Adesso non aveva scelta,
avrebbe dovuto affrontare Bucky.
Trascorse buona parte della
mattinata a terminare gli addobbi, facendosi film mentali su come sarebbe
andato il suo confronto con il compagno. Gli scenari che immaginava erano
piuttosto pessimistici e andavano dal trovare Bucky in compagnia di Kevin,
passando per un pedinamento che lo portava a scoprirlo con un altro ragazzo che
non conosceva, fino ad arrivare all’immagine di Bucky che prendeva un aereo per
la Romania o qualche altro posto dell’accidenti nell’Est europeo (che poi,
chissà per quale motivo Steve pensava che, se avesse deciso di partire, Bucky
si sarebbe trasferito proprio in luoghi vicini a quello in cui era stato
addestrato come Soldato d’Inverno?).
Era quasi ora di pranzo e
Bucky non tornava. Steve sapeva che al centro dove si riunivano i gruppi di
autoaiuto c’era anche una mensa dove i volontari rimanevano spesso a mangiare
e, in effetti, da diverso tempo Bucky non pranzava a casa. Si preparò un
sandwich e si costrinse a mangiare con calma, riflettendo che forse il suo
ragazzo stava veramente pranzando con gli altri volontari dei gruppi di
sostegno e che sarebbe stato ridicolo se fosse piombato lì a metà del pasto,
come una sorta di amante geloso. Alle due, però, non ebbe più alcuna scusa e,
preso il giubbotto di pelle, uscì dall’appartamento che, con le sue allegre
decorazioni e le lucine colorate, sembrava quasi prenderlo in giro…
Come prima cosa,
naturalmente, Steve si recò al centro e questa volta non ci trovò Kevin bensì
una giovane donna che lavorava lì come psicologa, Madison.
“Ciao, Maddy” la salutò il
Capitano. “Hai visto Bucky? Stamattina mi ha detto che sarebbe venuto e pensavo
che ci saremmo incontrati qui.”
“Mi dispiace, Steve, l’hai
mancato davvero per poco” rispose la donna, con un bel sorriso. “Ha pranzato
con noi e con gli altri volontari ed è uscito circa mezz’ora fa.”
Appunto, proprio come Steve
aveva pensato. Almeno quella non era una bugia: Bucky trascorreva veramente
gran parte del suo tempo con la gente dei gruppi di sostegno, i volontari e gli
psicologi.
Ma perché non c’era Kevin?
Forse… forse davvero Bucky e Kevin uscivano insieme?
“E… Kevin? E’ uscito anche lui?”
domandò Steve, sentendosi un perfetto idiota. Stava facendo la figura della mogliettina gelosa e isterica,
sicuramente Madison si sarebbe fatta due risate alle sue spalle.
“No, perché avrebbe dovuto?”
rispose la giovane, sorpresa. “Kevin oggi lavora fino alle cinque. Adesso sta
parlando ad un nuovo gruppo che si è formato da poco. Avevi bisogno di vederlo?”
Steve si sentì ancora più
sciocco.
“No… no, grazie, volevo solo
salutarlo e dirgli che nei prossimi giorni tornerò anch’io” disse, consapevole
di essersi reso ridicolo. “Se sta lavorando non voglio disturbarlo, salutalo tu
per me.”
“Va bene. Sono contenta che
tu e Bucky prendiate così sul serio questo impegno, soprattutto nel periodo
delle festività” commentò Madison. “Sai, è particolarmente difficile per le
persone che sono scomparse e poi ritornate e per i loro cari. In certi casi non
riescono più a comunicare, le cose sono troppo cambiate e non si capiscono più…
è molto triste.”
“Lo so” replicò Steve,
pensando che, in effetti, la stessa identica cosa stava accadendo anche a lui e
a Bucky, nonostante nessuno di loro due fosse svanito allo schiocco di Thanos. Ma c’erano tanti motivi che potevano
allontanare le persone che si amavano… “Grazie, allora, Madison, a presto.”
Il Capitano si allontanò dal
centro riflettendo: dove poteva essere andato Bucky? Sicuramente non era
tornato a casa, altrimenti si sarebbero incontrati per strada. Il luogo dove si
recava doveva essere sempre lo stesso, altrimenti perché sarebbe tornato tardi
ogni sera? Aveva un posto preciso dove andare e una motivazione che lo spingeva
a tornare sempre là…
Mentre camminava pensieroso
e senza una meta vera e propria, Steve ebbe un’illuminazione. E se Bucky fosse
andato a Coney Island? Non c’era una vera ragione per cui avrebbe dovuto andare
là, se non che… i loro ricordi più belli erano legati a quel luogo e anche
quando Bucky ancora non ricordava il loro passato lui aveva deciso di portarlo
proprio a trascorrere una giornata sulla spiaggia. E trovarsi in quel posto
aveva effettivamente aiutato Bucky a ricordare. Perché non provare? In fondo un
posto valeva l’altro e quello almeno aveva un legame molto stretto con il loro
passato. *
Steve ritornò al parcheggio
del centro dove aveva lasciato la moto e salì sul veicolo, dirigendosi poi
verso Coney Island. Sperava ardentemente di non essersi sbagliato perché,
altrimenti, avrebbe perso molto tempo prezioso e magari Bucky sarebbe tornato a
casa e non lo avrebbe trovato. Non poteva permettersi di sbagliare.
Dopo circa mezz’ora giunse
nei pressi della spiaggia di Coney Island e trasalì di gioia nel riconoscere la
moto di Bucky parcheggiata: allora ci aveva visto giusto, il suo compagno era
andato proprio là… e, se era andato in un luogo così importante e prezioso per loro,
allora non tutto era perduto, non ancora. Parcheggiò, scese dalla moto e si
avviò verso la spiaggia, cercando Bucky con lo sguardo. Era una giornata
nuvolosa ma mite e alcune persone passeggiavano, portavano a spasso il cane o
facevano jogging sul bagnasciuga. Più avanti, però, c’era una figura solitaria,
seduta sulla sabbia con lo sguardo rivolto verso il mare, una figura con una
felpa e un giaccone scuro e jeans neri.
Steve si avvicinò in
silenzio al giovane e, senza una parola, si sedette di fianco a lui.
Bucky si voltò a guardarlo,
sorpreso.
“Come hai fatto a trovarmi?”
gli domandò.
“Quando ho saputo che non
trascorrevi tutto il giorno al centro con i gruppi di sostegno, ho pensato che
c’era un solo posto al mondo dove saresti potuto essere” rispose Steve con un
sorriso. Voleva mostrarsi accogliente, non farlo sentire in colpa per avergli
mentito. Voleva solo che si chiarissero e facessero la pace una volta per
tutte.
“Qui ho iniziato a
recuperare la memoria” mormorò Bucky. “E’ stato qui e nella tua vecchia casa di
Brooklyn che i ricordi di quando eravamo ragazzi spensierati hanno iniziato a
ritornare… e sì, è per questo che sono venuto qui. Sono venuto qui tutti i
giorni e sono rimasto per ore a pensare e a ricordare, mentre a te dicevo che
andavo al centro per parlare ai gruppi.”
Steve rimase in silenzio,
non voleva interrompere Bucky adesso che, forse, si stava aprendo con lui.
Qualsiasi parola avrebbe potuto essere male interpretata e rovinare tutto.
“Non avrei voluto mentirti,
Steve, e ti chiedo scusa. Ma è stato proprio venendo qui che ho iniziato a
capire veramente quello che hai provato quando hai avuto la possibilità di
rimanere per sempre nel 1948” riprese il giovane. “La prima volta che sono
capitato su questa spiaggia è stato per caso, giravo senza meta al solo scopo
di non tornare a casa, perché in qualche modo pensavo… beh, insomma, credevo
che non fosse più quello il mio posto.”
“Non dire così, Bucky, come
puoi anche soltanto pensarlo? Ho voluto comprare e ristrutturare quella casa
proprio perché potessimo viverci insieme!” esclamò Steve, in tono accorato,
senza riuscire a trattenersi.
Bucky gli rivolse un
sorrisetto storto.
“Sì, adesso riesco a
capirlo, ma quel giorno non mi sentivo così, mi sentivo un peso, credevo di
averti rovinato la vita, che saresti stato più felice se non ti fossi sentito costretto a ritornare nel nostro tempo
per colpa mia” replicò.
“Non mi sono mai sentito
costretto, io sono tornato da te perché avevo bisogno di stare con te! Non
c’entrava Peggy, non è mai stata lei, era solo che… ma poi mi sono reso conto
che vivere nel 1948 non sarebbe stata la stessa cosa senza di te” protestò il
Capitano.
“Come ti ho detto, allora
non riuscivo a capirlo” ripeté Bucky, tranquillo. Il suo sguardo era limpido e
sembrava aver fatto pace con quell’episodio. “E’ vero, mi avevi detto che eri
stato tentato di restare nel passato solo perché non ti riconoscevi nel mondo
moderno, ma io continuavo a pensare che in realtà fosse stato per Peggy, che tu
volessi tornare da lei. Non riuscivo a pensare ad altro. Poi sono capitato qui
e… e ho cominciato a ricordare tanti episodi, tanti momenti felici. Ogni volta
che venivo qui mi veniva in mente qualcosa di nuovo, qualche altro bel ricordo,
perciò ho continuato a tornarci ogni giorno senza dirtelo.”
Steve non riusciva a capire
dove intendesse arrivare Bucky, così rimase in silenzio ad ascoltarlo, sperando
in una conclusione positiva.
“In questi giorni,
ripercorrendo nella mente tutto quello che abbiamo vissuto da ragazzi, ho
davvero compreso perché tu abbia provato così fortemente la tentazione di
fermarti nel 1948. Non era per Peggy…”
“No, certo che non era per
Peggy” ribadì il Capitano, “non è mai stato per lei, non sapevo nemmeno se
sarebbe stata ancora viva nel 1948, o se fosse stata sposata, o che so io…”
“Ora lo so, perché anch’io,
venendo qui ogni giorno e ricordando il nostro tempo e come eravamo spensierati
nonostante le difficoltà, mi sono reso conto che avrei avuto la stessa
tentazione” confessò Bucky. “Anzi, forse più di te. Poter tornare ad un tempo
in cui nessuno conosceva il Soldato d’Inverno, in cui io non avevo ancora fatto
del male a nessuno, in cui potevo essere ancora… il Bucky Barnes che conoscevi
e amavi… beh, non so se avrei resistito a una simile possibilità. Perciò come
posso rimproverare a te una cosa che io stesso avrei fatto?”
Steve intravide negli occhi
di Bucky delle lacrime trattenute a stento, ma anche lui era così commosso e
straziato che la vista gli si appannava. Era vero, come poteva non averci
pensato? Se lui desiderava così tanto tornare nel mondo al quale sentiva di
appartenere, quanto lo avrebbe voluto Bucky che, tornando nel passato, non
sarebbe mai stato il Soldato d’Inverno? Com’era stato egoista, aveva pensato
solo a se stesso e invece Bucky…
Prese il suo compagno per le
spalle e lo voltò verso di sé.
“Mi dispiace tantissimo,
Buck” disse. “Sa il cielo quanto vorrei che entrambi potessimo tornare indietro
e vivere una vita normale, senza Captain America, senza Hydra, senza Thanos,
senza il Soldato d’Inverno. E’ proprio per questo che sono tornato da te,
perché sapevo che non sarebbe stato giusto, che quegli anni li avrei voluti
vivere, certo, ma solo se tu avessi potuto viverli con me.”
“Beh, comunque sia nessuno
dei due può farlo, per cui è assurdo che io continui ad avercela con te per
questo, no?” tentò di minimizzare Bucky, abbozzando un sorrisetto.
“Invece sì che possiamo
farlo, ma solo restando insieme” lo corresse Steve, abbracciandolo. “Questo
posto e la nostra casa a Brooklyn, tutto ciò che ci fa ricordare ciò che siamo
stati, non lo perderemo mai, farà sempre parte di noi, di quello che ci ha
portato a diventare ciò che siamo ora. E’ vero, eravamo spensierati in quegli
anni, ma non si rimane adolescenti per sempre e l’età adulta porta per forza di
cose difficoltà e problemi. Noi, certo, ne abbiamo avuti in quantità maggiore
rispetto a tanti altri, ma prova un po’ a pensarci, Buck, pensa a quanti
ragazzi come noi non sono mai tornati dalla guerra, o sono tornati invalidi e
hanno perso tutto. Chi ci assicura che negli anni Quaranta saremmo stati più
felici di adesso? Tanto per cominciare non avremmo potuto vivere insieme come
facciamo ora, avremmo dovuto fingere per tutta la vita di essere solo amici. E
poi ci sarebbero state altre guerre, la Guerra di Corea, il Vietnam, la Guerra
Fredda… io sono sicuro che noi vi saremmo stati coinvolti, in fondo avevamo
delle responsabilità. E’ così diverso da quello che viviamo oggi?”
“No, ma… credo che,
guardando al passato, tutti tendano a idealizzarlo” mormorò Bucky.
“Sì, lo fanno tutti, lo
faccio spesso anch’io. Ma poi, se mi fermo a pensarci, mi rendo conto che è nel
presente che ho tutto ciò che posso desiderare: una vita serena, una bella
casa, degli amici e, soprattutto, la possibilità di stare con te alla luce del
sole, per tutta la vita. Di trascorrere questo Natale e tanti altri al tuo
fianco. E’ questo che conta per me.”
“Anche per me” ammise Bucky.
I due innamorati si
strinsero in un lungo abbraccio, che divenne poi un bacio profondo e
dolcissimo.
C’era poca gente sulla
spiaggia ma, chi passava, sorrideva commossa vedendo i due giovani che non
avevano bisogno di nascondere il loro amore.
E questo, nel 1948, non
sarebbe potuto accadere.
Fine capitolo terzo
* Ancora una volta si tratta di una
“autocitazione”! XD La storia in cui Steve porta Bucky a Coney Island è una mia
ff del 2015, Breathe on me.