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Autore: Soe Mame    30/12/2020    4 recensioni
Il momento arriverà.
Continua ad aspettare, continua ad aspettare che arrivi.
Continua a sperare, continua a sperare che arrivi.
[1649-1738: È bastato meno di un secolo per cambiare tante cose tra il Sud Italia e la Spagna.]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1718

«Mi raccomando, fai il bravo.» Manon gli aveva stretto le mani. «E stammi bene!»
Il suo sguardo era intenso, una muta preghiera di capire intere frasi non dette, di ricordare discorsi vecchi, persino antichi. Lovino aveva capito, ma non aveva voluto darlo troppo a vedere.
Aveva sforzato l'espressione più pacata che aveva potuto, e aveva annuito. «Anche voi. Buona fortuna.» L'aveva abbracciata, sfacciato come non era stato neppure Francia, con anche più forza del necessario. Più che una donna, la donna che gli piaceva tanto, quella era Manon, Belgio. Era arrivato il momento di separarsi anche dall'ultima persona che avesse mai parlato a Lovino Vargas, e aveva voluto rimandarlo di almeno qualche secondo.


Era arrivato a Napoli ripercorrendo la strada dell'andata, fino a Montpellier, per poi imbarcarsi. Tagliare per la Svizzera, il Nord Italia e lo Stato della Chiesa sarebbe stato più semplice, ma quello era l'itinerario che era stato deciso per lui. Non c'erano né Manon né Lucilin, ma almeno non c'era neppure Francia.
Quando, affacciato sul ponte, aveva visto quella striscia di terra sulla linea dell'orizzonte, aveva sentito tante cose tutte insieme. Lo stomaco si era rigirato - e per sicurezza era rimasto attaccato alla balaustra, ché magari non era emozione ma la conseguenza di onde troppo intense. Il cuore aveva iniziato a battere così forte da fare male - e si era assicurato di avere gente intorno pronto a soccorrerlo, ché magari non era emozione ma la morte in avvicinamento. Il respiro era rallentato, gli occhi avevano iniziato a bruciare. Poi si era sentito afferrare per la vita, e si era reso conto di starsi per buttare in mare per raggiungere il porto a bracciate. Non era il caso, era ancora debole. Anche se, per qualche motivo, sentiva che ce l'avrebbe fatta - che sarebbe stato capace di arrivare a nuoto senza problemi, come se fosse nel pieno delle sue forze.
Non che non fosse mai e poi mai ritornato lì, ovvio. Ma era stato molto tempo prima, e ogni cosa era molto più alta di lui - A meno che non ordinasse al bastardo di fargli da scala, per osservare il mondo da almeno un metro in più.
I suoi accompagnatori gli ricordarono il suo dover andare al Palazzo Reale, ad incontrare Napoli, a firmare il documento che testimoniava il suo effettivo arrivo a destinazione.
Però, lì c'erano persone dai visi simpatici, che non parlavano spagnolo, e non parlavano la lingua delle nazioni, e lui le capiva benissimo. C'erano delle diligenze che sfrecciavano a velocità che non avrebbe creduto possibile, evitando all'ultimo carri, cavalli, cani, galline o bambini che non avevano niente da fare se non rischiare la vita attraversando la strada. C'erano tanti edifici pieni di finestre, gli uni attaccati agli altri, dai colori chiari, rettangoli perfetti o dalla forma di tanti blocchi quadrati impilati in modo artistico. Chiacchiericci, urla, risate, abbai, nitriti, scalpiti di zoccoli, e un odore di sale che arrivava fin nei polmoni, mescolandosi al tanfo del pesce, e sbuffi di polvere che si ripiegavano in grandi cerchi, e le due dune della montagna addormentata che svettavano alla base della mezzaluna del porto.
E gli parve che la stanchezza non fosse mai esistita.

Avevano un po' sistemato il Palazzo Reale. L'ultima volta che c'era stato, avevano da poco iniziato a pensare di farci uno scalone scenografico, e che magari sarebbe stato carino decorare un po' la cappella. Non era dell'umore di raccogliersi in preghiera religiosa - Quel che c'era centotrentasei miglia più su gli bastava -, ma lo scalone era davvero notevole. Certo, l'avesse visto meglio - Scalone scenico e cappella li avevano sistemati, ora dovevano fare qualcosa per la luminosità. Al di là di dettagli di poco conto, era un palazzo stupendo, degno di essere il Palazzo Reale. Gli sarebbe piaciuto vivere lì, magari servito e riverito.
Peccato non sarebbe rimasto oltre.
La sua stanza era grande e luminosa, aveva persino una bella vista sui Giardini Pensili, e il Palazzo non era un via vai continuo di persone, quindi ci sarebbe stata anche una certa calma. Tuttavia, non aveva la minima intenzione di rimanere.
Indossò abiti più informali, lasciò la spada sul letto - Chi è che si portava dietro una spada, nell'era delle armi da fuoco? - e fece visita all'Armeria. C'era un'altra arma che sarebbe stata perfetta, insieme al suo pugnale e alla sua pistola. Non gli ci volle molto per trovarla. Una sottile croce dalla lama di quindici centimetri, affilata, triangolare ed italianissima: uno stiletto. Tirò su la manica e lo fissò al braccio con delle fasce. Non aveva senso tenere uno stiletto in vista. Si ricompose e uscì. Non aveva informato nessuno, ma rubare qualcosa dalla propria casa valeva come rubare? O quella era considerata casa di Napoli, per cui aveva appena commesso un furto? Poco importava, anzi, nulla importava.
«Il nobile Napoli-»
«Gli mandi i miei saluti.» Si voltò verso la guardia. Era palese che fosse sorpreso dalla sua risposta. «E dica ad Austria che me ne vado per casa mia. Mi farò vivo ogni primo del mese.»
Prima che il soldato potesse realizzare le sue parole, era già scappato.
Non aveva la minima intenzione di incontrare Napoli. Non dubitava fosse una brava persona - Era pur sempre parte del Sud Italia! - e gli augurava tante care cose, ma non voleva vederlo.
Voleva vedere casa sua. Voleva vedere tutte le città, i paesi e i villaggi, da Napoli fino a Lampedusa - E chissene fregava se la Sicilia era di quel biscotto spugnoso andato a male, era parte della sua casa.
Ogni primo del mese, si presentava nel primo palazzo più importante nelle vicinanze e lasciava il suo bel messaggio per Austria. Una volta fatto, scappava di nuovo, più lontano possibile, in un'altra regione. Sapeva benissimo che Austria glielo stesse lasciando fare. Non gli importava nulla di lui, bastava che non creasse problemi. Per sicurezza, però, non rimaneva mai per troppo tempo nello stesso posto - Fosse mai che cambiasse idea, o qualche impero troppo ardito avesse voglia di tornare ai bei vecchi tempi.
I ricordi sbiadivano in una visione più nitida. I cambiamenti si sovrapponevano alle immagini sfocate nella sua mente. I dialetti e le lingue si mischiavano, nelle orecchie riecheggiava una lingua antica e ormai morta, usata solo per i convenevoli politici. Capiva tutti, ed ogni cosa era come sarebbe dovuta essere - magari più ricca, o magari più ordinata.
Ci avrebbe messo anni, per vedere tutta la sua casa. Avrebbe passato metà del tempo a camminare, se non ad attraversare la spina dorsale del grande stivale di terra. Non sarebbe stato un problema. Era certo che, lì, non avrebbe mai più sentito
quel tipo di stanchezza.



Pioveva. O meglio, le nuvole si fracassavano a terra sottoforma di miliardi di gocce di ferro, a giudicare dal rumore e dalla violenza. Lovino si era rintanato in una locanda, che fortuna aveva voluto fosse provvista di camino. Si era piazzato lì davanti, nella speranza di asciugare vestiti e capelli - Anche se probabilmente erano zuppe persino le ossa, ma non poteva spogliarsi in pubblico. Un po' gli mancava fare quel che gli pareva.
Con il trascorrere delle ore, la locanda si era svuotata. Erano rimasti solo il gestore, intento a pulire i boccali, e un uomo svenuto dall'inizio della serata, riverso sul tavolo e attorniato da un fragrante odore di alcool. Dato che respirava, Lovino non si era preoccupato. Neanche il proprietario sembrava curarsene, così come sembrava non curarsi di lui. Tuttavia, era tardi ed era abbastanza ovvio stesse aspettando lui per buttare fuori l'ubriaco e chiudere. C'era solo un problema: Lovino non aveva dove andare e fuori si stava creando un fiume gelido. Se fosse uscito in quel momento, il mattino dopo avrebbero ritrovato il suo cadavere assiderato con delle branchie all'altezza della gola. Che fine ingloriosa.
Il locandiere non gli stava mettendo fretta, ma Romano ritenne opportuno andare a parlargli.
«Senta.»
L'uomo alzò lo sguardo dai boccali. Li stava pulendo da tempo indefinito, e brillavano come mai nulla aveva brillato nella sua vecchia casa.
«Sì?»
«Mi lasci rimanere qui, stanotte.»
Il locandiere inarcò appena un sopracciglio. Era un uomo di mezz'età, doveva averne viste di ogni genere. «Non c'è nulla da rubare, qui.»
«Non voglio rubare.» Lovino sbuffò, ma era ovvio che ci avrebbe pensato. «Né voglio farle del male. L'avrei già fatto, altrimenti.» Indicò il finto morto alle sue spalle. «Non mi sembra un testimone affidabile.»
Fu la volta del gestore di sospirare. Non prima di avergli lanciato una lunga, lunghissima occhiata indecifrabile. Non era uno sguardo di sufficienza, né sembrava volerlo accusare. Sembrava... incuriosito? Cauto, ma non troppo?
«E quanto mi dai, per questo favore?»
«Le pulisco il locale da cima a fondo.» rispose subito Romano: «Meglio di come ha fatto lei con quei boccali.»
Non aveva soldi. Nessuno aveva ritenuto opportuno darglieli - Non si supponeva ne avesse.
Poteva sopravvivere senza mangiare e senza bere. Ma era doloroso. Quando la vista iniziava ad annebbiarsi e la mente a rimanere poco concentrata, Lovino raggiungeva il mercato più vicino e fingeva di essere ancora nelle cucine madrilene. Nessuno si era mai accorto di nulla. Per il resto, era bello dormire sotto le stelle, magari sull'erba. Se il tempo era meno piacevole, si rintanava sotto un portico. Se imperversava il freddo, si fiondava dentro una chiesa. Quella sera, però, non aveva fatto in tempo a raggiungere nessuna chiesa, e la pioggia e il freddo si erano fatti ridicoli.
«Certo, certo...» L'uomo ridacchiò sotto i baffi. «C'hai provato.»
«Sono serio.» Gli mostrò i palmi. Non erano mani nivee dalle dita affusolate, ma non erano neppure piene di calli. Mani delicate per una nazione, ma normalissime per un umano dei vent'anni che dimostrava. «Sono abituato al lavoro. Soprattutto di pulizia.» Se l'avesse sentito qualche maggiordomo o governante di Madrid, sarebbe collassato a terra con la schiuma alla bocca, ma lavorare due giorni a settimana per centocinquantacinque anni era comunque lavorare!
Lo sguardo del locandiere si soffermò sulle sue mani. Dopo qualche secondo, l'uomo borbottò qualcosa. Si accucciò dietro il bancone - Un tintinnio inconfondibile rivelò il suo aver messo mano all'incasso del giorno - e riemerse con il grembiule gonfio. «D'accordo, ragazzo. Tanto...» Aprì il braccio, a mostrare la locanda. «Non è che c'è niente che puoi fare, qui. Nemmanco darle fuoco.»
«Non voglio fare niente di male.» ripetè Lovino, anche se le parole uscirono molto a caso.
Di contro, l'uomo rise. «E vediamo, e vediamo...».

«Ma... Che davvero?»
Lovino alzò la testa dalla fortezza di braccia in cui l'aveva riparata, spalmato sul bancone. Il locandiere era appena entrato e si guardava intorno, l'espressione più incredula e disorientata di un popolano che mette piede nel Palazzo Reale.
La locanda non era sporca da far vomitare, quindi le pulizie non erano state le più faticose della sua vita - Una volta, quando era ancora piccolo, per non ben esplorate ragioni c'era stata una colata di fango nell'ingresso del palazzo, e lui aveva dovuto fare avanti e indietro per portare i secchi a Manon, Lucilin e Abel.
Quello era stato faticoso. Quella notte, aveva lavato il pavimento, il bancone, le sedie, i tavoli, le finestre e, una volta spento, il camino; aveva trascinato fuori l'ubriaco, lasciandolo accanto alla porta come un'offerta di latte a qualche creatura; aveva riordinato bicchieri, piatti e posate, e aveva raschiato cose inquietanti dalla cucina. Solo all'alba si era lasciato cadere sulla sedia dietro il bancone e aveva ceduto al sonno. Poi era arrivato il proprietario.
«Ma che hai... Hai davvero pulito tutto?» L'uomo si avvicinò, rapido, osservando ogni minimo dettaglio di quella locanda che avrebbe dovuto conoscere tanto bene.
«Ho detto che l'avrei fatto.» Lovino si tirò su, ancora un po' stordito dal poco sonno e dal risveglio improvviso. «Lei mi ha dato riparo, io ho pulito. Questi erano i patti.»
Finalmente il locandiere parve riprendersi. Senza aspettare oltre, si fiondò in cucina. Dopo qualche minuto, ne riemerse con un vassoio, che gli posò davanti. Una focaccia del giorno prima, un bicchiere di latte e una mela. Lovino guardò il locandiere. Il locandiere guardò Lovino.
«Mica hai mangiato, ieri sera.» gli ricordò l'uomo: «E non hai mangiato manco stanotte, eh? Su, mangia.»
Lovino guardò il vassoio. Più che una colazione, sembrava un pasto da carcerato. Non c'erano churros né porras, né pane con pomodoro, e il latte non aveva il caffè. Però divorò tutto, e ne avrebbe mangiato ancora, e non perché era buono.
«Come ti chiami?» Domanda che era logico giungesse.
«Romano.» Lo chiamavano
anche così, del resto.
«Oooh!» L'uomo ridacchiò. «E sei davvero di Roma?»
Lovino avrebbe voluto un fazzoletto. Sia per pulirsi, sia per nascondere almeno metà faccia. Dato che non l'aveva, finse di bere le ultime gocce di latte. «Sono nato lì.» Non era del tutto falso.
«E che ci fai da queste parti?»
Non aveva idea del perché il locandiere fosse così incuriosito. Forse voleva solo fare conversazione. «Mia nonna era di qui.» mentì: «Sono venuto a dare un'occhiata.»
L'uomo annuì, piano. Poi chiese: «Ma tu a chi sei figlio?»
«Giulio Valle.» Neppure quello era del tutto falso. Scelse soltanto un nome diverso da Romolo, perché "Romolo" e "Romano" insieme avrebbero urlato "Roma" in modo sospetto. «Mia nonna si chiamava Sabina Tiberi.» Dire cazzate con naturalezza le faceva sembrare verità. L'uomo, infatti, non parve sospettare nulla.
«Non ho presente i Tiberi.»
Romano posò il bicchiere e alzò le spalle. «Mia nonna mi parlava di qui.» inventò: «Se poi erano stupidaggini, non saprei che dirle.»
L'uomo ridacchiò. Sembrava incredibilmente rilassato. «Vai via subito o resti un altro po'?»
«Preferirei rimettermi subito in cammino.»
«Devi andare da qualche parte?»
Lovino ci pensò un istante. «Non proprio.»
«Sei scappato di casa?»
Lovino sgranò gli occhi. Non era del tutto vero, ma non era neppure del tutto falso. Si ricompose. «Non proprio.»
«Hai ammazzato qualcuno?»
«Cosa?» protestò, indignato: «No!»
Per tutta risposta, il locandiere scoppiò in una risata che riempì l'intero locale. «Beh, ragazzo...» Prese il vassoio ormai vuoto, ad eccezione del bicchiere. «Sei senz'altro strambo.»
«Strambo...?»
«Aspetta qui, tu.» Detto ciò, l'uomo svanì di nuovo in cucina. Quando tornò, gli porse un fagotto. Lovino lo aprì e quasi trasalì: due focacce e due mele. Incontrò di nuovo lo sguardo del locandiere.
«Ma che...?»
«Così non muori di fame, mentre vai in giro.»
Romano era senza parole. Nel senso, non aveva la minima idea di che parole usare per riempire il silenzio che aveva seguito l'affermazione dell'altro. Alla fine, scelse le prime che gli vennero in mente: «Lei è strambo.»
«Forse.» L'uomo ridacchiò. Rideva un sacco. «Ma mica capita tutti i giorni di incontrare un ragazzo che non vuole niente e ti pulisce pure la locanda.»
«Lei mi ha dato riparo-»
«Ma tu potevi scappare appena finiva la pioggia.» Scosse la testa. «E invece no, sei rimasto e hai pure pulito davvero!»
Lovino richiuse la bocca. Non aveva pensato neppure per un istante ad ingannare quel signore. Perché avrebbe dovuto? Un conto era rivelare metà verità, un conto era non tenere fede ai patti.
«E poi...» Il locandiere lo scrutò. Lo scrutò con molta insistenza. «Già ieri sera mi sembravi famigliare. Forse l'ho incontrata, tua nonna.»
Famigliare? Com'era possibile?
«Boh, hai qualcosa che ispira fiducia.» Un altro grande sorriso. «Però i soldi me li sono portati via lo stesso.»
«Fidarsi ed essere coglioni sono due cose diverse.» Si morse la lingua appena si accorse di essere stato sboccato. Quel signore non se lo meritava. Lui, invece, aggirò il bancone e gli assestò una poderosa pacca sulla schiena. «Allora sai parlare come mangi, eh!» La manata si trasformò in un massaggio goffo. «L'ho capito che sei un nobilotto. Ma sei bravo, come sguattero.»
"Nobilotto". Forse avrebbe potuto definirsi così, sì.
«Grazie.» mormorò: «Per tutto.» Per il riparo, per la chiacchierata, per il cibo, per quel complimento e per quello che non aveva saputo dire. Ma lui l'aveva capito.

«Buon viaggio, ragazzo!»
«Buon lavoro, signore!»
Si rimise in viaggio e strinse il fagotto al petto. Avrebbe voluto far durare il suo contenuto, ma rischiava di far marcire le mele e trasformare le focacce in sassi. Avrebbe cercato di mangiare per due giorni di fila - Magari la fame sarebbe tornata a farsi sentire più in là.
Avrebbe voluto far durare il suo contenuto per sempre, come una testimonianza. Forse il ricordo sarebbe stato abbastanza.
"Hai qualcosa che ispira fiducia.", "Sembravi famigliare.". Quell'uomo aveva capito che non era un comune servitore, aveva notato che non avesse mangiato, e di certo aveva intuito che avesse qualcosa di strano. Quelle parole così spontanee, però, quei gesti di premura, avevano rivelato altro.
Una volta, tanto tempo prima, una persona molto stupida gli aveva detto una cosa. Lui aveva avuto paura, paura di pensarci, paura di farsi vedere.
Eppure, era stato facile. Era stato uno di
loro a farsi avanti. A dirgli che era stato bravo, che ispirava fiducia, tanto da sembrare quasi famigliare. Che lo sentiva "vicino", in un certo modo.
Allora esistevano davvero...? Poteva crederci?

«Tu hai degli umani per cui esistere. Ricordati di pensare anche a loro.»

Pensare che ci fosse qualcuno che credesse nella propria nazione.
Quel che diceva Manon, tanti decenni prima - Quel che diceva Abel, il motivo per cui se n'era andato.
Persone che vivevano la loro vita, e credevano nella propria nazione. Che si identificavano in un certo modo, che condividevano non necessariamente tutto, ma molto. Persone capaci di chiedergli: «Vai via subito o resti un altro po'?», quasi volessero parlargli ancora. Persone che lo sentissero vicino, e non lo volessero lontano.
Le nazioni sottostavano ai capricci dei loro capi. Ma, ancor prima, erano mosse dal loro popolo. Forse si stava illudendo, ma voleva farlo. Voleva illudersi di averlo anche lui, un popolo che lo muovesse, e non lo detestasse.
Era davvero un bel sogno, quello di essere una nazione che non sottostava ai capricci di altre nazioni.
Lui aveva tenuto fede a quel patto con il locandiere. Era ovvio, ma per l'altro no. Era ovvio, ma era stata una sua scelta.
Lui aveva rifiutato di incontrare Napoli, ed era fuggito a vedere la sua casa nella sua interezza. Era logico, ma per il soldato no. Era logico, ma era stata una sua scelta.
Era davvero una bella illusione, quella di poter cambiare qualcosa con le proprie scelte.




Siracusa era una gigantesca opera d'arte architettonica incasellata in un ritaglio di terra circondato da acque limpidissime, quasi finte tanto sembravano dipinte con più strati di sfumature di azzurro. Purtroppo, quella visita tanto piacevole era subito stata guastata dall'arrivo di una diligenza, che aveva attraversato la via principale con arroganza e attirato gli sguardi di tutti i presenti.
Lovino aveva avuto una brutta sensazione e si era dileguato. Che si trattasse di Savoia, Austria o chissà quale altro rugnusu, in quella diligenza c'era una nazione. E la sensazione era troppo brutta per poter accarezzare l'idea che si trattasse di Sicilia - Che, per quanto ne sapeva lui, si sarebbe dovuta trovare a Palermo, dato che c'erano dei "problemi" su cui lui aveva preferito non indagare.
Forse, però, si era dileguato un po' troppo, e anche a velocità un po' troppo elevata, perché era finito all'Anfiteatro. Quello in rovina, invaso di cespugli, e con gli alberi che crescevano in punti così casuali da sembrare che qualcuno ce li avesse lanciati.
Si lasciò cadere sui gradoni e guardò verso il basso. Una stretta al cuore gli fece capire che arrivare lì era stata una pessima idea. Ricordava di quando il nonno raccontava, a lui e Feliciano, delle opere teatrali a cui partecipava Domina Grecia - proprio lì, in quell'Anfiteatro ormai in rovina. E aveva confidato loro quanto amasse la Lisistrata - Quando avevano scoperto la trama, l'avevano trovata più simile ad una storia dell'orrore, ma il saggio nonno aveva spiegato loro l'importanza dei desideri delle donne e dei lieti fini, soprattutto quelli che implicavano tanto amore. Dall'altra parte, ricordava anche il grande Anfiteatro del nonno.
Scosse la testa e tornò al presente. Doveva smetterla di perdersi nei ricordi. Doveva guardare la sua casa nel presente - Anche se certi ricordi scivolavano davanti ai suoi occhi senza che lui se ne accorgesse, trascinandolo nel ripetersi di eventi che già conosceva. Puntò i gomiti sulle ginocchia e posò il mento sulle dita intrecciate. Eppure quella era la Sicilia, non Napoli. Le sirene si erano spiaggiate più a nord. Sospirò e rimase a guardare tutto quel vecchiume infestato di verdura. Amava il vecchiume. Casa sua ne era piena. Il sole di Agosto era davvero piacevole. Soprattutto se accompagnato dal rumore del mare, e dallo strano profumo della campagna.
Un rumore di zoccoli in lontananza. Si riscosse - Quando si era assopito? Si voltò a guardare, più per curiosità che per qualche altro motivo.
Due cavalli, con annessi cavalieri, stavano venendo nella sua direzione.
Considerata l'assenza di qualsiasi altra forma di vita dalle fattezze umane nel raggio di chilometri indefiniti, o quei due erano archeologi o botanici, o stavano cercando qualche fuggitivo, o stavano fuggendo da qualcuno, o lui avrebbe dovuto alzarsi e correre di nuovo. Sì, forse l'Anfiteatro era stata un'idea pessima.
I cavalli frenarono molto vicini a lui, giusto quanto bastava per non fermarglisi sulla testa.
«Lovin Vangern?»
Bastò un unico nome, pronunciato senza alcuna dimestichezza del tedesco, a far capire tante, troppe cose. Un moto di stizza. Davvero Savoia era disposto a protestare per... Per cosa, poi? Perché era sconfinato a casa propria?
Si alzò, piano, e guardò i due cavalieri. Ma non diede cenno di volerli seguire. «Chi lo cerca?»
«Qualcuno che lo conosce.»
Era una risposta così vaga e campata per aria che non poteva che trattarsi di una citazione. E Lovino era certo che né Savoia né, tantomeno, Austria si sarebbero fatti problemi a dire chiaramente il loro nome.
«Chi?»
«Non siamo autorizzati a rivelare il suo nome.»
D'accordo, che ci fosse qualcosa di strano era ovvio. C'erano dei "problemi" in Sicilia, da quanto aveva capito. Inspirò a fondo. Se quelli erano soldati siciliani, non potevano essere messaggeri di un invasore - Almeno, un invasore non sarebbe andato a spasso per la via principale. Supponeva. E non ci voleva un genio per capire che la persona che l'aveva mandato a chiamare fosse la nazione che aveva percepito- Quanto tempo era passato, in effetti? Sospettò si trattasse di almeno un'ora.
Poteva provare a scappare - I cavalli non sarebbero riusciti a galoppare sugli scalini dell'Anfiteatro. Ma aveva ignorato quel che stava succedendo alla sua casa, e i Cieli gli avevano mandato quell'avviso. Si era ripromesso di guardare la sua casa nel presente, no?
«Sono io. Portatemi da questa persona.»
Aveva una pistola, un pugnale, uno stiletto, una testa dura e delle gambe veloci. Avrebbe potuto farcela.

Non fu accompagnato in nessun edificio. Quando scese dal cavallo di uno dei due soldati, le sue scarpe toccarono della sabbia, bianca e finissima. Tanto tempo prima, gli avevano parlato delle sabbie mobili: semplicemente, sabbie che inghiottivano il malcapitato e lo soffocavano. Se si cercava di scappare, le sabbie si facevano più veloci e spietate. Per questo Lovino non cercò di scappare, quando vide il vascello ancorato a riva: se l'avesse fatto, la sabbia l'avrebbe inghiottito. Ne era sicuro. Non spiegava, altrimenti, tutta quell'inquietudine.
Sì, forse la presenza di più di un vascello non era un buon segno. Però c'erano dei "problemi", no? Non riconosceva la bandiera - uno strano disegno blu, bianco e rosso incastrato in un angolo, su una bandiera bianca con una croce rossa -, non riconobbe neppure la divisa dei marinai - giacca blu, pantaloni bianchi, bicorno nero bordato d'oro con pennacchio nero -, ma non poteva trattarsi di un invasore... No?
Furono i due soldati a guidarlo alla cabina del capitano. O meglio, non la cabina del capitano - la cabina della nazione. Nulla da dire, per carità, le cabine dei capitani e delle nazioni erano sempre belle - Luminosissime, con un bel tavolo lucido ad occupare parecchio spazio, e quella aveva pure un tappeto che sembrava pregiato -, ma non era troppo entusiasta dell'idea di essere appena entrato in territorio straniero. L'essere appena entrato nella cabina, poi, gli escludeva ogni possibilità di buttarsi di sotto e nuotare via.
Ma doveva farsi forza. C'era qualcosa di sbagliato, e doveva scoprire cosa.
Certo, avrebbe semplicemente potuto chiederlo a qualche paesano, e pensare con calma a cosa fare, piuttosto che affrontare il probabile problema a volto aperto - Però, per qualche strano motivo, non si sentiva del tutto pentito.
Un bicorno nero bordato d'oro, con un'immensa piuma decorativa bianca, giaceva sul tavolo. Una persona era alla finestra, un'altra in mezzo alla cabina.
«Lovin Vangern, signore.» annunciò uno dei due soldati.
La persona alla finestra disse qualcosa in una lingua sconosciuta. L'altra doveva essere un interprete: «Grazie per la vostra collaborazione. Possiamo lasciarli soli.»
Detto ciò, i due soldati e l'interprete sparirono, e la porta della cabina fu richiusa.
Lovino non aveva distolto lo sguardo dalla persona - dalla nazione - davanti a lui. Era seduta sulla piccola soglia delle finestre, il busto di tre quarti, e sembrava molto interessata a ciò che c'era oltre il vetro. Al contrario dei suoi sottoposti, portava sulle spalle una giacca rossa, con nappe dorate e polsini neri, al collo una cravatta bianca con una vistosa pietra verde, forse uno smeraldo.
Non sembrava troppo alto. Non era neanche eccessivamente sgargiante, o anche solo caotico.
Eppure, Lovino rabbrividì.
«Questo posto è meraviglioso.» La nazione parlò. Aveva una bella voce, e il suo tono era pacato. Piacevole come la carezza di una brezza, una brezza così carica di umidità da far percepire la tempesta. La nazione si voltò verso di lui. Un altro brivido, talmente violento da fare quasi male. Forse l'altro aveva visto le sue spalle sussultare. Non c'era niente di strano, eppure ogni singola cosa gli urlava di scappare.
«Lieto di conoscerti, Romano.» L'uomo scese dalla soglia e lo raggiunse con falcate ampie, decise e prive di fretta. «Ho sentito tanto parlare di te ed ero curioso.»
Avrebbe volentieri ridacchiato delle brutte sopracciglie nere, spesse almeno due dita, che spiccavano sotto dei capelli biondi e rovinavano un viso che gente capace di accontentarsi avrebbe definito quantomeno guardabile. Avrebbe ridacchiato, sì, e gli avrebbe anche riso in faccia, se quello lì non avesse avuto gli occhi verdi - Occhi verdi come veleno.
«Perdonami, non mi sono presentato.» La nazione si portò una mano al petto. «Io sono England.» Le labbra si curvarono appena. «Ma forse tu mi conosci come Inglaterra.»
Il sangue defluì fino ai piedi. I piedi, come le gambe, non avevano più forza. Era Agosto, però il freddo era talmente intenso da farlo tremare - da scuoterlo per i tremori. In pochi istanti, tutto sarebbe sfumato e lui si sarebbe risvegliato con un altro bernoccolo.
Non era appena salito sulla nave di Inghilterra.
Non era da solo nella stessa stanza con Inghilterra.
Non c'era la flotta di Inghilterra ancorata sulle coste della Sicilia.
Non c'era Inghilterra in un luogo dove c'era un "problema".
Non c'era Inghilterra ad un metro scarso da lui.
Non c'era niente di vero.
Era solo un incubo, e presto si sarebbe svegliato - con un altro bernoccolo.
«Sei famoso, South Italy.» Inghilterra parlò di nuovo, dopo qualche secondo. Lo stava guardando, con le braccia conserte, appoggiato al tavolo, rilassato. «L'erede di Rome, dal nome di Amore sia da nazione che da persona, la perla del Mediterrean Sea, splendida ma indomabile, violenta e affascinante come una tempesta di fulmini.»
Lovino sperava davvero che quelle definizioni agghiaccianti non fossero citazioni, perché il gelo gli aveva stretto la gola e congelato i polmoni ed era prossimo al soffocarlo, e un conato di vomito era l'ultima cosa che voleva.
Inghilterra piegò appena la testa di lato. «In verità, non sei niente di speciale.»
Romano trasalì.
«La tua casa sembra bellissima.» Inghilterra si allontanò dal tavolo e riportò le braccia lungo i fianchi. Gli si avvicinò ma, invece di fermarsi davanti a lui, gli camminò accanto. «Ma tu non sei la tua casa, South Italy. Il tuo aspetto è gradevole, ma c'è di meglio, al mondo.» Intorno. «E perché tutti sono così ossessionati dalla tua eredità, Romano? Non è forse già stata incassata?» Non pensava avrebbe mai odiato così tanto il profumo del mare. «O forse sono tutti incantati perché sono dei pervertiti?» Una risata sommessa, odiosa e umiliante. «Se anche fosse, sono certo esista qualcuno migliore di te. Il mondo è così grande... Talmente grande che la tua posizione tanto strategica, nel Mediterrean Sea, non vale più niente. Il mondo galleggia sull'oceano, non sul mare. Ormai sei inutile.» Non erano sabbie mobili. Quell'odore soffocante di sale - di mare - era l'oceano che lo stava trascinando sul fondo, divertendosi a dargli l'illusione di riuscire a risalire e sopravvivere, per poi afferrargli una gamba e riportarlo sott'acqua, sempre più a fondo. «E la tua indomabilità? Sono tutti pappemolli o hai deciso di dedicarti ad una vita di docilità?» Si fermò davanti a lui. «È così che è finita, dopo secoli passati a logorare la vita dei tuoi padroni?» Un'altra risata leggera, e si appoggiò di nuovo al tavolo. «Però non sono deluso, sai?» Sorrise, falso e crudele. «Amo la gente che trema.»
Una passerella in mezzo agli imperi, un pacco da consegnare, sconosciuti che decidevano per lui, gente con il suo stesso sangue che gli strappava il cuore proclamandolo suo e tutto il resto d'Europa che applaudiva e approvava. E ora il diavolo si era dipinto gli occhi di verde.
Cosa aveva fatto di male, per essere continuamente umiliato in ogni modo possibile?
I suoi, di occhi, l'avevano tradito, e qualcosa era scivolato lungo la guancia fredda. E lui non riusciva neppure a parlare - a muoversi, a dare anche solo segni di vita diversi dall'espressione di certo terrorizzata che aveva, e dai sussulti che lo scuotevano.
Abbassò lo sguardo. Non c'era umiliazione peggiore di quella che aveva già subito, in fondo. Avrebbe dovuto tenere fede al suo nome da femmina, e scappare in lacrime. Era già un miracolo che fosse ancora in piedi.
Giusto.
Era ancora in piedi.
Avrebbe voluto piangere, e urlare, e scappare, ma era ancora lì, anche se senza forze, anche se ferito con malignità gratuite, pronunciate al solo scopo di farlo stare male.
Poteva scegliere.
Poteva (provare a) fuggire, e allora avrebbe (forse) potuto piangere, magari sentendo Inghilterra ridere e applaudire per il bello spettacolo.
Poteva lasciarsi andare e crollare in ginocchio, e supplicare Inghilterra di... Non sapeva neppure lui cosa. Forse di smetterla. Forse di lasciarlo in pace.
Oppure poteva inspirare tutto quel profumo di mare, e ricordarsi che quello era Inghilterra, ma quella era casa sua.
Rialzò lo sguardo. Il cuore batteva così forte che non si sarebbe stupito di sentirlo rimbombare nella cabina. Mosse le dita, quelle risposero. Chiuse i pugni. Non si sarebbe asciugato la guancia. Sarebbe stato inutile. Deglutì, e pregò che almeno la sua voce non lo tradisse.
«Hai finito con la sagra dell'insulto o sei proprio stronzo di natura?»
La voce era scheggiata, ma non tremava. Un briciolo di calore.
Inghilterra sgranò appena gli occhi. Doveva averlo sorpreso. Poi, si portò una mano al volto e scoppiò in una risata piena che gli fece venire i brividi. Sembrava davvero la risata di una strega.
«Oh, dunque questo è South Italy!» Abbassò la mano. «Speravo che quello sguardo durasse un po' di più, ma così potrebbe essere anche più divertente.»
Sperava di far tacere un infame, non di istigare un impero.
«Che cazzo ci fai qui.» Non era neanche una domanda. Doveva chiudere in fretta quel discorso, magari senza crollare sotto le parole affilate di quel demonio. Anche perché non era sicuro di riuscire a continuare a guardarlo negli occhi, né che Inghilterra non dovesse decidere di saltargli addosso e farlo prigioniero.
Pregò con tutte le sue forze che quello non fosse il suo obiettivo fin dall'inizio.
«Mh?» Inghilterra piegò di nuovo la testa di lato. «Che domanda bizzarra...» La sua voce si spense sulle ultime lettere. Tornò dritto, piano, mentre il suo sorriso si faceva più ampio e nei suoi occhi si accendeva un fuoco sinistro. «Ma tu» La realizzazione, il pregustare un piacere immenso: «non sai nulla?»
Era ovvio che Inghilterra sarebbe stato ben lieto di spiegarglielo.
Era quello il problema.
Ma stavolta lo sapeva. Sapeva che non si sarebbe risparmiato, non ora che era tanto soddisfatto, quando ciò che gli aveva detto prima era stato dettato forse dalla noia, o da un odio perso nel tempo. Si fece coraggio e si gettò nelle fauci del leone: «No. Spiegami.»
«Nove giorni fa» La voce di Inghilterra era soffice come una piuma, e sotto la piuma c'erano dei carboni ardenti. «Io, Holy Roman Empire, France e Netherlands ci siamo detti che è il caso di intervenire.»
Dai nomi, poteva sospettare si trattasse di Sacro Romano Impero e Francia; il terzo doveva essere Paesi Bassi, che di suo si presentava come Nederland. Il fatto che Inghilterra e Francia fossero alleati era un pessimo, pessimo segno. Il fatto che fossero nel Mediterraneo era la quasi conferma di un sospetto orribile.
«Non te ne sei accorto?» Inghilterra doveva essere davvero su di giri, perché la sua voce si stava facendo tremendamente derisoria: «Sardinia è stata conquistata l'anno scorso. E Sicily quest'anno. Solo... Com'è che si chiama? Messina. Solo Messina è ancora di Savoy. Peccato sia sotto assedio da un mesetto.»
Ah.
Ecco perché non c'erano navi per Messina.
Doveva essere davvero stordito per non essersi accorto che la Sardegna e la Sicilia erano state conquistate.
Sì. Sì, in effetti era stordito. Era da un po' che continuava a faticare a rimanere concentrato sulla realtà. Allora non era del tutto colpa sua.
Era quello il "problema" con cui aveva a che fare Sicilia. Povera Sicilia.
«Chi le ha conquistate?» Voleva porre fine a quello strazio.
Inghilterra sorrise. Il colpo di grazia. «Spain.»
Romano si era preparato. Si era preparato, davvero, si era preparato ad incassare quel colpo - Era ovvio, era ovvio dalla mancanza del suo nome in quell'alleanza, era ovvio dall'esistenza stessa di quell'alleanza, era ovvio dalla soddisfazione di Inghilterra. Però il suo cuore mancò lo stesso un battito, e quel piccolo calore rinato si spense all'istante.
«Quindi...» riuscì a mormorare: «Tu sei qui per fermare Spagna.»
«Actually, sono qui per trovarlo.»
"... Trovarlo?"
«Lui e la sua flotta sono da qualche parte nel sud di Sicily, e mi sono offerto di andare a stanarlo.» Continuava a sorridere, con quegli occhi color veleno. «Soprattutto, affondare navi spagnole è uno dei miei passatempi preferiti. Suppongo tu lo sappia.»
"... Trovarlo."
Serrò i pugni. Era sopravvissuto al dilaniamento da parte della propria terra. Non sarebbe crollato davanti ad un impero. «Intendi rapirmi per usarmi come esca?»
«Confesso che si tratta di un'idea molto allettante.» Gli si drizzarono i capelli nel sentirlo. «Ma la tua fama di piccolo demonio incontrollabile deve pur venire da qualche parte. Sai,» Inghilterra ridacchiò. «un rospetto mi ha raccontato che tante nazioni dell'Holy Roman Empire erano molto restie ad avvicinartisi, per paura che cavassi loro gli occhi. Solo Austria è stato così ingenuo da non accorgersene nemmeno!»
Francia. Avrebbe dovuto evirarlo.
Il sapere di essere riuscito ad inquietare Sacro Romano Impero e la sua cricca, però, lo gonfiò di soddisfazione. E fu abbastanza per sostenere lo sguardo di quel demone.
«Quindi non posso certo permettere che un tarlo così vorace scorrazzi per la mia nave di legno.» Sventolò una mano. «Volevo solo incontrarti, South Italy. Volevo vedere come fosse questa nazione tanto bella quanto ingovernabile.»
Fu allora che Romano capì.
Era ovvio, dannatamente ovvio, eppure non l'aveva capito subito.
La paura abbandonò il suo corpo, lasciandosi dietro solo qualche brivido. Il cuore rallentò il suo battito impazzito. Sentiva di nuovo un po' di calore sulle guance fredde. Non si era accorto di aver quasi trattenuto il respiro.
«Tu» sussurrò: «vuoi il Sud Italia come pegno di vittoria.»
Inghilterra sbattè le palpebre. Non era confuso, né stupito. Stava solo prendendo tempo, forse per rimirare le sue espressioni, visto che gli piacevano tanto. «Il tuo padrone è Austria, adesso. Non si chiedono pegni di vittoria agli alleati.» Una risata sommessa. Sì, stava solo prendendo tempo. «Ma, sai, le alleanze sono una cosa molto effimera.»
Ah, sì.
Ora riconosceva un vero impero.
Il più grande, spaventoso impero che solcasse i mari di quelle epoche.
Tuttavia... «L'ho notato.» ... Lui odiava gli imperi. «Immagino che, ad un impero così assetato come te, il Mediterraneo non farebbe certo schifo, anche se non è un oceano. Perché prendersi Gibilterra, altrimenti?» Il solo pensiero gli dava alla testa. «Per non parlare dello splendido punto strategico che ti offrirebbe per osservare Francia e Spagna.» Sentiva le tempie pulsare. «Ma non ti basterebbe. Non ti dispiacerebbe completare la collezione mediterranea con Bisanzio, vero?»
Inghilterra smise di sorridere. Il suo sguardo era più attento.
«Hai conquistato tanti mondi, Inghilterra.» sibilò: «Ma ogni volta ce n'è un altro. Un altro, un altro, e sembrano non avere mai fine.» Parole perse in un ricordo lontano. «Umilia pure chi vuoi schiavizzare, se ti dà tanto piacere farlo. Io non sono che un mucchietto di piccole nazioni che galleggia in un mare troppo piccolo di un continente ormai troppo vecchio.» Fece un passo avanti. «Tu, invece, sei solo un'isola che affogherà nello stesso oceano che cerca di sottomettere.» Un sussurro: «Questo è il destino degli imperi troppo avidi.»
L'espressione di Inghilterra aveva perso tutta la sua crudele soddisfazione. C'era solo un volto duro, dagli occhi gelidi. Poi, l'impero fece a sua volta un passo avanti, e il metro che li separava divenne una manciata di pochi centimetri. «E questa è la spietata South Italy.»
Romano non si scostò. Sostenne il suo sguardo. Le labbra di Inghilterra si curvarono di nuovo. «Va' pure, Italy Romano. Torna dal tuo padrone.»
«Capo.» lo corresse Lovino. Anche se forse intendevano due nazioni diverse. Con un ultimo sguardo di fuoco, si voltò e se ne andò.
Riprese fiato solo quando fu sulla spiaggia, piegato in due, nonostante avesse percorso il ponte correndo.
"Dannato bastardo." Si rialzò. Non aveva tempo, neppure per metabolizzare la paura. "Dove cazzo sei?".

Non aveva tutta questa gran possibilità di scelta ed era dovuto andare per quella più brutale. Non aveva mai rubato nulla di più grande di un merluzzo da una bancarella, e non era entusiasta di privare un suo conterraneo di un cavallo, ma aveva bisogno di un mezzo più veloce delle sue gambe. Il cavallo era stato abbastanza docile da accettare qualcuno che non fosse il suo padrone e Lovino aveva lasciato scritto, semplicemente, "Ho preso il tuo cavallo. Cercalo lungo la costa.". L'aveva scritto a terra, passando il dito su della cenere, e sembrava più un messaggio minatorio, ma tant'era.
L'idea era semplice: percorrere tutta la costa e sperare di individuare delle navi. Supponeva non fosse troppo difficile individuare una flotta, ma stava parlando dell'idiota, un acerrimo nemico della logica.
Percorse la costa verso sud. Inghilterra gli aveva parlato del sud della Sicilia e, per quanto fosse probabile stesse dicendo cazzate, non avrebbe avuto alcun motivo per mentire su quel punto. Soprattutto, confidava nel fatto che il più grande impero marittimo contemporaneo non fosse così coglione da cercare il suo nemico a Siracusa sapendolo a Trapani.
Ci vollero due ore per trovare un gruppo di navi abbastanza strano da poter essere la flotta spagnola: una ventina di vascelli vagava a caso sul mare, come barchette di carta lasciate a loro stesse in una fontana. Dato il numero spropositato di gigantesche vele bianche, un po' lo sembravano, di carta. Non dava l'idea di una flotta sul punto di ingaggiare una battaglia - Una battaglia contro un esperto di affondamenti nemici.
Lasciò il cavallo vicino ad una taverna e si diresse verso una fortezza di pietra bianca arroccata sulla scogliera. Quando arrivò, bastò l'odore quasi asfissiante di pesce per fargli intuire come quella non fosse una fortezza, ma una tonnara. Non sembrava esserci nessuno, e forse quei vascelli troppo rilassati potevano c'entrare qualcosa.
Non entrò nell'edificio - Eventuali residui di interiora di pesce non sarebbero state granché utili, al momento - e si diresse verso il bordo della scogliera. Il sole era alto, non c'erano nuvole e la luce quasi accecava nel riflettersi sul mare. In lontananza, oltre le navi, intravedeva una striscia di terra perfettamente piatta, una colossale tavola abbandonata da quelle parti più che un'isola.
Vagò con lo sguardo tra le vele, nel tentativo di trovare la bandiera dell'ammiraglia. Quello era il punto in cui il suo piano iniziava ad incrinarsi per tutte le cose che sarebbero potute andare storte. Voleva trovare l'ammiraglia, raggiungerla a nuoto e avvisare la prima persona di grado abbastanza alto che gli fosse capitata sotto mano. La cosa prevedeva trovare una persona di grado abbastanza alto, convincere i marinai a farsi tirare a bordo, riuscire ad arrivare a nuoto, trovare l'ammiraglia. Poi, certo, Austria avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per accusarlo di tradimento e, avendo il suo alleato Inghilterra già sul posto, avrebbe potuto gentilmente chiedergli di occuparsene. Forse avrebbe potuto cavarsela dicendo la verità: voleva essere lui a trovare Spagna, e spaccargli quante più ossa possibili, senza lasciare il piacere a nessun altro.
L'ammiraglia era introvabile. O era nascosta o, più probabile, era più vicina a quell'isola dello spessore di una sogliola che non alla scogliera. La luce troppo forte e la linea dell'orizzonte occupata da nuvole di canapa e lino rendevano la ricerca ancora più difficile.
Romano inspirò a fondo. Doveva calmarsi, anche se implicava quasi soffocarsi con l'odore di sale e di pesce. Non era spaventato. Non era inquieto. Era incazzato. Se ne avesse avuto la possibilità, dopo Spagna avrebbe volentieri pestato Inghilterra. E pure Austria. Anche Savoia, già che c'era. E Sacro Romano Impero, ché era sempre tutta colpa sua. E magari Francia, ché sennò si sarebbe sentito messo da parte.
Era come se non fosse cambiato nulla, da quando lui era un bambino. I secoli passavano, ma gli imperi facevano sempre schifo e lui poteva solo rimanere a guardare. Anche una volta avvisata la flotta spagnola, sarebbe dovuto rimanere a riva a guardare le palle di cannone che andavano da una nave all'altra. Avrebbe voluto continuare ad andarsene in giro per casa sua, non finire davanti ad una tonnara dopo aver scoperto almeno due imperi di troppo intenti a ronzare intorno ai suoi territori. Odiava gli imperi. Era sempre colpa loro.
«Lovi.»
E ora aveva pure le allucinazioni.
«... Non sei Felì, vero?»
No, le sue allucinazioni non sarebbero potute essere così stupide. Lovino si voltò. Incenerire quell'individuo con un'occhiataccia sarebbe stata solo una grazia, per liberarlo da una mente imbottita di segatura. Anche se forse il suo sguardo risultò molto, molto meno omicida di quanto desiderato.
«No, sei proprio Lovi!»
Centrò l'imbecille con una testata. Fosse stato umano, gli avrebbe fatto sputare tutti i denti.
«Sì, sì, questa è la conferma che sei Lovi.»
«Cosa cazzo ci fai qui, cugghiuni
Antonio si massaggiò il mento dolorante e rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo: «Sono venuto a riprenderti.»
E sì, era la risposta più ovvia del mondo, ma era anche la risposta che Lovino non voleva sentire. Fece un passo indietro. Lunga giacca rossa. Il bicorno nero, gli stivali, i pantaloni e la camicia erano ovvi, era la giacca rossa il problema. La giacca rossa e l'alabarda. Gli ricordavano di quando era bambino, di quando lui tornava dalle Americhe, di quando lui partiva per le Americhe. Era un tempo che non sarebbe più tornato, e forse Antonio era troppo stupido o troppo folle per rendersene conto.
«Cosa c'è?»
«Cosa cazzo te ne fai di un'alabarda su una nave.»
«Oh? Questa?» Spagna si voltò appena, quasi si fosse accorto solo in quel momento di avere due metri di alabarda nascosti male dietro la schiena. «È un portafortuna!» Tornò a guardarlo. «E può anche tornare utile in uno scontro, sai?»
«Non puoi sperare di nascondere un'ascia di due metri dietro la schiena, coglione.» Serrò i pugni. Nascondere l'alabarda dietro la schiena aveva senso finché l'interlocutore era alto un metro. Era peggio del previsto. «Comunque.» disse subito, prima che l'altro potesse parlare: «Inghilterra è qui. Ti sta cercando. A te e alla tua flotta.»
«Inglaterra?» Spagna parve pensarci un attimo. Poi scosse la testa, sorridente e rilassato. «Gli serve un motivo per attaccarmi. Non ti devi preoccupare.»
Ora sarebbe esploso, e avrebbe iniziato a vomitare lava e insulti. «C'è letteralmente mezza Europa che vuole fermarti e tu dici che non mi devo preoccupare?»
«Piuttosto, Lovi.» Quell'espressione serena fu turbata da un palese dubbio: «Come fai a saperlo?»
«Me l'ha detto Inghilterra.» Solo dicendolo si accorse di quanto quella frase suonasse ridicola.
«Oh.» Antonio annuì, piano. «Giusto. È alleato di Rodrigo, ora. Ecco perché può venire qui come gli pare.»
«Vuoi ascoltarmi-»
«Ti ha fatto del male?»
Quante volte aveva pensato quanto odiasse Spagna serio? Il fatto che non lo stesse affatto ascoltando, poi, dava una fastidiosa irritazione in più. «No, non mi ha fatto niente.» Nulla di fisico, almeno. «Ha un albero maestro su per il culo, ma è solo stato stronzo.»
«Speravo non dovessi mai incontrarlo.»
«E ora sta venendo qui.» Lovino ne approfittò per ritornare al discorso originario. Forse aveva sbagliato. Forse la testa di Antonio non era piena di segatura, era piena di bolle di sapone che lo stordivano di più ad ogni scoppio. «Quindi vedi di andartene e di tornare da dove sei venuto.»
«Andarmene?» Spagna trattenne una risata. «Perché dovrei fermarmi proprio ora che sono a metà?»
Quel discorso stava prendendo la piega più sbagliata possibile. «Perché mezza Europa si è unita contro di te, e sta venendo ad aprirti come i tonni che aprono là dentro.» Indicò l'edificio.
«Cerdeña e Sicilia non erano troppo dispiaciute di rivedermi.» Continuava ad evitare di rispondere. «Soprattutto, a Sicilia non piace Savoia.»
Spiegava almeno in parte perché l'isola non fosse una distesa di fuoco, urla e disperazione. La cosa era quasi surreale.
«Se anche Nápoles sarà felice di rivedermi, tutto potrebbe tornare come prima.»
Eccolo, il problema.
«Mezza Europa si è unita contro di te.» ripetè, più piano: «E sta venendo qui.» Doveva arrivare quel momento. Tanto valeva affrontarlo. I pugni stavano iniziando ad indolenzirsi. «Ti avevo detto di non fare cose strane.»
«E io non sto facendo nessuna cosa strana.» Quel tono gentile era sbagliatissimo. «Ti sto riportando a casa.»
Avrebbe fatto meno male se l'avesse falciato con la lama. «Lo sai che» Per nessun motivo, la voce uscì più bassa del dovuto. «da quando sono tornato qui, non sono più stato male?»
«È una cosa meravigliosa, Lovi!»
«Se tornassi a Madrid, starei di nuovo male.»
«Non ti devi preoccupare per questo.» Tutto era sbagliato. «Saresti i miei unici territori in Europa, e la mia regina vorrebbe sistemare i suoi figli. Non sarà troppo difficile convincere i miei sovrani ad unire i nostri regni.» Soprattutto il fatto che quell'offerta fosse spaventosamente allettante.
Sarebbe stato facile, sì. Accettare la proposta di Spagna, schierarsi dalla sua parte e smettere di essere una calzatura di terra lanciata da una parte all'altra d'Europa. Certo, era quasi impossibile che Spagna vincesse da solo contro mezza Europa, così come quasi impossibile sarebbe stata l'ipotesi di clemenza da parte dei suoi attuali padroni di fronte ad un tradimento tanto plateale. Anche senza essere critico, però, Lovino scosse la testa.
Tanto tempo prima, Manon gli aveva confidato di non capire le motivazioni di Abel. Perché abbandonare la propria famiglia e la sicurezza di essere protetti da qualcuno di potente per intraprendere una strada di sole incertezze e pericoli?
Il fatto che la risposta fosse tanto astratta ed effimera era quasi disgustoso.
«Io voglio rimanere qui.»
Spagna lo guardò, e non disse nulla. Forse non aveva capito. O forse gli stava dando del tempo per fargli ritrattare quell'affermazione, fingendo di non aver capito. La sensazione che dava non gli piaceva per niente.
«Tu devi tornartene a casa tua. E smetterla di invadere casa mia.» La maledizione degli occhi verdi. Ecco cos'era. Non c'era altro motivo per cui la voce stesse venendo meno, mentre si ostinava a non distogliere lo sguardo.
Dopo un tempo che parve infinito, Spagna parlò: «Ricordi cosa mi avevi detto?»
Non c'era bisogno di chiedere a cosa si riferisse nello specifico. «Il fatto che me ne vada non implica che io non possa tornare.» Era ciò che avrebbe dovuto dirgli, prima o poi. «Adesso, io voglio restare qui.» E doveva farlo senza segni d'esitazione, o anche solo di dubbio. «Lo siento.» Un accenno di sorpresa in quell'espressione seria. «Avrei dovuto farti giurare qualcosa di più specifico, quella sera. È colpa mia se sei qui. Hai capito esattamente ciò che volevo in quel momento.» Rilassò i pugni. Le mani erano indolenzite, le mezzelune rosse facevano male. «Sono passati solo quattro anni, ma ho potuto conoscere la mia casa. Quella vera, non quella nella mia testa.» Fece un passo indietro. «Torna a Madrid con la tua flotta, il tuo esercito e chi accidenti ti sei portato dietro. Non ti voglio qui. Né braccato da mezza Europa.» Cercò di non abbassare lo sguardo. «Ho già visto morire un impero. Non ho intenzione di vederne morire un altro. Tantomeno per colpa mia.»
Era quasi incredibile quanto fracasso potessero fare le onde che si infrangevano contro gli scogli. Ne era quasi assordato. O forse era quel silenzio ad essere assordante.
«Il mondo va al contrario.» Quando Antonio parlò, Lovino fu seriamente convinto che non avesse capito mezza parola. «Tu soffri e io ricevo una simile dichiarazione d'amore.»
Era peggio. L'aveva capita, e nel modo più stomachevole possibile. Va bene, non si era aspettato di dirgli: «Ehi, senti, tutta 'sta campagna militare che hai tirato su, eh, presente? Ecco, portatela via, che non c'ho più voglia.» e sentirsi rispondere: «Claro, Lovi, no hay problemas!», ma sperava che l'altro capisse la cosa giusta e pensasse di tornare sui suoi passi - Non che capisse la cosa sbagliata e si convincesse di più. Ma perché doveva avere a che fare proprio con uno così... vabbè, nessuna delle sue lingue aveva un vocabolario tanto vasto capace di descrivere un simile coacervo di stupidità.
Ci provò con tutta la forza che riuscì a trovare, ma dovette cedere all'impulso di affondare la faccia tra le mani. Riuscì a non ricoprirlo di insulti, quello sì, ma un mugolio irritato uscì lo stesso.
«Mi dispiace che questo ti rattristi.» Antonio aveva ignorato la sua palese risposta esasperata. «Però te l'avevo detto. Farei quasi qualsiasi cosa per renderti felice.»
Lovino riemerse. Si stava perdendo qualcosa. «Che cazzo c'entra? Dovresti darmi retta, allora!»
«Ma se avevi anche protestato!» Spagna scosse la testa, conciliante. «Non ricordi? C'è solo una cosa che non posso darti.»
Giusto. Quell'unica cosa. Romano mise le braccia conserte. Non lo aiutò a calmarsi. Un po' ci aveva sperato. Non c'era più rabbia, né esasperazione.
«Guarda che l'ho capito.» disse, a bassa voce: «Ma ora tu non c'entri niente. Non è da te che devo ottenere l'indipendenza.»
Non aveva mai pronunciato quella parola, riferito a se stesso. Concretizzava un'idea troppo assurda per poterci davvero pensare. Almeno, quello era ciò che aveva creduto per tutti quegli anni. Forse, in un qualche modo, c'era una vaga, remota, lontanissima possibilità di poterci anche solo sperare.
Spagna sospirò. Un sospiro profondo, di chi sa che dovrà parlare con qualcuno a cui non piacerà la totalità di ciò che dirà. Romano non distolse lo sguardo, ma non sciolse il muro di braccia.
«Lovi.» E già partiva male. Non poteva iniziare un discorso del genere con quel tono comprensivo, come se stesse cercando di far ragionare un pazzo. «Hai dimenticato che il tuo nome è dovuto ai tuoi signori?»
Una coltellata. Poteva quasi sentire il filo della lama.
«Non esiste un popolo che si identifichi come Sur de Italia. Così come non credo che Nápoles e Cerdeña sarebbero troppo entusiasti di appoggiare un ideale che si basa sul togliere loro il potere.»
Romano serrò la presa sulle maniche.
«Se anche tu diventassi indipendente, come faresti a difenderti dagli altri?»
Non aveva nessuna risposta e il rendersene conto gli fece venire il mal di testa per l'irritazione.
«Puoi provare ad appoggiarti a qualcuno, ma a chi?» Sorrideva. Non era una buona cosa, dato quello che stava dicendo. «Austria è colui contro cui vuoi ribellarti, no? E poi, lui ti tiene solo per capriccio. Non gli importa davvero di te.»
Lo sapeva, e ciò rendeva la sua sudditanza ancora più frustrante.
«Francis ti accoglierebbe a braccia aperte.»
Rabbrividì.
«Se poi diventassi territorio inglese, Francis sarebbe ancora più intenzionato ad impossessarsi di te.»
Non dubitava che quello fosse lo scenario peggiore. Incastrato tra Inghilterra e Francia. Non era certo la persona più buona del mondo, ma una simile punizione sarebbe stata troppo.
«Oppure, potresti chiedere a Sacro Imperio Romano.»
«Piuttosto-»
«Sono sicuro che Felì potrebbe mettere una buona parola.»
Romano chiuse la bocca. Una cosa lo stava irritando più di quello scenario apocalittico.
«O forse vuoi chiedere a tuo zio?» Un sospiro divertito. «Chissà a chi ti venderebbe.» Il manico dell'alabarda oscillò appena tra le sue dita. «Io non ho abbastanza denaro per partecipare all'asta.»
La cosa che lo stava irritando di più era il fatto che il bastardo avesse usato con fin troppa cura tutti i suoi punti deboli, e l'aveva fatto sorridendo come un impero.
«Tu sei buono, Lovi. Ecco perché tutto quello che è successo ti ha riempito la testa di pensieri cupi.» Fece un passo avanti, ma Romano indietreggiò. Non avrebbe potuto fare nessun altro passo indietro, però.
«Arriverà il momento in cui potrai riavere tuo fratello e la tua città.» disse Spagna: «Ma non è ora. Ora è troppo pericoloso rimanere da soli.»
«E ci penserà un impero sgretolato a proteggermi?» Sciolse la muraglia di braccia. «Torna a casa.»
«È questo che ti preoccupa?» Il bastardo parve stupito. «Che io non sia abbastanza?»
Lovino gli sarebbe saltato addosso, se non avesse avuto il dubbio che l'altro ne avrebbe approfittato per bloccarlo, caricarselo in spalla e portarlo via.
«Ma porca di quella puttana, la vuoi smettere di capire una fottuta parola su venti? Vuelve a tu casa! Lo capisci, ora?»
«Tornerò a casa mia quando mi sarò ripreso anche Nápoles. E tu verrai con me.»
Non avrebbe cambiato idea. Aveva quasi dimenticato quanto Spagna sapesse essere testardo.
«Non ci arriverai. Lo sai benissimo.»
«Non mi vuoi aiutare, vero?»
Romano scosse la testa. Quella domanda di tradimento tanto esplicita era inquietante.
«Va bene lo stesso. Non ti vorrei mai sul campo di battaglia.»
«Bene, allora fammi passare.» Non sarebbe mai riuscito ad andarsene, se lui fosse rimasto lì davanti a bloccargli la strada. «Perché presto questo posto lo sarà.»
«Farti passare?» Antonio sbattè le palpebre, confuso. «E dove vuoi andare?»
«Non a Fanculo, perché a Fanculo ci devi andare te.»
«Ma assolutamente no, Lovi.» Una mano gli carezzò la guancia. Quando Lovino si rese conto di quanto fosse freddo quel tocco, capì quanto la situazione fosse peggiore di come avesse immaginato. «Tu ora vieni con me. Ti imbarco su un'altra nave, e ti faccio portare al sicuro. Se mai perderò, dirò di averti preso prigioniero. Nessuno ti accuserà di tradimento.»
L'unica cosa che non avrebbe mai potuto dargli era anche qualcosa che non avrebbe mai permesso che lui avesse.
Il coltello che l'aveva pugnalato prima fu estratto. Era rimasto conficcato per tutto il tempo. Quando fu tirato via, fece ancora più male.
«Quindi ti metterai in mezzo.» sibilò, soltanto.
«Io non mi metterò in mezzo a nessuno.» Un sussurro gentile. «Sei tu che ti stai mettendo sulla mia strada, Lovi.»
Doveva scappare. Subito.
Si sarebbe potuto lanciare dalla scogliera, ma Spagna avrebbe fatto in tempo ad afferrarlo - O avrebbe comunque trovato il modo di inseguirlo, per mare o per terra.
«Capisco che la cosa non ti piaccia.» continuò Spagna: «Ma tu sei troppo ingenuo, Lovi. Lasciami fare quel che è più sicuro.»
Romano allontanò quella mano dal viso. «Quel che è più sicuro? Perché dovrei darti retta?» Non aveva vie d'uscita. «Tu sei un invasore.»
Se Spagna aveva sviscerato i suoi punti deboli, lui avrebbe fatto altrettanto.
«Un invasore?» Antonio si portò una mano al petto. Sotto la stoffa, doveva esserci la croce. «Sì. Sì, in effetti, puoi definirmi così, se non vuoi aiutarmi.»
Ma Spagna era così perso nel suo mondo da lasciarsi scorrere addosso parole del genere. Forse Romano aveva davvero fatto qualcosa di abominevole. Tuttavia, non riusciva a credere che desiderare di decidere da soli fosse qualcosa di sbagliato.
«What a tearful vision.»
Lovino trasalì, e Antonio altrettanto. Spagna si voltò, Romano guardò oltre la sua spalla.
Inghilterra era davanti a loro, cappello sulla testa, giacca blu, sguardo divertito. La spada sguainata posata sulla spalla scintillava alla luce del sole. «Quindi ti eri nascosto qui con il tuo adorabile demonio, Spain.»
La lama dell'alabarda fendette l'aria, ma Inghilterra la parò.
«Lo sai che è stato lui a portarci qui da te?»
Romano si diede del coglione. «Volevi che lo trovassi io per te.»
«Perché sprecare tempo e risorse, quando può farlo qualcun altro?»
La spada e l'alabarda si separarono, e Spagna e Inghilterra si fronteggiarono.
«Ma tu non c'eri!» protestò Lovino: «Mi sarei accorto se un impero mi stesse seguendo!» Era piuttosto esperto. E il non essersi accorto di lui così vicino, in quel momento, era stato colpa della distrazione.
Spagna continuava a fissare Inghilterra. «Tranquillo, non penso che tu sia dalla sua parte.»
«Che cazzo me ne fotte di quello che pensi tu, mi fa incazzare essere stato preso per il culo così!»
«Infatti non ti ho seguito io.» Inghilterra indicò qualcosa con la spada. «Sono state loro.»
Lovino guardò nella direzione indicata. Aria. Vento. Cielo. Tornò a guardare Inghilterra. «Eh?»
Quell'espressione beffarda si sciolse in una di stizza. «Le silfidi! Le stesse che ti hanno individuato all'amphitheater
Si era chiesto come avessero fatto quei soldati a trovarlo, ma non si era posto troppo il problema. A volte le cose succedevano e basta.
«Non ascoltarlo.» disse Spagna, freddo: «Inglaterra cerca sempre di distrarre gli altri con le sue stregonerie.»
Perfetto, dunque Inghilterra era un effettivo stregone, quindi non era strano che fosse così affine al demonio.
«Siete voi che non vedete la realtà.» Inghilterra ridacchiò. «Un po' come te, Spain. Il tuo lovely Lovin ti detesta.»
«Non osare dire il suo nome.»
Ancora una volta, nazioni che parlavano di lui come se lui non ci fosse. Tuttavia, non gli piaceva che insultassero il bastardo in quel modo, anche se era fuori di testa.
«Tu ti ostini a non vederlo, ma lui non aspetta altro che tu te ne vada.» Inghilterra parò un altro fendente. Da come risuonarono le lame e da come gli tremò il braccio, doveva essere stato un colpo violento. «La vera domanda è: ti odia o ti teme?»
Spagna si bloccò. Era ovvio cosa sarebbe successo un secondo dopo, ma Spagna era sempre stato stupido. La spada di Inghilterra scivolò sulla lama dell'alabarda e lacerò una spalla. Spagna riuscì a riprendersi un istante prima di essere trafitto ed evitò quello che sarebbe stato un colpo decisivo.
«Sai qual è il tuo problema, Spain?» Inghilterra riportò la lama sulla spalla. Non scintillava più. «Che dici agli altri di non ascoltare, ma poi non ti perdi una sola delle mie parole.»
«Ohi.»
Era stanco. Stanco di sentire nazioni che parlavano di lui, che si scontravano per la sua terra, per qualsiasi cosa riguardasse lui. Stanco di sentire cazzate. Stanco di assistere. Stanco di rimanere lì. Stanco di quella boria.
Inghilterra lo guardò. Romano aveva paura di lui. Lo sapevano entrambi benissimo. Tuttavia, Romano era sempre stato più iroso che codardo.
«Credi davvero che i tuoi fratellini rimarranno con te per sempre?»
Inghilterra si fece serio. No, non serio. Sdegnato.
«Lascia che ti dica una cosa.» Senza voltarsi, mosse un passo sul bordo roccioso. «Le tue colonie non ti rimarranno accanto per sempre.» Sentiva gli schizzi delle onde sulla pelle. «E probabilmente la prima ad andarsene sarà proprio quella per te più importante.»
Una scintilla nello sguardo di veleno di Inghilterra. Rabbia. Alzò la spada e la puntò verso di lui. «You will beg me to have mercy on you.»
Ma dovette saltare di lato per evitare la lama dell'alabarda. «Detén tu lengua.» La cuspide fu bloccata all'ultimo istante dalla spada.
Romano chiuse gli occhi. Era davvero stanco di tutto quello. Li riaprì.
«Divertitevi, invasori!» Fece un cenno con la mano, si voltò e si lanciò.
Sarebbe sopravvissuto. In qualche modo. Sperava solo di non doversi ricucire la testa o di doversi riattaccare uno o più arti. Anche solo quell'ansia doveva essere la sua punizione per aver meditato di nascondere eventuali pezzi staccati di Spagna.
Spagna. Era quasi sempre colpa sua. Adeguato. In fondo, gli piacevano tanto, i quasi.

.

Note:
[ Personaggi ]

* "Sabina Tiberi" viene dalla Sabina, antica regione corrispondente all'attuale circondario di Rieti, i cui abitanti (Sabini) furono tra i primi ad assimilarsi ai romani, e da Tiberis, il Tevere. Sì, "Romolo e Romano" suonerebbe troppo romano, ma "Reatina e Fiume di Roma" sarebbero meno loscamente laziali. (???????)
* Il riferimento alle "sirene spiaggiate più a nord (della Sicilia)" deriva dal mito di Partenope, sirena che visse a Napoli - Da cui il termine "partenopeo".
Ovviamente, questo è anche il motivo per cui, nello scorso capitolo, Lovino era stato definito anche "sirena", nelle descrizioni deliranti. (?)
* Il riferimento al nome di Amore sia da nazione che da persona è dovuta da una parte al fatto che "Roma", letto al contrario, è "Amor", dall'altra al fatto che, in inglese, "Lovin" richiami il verbo e la parola "(to) love".
[ Storiche ]
* Dal Novembre 1717, la Spagna si lanciò al recupero dei possedimenti italiani.
La regina Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna Filippo V, desiderava proprio tantissimo che i suoi figlioletti avessero dei piccoli territori da dominare, e convinse tutta la corte spagnola che fosse un'ottima idea.
Nel frattempo, in Francia, Luigi XIV era infine morto, Luigi XV era ancora minorenne e la Spagna avrebbe potuto avanzare pretese sul trono francese.
L'Europa ebbe dei Vietnam flashback con mille anni d'anticipo e la Francia (Che non voleva casini con la propria successione), l'Inghilterra (Che non shippava Francia/Spagna) e i Paesi Bassi (Che non voleva avere un gigantesco blocco spagnolo dietro casa) firmarono la Triplice Alleanza (Che NON è quella che fa pendant con la Triplice Intesa, ma una sua omonima, perché la fantasia si spreca). Finita l'ennesima guerra contro l'Impero Ottomano, alla Triplice si unì anche il Sacro Romano Impero (Che si portava dietro l'Austria e il Ducato di Savoia), portando la gang a cambiare nome in Quadruplice Alleanza.
La Spagna, ovviamente, non se n'era stata con le mani in mano e aveva approfittato della guerra turca per riprendersi la Sardegna. Dato che, a quanto pareva, ai siciliani stavano sulle balle i savoiardi, gli spagnoli conquistarono senza troppe opposizioni anche la Sicilia - ad eccezione di Messina, assediata per circa due mesi.
I Fantastici Quattro si resero conto che, nel tempo che loro avevano impiegato a scegliersi un nome, la Spagna aveva già riconquistato metà dei suoi ex-domini italiani. Quindi, le mandarono un ultimatum: che ritirasse le truppe dalla Sicilia e dalla Sardegna, o sarebbe stata guerra.
La guerra fu dichiarata esplicitamente il 17 Dicembre 1718; in realtà, la Francia e i Paesi Bassi entrarono in guerra l'anno successivo, mentre l'Inghilterra ne approfittò per provare a smuovere qualcosa anche dal lato coloniale.
La Sicilia fu recuperata nel 1719, la Sardegna rimase in mano agli spagnoli fino alla firma del Trattato dell'Aia, il 20 Febbraio 1720.
Nel Trattato, la Spagna prometteva di starsene buona, Savoia e Austria si scambiavano la Sicilia e la Sardegna (Dunque la Sicilia divenne austriaca, e la Sardegna savoiarda) e Carlo di Spagna, uno dei figli di Elisabetta Farnese, diventava erede del Ducato di Parma e Piacenza e del Granducato di Toscana. Negli anni successivi, questo signore si sarebbe rivelato piuttosto importante per la storia del Sud Italia. [ 1, 2, 3, 4 ]
* L'11 Agosto 1718 ebbe luogo la Battaglia di Capo Passero, in Sicilia, tra la flotta inglese e quella spagnola. La vittoria fu dell'Inghilterra.
Sì, gli inglesi dovettero cercare la flotta spagnola. Di contro, alla flotta spagnola non era ancora giunto l'ultimatum della Quadruplice Alleanza, ed era dunque inconsapevole del fatto che la flotta inglese la stesse cercando per combattere. [ 1, 2 ]
* Nel 1718, in realtà, l'Inghilterra non era ancora l'impero marittimo più temibilissimo dei sette mari: lo diverrà a seguito del periodo napoleonico, con la Spagna ormai ridotta a zombie semovente. (Grazie a GwenChan per avermelo fatto notare!)
Ho deciso di lasciare tutti i riferimenti all'impero marittimo più temibilissimo dei sette mari perché è Lovino a vederlo così - e perché così dà più l'idea del divario che c'è tra loro due. (?)
* Nel 1718, il Palazzo Reale di Napoli era piuttosto diverso dall'attuale. All'epoca, ad esempio, la parte del palazzo in cui è posizionato lo scalone era piuttosto buia - Divenne luminosa quando, nel 1843, si ebbe l'idea di buttare giù palazzi e fare finestre più grandi. [ 1 ]


Primo capitolo della seconda parte, in tempo per la fine dell'anno~

Su questo capitolo ci potrei scrivere pagine e pagine tanto c'è da dire, quindi andrò con ordine (casuale).
Sono particolarmente legata a questo capitolo perché tutta la parte nel presente (Quella non corsivata, in pratica) ce l'ho in mente dal 2013. Ebbene sì, l'avevo pensata per la fanfiction sul Risorgimento - Ovviamente, non era ambientata a Siracusa e alla tonnara di Portopalo, né si parlava della xxxxplice Alleanza, e i dialoghi erano parecchio diversi ma, di base, lì stiamo. Per questo non volevo assolutamente che Lovino incontrasse Arthur prima di questo capitolo: l'ho pensato sette anni fa, non avevo intenzione di mandare tutto all'aria! Tuttavia, la Storia mi ha aiutata e ho potuto scrivere quello che volevo! (๑•̀ㅂ•́)و✧

Parlando di ciò che succede nel capitolo, partiamo dalla cosa più importante- Lovino che torna in Italia? Lovino che incontra il suo popolo? Antonio fuori di testa? Ma no! ARTURO!
Arthur fa parte, insieme a Lovino, Antonio e Feliciano, della rosa dei miei personaggi preferiti di Hetalia, quindi avere un capitolo con i primi tre non può che gasarmi. ☆ Soprattutto, si sarà capito, adoro scrivere di gente savage. E un confronto tra Arthur e Lovino non poteva che essere pregno di insulti più o meno velati e kattyweryeh più o meno gratuite. ... Certo, poi mi sono ritrovata ad avere uno dei miei personaggi preferiti che tratta anche troppo male un altro dei miei personaggi preferiti, ma-
Sì, Arturo è stato molto gratuitamente kattywoh con Lovino. Lo sa lui, lo sa Lovi, lo so io e suppongo lo sappiano anche le particelle di ossigeno, azoto e argon che li circondano. Credo che si capisca di più quando provoca Antonio, ma vorrei comunque spiegare il suo punto di vista: per lui, colpire Romano è colpire uno dei più grandi punti deboli di Spagna, da lui cordialmente detestato; allo stesso tempo, è curioso di questo famoso Sud Italia, soprattutto è curioso di vedere quanto sia "ingovernabile". Per Arthur, Lovino è una parte importante di un suo secolare nemico, un qualcosa che lo incuriosisce ma anche qualcosa che gli suscita un certo senso di sfida. Non so se l'Inghilterra mirasse sul serio al controllo del Mediterraneo, ma non la ritengo un'ipotesi troppo campata per aria-

Altra cosa importantissima- Anzi, no, vitale! Cosa vitalissima di questo capitolo... Sì. C'erano già indizi nel capitolo precedente, ma qui è palese: i vestiti sono quelli della Pirate!Hetalia.
E questo capitolo è spudoratamente Pirate!Hetalia: mare, pesce, Arthur che viene a rompere le palle alla Spamano- Ora che ci penso, ma c'è qualche fanfiction con Arthur protagonista che si sta facendo i fatti suoi ed è Antonio, in veste di antagonista, ad andargli a rompere le balle? È sempre Arturo a mettersi in mezzo (Trope che, beninteso, io adoro.), sarei curiosa di vedere l'opposto- Se mai mi verrà in mente qualcosa, scriverò una fanfiction assurda a tema Pirate!Hetalia con Arthur protagonista e Antonio antagonista.
Purtroppo, sia per amor di (tentata) accuratezza storica, sia perché altrimenti l'abbigliamento anacronistico di Spagna non sarebbe stato altrettanto al centro dell'attenzione, Arthur riappare con la divisa che si suppone avere nel 1718. Ma altro non è che un fine simbolismo: Arturo è nostalgico, ma sa quando tornare al presente, mentre Antonio è proprio perso nel suo mondo in cui Cinquecento/Seicento/Settecento si fondono senza soluzione di continuità! *Soe che prova ad elevare il fatto che voleva solo abbigliarli da pirati.*

Dato che si sta parlando di cose serie, inserisco qui il fatto che, UDITE UDITE, questo capitolo ha UN EXTRA specialissimo, bellissimo e fantasticissimo! ヾ(@゜▽゜@)ノ A quanto pare, la mia beta è rimasta particolarmente colpita dalla scena di Arthur e Lovino, tanto da commentarla in modo così sublime che mi sono sentita in dovere di riscriverla secondo la sua magistrale visione. ☆
La trovate [→ QUI! ← ], sul mio blog-sgabuzzino. Accorrete, accorrete! Potrete trovare pesci usati in modo improprio, copricapi inusuali, fantasmi giapponesi e sangue gratuito! -=≡Σ(((⊃゚∀゚)つ
P.S.: Alla mia beta ha suscitato ilarità anche il fatto che Lovino abbia rubato un merluzzo. Se ciò ha causato riso anche alle vostre persone, potete sostituire il merluzzo con uno squalo goblin.

Tornando a cose meno interessanti. La scena di Lovino e Antonio è ambientata alla tonnara di Portopalo, comodamente a strampiombo sul mare. Potete vedere la tonnara QUI e QUI. Come noterete, c'è un 98,abbastanza% di possibilità di trasformarsi in polpette qualora si abbia la balzana idea di balzare. Ci sono però dei punti in cui sembra non ci siano scogli troppo vicini alla superficie - Potete pensare che Lovino si sia gettato da lì.
Oppure, se siete sadic*, potete pensare si sia sfracellato e abbia fatto il dito medio ad Antonio e Arthur chiudendo le dita di una mano e agitando il rispettivo braccio come una bandiera. *L'headcanon delle nazioni che si ricuciono come Sally di Nightmare Before Christmas continua, sempre più splatter, sempre più wtf?*
(Fun fact: La scena di Lovino che si lancia, mandando tutti a quel paese, era uno dei punti cardine del capitolo. Inizialmente, avevo pensato di ambientare la scena all'isola di Capo Passero. Poi ho visto l'isola. Non so quante probabilità ci fossero di beccare l'unica isola piatta come un foglio - e dunque priva di punti da cui lanciarsi - e assolutamente deserta - e dunque priva di motivi per cui Lovino avrebbe dovuto fare la fatica di andare lì in primo luogo.)

Prima di parlare di Lovino, forse ci si chiederà come accidenti Antonio l'abbia trovato. Stavolta non sono stati i suoi incredibili poteri da stalker ma la casualità: un pattugliamento sulle coste siciliane e un cannocchiale puntato nel luogo giusto al momento giusto, più il tempo di attraccare, scendere e raggiungerlo. A quanto pare, Spagna non era sull'ammiraglia-

Infine, Lovino. Lovino che aveva bisogno di distaccarsi da Antonio e sviluppare appieno quel "dubbio" che gli aveva instillato Manon - Vedere, testimoniare quanto il suo popolo esista e non lo detesti, capire quanto nessun essere vivente sia inutile, grazie alle scelte che compie. Era qualcosa che non poteva certo fare a Madrid e che Antonio gli stava impedendo di fare - Non per cattiveria, ma per esplicita volontà di tenerlo legato a sé in modo molto poco sano. Questo è il problema di Antonio con Lovino: pur di non lasciarlo andare, è disposto ad impedirgli di ottenere la libertà, quella libertà che renderebbe "inutile" la sua presenza. Se Lovino non avesse realizzato quanto fosse concreta la possibilità di essere libero, non si sarebbe mai impegnato nel perseguire il suo desiderio e, in quest'occasione, avrebbe accettato l'offerta di Spagna.
(Fun fact parte 2: In principio, la riunione di Lovino e Antonio sarebbe dovuta essere più, uhm, calorosa. Tuttavia, quando mi sono ritrovata a scrivere, mi sono resa conto che Spagna era troppo spudoratamente anacronistico perché la sua follia passasse inosservata agli occhi di Romano, quindi niente, complimenti, Antò, a fare lo scemo ci hai perso una limonata!)
Forse avrei dovuto mettere più incontri con gente varia, ma non l'ho fatto per svariati motivi: il primo è che sarebbe venuto un capitolo eterno; il secondo è la mole di ricerche che sarebbe stata necessaria per descrivere la vita quotidiana del Sud Italia nel Settecento; il terzo è che avrei dovuto concentrarmi su un luogo in particolare, mentre il flashback con il locandiere è volutamente neutro, così da non dare un'esplicita locazione geografica - Regno di Napoli? Di Sardegna? Di Sicilia? Boh, potrebbe essere successo ovunque!
(Il primo motivo è anche ciò che mi ha spinta a "ridurre" la scena della separazione da Manon ad un breve flashback ma, in verità, lo preferisco così: un ricordo ormai lontano, in cui è rimasto impresso soprattutto quello scambio di battute.)
Poi, il fatto che Lovino non si sia accorto che la Sardegna e la Sicilia fossero state conquistate. Da una parte, è assurdo come sembra, dall'altra ci sono due motivazioni: le invasioni non furono brutalissime - Anzi, come detto, i siciliani erano tutt'altro che furiosi o spaventati dal ritorno degli spagnoli - e il fatto stesso che il suo territorio sia stato invaso dal suo vecchio Capo ha inconsciamente rimbambito Lovino, spingendolo a perdersi nei ricordi e a faticare a mantenere il contatto con la realtà - Inoltre, Romano ha scelto di conoscere il suo territorio, ma ancora esita ad accettare Napoli, Sicilia e Sardegna come persone, cosa che lo rende meno sensibile agli sconvolgimenti politici dei suoi regni.
Per concludere, la "profezia" di Lovino è un'ulteriore ripresa da Cuma e dalla Sibilla Cumana (L'avevo detto che sarebbe tornata!). Può piacere come non piacere ma, visto quanto Arthur è legato al soprannaturale, mi affascina l'idea che uno dei suoi più grandi shock gli sia stato predetto da qualcuno - Predizione che considererà solo una minaccia a vuoto, ma che lo porterà al panico assoluto quando si renderà conto del suo starsi realizzando. *Soe va giù di headcanon.*

Queste note sono lunghissime, ma erano necessarissime~☆
Siamo quasi alla fine di questo anno... uhm... assurdo. Ecco. Siamo quasi alla fine di questo anno assurdo. Auguro a tutti voi delle feste serene e spero possiate iniziare l'anno con un po' di positività. (◍•ᴗ•◍)♡ ✧*。
  
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