Io però, cose incompiute non ne lascio, quindi... tranquilli. Non rimarrete delusi!
Tokyo
(Giappone), alcuni giorni dopo…
Jane inspirò profondamente appena sceso
dall’aereo, giusto per calmare i nervi. Si era fatto quasi
venti ore di volo,
salvo i tre quarti d’ora passati a Los Angeles per lo scalo,
e adesso non ne
poteva più, e non era certamente solo perché
sentiva l’intero corpo
indolenzito.
Era il fatto che avesse mentito, di
nuovo, ancora, a Teresa,
raccontandole che il capo – Cho, gli faceva ancora strano che
adesso alla cima
della catena alimentare ci fosse lui, eterno braccio destro di Teresa
Lisbon ai
tempi del CBI, suo pari all’FBI- aveva ricevuto ordine dai
grandi papaveri
dell’FBI di fargli risolvere un delicatissimo e complicato
caso a New York, che
lo avrebbe tenuto impegnato per almeno una decina di giorni, pena
l’annullamento dell’accordo firmato nemmeno due
anni prima e la sua incarcerazione.
Mentire gli rodeva e non poco, ma Jane
sapeva di avere scelta. Non era solo il fatto che mentire, manipolare e
tenere
segreti era parte della sua identità e della sua natura, era
che la voleva
difendere, lei e loro figlio, da chi avesse voluto fare loro del
male… e dal
fatto che, forse, si era sbagliato, si erano sbagliati tutti, e non era
davvero
finita.
Forse, John il Rosso era ancora vivo.
Forse, qualcuno aveva raccolto la sua
crudele eredità di morte.
Quello che sapeva di certo, era che
Visualize doveva essere al centro della cosa, e questa volta non si
trattava
solo di una martellante ossessione, di un’estemporanea
intuizione- no, questa
volta, lui, lo sapeva per certo, se lo sentiva.
Anche se questa nuova consapevolezza
gli era giunta per puro caso, quando gli era capitato tra le mani un
rotocalco,
molti mesi prima, mentre era andato ad accompagnare Teresa ad una
visita
medica. Lì, aveva visto l’articolo che aveva dato
il via al tutto, che aveva
risvegliato il suo comportamento ossessivo e quel nascondersi, quel
fingere di
cui Teresa era ben conscia- perché per capirlo lei non aveva
mai avuto bisogno
di troppe parole- e che le spezzava il cuore.
Sospirò, meditando se accendere il
telefono o meno.
Decise di no- non avrebbe potuto non
risponderle se avesse chiamato, e allora lei avrebbe sentito le voci in
sottofondo e avrebbe capito che non era a New York e che le aveva
raccontato
una balla, l’ennesima, e stavolta si sarebbe incazzata di
brutto e lo avrebbe
mollato di sicuro.
Grazie, ma no grazie. L’avrebbe
chiamata lui, più tardi. Magari da una camera
d’albergo. Nel silenzio assoluto.
Alzò un braccio in segno di saluto
quando vide che i suoi accompagnatori in quel viaggio erano
già arrivati, ed
erano seduti su una panchina vicina al nastro del ritiro bagagli,
ognuno di
loro con la propria solita espressione- Cho era scocciato,
apparentemente
freddo e distaccato, mentre invece Abbott era rilassato,
addirittura… felice,
quasi entusiasta. Jane non avrebbe voluto mettere in mezzo il suo ex
capo in
quella storia, ma era stato Cho ad insistere: Abbott aveva
l’immunità
diplomatica grazie all’importante ruolo ricoperto dalla
moglie, aveva
già lavorato in Giappone come agente
operativo ma, soprattutto, lo aveva rassicurato Cho, aveva dei
“contatti” che
sarebbero stati di aiuto.
“Patrick. Avrei preferito rivederti in
circostanze migliori…” Gli disse stringendogli la
mano, mentre Cho
fece solo un lieve cenno col capo- si
erano visti solo due giorni prima, dopotutto, non sei mesi. “Andiamo, mi
sono già procurato una
macchina.”
Jane alzò un sopracciglio, con un
sorrisetto sghembo. “Curiosa scelta di parole, la
tua…”
“Perché me l’ha
trovata un amico.
Niente tracce, né cartacee né
digitali.” Aprì con il telecomando la serratura
centralizzata di una Jeep Cherokee, verde militare, e, aperto il
portellone,
afferrò un borsone e lo aprì, tirandone fuori dei
passaporti che dette ai
compagni. “A tutti gli effetti, io sono in North Carolina con
le mie figlie e
voi siete a New York ad indagare ad un caso. Nessuno di noi
è mai atterrato a
Tokyo.”
“Non è esagerato?”
Cho chiese. Oltre che illegale, pensò,
ma non lo
aggiunse. I suoi compagni lo sapevano, ma purtroppo, dopo che aveva
condiviso
con loro le sue parole, avevano capito che forse quello era
l’unico modo di
agire. Segretamente, nell’ombra.
“Se la Società di William
Blake esiste
ancora, vuole dire che le forze dell’ordine, a
chissà quale livello, sono
intrigate in questa faccenda.” Jane strinse i denti, sentendo
il sangue
andargli alla testa. Si tolse la giacca del completo ed il gilet,
rimanendo in
camicia, e si rotolò le maniche- il tre pezzi attirava un
po’ troppo
l’attenzione. “Per anni McAllister si è
servito delle sue talpe nelle agenzie
per essere sempre un passo avanti a noi e liberarsi di prove e
testimoni. Non
c’è motivo di credere che il suo pupillo, se di
questo si tratta, sia diverso.”
Abbott salì alla guida della macchina
con sicurezza, dimostrando che le storie che Cho aveva raccontato erano
non
solo vere, ma forse limitative della sua esperienze nel paese del
Sud-Est
Asiatico, e si incamminò nel traffico caotico della capitale
con destrezza e
maestria; di tanto in tanto, si limitava a gettare l’occhio
su un foglietto a
quadretti, su cui erano scarabocchiate delle fitte indicazioni con un
inchiostro chiarissimo. Per l’intera durata del viaggio, non
parlarono,
nonostante Jane morisse dalla curiosità, ma sentiva che
presto avrebbe avuto
tutte le risposte alle sue domande- come pure gli altri avrebbero
saputo tutto.
Ogni cosa al momento debito.
Tirò fuori il telefono, e, lasciandolo
in modalità aereo, iniziò a scorrere le
fotografie- la sua nuova famiglia, il
compleanno della figlia di Grace e Wayne, la nipotina di Teresa, a cui
stava
insegnando i trucchi del mestiere, le foto del matrimonio, la prima
ecografia,
e le foto del suo bambino.
Non gli piaceva piangere, ma in quel
momento desiderava ardentemente farlo, nonostante sapesse di dover
mantenere
forza e lucidità per loro, eppure si sentiva straziato, il
suo cuore a pezzi,
solo, freddo…. Era come se un pezzo di lui mancasse. Proprio
come quando aveva
perso le sue ragazze.
Ma stavolta, sarebbe stato temporaneo.
Stavolta, avrebbe difeso la sua
famiglia con le unghie ed i denti, a qualunque costo.
Abbott entrò nel bar, nonostante il
cartello indicasse la chiusura, deciso, con passo scattante- eppure,
estremamente
rilassato. Il locale, Jane vide, era vuoto, salvo per le due persone
dietro al
bancone, e le luci erano soffuse, quasi a non voler attirare
l’attenzione
dall’esterno.
“Siamo chiusi.”
L’uomo dietro al
bancone tuonò. Jane fu tentato di fare un passo indietro,
tale fu lo spavento.
Era… imponente, come una montagna.
Alto, massiccio, duro, il cranio rasato come molti militari, e dei
militari aveva
la fisicità generale, il portamento. Anche se
c’era qualcosa che stonava in
lui, come se fosse… altro, di più. Qualcosa di
diverso.
“Sì? Anche per un vecchio
amico?”
Abbott gli domandò, sarcastico, dandogli la mano, che
l’uomo afferrò,
stringendola con forza. “Falcon, ne è passato di
tempo…”
“Per te, Danny, la porta è
sempre
aperta, lo sai.” Si liberò dalla stretta
dell’uomo, e, incrociando le braccia,
indicò con un cenno del capo la graziosa ragazza che era con
lui. Di una bella
ventina d’anni più giovane del nerboruto barista,
almeno all’apparenza, aveva
lunghi capelli scuri, e occhi intelligenti e vivaci, che ricordarono a
Jane di
Grace. “Ti ricordi di mia moglie Miki?”
“Di Miki,
sì…” Ammise sedendosi al
bancone, gli occhi improvvisamente tristi e bassi, come se per un
attimo la sua
mente fosse andata altrove, ad un tempo passato che preferiva
dimenticare. “Ma
che fosse tua moglie, questo mi mancava. Ma non me ne meraviglio. Lo
diceva
sempre che saresti stato suo, un giorno….”
“Aspettiamo ancora qualcuno?”
Cho
domandò, sedendosi accanto a Abbott, e Jane fece lo stesso.
La montagna si
limitò a fare cenno di sì, e si mise a trafficare
alla macchina del caffè. In
men che non si dica i tre americani avevano delle tazze fumanti davanti
a loro-
caffè per Abbott e Cho, the per Jane, che scrutò
di sottecchi quel curioso
barista.
“Lo sa, non so cosa mi stupisce di
più:
se il fatto che uomo come lei conosca Abbott- anche se mi sono fatto
un'idea di
come le vostre strade si siano incrociate-, il suo intuito da barista
oppure
quanto ogni cosa le riesca senza il minimo sforzo apparente nonostante
la
cecità.”
Miki sussultò, e sembrò
voler dire
qualcosa, ma il marito alzò una mano, fermandola.
“Le faccio i miei
complimenti, Mister Jane. Non tutti si accorgono della mia
disabilità. Danny
aveva ragione, lei è indubbiamente un uomo particolare. E mi
dica, cos’altro ha
capito di me, dopo aver passato cinque minuti con me e mia
moglie?”
Non lo diceva con cattiveria, né
acidità. Era onesto, curioso, intrigato da
quell’uomo…
“A parte il fatto che lei è
un
mercenario e che probabilmente ha collaborato con la task force di Rio
Bravo, e
che altrettanto probabilmente è stato lei a coprire
l’assassinio dei narcotrafficanti
che minacciavano di sterminare un intero villaggio in
Messico?” Jane spiegò con
tranquillità, come se avesse parlato del tempo, mentre
sorseggiava il suo the-
perfetto, quasi come quello della sua Teresa- facendo sorridere la
montagna
umana.
Non era stato così difficile da capire.
Era bastato guardare lo sguardo triste e rammaricato di Abbott quando
aveva
parlato di Miki per comprendere che il loro incontro era coinciso con
delle
circostanze funeste, e Jane sapeva che quell’operazione- quel
delitto di cui
Abbott stesso si era segretamente macchiato per salvare degli
innocenti,
contravvenendo agli ordini che volevano quel criminale in custodia, era
il suo
più grande rimpianto. Non per ciò che aveva
fatto, ma perché gli era quasi
costato la sua famiglia, molti anni dopo…
“Ma come abbiamo studiato
bene… chi è
il tuo nuovo amico, Umi?” Una voce maschile, saccente,
risvegliò l’interesse
dei tre uomini, che si voltarono e videro che tre persone si erano
unite a loro
nel locale: due di loro, un uomo sui quaranta ed una donna dal corpo
avvenente,
i cui vestiti aderenti nascondevano poco o nulla
all’immaginazione, erano
chiaramente giapponesi. Mentre il terzo, un biondino dagli occhi
azzurri e
vestito con un completo bianco e una cravatta azzurra, era un
occidentale.
Fu
quest’ultimo a guardare Jane, incuriosito ed
allo stesso tempo… quasi emozionato. Come se aspettasse che
qualcosa di
speciale dovesse accadere da un momento all’altro.
“Beh,
questo, Ryo, è il famigerato Patrick Jane, l’uomo
che ha dedicato la sua vita
alla caccia a John il Rosso facendosi bello in TV dicendo che era un
sensitivo…” l’uomo, dal chiaro accento
del mid-west, lo schernì, appoggiandosi
con la schiena al banco e osservando il biondino. “Che cosa
la porta qui?
Guardi che il Giappone ha un trattato di estradizione, se fa uno dei
suoi
casini la rispediscono a casa…”
“Ti
conviene fare attenzione a quello che dici, damerino,” Jane
disse, con estrema
calma, divertito dalla situazione. “Ho ucciso quattro persone
e ne sono uscito
pulito. Niente mi impedisce di rifare il trucchetto un’altra
volta.”
Abbott
alzò gli occhi al cielo, mentre Cho strinse i denti,
sibilando, fingendo
entrambi di non aver sentito nulla- certo, sapevano dei quattro omicidi
di
Jane, era stato indagato e successivamente prosciolto da tutte le
accuse,
grazie alla legittima difesa e allo stato di necessità, ma
ciò non toglieva che
avrebbe potuto cercare di essere meno arrogante, meno soddisfatto di
quello che
aveva fatto.
Meno
compiaciuto di avere le mani sporche di sangue- nonostante quei quattro
uomini
fossero tutti stupratori o assassini senza scrupoli.
“Però,
non male l’amichetto…ti ha subito messo al tuo
posto, eh Mick?” Ryo si sedette
su uno degli sgabelli, e si accese una sigaretta, fumando tranquillo e
godendosi il drink che Falcon gli aveva dato. Eppure, Jane era certo
che fosse
all’erta, pronto a scattare, come un animale, un predatore.
Come lui. “Beh,
Saeko, come mai ci hai fatto venire tutti qui?”
Domandò alla bella donna, che
andò alle spalle degli agenti dell’FBI.
“Mister
Jane, Agente Cho, sono Saeko Nogami, lavoro per la sezione
investigativa
speciale della questura di Tokyo. L’agente Abbott ed io
abbiamo collaborato in
passato….” Disse, affabile ma affascinante, sicura
della propria sensualità e
di come usarla, offrendo al mentalista la mano- ma Jane la
lasciò a mezz’aria,
limitandosi a squadrare la donna con un sorrisetto beffardo.
Lei
non parve offendersi. Anzi- sembrava incuriosita, quasi divertita-
pochi probabilmente
non le sbavavano dietro.
“Falcon
e l’agente Abbott hanno ragione di credere che alcuni casi di
cui mi sto
occupando possano essere legati all’indagine che state
ufficiosamente portando
avanti.”
“Donne
assassinate, seviziate, lasciate a morire dissanguate, senza nessun
apparente
legame tra di loro… diversa etnia, stato sociale,
età, caratteristiche fisiche…
anche il tempo fra i vari omicidi varia di volta in volta, senza
apparente
logica. Tutto sembrerebbe indicare degli omicidi d’impeto,
eppure sono studiati
nei minimi particolari… ” Jane bevve un altro
goccio di the, senza
impressionarsi del sussulto di Saeko, che sembrava sorpresa.
“Incluse le unghie
laccate del loro stesso sangue.”
“Ma
come… come può saperlo? Non ho condiviso con
nessuno questo particolare!” Saeko
fece un passo all’indietro. Con gli occhi sgranati, sembrava
quasi
terrorizzata. Chi era quell’uomo, e che legami aveva con il
misterioso
assassino che terrorizzava
da mesi la
città?
“Lo
so, agente Nogami, perché quello era il trattamento che John
il rosso riservò a
mia moglie e mia figlia quando le uccise, un dato che né io
né gli
investigatori rendemmo mai noto.” Soffiò a denti
stretti. “Come pure so che ho
ucciso con le mie stesse mani John il Rosso, guardando nei suoi occhi
mentre la
vita lasciava il suo lurido corpo. Ma John il Rosso era in una setta, e
mi
creda, non c’è terreno di caccia migliore per gli
psicopatici che le sette. E
le multinazionali.”
“Una
setta? Oh… state
parlando di Visualize!”
Miki capì al volo, e Jane fece cenno di sì col
capo.
“I
tizi che hanno aperto quell’enorme e pacchiano grattacielo
che mi toglie la
visione dal balcone di casa?” Ryo domandò,
spegnendosi la sigaretta.
“È
per questo che ti ho chiesto di venire qui, Ryo.” Falcon gli
disse, accennando
una risposta affermativa con la testa. “Qualcuno deve
introdursi
nell’organizzazione, ma degli occidentali non passerebbero
inosservati…
inoltre, il capo di Visualize li conosce bene. E io… beh, mi
si nota
facilmente.”
“Già,
e poi sei anche cieco come una talpa. Non sopravvivresti due minuti
là
dentro.” Ryo
ridacchiò, buttando giù il
drink tutto d’un sorso. “Mi servirà
qualche dettaglio in più, ma ci sto. Nessuno
macchia le strade della mia casa di sangue senza pagarne le
conseguenze.”
“Voi
non siete poliziotti. Cosa siete, mercenari?” Jane
studiò i due uomini
attentamente, il corpo pervaso dai brividi. Aveva paura. Per la prima
volta
dopo tante tempo, aveva paura- e non per gli altri, ma per
sé. “No, voi siete…
qualcosa di diverso. Di ben più oscuro, più
minaccioso.”
“Siamo spazzini, mister Jane. Niente di
più, niente di meno.” Saeba gli rispose,
tranquillo, mentre se ne andava. “Noi
ripuliamo le strade di questa città
dall’immondizia, facendo piazza pulita. Un
po’ come ha fatto lei quando si è sbarazzato di
quei quattro assassini- anche
se io lo avrei fatto con un po’ più di classe e
senza farmi beccare.” A sentire
quelle parole, Jane fece un sorrisetto soddisfatto- chiunque fosse
Saeba,
sapeva il fatto suo, e sembrava aver fatto i compiti. Conosceva la sua
storia,
e perché avesse ucciso quegli uomini.
Per vendetta. Ma anche per tenere al
sicuro la donna che amava. Lisbon. Teresa.
Alla
porta, la voce di Falcon raggiunse Ryo,
richiamandolo indietro con tono infervorato e preoccupato.
“Ryo! Hai intenzione
di tenere questa storia nascosta a Kaori?”
Ryo sembrò tergiversare. Rimase
immobile sulla soglia, con la porta aperta, il pomello in mano, per
quello che
appariva come un lunghissimo tempo. “Per adesso questa storia
è troppo
pericolosa. Chiunque questo assassino sia, prende di mira le donne del
nostro
quartiere, e io la preferisco sapere al sicuro. Mentre io
indagherò, ci penserà
Angel a tenere Shinjuku al sicuro… e anche lei.”