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Autore: Little Firestar84    30/12/2020    7 recensioni
A Tokyo, Ryo Saeba delude ancora una volta la donna che aveva detto di amare, spedendola in una spirale di tristezza e delusione, mentre a Shinjuku un killer semina la morte tra le donne...
A Austin, Patrick Jane scopre che la morte di John Il Rosso potrebbe non essere la fine della sua storia, e che ancora una volta, Visualize e Bret Stiles potrebbero essere connessi alla sua caccia.
Ancora non lo sanno, ma i destini di Ryo Saeba e Patrick Jane sono destinati ad incrociarsi- ed il tutto per il bene delle donne che amano, e in nome del futuro che con loro desiderano creare.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Terribilmente in ritardo, il secondo capitolo... chiedo scusa ai miei lettori, ma tra impegni vari, lavoro e altre cose da scrivere, il tempo è volato.
Io però, cose incompiute non ne lascio, quindi... tranquilli. Non rimarrete delusi!

Tokyo (Giappone), alcuni giorni dopo…

Jane inspirò profondamente appena sceso dall’aereo, giusto per calmare i nervi. Si era fatto quasi venti ore di volo, salvo i tre quarti d’ora passati a Los Angeles per lo scalo, e adesso non ne poteva più, e non era certamente solo perché sentiva l’intero corpo indolenzito.

Era il fatto che avesse mentito, di nuovo, ancora, a Teresa, raccontandole che il capo – Cho, gli faceva ancora strano che adesso alla cima della catena alimentare ci fosse lui, eterno braccio destro di Teresa Lisbon ai tempi del CBI, suo pari all’FBI- aveva ricevuto ordine dai grandi papaveri dell’FBI di fargli risolvere un delicatissimo e complicato caso a New York, che lo avrebbe tenuto impegnato per almeno una decina di giorni, pena l’annullamento dell’accordo firmato nemmeno due anni prima e la sua incarcerazione.

Mentire gli rodeva e non poco, ma Jane sapeva di avere scelta. Non era solo il fatto che mentire, manipolare e tenere segreti era parte della sua identità e della sua natura, era che la voleva difendere, lei e loro figlio, da chi avesse voluto fare loro del male… e dal fatto che, forse, si era sbagliato, si erano sbagliati tutti, e non era davvero finita.

Forse, John il Rosso era ancora vivo.

Forse, qualcuno aveva raccolto la sua crudele eredità di morte.

Quello che sapeva di certo, era che Visualize doveva essere al centro della cosa, e questa volta non si trattava solo di una martellante ossessione, di un’estemporanea intuizione- no, questa volta, lui, lo sapeva per certo, se lo sentiva.

Anche se questa nuova consapevolezza gli era giunta per puro caso, quando gli era capitato tra le mani un rotocalco, molti mesi prima, mentre era andato ad accompagnare Teresa ad una visita medica. Lì, aveva visto l’articolo che aveva dato il via al tutto, che aveva risvegliato il suo comportamento ossessivo e quel nascondersi, quel fingere di cui Teresa era ben conscia- perché per capirlo lei non aveva mai avuto bisogno di troppe parole- e che le spezzava il cuore.

Sospirò, meditando se accendere il telefono o meno.

Decise di no- non avrebbe potuto non risponderle se avesse chiamato, e allora lei avrebbe sentito le voci in sottofondo e avrebbe capito che non era a New York e che le aveva raccontato una balla, l’ennesima, e stavolta si sarebbe incazzata di brutto e lo avrebbe mollato di sicuro.

Grazie, ma no grazie. L’avrebbe chiamata lui, più tardi. Magari da una camera d’albergo. Nel silenzio assoluto.

Alzò un braccio in segno di saluto quando vide che i suoi accompagnatori in quel viaggio erano già arrivati, ed erano seduti su una panchina vicina al nastro del ritiro bagagli, ognuno di loro con la propria solita espressione- Cho era scocciato, apparentemente freddo e distaccato, mentre invece Abbott era rilassato, addirittura… felice, quasi entusiasta. Jane non avrebbe voluto mettere in mezzo il suo ex capo in quella storia, ma era stato Cho ad insistere: Abbott aveva l’immunità diplomatica grazie all’importante ruolo ricoperto dalla moglie,  aveva già lavorato in Giappone come agente operativo ma, soprattutto, lo aveva rassicurato Cho, aveva dei “contatti” che sarebbero stati di aiuto.

“Patrick. Avrei preferito rivederti in circostanze migliori…” Gli disse stringendogli la mano, mentre  Cho fece solo un lieve cenno col capo- si erano visti solo due giorni prima, dopotutto, non sei mesi.  “Andiamo, mi sono già procurato una macchina.”

Jane alzò un sopracciglio, con un sorrisetto sghembo. “Curiosa scelta di parole, la tua…”

“Perché me l’ha trovata un amico. Niente tracce, né cartacee né digitali.” Aprì con il telecomando la serratura centralizzata di una Jeep Cherokee, verde militare, e, aperto il portellone, afferrò un borsone e lo aprì, tirandone fuori dei passaporti che dette ai compagni. “A tutti gli effetti, io sono in North Carolina con le mie figlie e voi siete a New York ad indagare ad un caso. Nessuno di noi è mai atterrato a Tokyo.”

“Non è esagerato?” Cho chiese. Oltre che illegale, pensò, ma non lo aggiunse. I suoi compagni lo sapevano, ma purtroppo, dopo che aveva condiviso con loro le sue parole, avevano capito che forse quello era l’unico modo di agire. Segretamente, nell’ombra.

“Se la Società di William Blake esiste ancora, vuole dire che le forze dell’ordine, a chissà quale livello, sono intrigate in questa faccenda.” Jane strinse i denti, sentendo il sangue andargli alla testa. Si tolse la giacca del completo ed il gilet, rimanendo in camicia, e si rotolò le maniche- il tre pezzi attirava un po’ troppo l’attenzione. “Per anni McAllister si è servito delle sue talpe nelle agenzie per essere sempre un passo avanti a noi e liberarsi di prove e testimoni. Non c’è motivo di credere che il suo pupillo, se di questo si tratta, sia diverso.”

Abbott salì alla guida della macchina con sicurezza, dimostrando che le storie che Cho aveva raccontato erano non solo vere, ma forse limitative della sua esperienze nel paese del Sud-Est Asiatico, e si incamminò nel traffico caotico della capitale con destrezza e maestria; di tanto in tanto, si limitava a gettare l’occhio su un foglietto a quadretti, su cui erano scarabocchiate delle fitte indicazioni con un inchiostro chiarissimo. Per l’intera durata del viaggio, non parlarono, nonostante Jane morisse dalla curiosità, ma sentiva che presto avrebbe avuto tutte le risposte alle sue domande- come pure gli altri avrebbero saputo tutto.

Ogni cosa al momento debito.

Tirò fuori il telefono, e, lasciandolo in modalità aereo, iniziò a scorrere le fotografie- la sua nuova famiglia, il compleanno della figlia di Grace e Wayne, la nipotina di Teresa, a cui stava insegnando i trucchi del mestiere, le foto del matrimonio, la prima ecografia, e le foto del suo bambino.

Non gli piaceva piangere, ma in quel momento desiderava ardentemente farlo, nonostante sapesse di dover mantenere forza e lucidità per loro, eppure si sentiva straziato, il suo cuore a pezzi, solo, freddo…. Era come se un pezzo di lui mancasse. Proprio come quando aveva perso le sue ragazze. 

Ma stavolta, sarebbe stato temporaneo.

Stavolta, avrebbe difeso la sua famiglia con le unghie ed i denti, a qualunque costo.

 

Abbott entrò nel bar, nonostante il cartello indicasse la chiusura, deciso, con passo scattante- eppure, estremamente rilassato. Il locale, Jane vide, era vuoto, salvo per le due persone dietro al bancone, e le luci erano soffuse, quasi a non voler attirare l’attenzione dall’esterno.

“Siamo chiusi.” L’uomo dietro al bancone tuonò. Jane fu tentato di fare un passo indietro, tale fu lo spavento.

Era… imponente, come una montagna. Alto, massiccio, duro, il cranio rasato come molti militari, e dei militari aveva la fisicità generale, il portamento. Anche se c’era qualcosa che stonava in lui, come se fosse… altro, di più. Qualcosa di diverso.

“Sì? Anche per un vecchio amico?” Abbott gli domandò, sarcastico, dandogli la mano, che l’uomo afferrò, stringendola con forza. “Falcon, ne è passato di tempo…”

“Per te, Danny, la porta è sempre aperta, lo sai.” Si liberò dalla stretta dell’uomo, e, incrociando le braccia, indicò con un cenno del capo la graziosa ragazza che era con lui. Di una bella ventina d’anni più giovane del nerboruto barista, almeno all’apparenza, aveva lunghi capelli scuri, e occhi intelligenti e vivaci, che ricordarono a Jane di Grace. “Ti ricordi di mia moglie Miki?”

“Di Miki, sì…” Ammise sedendosi al bancone, gli occhi improvvisamente tristi e bassi, come se per un attimo la sua mente fosse andata altrove, ad un tempo passato che preferiva dimenticare. “Ma che fosse tua moglie, questo mi mancava. Ma non me ne meraviglio. Lo diceva sempre che saresti stato suo, un giorno….”

“Aspettiamo ancora qualcuno?” Cho domandò, sedendosi accanto a Abbott, e Jane fece lo stesso. La montagna si limitò a fare cenno di sì, e si mise a trafficare alla macchina del caffè. In men che non si dica i tre americani avevano delle tazze fumanti davanti a loro- caffè per Abbott e Cho, the per Jane, che scrutò di sottecchi quel curioso barista.

“Lo sa, non so cosa mi stupisce di più: se il fatto che uomo come lei conosca Abbott- anche se mi sono fatto un'idea di come le vostre strade si siano incrociate-, il suo intuito da barista oppure quanto ogni cosa le riesca senza il minimo sforzo apparente nonostante la cecità.”

Miki sussultò, e sembrò voler dire qualcosa, ma il marito alzò una mano, fermandola. “Le faccio i miei complimenti, Mister Jane. Non tutti si accorgono della mia disabilità. Danny aveva ragione, lei è indubbiamente un uomo particolare. E mi dica, cos’altro ha capito di me, dopo aver passato cinque minuti con me e mia moglie?”

Non lo diceva con cattiveria, né acidità. Era onesto, curioso, intrigato da quell’uomo…

“A parte il fatto che lei è un mercenario e che probabilmente ha collaborato con la task force di Rio Bravo, e che altrettanto probabilmente è stato lei a coprire l’assassinio dei narcotrafficanti che minacciavano di sterminare un intero villaggio in Messico?” Jane spiegò con tranquillità, come se avesse parlato del tempo, mentre sorseggiava il suo the- perfetto, quasi come quello della sua Teresa- facendo sorridere la montagna umana.

Non era stato così difficile da capire. Era bastato guardare lo sguardo triste e rammaricato di Abbott quando aveva parlato di Miki per comprendere che il loro incontro era coinciso con delle circostanze funeste, e Jane sapeva che quell’operazione- quel delitto di cui Abbott stesso si era segretamente macchiato per salvare degli innocenti, contravvenendo agli ordini che volevano quel criminale in custodia, era il suo più grande rimpianto. Non per ciò che aveva fatto, ma perché gli era quasi costato la sua famiglia, molti anni dopo…

“Ma come abbiamo studiato bene… chi è il tuo nuovo amico, Umi?” Una voce maschile, saccente, risvegliò l’interesse dei tre uomini, che si voltarono e videro che tre persone si erano unite a loro nel locale: due di loro, un uomo sui quaranta ed una donna dal corpo avvenente, i cui vestiti aderenti nascondevano poco o nulla all’immaginazione, erano chiaramente giapponesi. Mentre il terzo, un biondino dagli occhi azzurri e vestito con un completo bianco e una cravatta azzurra, era un occidentale.

Fu quest’ultimo a guardare Jane, incuriosito ed allo stesso tempo… quasi emozionato. Come se aspettasse che qualcosa di speciale dovesse accadere da un momento all’altro.

“Beh, questo, Ryo, è il famigerato Patrick Jane, l’uomo che ha dedicato la sua vita alla caccia a John il Rosso facendosi bello in TV dicendo che era un sensitivo…” l’uomo, dal chiaro accento del mid-west, lo schernì, appoggiandosi con la schiena al banco e osservando il biondino. “Che cosa la porta qui? Guardi che il Giappone ha un trattato di estradizione, se fa uno dei suoi casini la rispediscono a casa…”

“Ti conviene fare attenzione a quello che dici, damerino,” Jane disse, con estrema calma, divertito dalla situazione. “Ho ucciso quattro persone e ne sono uscito pulito. Niente mi impedisce di rifare il trucchetto un’altra volta.”

Abbott alzò gli occhi al cielo, mentre Cho strinse i denti, sibilando, fingendo entrambi di non aver sentito nulla- certo, sapevano dei quattro omicidi di Jane, era stato indagato e successivamente prosciolto da tutte le accuse, grazie alla legittima difesa e allo stato di necessità, ma ciò non toglieva che avrebbe potuto cercare di essere meno arrogante, meno soddisfatto di quello che aveva fatto.

Meno compiaciuto di avere le mani sporche di sangue- nonostante quei quattro uomini fossero tutti stupratori o assassini senza scrupoli.

“Però, non male l’amichetto…ti ha subito messo al tuo posto, eh Mick?” Ryo si sedette su uno degli sgabelli, e si accese una sigaretta, fumando tranquillo e godendosi il drink che Falcon gli aveva dato. Eppure, Jane era certo che fosse all’erta, pronto a scattare, come un animale, un predatore. Come lui. “Beh, Saeko, come mai ci hai fatto venire tutti qui?” Domandò alla bella donna, che andò alle spalle degli agenti dell’FBI.

“Mister Jane, Agente Cho, sono Saeko Nogami, lavoro per la sezione investigativa speciale della questura di Tokyo. L’agente Abbott ed io abbiamo collaborato in passato….” Disse, affabile ma affascinante, sicura della propria sensualità e di come usarla, offrendo al mentalista la mano- ma Jane la lasciò a mezz’aria, limitandosi a squadrare la donna con un sorrisetto beffardo.

Lei non parve offendersi. Anzi- sembrava incuriosita, quasi divertita- pochi probabilmente non le sbavavano dietro.

“Falcon e l’agente Abbott hanno ragione di credere che alcuni casi di cui mi sto occupando possano essere legati all’indagine che state ufficiosamente portando avanti.”

“Donne assassinate, seviziate, lasciate a morire dissanguate, senza nessun apparente legame tra di loro… diversa etnia, stato sociale, età, caratteristiche fisiche… anche il tempo fra i vari omicidi varia di volta in volta, senza apparente logica. Tutto sembrerebbe indicare degli omicidi d’impeto, eppure sono studiati nei minimi particolari… ” Jane bevve un altro goccio di the, senza impressionarsi del sussulto di Saeko, che sembrava sorpresa. “Incluse le unghie laccate del loro stesso sangue.”

“Ma come… come può saperlo? Non ho condiviso con nessuno questo particolare!” Saeko fece un passo all’indietro. Con gli occhi sgranati, sembrava quasi terrorizzata. Chi era quell’uomo, e che legami aveva con il misterioso assassino che  terrorizzava da mesi la città?

“Lo so, agente Nogami, perché quello era il trattamento che John il rosso riservò a mia moglie e mia figlia quando le uccise, un dato che né io né gli investigatori rendemmo mai noto.” Soffiò a denti stretti. “Come pure so che ho ucciso con le mie stesse mani John il Rosso, guardando nei suoi occhi mentre la vita lasciava il suo lurido corpo. Ma John il Rosso era in una setta, e mi creda, non c’è terreno di caccia migliore per gli psicopatici che le sette. E le multinazionali.”

“Una setta? Oh…  state parlando di Visualize!” Miki capì al volo, e Jane fece cenno di sì col capo.

“I tizi che hanno aperto quell’enorme e pacchiano grattacielo che mi toglie la visione dal balcone di casa?” Ryo domandò, spegnendosi la sigaretta.

“È per questo che ti ho chiesto di venire qui, Ryo.” Falcon gli disse, accennando una risposta affermativa con la testa. “Qualcuno deve introdursi nell’organizzazione, ma degli occidentali non passerebbero inosservati… inoltre, il capo di Visualize li conosce bene. E io… beh, mi si nota facilmente.”

“Già, e poi sei anche cieco come una talpa. Non sopravvivresti due minuti là dentro.”  Ryo ridacchiò, buttando giù il drink tutto d’un sorso. “Mi servirà qualche dettaglio in più, ma ci sto. Nessuno macchia le strade della mia casa di sangue senza pagarne le conseguenze.”

“Voi non siete poliziotti. Cosa siete, mercenari?” Jane studiò i due uomini attentamente, il corpo pervaso dai brividi. Aveva paura. Per la prima volta dopo tante tempo, aveva paura- e non per gli altri, ma per sé. “No, voi siete… qualcosa di diverso. Di ben più oscuro, più minaccioso.”

“Siamo spazzini, mister Jane. Niente di più, niente di meno.” Saeba gli rispose, tranquillo, mentre se ne andava. “Noi ripuliamo le strade di questa città dall’immondizia, facendo piazza pulita. Un po’ come ha fatto lei quando si è sbarazzato di quei quattro assassini- anche se io lo avrei fatto con un po’ più di classe e senza farmi beccare.” A sentire quelle parole, Jane fece un sorrisetto soddisfatto- chiunque fosse Saeba, sapeva il fatto suo, e sembrava aver fatto i compiti. Conosceva la sua storia, e perché avesse ucciso quegli uomini.

Per vendetta. Ma anche per tenere al sicuro la donna che amava. Lisbon. Teresa.

 Alla porta, la voce di Falcon raggiunse Ryo, richiamandolo indietro con tono infervorato e preoccupato. “Ryo! Hai intenzione di tenere questa storia nascosta a Kaori?”

Ryo sembrò tergiversare. Rimase immobile sulla soglia, con la porta aperta, il pomello in mano, per quello che appariva come un lunghissimo tempo. “Per adesso questa storia è troppo pericolosa. Chiunque questo assassino sia, prende di mira le donne del nostro quartiere, e io la preferisco sapere al sicuro. Mentre io indagherò, ci penserà Angel a tenere Shinjuku al sicuro… e anche lei.”

   
 
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