NEGLI EPISODI PRECEDENTI DI THE MENTALIST:
Da ragazzino che lavorava nel circo, Patrick Jane di strada ne ha fatta: truffatore ed attore senza pari, Jane è un "mentalista", che riesce, attraverso il suo intuito, l'hot e cold reading e la manipolazione- nonchè un carisma innato e un discreto fascino, a farsi passare con successo per un sensitivo. Successo e fama non gli mancano, e con tempo, Jane riesce a diventare ricco e riscattare- per sè e per la moglie Angela e la figlia Charlotte- un passato fatto di ristrettezze e miseria. Una moglie bellissima, una bambina tanto bella da sembrare un angelo, una villa sulla spiaggia di Malibù, vestiti firmati, gioielli, una collezzione di auto che vale milioni, Jane ha tutto. Ma non gli basta.
Quando una rete nazionale gli propone uno speciale in cui cercare di contattare le vittime del Serial killer John il rosso, che da anni terrorizza il Sud-Ovest degli USA, Jane accetta subito, pregustando il salto di qualità, la possibilità di essere famoso a livello nazionale... ma a John il Rosso, quello che Jane dice di lui quella sera non piace, e quando a mezzanotte inoltrata torna a casa, Jane trova la porta socchiusa, e sul muro davanti a lui la firma del killer, uno smiley fatto col sangue- quello di sua moglie e sua figlia.
Accecato dalla vendetta, Jane si isola dal mondo per alcuni mesi, abbandonando tutto e tutti, tornando quando scopre che l'indagine sull'omicida è stata assegnata al California Bureau of Investigation.
Manipolando il direttore del CBI, Jane ottiene di divenire consulente dell'unità che segue il caso, che ha a capo Teresa Lisbon, e di cui fanno parte Kimball Cho, ex militare, Wayne Rigsby e l'esperta di informatica e sorveglianza Grace Van Pelt. Lisbon non apprezza la cosa: sia perchè sa che Jane vuole solo vednicarsi, sia perchè vede ogni giorno la sanità mentale e l'equilibrio dell'uomo farsi sempre più precari.
Per oltre un decennio, Jane segue il caso, in modo maniacale, nascondendosi dietro a una maschera di pagliaccio, prendendosi gioco di tutti, forze dell'oridne e criminali compresi, ma, dato il suo alto numero di casi risolti, Lisbon, anche a discapito della carriera e delle relazioni personali, continua a supportarlo- e col tempo, ad avvinarsi smepre di più a Jane, divennedo di fatto il suo unico punto di contatto con la realtà tutte le volte che John il Rosso ricompare, prendendosi gioco di loro, e di Jane in primis.
Col passare degli anni, Jane intuisce di un possibile legame tra la setta Visualize, a cui c'è Bret Stiles a capo, e John il rosso, ma Jane capisce che le cose sono ancora più complicate: il killer non fa solo parte della setta, ma anche delle forze dell'ordine, che, con le loro soffiate, permettono all'assassiono di essere sempre un passo avanti, e di mettere in pericolo quella che è divenuta di fatto la famiglia di Jane, i suoi amici e colleghi, e di Lisbon in particolare, di cui Jane si è innamorato, ma a cui non confessa nulla sapendo che vivere quell'amore la metterebbe ancora più in pericolo con il suo nemico.
Dopo quasi undici anni, Jane riesce a stilare una lista dei sette papabili candidati alla figura di Red John, membri di Visualize ai massimi livelli o delle forze dell'ordine, e, al cimitero dove è sepolta la sua famiglia, Jane finalmente ottiene la sua vendetta: uccide, soffocandolo, lo sceriffo McAllister, il vero nome del killer, che, sibillino, prima di morire gli ricorda che lui non sa, e non saprà, mai tutto...
Braccato dalle froze dell'ordine, omicida, Jane fugge, lasciando a Lisbon uno struggente messaggio sul telefono, in cui la ringrazie, e le dice che gli mancherà- ma la sua storia non è destinata a finire così. Quando Cho ottiene un incarico all'FBI di Austin, sotto al comando dell'uomo che ha braccato Jane, l'agente Abbott, il Mentalista ottiene di tornare a casa con la fedina pulita, in cambio di cinque anni al servizio dei federali. Ma solo se Lisbon, a cui er due anni ha mandato segretaemnte cartoline senza alcun testo e piccoli regali, andrà a lavorare con lui: il suo scopo? Conquistarla, ora che è finalmente libero.
E dopo numerose peripezie, un agente dell'FBI che tenterà di portargliela via e un assassino che minaccia di impdire le sue nozze, Jane finalmente ottiene il cuore della sua bella: e se la sua storia era iniziata con la morte, è con la vita, ed il concepimento di suo figlio, che il suo destino si compie...
Tokyo
(Giappone), in una placida
mattina di primavera…
“Ryo,
dì un po’, hai intenzione di dormire ancora
a lungo?” Kaori sbuffò mentre si
avvicinava alla stanza del suo coinquilino/partner/interesse
amoroso, sbuffando. Aveva in mano un mestolo e indossava ancora, sopra
il
pigiama a righe, il grembiule da cucina.
Sapeva
che era presto per il suo socio- normalmente Ryo non scendeva mai prima
di
mezzogiorno, specie se, come la sera prima, aveva fatto baldoria fino a
notte
fonda con Mick in giro per locali- ma per quel giorno si sarebbe dovuto
accontentare di svegliarsi alle nove, visto e considerato che, per
grazia
ricevuta, avevano appuntamento con un cliente…
“La
colazione è pronta!” Cinguettò la rossa
mentre apriva la porta della camera da
letto, senza bussare come suo solito, giusto per rimanere impietrita
davanti
allo spettacolo che le stava dinnanzi.
Il
letto era completamente occupato.
Mick,
in mutande, e Ryo, nudo come suo solito, se ne stavano ai lati del
materasso,
mentre una brunetta dai capelli corti in camiciola e slip era
spaparanzata in
mezzo a loro e a un mucchio di bottiglie e lattine di birra vuote.
“Tu,
maledetto porco… e così tu vorresti vivere per la
persona che ami, eh?” gli
sbraitò contro lanciandogli tutto quello che le capitava a
portata di mano e
facendolo cadere dal letto. “Sei un porco, un pervertito, tu
ami solo il sesso!”
“Eh?”
Ryo si massaggiò un bernoccolo, e si guardò
intorno, un po’ intontito, incerto
su cosa stesse accadendo. “Kaori? Ma stavolta cosa ho
fatto?”
Stringendo
i denti, la donna si limitò a indicare con un dito la
moretta mezza nuda, e
Mick, e Ryo subito entrò in modalità difensiva.
Come un fedele cagnolino, le si
attaccò alle gambe, stringendole il più forte
possibile, tentando di impedirle
di andarsene.
“Non
ho fatto niente, giuro! Sono innocente! La colpa è tutta di
Mick, sono certo
che sia lui che si è intrufolato nel mio letto e mi ha
spogliato, sì, sì, deve
essere un suo scherzo per vendicarsi! È arrabbiato
perché ti ho riportato da me
e adesso siamo di nuovo i migliori!!!”
In
quel momento, la moretta si svegliò, e stiracchiandosi
lasciò che il top si
alzasse, rivelando una striscia di pelle bianca come la neve, un addome
perfettamente piatto e una vita sottile –il classico tipo di
Ryo, in poche
parole.
“Mm…Ryo,
sei già sveglio?” la moretta brontolò
con voce impastata. “Oh, ieri mi sono
divertita così tanto… tu e Mick sì che
sapete come darci dentro!” Terminò la
frase con una risatina civettuola- il genere che Kaori non avrebbe
emesso
neanche morta- e guardò Ryo, ancora ancorata alla sua gamba,
che si staccò con
aria colpevole.
“Così,
la colpa è di Mick, eh? Vergognati, scaricare le tue
responsabilità sul tuo
migliore amico!” Sbattendo la porta, Kaori si diresse verso
la sua stanza,
facendo quasi tremare i muri, brontolando le parole porco,
maiale, pervertito, stronzo, col cavolo che mi ama, almeno prima
non se le portava a casa a ripetizione.
“Ma…
ma io non ho fatto niente…” Grattandosi il capo,
si voltò verso il suo migliore
amico, ancora addormentato, e la moretta che faceva le fusa, e mentre
si
chiedeva se effettivamente esistesse la possibilità che
fosse accaduto
qualcosa, sentì di nuovo tremare i muri - Kaori era uscita
di casa sbattendo la
porta.
Ryo
fece per raccogliere i pantaloni ed andare a cercarla, spiegarsi,
chiederle, di
nuovo, per l’ennesima volta, perdono, ma fu interrotto dal
suono del
cellullare, dalle note della canzone preferita del suo defunto amico,
il
fratello di Kaori, che riempirono l’aria.
Controllò
l’identità del chiamante- Saeko. Si chiese cosa
volesse l’ispettore Nogami da lui
a quell’ora, ed immaginò che, qualsiasi cosa
fosse, dovesse essere seria: era
da parecchio che le bella poliziotta non lo metteva più in
mezzo ai suoi casi,
a meno che non si trattasse di qualcosa di veramente grave.
“Si
può saper cosa cavolo vuoi a quest’ora,
Saeko?” Le rispose, un po’ scontroso,
facendo il borioso annoiato e fingendo che, di qualsiasi cosa si
potesse
trattare, a lui non interessasse a priori.
Dall’altra
parte della linea, Saeko rimase in silenzio, e Ryo avvertì
chiaramente la sua
preoccupazione, la rabbia, il suo senso di impotenza davanti a qualcosa
di più
grande di lei… l’aveva sentita così
solo un’altra volta in precedenza, quando
il suo grande amore era morto…
Era
grave. Qualsiasi cosa fosse, era molto
grave, ed in quel momento, Ryo temette di sapere di cosa si
trattasse…
“Quante,
stavolta?” Chiese, appoggiandosi con la schiena al muro,
perso nelle sue
meditazioni.
Solo una, ma il modus operandi è lo
stesso. Una ragazzina che lavorava nel quartiere a luci
rosse… avrà avuto vent’anni,
Ryo. L’hanno drogata, e lasciata a morire
dissanguata… è la quinta in pochi
mesi, e io non so più dove sbattere la testa. Le vittime non
hanno altra
connessione se non che vivono nel quartiere e sono donne, per il resto,
fisico,
età, estrazione sociali sono diversi… e chiunque
sia l’assassino, non lascia
nessuna traccia.
“Vuoi
che mi occupi del caso, Saeko?” Le chiese, mentre si
accendeva una sigaretta e
guardava fuori dalla finestra, con lo sguardo cupo.
Sai che non posso darti alcun incarico
ufficiale, vero?
“Non
importa. Qualcuno a casa mia sta facendo qualcosa che non mi piace.
È ora che l’angelo
della morte gli faccia una visitina…”
Chiuse
la chiamata senza aggiungere altro, mentre una nuvoletta di fumo
raggiungeva il
soffitto.
A
Shinjuku, nel quartiere che era la loro casa, qualcuno stava uccidendo
non per
vendetta o giustizia, ma per il semplice gusto di farlo.
E
questo, lui non lo poteva tollerare. Non a casa sua.
Nello
stesso momento, ad Austin (Texas)…
Jane
osservava il figlioletto neonato disteso nel lettone, seduto su una
sedia pieghevole
al fondo del materasso. La stanza era pressoché avvolta
nell’oscurità, salvo
per una piccola lampada che teneva sul comodino e che non spegneva mai,
quasi
con quella luce avesse potuto controllare e tenere più al
sicuro la sua
famiglia.
Avevano
portato Evan Jane a casa quel giorno stesso, dopo alcuni giorni in
terapia
neonatale; di fretta come il padre, era nato con oltre tre settimane di
anticipo,
obbligando lui e la dolce Teresa- la dura dal cuore tenero che la
maternità
aveva reso una creatura a dir poco angelica- a guardare il loro piccolo
tesoro
attraverso un vetro per giorni e giorni.
E
adesso, era a casa, e l’idea di metterlo nella culla, anche a
un solo passo da
lui, terrorizzava Jane oltre ogni misura. Sapeva che la
possibilità che un
altro serial killer decidesse di perseguitarlo andando ad attaccare la
sua famiglia
era remota, ma c’era una parte di lui che, nonostante
l’amore per Teresa ed il
loro cucciolo, sarebbe sempre rimasta in quella stanza della sua villa
sulla
spiaggia, ormai cenere, con lui inginocchiato a terra, incapace anche
di
versare una singola lacrima mentre teneva tra le braccia i cadaveri
squartati
della moglie e di sua figlia.
Sbuffò,
tentando di allontanare quei lugubri pensieri dalla sua mente. Forse
Teresa e
Cho avevano ragione ed era ora di andare in terapia in modo serio, non
per il
puro scopo di prendere i suoi terapisti per i fondelli e manipolarli a
suo
piacimento, come aveva fatto anni addietro con la povera Sophie Miller,
morta
per la sola colpa di averlo conosciuto.
Chissà.
Forse.
Ma
anche no.
“Dì
un po’, non pensi di essere esagerato?” La moglie
gli chiese, col sorriso sulle
labbra, mentre si appoggiava allo stipite con le braccia incrociate.
Jane si
voltò a guardarla, e le diede uno di quei suoi sorrisi
sghembi che la facevano
arrossire, perché, dalla prima volta che lui
l’aveva guardata così, lei si era
infatuata di quell’uomo dall’animo tormentato e
maldetto che si nascondeva
dietro alla maschera del pagliaccio.
Indossava
una camicia da notte in raso, verde, senza maniche e che le arrivava
quasi ai
piedi. Era bellissima- e come le aveva detto una volta, il verde era il
suo
colore. E poi, quello era un suo
regalo, e lui era famoso per il suo impeccabile gusto…
“Jane,
sai che non abbiamo un’orda di serial killer alle costole
ventiquattro ore su
ventiquattro, sette giorni su sette, vero?” Gli chiese,
avvicinandosi a lui e massaggiandogli
le spalle. Le era scappato di chiamarlo per cognome, Jane, talmente ci
era
abituata… dopotutto, lui era stato Jane, il suo collega, il
suo consulente, per
dodici anni, mentre Patrick… beh, lui era Patrick
da appena nove mesi. Ci doveva ancora fare il callo. O
chissà, forse non se
lo sarebbe mai fatto.
“Lo
hai detto anche al nostro matrimonio, sette mesi fa.” Jane
sospirò, guardando
Evan. “Dove, ti rammento, siamo stati attaccati da un serial
killer.”
Teresa
si morse le labbra e gli diede delle pacchette sulla spalla. Aveva
ragione. Anche
se, tecnicamente, la colpa era stata tutta di Jane- era lui quello
davvero
bravo a far arrabbiare la gente, e tirare fuori il peggio del peggio da
chiunque…
“Vado
a preparati un the.” Gli disse, cambiando argomento,
lasciandogli un bacio sui
boccoli biondi, che quel cherubino di loro figlio aveva ereditato, come
pure quegli
occhi di un azzurro intensissimo.
Appena
lei ebbe lasciato la stanza, Jane allungò la mano al suo
smartphone, e andò a
rileggere un articolo di un quotidiano nazionale pubblicato alcuni mesi
prima,
che era andato a ripescare quella mattina stessa dopo aver controllato,
come
suo solito, le rassegne stampe internazionali giusto per vedere se nel
mondo
stesse accadendo qualcosa di interessante che potesse usufruire delle
sue
eccellenti doti di mentalista.
VISUALIZE,
LA SETTA APRE UNA SEDE A TOKYO
Il gruppo di “auto-aiuto” inaugura una sede nella capitale del Giappone tra mille polemiche.
Sono
passati tre anni dal tentato
omicidio di Bret Stiles, quando il fondatore di Visualize- per gli
adepti un
gruppo di auto-aiuto, ma una vera e propria setta per i più
– scampò a morte
certa dopo che uno degli ex-membri del gruppo, lo Sceriffo Thomas
McAllister (Napa
Valley) e l’allora direttore del CBI (California Bureau of
Investigation) tentarono
di incastrare il carismatico e contestato mogul
per gli omicidi commessi dal noto serial Killer John il
Rosso, che per
oltre vent’anni aveva terrorizzato il sud-ovest degli Stati
Uniti.
Oggi,
dopo aver “fatto pulizia del
marcio”, come lui stesso dice, Stiles e Visualize risorgono
dalle ceneri come
la fenice, e la riapertura delle sedi in tutto il mondo coincide con
l’inaugurazione
della prima sede della “Chiesa della realizzazione
interiore” in Giappone.
Luogo
scelto, il controverso
quartiere di Shinjuku (Tokyo), sede del governo centrale della
città di Tokyo,
ma anche di uno dei più grandi quartieri a luci rosse del
mondo. Proprio lì
Stiles ha deciso di aprire la sua nuova casa: “Le
giovani che popolano quella
zona sono anime perse, che noi abbiamo il dovere morale di
supportare”, ha
dichiarato Stiles, 77 anni (raffigurato in un’immagine di
repertorio), che
nonostante l’età e le vicende legali che lo hanno
visto protagonista negli
ultimi anni in tutto il mondo tiene ancora salde le redini del gruppo,
che
ereditò nel 1976 da Timothy Farragut, il fondatore, alla sua
morte, avvenuta in
circostanze misteriose. Voci di corridoio…
Avvertendo i passi leggeri della moglie, Jane chiuse la schermata e nascose il telefono, e quando lei gli offrì la tazza- quella azzurro Tiffany, che gli aveva regalato per Natale quando a malapena erano colleghi, figurarsi amici o amanti- la prese col sorriso, dandole un casto ma dolce bacio sulla guancia, a cui Teresa rispose con un sorriso anche lei, ma tirato- si fermò dalla porta, voltandosi verso il marito, conscia che, di nuovo, lui le stava nascondendo qualcosa, convinto che quello fosse il suo unico modo di proteggerla, e non perché non si fidasse. Ancora non capiva che l’unico modo per essere al sicuro, essere sempre pronti, era fidarsi l’uno dell’altra e non nascondersi nulla: possibile che in quasi quindici anni non avesse imparato nulla? Che non capisse cosa gli errori del passato gli avevano causato?
Scosse
il capo, triste e delusa e preoccupata, mentre il marito fissava il
loro
figlio, vivo e
sano, diversamente dalla
sua sorellina Charlotte, morta a causa dell’ubris del padre,
senza sapere cosa
stesse passando per la mente di Jane. Rimase lì, immobile,
con il cuore
spezzato, a
guardarlo per un tempo
lunghissimo, sapendo quanto l’io interiore di
quell’uomo fosse differente dalla
visione che dava in quel momento- a chiunque altro, con la tazza in
mano,
intento a sorseggiare il suo the, sarebbe parso come il ritratto della
tranquillità, ma lei sapeva che era turbato.
Solo,
non sapeva cosa fosse a renderlo così. Si era pentito di
averla sposata?
Sentiva di star tradendo Angela, la sua defunta moglie? O era
semplicemente un
padre-iperprotettivo, ora che Evan era nato?
Tornò
in cucina per finire di mettere a posto, e non vide Jane che riprendeva
in mano
il telefono, e mandava un messaggio, pensieroso, sentendosi colpevole
come un
ladro….
Tokyo
(Giappone), nel quartiere di
Shinjuku…
Con
le mani in tasca ed il capo chino, Kaori camminava sospirando per le
strade di
quel quartiere in cui era cresciuta, e che forse, solo con Ryo, aveva
imparato
ad amare.
Con
ogni passo, sentiva il peso sulle spalle farsi sempre più
pesante, ed il cuore
spezzarsi in mille pezzettini mentre veniva trafitto da mille cristalli
di
ghiaccio.
Non
sapeva se sentirsi più delusa dal comportamento di Ryo, che
le aveva fatto capire
di amarla per poi ritrattare le parole dette, attribuirle alla foga del
momento,
al bisogno di distare il nemico, e che lei, comunque era come
un fratello per lui.
Non
era stupida. Sapeva che il 90% delle volte Ryo le parlava in quel modo,
uccidendo
la sua femminilità, per allontanarla da sé e
saperla al sicuro, fuori da quella
vita pericolosa, e che il restante 10% delle volte era per pura
abitudine…
eppure, faceva male. Ogni. Sacrosanta. Volta.
“For
fuck’s sake, watch where
you are going!” Kaori
cadde a terra, persa
nei meandri dei suoi pensieri, e sentì una voce maschile
sibilare rabbiosamente
al suo indirizzo con un forte accento inglese- anzi, americano, quasi
del tutto
identico a quello del “buon” Mick.
“Brother
Thomas, enough!” Sentì un’altra voce,
più bassa, ma decisa e autoritaria,
parlare. Con il fondoschiena dolorante, Kaori aprì gli
occhi, e vide che,
nella sua sbadataggine, aveva
fatto cadere a terra un vecchietto, un signore composto, elegante,
dagli occhi
azzurri- ed occidentale- sui settant’anni. “Le
chiedo scusa per l’irruenza e la
maleducazione del mio amico, signorina. Thomas non ha capito che tanto
io
quanto lei eravamo assorti nei nostri pensieri.”
Le
disse, in perfetto Giapponese, in tono galante, mentre, alzandosi e
spolverandosi la polvere dal costoso completo, le offriva la mano per
aiutarla
ad alzarsi, che lei afferrò sorridendogli timidamente, ed
arrossendo- non era
proprio abituata ad avere intorno uomini galanti. “Oh, la
ringrazio, ma il suo
amico ha ragione. Devo scusarmi io, ero assorta nei miei pensieri e non
vedevo
dove andavo…”
“Sembra
turbata, signorina, una vittima degli eventi, della
vita….” L’uomo
la guardò negli occhi, in silenzio,
sembrò scrutarle dentro l’anima con quei suoi
occhi di ghiaccio. Il cuore di
Kaori andò a mille, e desiderò poter ritrarre la
mano che lui ancora stringeva,
ma la morsa dell’uomo sembrava ferrea, i movimenti del
pollice sulla sua pelle
quasi ipnotici.
Aveva
paura. Aveva davanti un vecchietto di ottant’anni, eppure era
terrorizzata.
“Tanto
potenziale… una tale bellezza… eppure, un tale
spreco…” sospirò,
tenendo lo sguardo saldo. Kaori
finalmente riuscì a liberarsi dalla presa, e lui la
guardò correre via, come un
cerbiatto spaventato, una vergine sacrificale, terrorizzata da
quell’inusuale
incontro, che l’aveva lasciata stremata più di
tutti gli altri avversari che
lei e Ryo avevano incontrato negli anni - nemmeno Kaibara aveva avuto
quest’effetto
su di lei.
“Mi
incuriosisce quella ragazza…ha un qualcosa di…
stuzzicante.” L’uomo si voltò
verso uno dei suoi uomini, con un sorriso compiaciuto sul viso.
“David, seguila
e scopri tutto quello che puoi su di lei. Credo che abbiamo appena
trovato un’altra
pecorella da aggiungere al nostro ovile…”
“Come
desidera, Mister Stiles.”
Dopo
avergli fatto un breve inchino, David si mischiò alla folla,
alla ricerca della
preda del padre e leader di Visualize…