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Autore: TheDoctor1002    30/12/2020    0 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 15 - L'orologio dell'Apocalisse

Tamatoa perse un battito quando, al mattino seguente, trovò la stanza di Artemis assolutamente vuota e il letto ancora integro.
Il suo sguardo corse febbrile al balcone e fu presto seguito dai suoi passi. I tacchi risuonarono rumorosi, mentre attraversava la camera con così tanto slancio che quasi si sentì cadere oltre la balaustra, una volta fuori.
"Buongiorno Tamatoa" la salutò pacata una voce alle sue spalle. 
Si voltò con ancora il cuore in gola, sentendo il suo ritmo rallentare e la nebbia dell'ansia dissolversi: la sua protetta era rannicchiata su una sedia del piccolo salotto esterno, già vestita per la giornata. I lunghi capelli corvini le ricadevano addosso quasi fondendosi con la coperta che aveva sulle spalle e le profonde occhiaie erano l'unico punto di colore su un volto molto più grigio del giorno precedente. 
"Buongiorno signorina" sospirò, riportando dietro alle orecchie alcune ciocche scure che erano sfuggite dalla elegante coda bassa "Non avete dormito? Se mi aveste chiamata avrei potuto procurarvi della valeriana. O qualcosa di più forte, magari."
"Certo che ho dormito" rispose Artemis con voce stanca, stiracchiandosi appena "Poco e male, ma l'ho fatto."
"Avete dormito qui fuori?" domandò l'altra, chiaramente confusa.
"No, nel letto, ovviamente." ridacchiò la pirata, studiando l'espressione perplessa di lei.
Tamatoa rivolse di nuovo lo sguardo alla stanza, oltre le spalle di Artemis.
"Non avreste dovuto risistemare." dichiarò, quasi risentita "Né avreste dovuto prepararvi da voi: é compito della servitù. Dovete imparare a vivere come i nobili." 
L'altra scosse le spalle, tornando a fissare la nebbia che si sollevava dal mare, nella luce pallida del mattino. 
"Cosa posso portarvi per colazione, signorina?" 
"Non faccio mai colazione" rivelò, alzandosi dalla sedia ma trascinandosi la coperta sulle spalle a mo' di mantello, rientrando. "Sant'Ana mi ha detto che avresti avuto qualcosa per me." 
"Certamente" confermò la dama, "é tutto sul tavolino all'ingresso."
Artemis non l'aveva quasi notato. Era più una sorta di piedistallo che un vero e proprio tavolino, tatticamente collocato dietro alla porta della stanza, accanto a una sedia su cui erano adagiati gli abiti con cui era arrivata e pochi dei suoi effetti personali. Sopra di esso, c'era un vassoio argentato, più probabilmente di vero argento, che radunava una copia ripiegata del giornale e una chiave d'ottone.
Artemis controllò rapidamente la data e si strinse il quotidiano al petto, accettando il braccio che la sua aiutante le porgeva.

"Dobbiamo uscire?" chiese incuriosita la pirata, mentre Tamatoa la guidava verso una delle porte vetrate che conducevano ai giardini. Minuscoli dipinti verdi e bianchi si affacciavano sul telaio chiaro dell'enorme infisso inondato di luce. 
"Certamente, la Biblioteca si trova nel castello Pangea." spiegò la donna con il rigore che ormai la distingueva "Ma non dovete preoccuparvi, il collegamento è diretto."
Dopo aver sceso con fatica una manciata di gradini, che ad Artemis parvero molti più di tre, il sentiero in pietrisco conduceva verso un delicato tunnel di rose rampicanti. Fiori grandi come un palmo adornavano i grandi archi in ferro, perdendosi in quel mare di foglie sottili. 
Il percorso si apriva in un altro cortile non troppo diverso da quello da cui partiva, con larghe pozze di erba impeccabile separate da sentieri di selciato talmente perfetto che sembrava ognuno di quei ciottoli fosse stato scelto individualmente.
Oltre di esso, il castello Pangea si stagliava in tutta la sua terrificante imponenza. Sembrava troppo ampio per entrare tutto in un singolo sguardo e probabilmente era quello lo scopo con cui era stato progettato: dare a un qualsiasi visitatore la consapevolezza che l'estensione di quell'istituzione non conosceva confini. 
Ad Artemis fece uno strano effetto, accedere dal portone principale anzichè da quello riservato agli ospiti. Ebbe quasi l'impressione non fosse lo stesso posto in cui era già stata tante volte, come se si stesse affacciando su di un quadro astratto o una strana dimensione specchio. Dopotutto, non si sarebbe stupita se la tremenda emicrania che le provocava l'agalmatolite stesse giocando brutti scherzi al suo senso della realtà. 
La sua guida era premurosa e comprensiva, attendeva i suoi tempi con più pazienza di quanta non riuscisse ad avere lei stessa. Avanzavano come in processione, attirando brevi sguardi dei funzionari attraverso gli usci socchiusi. 
All'improvviso, di fronte ad una delle molte porte incontrate sul loro cammino, Artemis sentì i capelli rizzarsi sulla nuca. Si fermò di colpo, come fosse stata attirata dal canto delle sirene.
"Signorina, si sente male?" chiese Tamatoa, mentre lei lasciava lentamente la presa sul suo braccio, avvicinandosi ai battenti come ipnotizzata.
"Che posto é questo?" domandò sottovoce, con un tono grave. La mano di Artemis esitò prima di sfiorare il legno scuro, come se temesse di bruciarsi.
"É la sala del Trono Vuoto, signorina." Rispose, con la sua pragmatica precisione incrinata da quello che alla pirata parve un reverenziale timore. 
Artemis aveva letto molto di quell'antico monumento, talmente tanto che sarebbe stata in grado lei stessa di descrivere l'alta seduta e i simboli del Governo Mondiale incisi nell'oro. Due rampe di scale conducevano allo scranno del mondo, di fronte a cui venti re di venti famiglie avevano gettato le armi in nome di un mondo più giusto e mai più devastato da fame, guerra o malattia. Un'utopia che non era mai riuscita a vedere la luce. 
"É accessibile?" domandò con voce vuota.
"La porta é sempre aperta" spiegò Tamatoa, senza comprendere a pieno il motivo di quell'accanimento "ma nessuno vi entra mai. É solo una stanza vuota con una grande sedia. Il suo valore é solo simbolico."
Senza neppure ascoltare quelle ultime parole, Artemis ruotò la maniglia ed entrò nel salone deserto, mentre una sensazione indecifrabile le stringeva lo stomaco.
Dava l'idea di un posto sospeso nel tempo, una sorta di non-luogo. La penombra era tagliata solo da lame di luce solare che fendevano attraverso le finestre ai lati del trono. Minuscole particelle di polvere fluttuavano davanti ai suoi occhi, mentre tentava di riconoscere i gradini. Il perfetto, religioso silenzio fu rotto solo quando la pirata riuscì a dare un nome a quello strano sentimento, che risuonò attraverso le colonne scanalate ai lati del corridoio che stava percorrendo: "Trompe-l'œil"
"Come dice, signorina?"
"Me ne ha parlato l'uomo che mi ha cresciuta." Spiegò, mentre la sua voce riverberava nella sala vuota "Si traduce letteralmente come inganna l'occhio, è una tecnica pittorica." 
Tamatoa guardò confusa le pareti immacolate della stanza, senza superare l'uscio "Temo di non comprendervi."
"Riguarda il dipingere su due dimensioni qualcosa di talmente realistico che pare si trovi su tre. È una simulazione, un effetto ottico. In alcune ville antiche veniva usato per dare alle stanze un aspetto più ampio. Ma il trompe-l'oeil funziona solo da una certa distanza. Da vicino, tutto diventa confuso e l'inganno cade." 
La dama faticava a identificare quello che vedeva la sua protetta. Era come fosse in grado di leggere una lingua straniera o di vedere attraverso un filtro. "Ma, Signorina, qui dentro non c'è nulla di simile." azzardò, quasi sovrappensiero.
Artemis fece vagare un'ultima volta lo sguardo sulla stanza, camminando all'indietro verso l'uscita fino a circa metà strada, come se temesse che un nemico invisibile dovesse piombare dall'alto. Non riusciva a darsi una spiegazione, ma quel terribile senso di inganno non si spense del tutto. "Lo so" mormorò, chiudendosi la porta alle spalle "Eppure ti assicuro che la sensazione è la stessa."

Appena Artemis giunse alla biblioteca, i monumentali scaffali invasero il suo campo visivo con prepotenza e solennità. Le librerie in legno ramato costituivano un corridoio su cui i dorsi dei libri scintillavano lucidi. Non c'era paragone con gli antiquari di paese a cui era abituata: nemmeno tutte le isole del Paradise avrebbero potuto mettere in scena uno spettacolo simile. 
Il suo primo pensiero fu che sarebbe stato complicato, in quelle condizioni, raggiungere i tomi più in alto, quasi due metri al di sopra del suo naso. Lo sguardo di Artemis proseguì poi lungo la grande parete circolare in fondo alla sala e lambì il mastodontico rosone decorato da mosaici di luce filtrata da vividi pigmenti. A una postazione dell'elegante tavolata rotonda, un calamaio, alcune matite e una risma di fogli parevano attenderla. 
Accarezzò con cautela il dorso di una delle sedie di broccato verde, colore che un occhio attento aveva rubato dalla boiserie dell'intera stanza, dandole un'atmosfera d'inviolabile calma. Notò che, oltre gli scaffali, una vetrata più piccola conduceva a un terrazzo intarsiato di gelsomini che oscillavano eterei, facendo danzare le loro ombre sulla pietra chiara e ruvida.
Per un attimo, Artemis si sentì quasi in pace.
"Ti prego, Tamatoa, potresti farmi un favore?" si voltò appena con fare cordiale, quasi temesse di disturbarla "Cerco un manuale di elettronica dial, immagino che con la giusta dose di fortuna potrei trovarne uno. Potresti portarmi alla giusta sezione?"
"Posso farlo io."
La voce alle sue spalle, chiaramente quella di un uomo, fu sufficiente a farla trasalire. 
Portandosi una mano al cuore malandato, Artemis si voltò verso la porta, nel cui vano stava la figura di un Drago Celeste. 
Aveva qualcosa di strano, osservò. Non erano certo i capelli verdi, raccolti nel loro bizzarro ricciolo sulla sommità del capo, nè i tratti spigolosi del viso o la normalissima tunica candida orlata di viola. Era qualcosa di più legato alla sua sagoma, ragionava, mentre egli avanzava lungo il corridoio. Lo realizzò solo quando gli fu vicino abbastanza da udire distintamente i suoi passi: a differenza di molti altri, i suoi non si alternavano al cigolio di catene nè ad altri calpestii. Non aveva schiavi con sè, nè assistenti. Era solo. 
"Donquixote Mjosgard" si presentò con un tiepido sorriso "È bello vedere finalmente un altro paio di occhi in questa stanza. Soprattutto se sono familiari come i vostri." 
Se lo sconvolgimento per la presenza un'altra figura era passato, era stato solo per lasciare il posto a quello legato al suo cognome e dopo ancora alle sue parole. 
"Come sapete chi...?" le parole sembravano inciamparle tra i denti, mentre lui le faceva strada attraverso i corridoi e le rilegature preziose.
"Ero alla proclamazione di Doflamingo come Shichibukai, forse però non vi ricordate di me." Rievocò, salendo con prudenza una scala a ruote, fino al penultimo ripiano di una delle librerie. "Non abbiamo parlato, sono solo passato dai festeggiamenti per vedere cosa fosse stato di lui."
"Sarete stato orgoglioso di vedere quanti dei vostri valori gli sono rimasti." Borbottò Artemis, generando uno sguardo sconvolto nella muta Tamatoa e maledicendosi per quell'uscita così impulsiva. Contrasse spasmodicamente la mandibola, vedendo l'ombra che oscurò per un breve secondo il volto di lui.
"No, in realtà per niente." sospirò Mjosgard con aria rassegnata ma sempre cortese, posandole in mano tre volumi prima che lei potesse scusarsi "Non io, perlomeno. Voi, in compenso, siete cambiata molto: la prima volta in cui vi ho vista sembravate un fantasma."
"Forse non lo sapete, ma stavo superando una malattia. Immagino dipenda da questo." specificò Artemis, riprendendo a seguirlo in quel dedalo di conoscenza.
"Non parlo dell'aspetto" rise di gusto, ritornando al tavolo rotondo al centro della sala "Me lo ricordo ancora, sapete? Eravate davvero incantevole. Ma era come se non foste davvero lì. Ora c'è una forza diversa nella vostra voce, anche se non lo definirei il vostro zenith. E quelli che avete davanti, per la cronaca, sono i miei spartiti. Vi sarei molto grato se poteste lasciarli." 
Artemis alzò istintivamente le mani dai fogli che aveva individuato al suo ingresso, quasi la carta l'avesse scottata. Si chiese, infatti, come fosse possibile che non avesse notato la partitura stampata sulle pagine e le note a matita che le ricoprivano. 
"Non oserei mai" dichiarò, spostando i suoi libri a un paio di sedie di distanza. 
Si sedette con cautela e prese a sfogliare l'indice del primo tomo per recuperare gli argomenti in sospeso. Mjosgard, poco distante, sembrava sorridere mentre si immergeva anch'egli nella sua materia e lei non poté fare a meno di ricambiare.

La mattinata trascorse tranquilla. Artemis scoprì presto che quello che credeva un comune mobile da esposizione posto sotto al rosone era in realtà un pianoforte verticale e che il suo compagno di studi era un provetto musicista. Mentre lei studiava, Mjosgard si esercitava, cullando i suoi processi mentali su componimenti scritti pazientemente, una nota per volta, fin quando il tramonto non invase la stanza col suo bagliore dorato. Allora le dita sui tasti bianchi e neri rallentarono e il Drago Celeste la salutò, augurandosi di ritrovarla il giorno seguente, se le avesse fatto piacere.
Dopo quel commiato, il silenzio si fece subito totale, scandito solo dal fruscio delle pagine e dal respiro lieve di Tamatoa, accomodata su una poltrona ma con lo sguardo sempre vigile.
"A cosa lavorate?" chiese la dama a un certo punto, notando quanto ampi si fossero fatti gli appunti della sua protetta. 
"Traccio una mappa" sospirò lei, con lo stomaco appoggiato al bordo del grande tavolo, mentre le mani spostavano con grande attenzione stecche e compassi "Non é precisa, ma basterà a darmi un'idea."
"É un regno di fantasia? State scrivendo un romanzo?" domandò Tamatoa, mentre i suoi occhi si perdevano a contare tutte le isole che Artemis aveva seminato nel Grande Blu. 
"Cosa?" rise appena la sua interlocutrice "No, é la Rotta Maggiore! Non la riconosci?" 
"Esistono tutte? Voglio dire, questi territori sono reali?" 
Artemis impiegò qualche secondo per comprendere il senso di quello stupore. 
"Tu non... Non sai com'è fatto il mondo?" 
Tamatoa non riusciva a scollare lo sguardo da quel raffazzonato atlante. Non lo fece nemmeno per mormorare un "No, non mi é mai servito saperlo." 
"E tu le hai visitate tutte?" Chiese poi, arrossendo appena e correggendosi subito. "Volevo dire voi. Voi le avete visitate tutte?"
"No" sospirò Artemis "Ma mi sarebbe piaciuto. In ognuno di questi brandelli di terra ci sono popoli straordinari e luoghi incredibili. C'è così tanto che avrei voluto conoscere. A te non piacerebbe? Non vorresti viaggiare?" 
Quelle parole bastarono per far tornare Tamatoa in sé. 
"Marijoa é il mio posto, signorina." dichiarò, senza emozione "Sempre lo é stata e sempre lo sarà."
Artemis non disse più una parola per tutto il tempo. Continuò a lavorare in religioso silenzio finché Tamatoa non insistette per farla cenare. 
In tutto quel tempo, però, non poté fare a meno di pensare di non essere la sola chiusa in quella prigione.

"Oh, entra, entra pure cara." La invitò la figura accomodata sul trono in fondo alla sala. Le sue dita si agitavano lunghe e affilate come coltelli nella penombra, mentre richiamava Sant'Ana a sé.
La donna entrò in silenzio nella stanza chinando appena il capo, avendo ben cura di chiudere la porta alle sue spalle.
"Ho visto tua figlia oggi." continuò l'altro con fare affabile "É carina, avevi ragione, ti assomiglia un sacco." 
"Artemisa é venuta qui?" chiese Ana allarmata, guardandosi intorno come se si aspettasse di vederla spuntare da una delle colonne. 
"Sì, avresti dovuto vedere come si guardava intorno, piccina! Magari il tuo doppiofondo ha qualche crepa, farei un controllo se fossi in te: non vogliamo che si scopra che il Trono Vuoto é occupato, vero?" 
"Il Doppiofondo é sicuro." dichiarò la donna " E piccina non é l'aggettivo che userei per definirla."
"Ah, quando hai tutti i miei anni sembrano tutti piccini." replicò annoiato il suo interlocutore "Che ci fai qui?" 
Ana chinò ancora la testa nel pronunciare la sua domanda. 
"Volevo sapere se ci fossero aggiornamenti, saggio Im." 
Lui sembrò rifletterci, poi concluse con un: "No, non direi, niente di significativo." Una punta di delusione si fece largo su quel suo volto indecifrabile. "L'orologio ticchetta ancora. Hai fatto bene a iniziare a chiudere i tuoi conti in sospeso. Lo farei anch'io, se ne avessi." 
"Quindi il mondo é destinato a finire ugualmente? Anche dopo aver fermato l'altro frutto?" 
"No, no no, che visione catastrofista!" rise lui, agitando le mani come a scacciare quei pensieri così tetri "Questo mondo é destinato a finire! E a ricominciare, se é per questo. Chi mai vorrebbe una bozza rovinata di una realtà in pezzi? Siamo agli sgoccioli ormai. Ma voglio dare ancora qualche mese di speranza a questa versione. Se continuerà a non piacermi..." 
"Via questa realtà, dentro un'altra." 
"Oh, brava!" applaudì Im "Vedi perché mi piaci? Con quei cinque vecchiacci non si può parlare, non afferrano i concetti come te!" 
L'espressione sul viso della donna si fece livida e rassegnata. Lui non poté fare a meno di notarlo. 
"Perché questa faccia lunga, Ana? Perché tutta questa negatività? Non te ne accorgerai nemmeno, tornerai ad esistere subito dopo in un mondo riparato, qual é il problema, cara?" 
"É pur sempre la mia realtà." ammise, con una punta di dispiacere "Ci ho lavorato così tanto." 
"Oh, siamo sentimentali! Dispiace anche a me, credimi! Ma questo mondo é finito, non c'è niente da fare. Riavviarlo é solo un gesto di compassione." 
"Perché attendere?" chiese allora la donna, rimpiangendo solo dopo di aver posto una domanda tanto insolente a una creatura così superiore. 
"Forse non ci crederai, ma sono curioso." ammise, gongolando appena "Nessuna delle mie realtà ha mai avuto degli esiti tanto catastrofici, voglio vedere quanto male può andare. Abbiamo finito?" 
"Certamente, saggio Im." concluse Sant'Ana con un sorriso di circostanza, mentre quell'ammissione alimentava le sue paure come benzina su un incendio "Perdonate la mia invadenza, vi lascio ai vostri doveri." 
"Quando vuoi, cara" la salutò. 
La donna percorse rapidamente il corridoio e, appena varcò la porta, un totale silenzio tornò a riempire la sala.

"Buongiorno, Mjosgard!" salutò una voce euforica appena il nobile varcò la soglia della biblioteca. 
"Buongiorno, signorina Artemisa!" replicò cordiale, per poi pietrificarsi nel mezzo del corridoio. Gli appunti della donna erano stati spostati dal tavolo al pavimento, costituendo un enorme tappeto candido fatto di fogli rattoppati. 
Sembrava aver letto molto durante la notte e aveva creato pile di libri ai lati del suo schema, come totem dedicati a divinità dimenticate. Si era liberata della tunica e ora circolava per la sala in pantaloni, canottiera e calzini, fermando i capelli con una penna. 
"Signorina Artemisa, è arrivato il giornale" annunciò Tamatoa entrando, aggirando l'uomo come fosse stato un mobile.
Senza proferire parola, Artemis raggiunse la dama in pochi istanti e prese frenetica ad esaminare le pagine.
Si muoveva velocemente, parlava velocemente, pensava velocemente, al punto da risultare inquietante. 
"Che avete, Mjosgard?" chiese alzando di scatto la testa dai suoi articoli. 
"Avete un aspetto terribile. State bene?" chiese lui schietto, ottenendo da Tamatoa un'occhiataccia per la sfacciataggine di quella domanda. 
L'interpellata sembrò dover prendere qualche secondo per capire cosa intendesse. Fissò Mjosgard con aria interrogativa, infine concluse con un: "Certo, che domande."
"Sembrate stanca. Avete dormito bene stanotte?"
"Non ho dormito." replicò lei, scribacchiando una nota e ansimando per quanto rapidamente accodava una parola a quella seguente "Credo sia il decorso operatorio: l'agalmatolite e gli antibiotici mi stancano, quindi devo prendere degli energizzanti per compensare e tenere un ritmo normale, ma credo abbiano dei trascurabili effetti collaterali" 
"Buon cielo." sospirò l'uomo, faticando a seguirla con lo sguardo mentre faceva da spola tra punti opposti del suo schema "Tamatoa, per piacere, porta della camomilla per la tua signora. Credo che a qualcuno farebbe bene fermarsi." 
"A chi? Di chi parlate?" chiese Artemis, che aveva avvicinato una sedia ad uno degli scaffali per recuperare l'ennesimo volume. 
Appena scese, due mani le presero le spalle, facendola sedere prima che potesse riprendere a correre per la stanza. 
"Voi, Artemisa. Avete bisogno di fermarvi." dichiarò l'uomo, togliendole il libro e posandolo sul tavolo. Notò che tremava lievemente, non riusciva a stare ferma. 
"Non voglio" dichiarò lei, senza perdere contatto visivo con la sua opera come se temesse di vederla sparire "Se mi fermo l'adrenalina cala, se l'adrenalina cala non riesco a fare le cose."
"Che cose dovete fare?!" la interrogò "Siete in un palazzo, ci sono squadroni interi di persone che fanno a gara per fare le cose al posto vostro." 
"Devo capire cosa succede!" 
sbottò Artemis "Se non vivo gli eventi non li assimilo e perdo pezzi. Non riuscirò mai a seguire tutto con una base così frammentaria."
"E a cosa dovrebbe portare tutto questo?" chiese il nobile, allontanandosi "Spiegatemelo, vi prego: non capisco. Cosa merita il sacrificio della vostra salute?" 
Lei si alzò, riprendendo il suo ritmo. 
"Qualsiasi evento ha conseguenze. Azione e reazione, Mjosgard: la legge più vecchia del mondo. Le notizie sono solo la punta dell'iceberg. Prendiamone una qualsiasi."
Propose, aprendo il giornale in un punto a caso. Scelse una notizia dal mucchio e subito riconobbe un nome familiare, che le si incastrò in gola come una spina. 
"Siglata un'alleanza tra Eustass 'Capitano' Kidd e i pirati On-Air." 
"Signorina?" irruppe Mjosgard nei suoi pensieri, facendole realizzare di aver aperto la bocca ma non aver pronunciato una singola parola. 
Artemis sospirò profondamente, mentre una orribile sensazione le attraversava lo stomaco. Era certa che un giorno si sarebbero scontrati per davvero, solo non si aspettava sarebbe stato così. Non in un'alleanza con Apoo, da cui aveva probabilmente ricavato più di un coltello già pronto a perforargli la schiena. 
Affezionarsi a qualcuno con così poco criterio era stato un errore di valutazione imperdonabile. O peggio, forse in quella trappola l'aveva spinto lei, con quei suoi stupidi discorsi sulle alleanze. Tornò a galla quella voce, in un angolo buio della sua mente, che le diceva che era in grado di lasciarsi alle spalle solo cadaveri e macerie. E sperava profondamente che lui contasse solo nel secondo gruppo.
"La ciurma di Kidd si è alleata con gli on-Air" annunciò con improvvisa lucidità, come se stesse tenendo una lezione "Nel quadrante 14-AD sono riportati loro asset. Apoo, il capitano dei secondi, si è dimostrato un simpatizzante di Kaido. Non ci sono notizie ufficiali su di lui, ma la sua natura approfittatrice rende facile immaginare che cederà all'annessione, se si presenterà l'occasione. Kidd, invece, è guidato da un orgoglio cieco che, senza dubbio, porterà alla rottura della sua alleanza. Kaido non accetterà uno smacco simile. Potrebbe ucciderli, certo, ma non perderà l'occasione: circolano voci sul fatto che stia aumentando le sue forze e i Kidd Pirates hanno più di un elemento degno d'interesse. Se la mia ciurma puntasse a muoversi contro di lui, probabilmente potrebbe dover fronteggiare anche alcuni di loro, volenti o nolenti. Nei quadranti 14-AE e 15-AE ci sono le schede di tutti, da Kidd a Killer, passando per Heat e Wire, fino ai mozzi. Questa è solo una delle possibilità, ci sono almeno tredici punti cardine che potrebbero cambiarne gli esiti e io devo esplorarli tutti per evitare che i miei finiscano ammazzati." 
Terminata quella dissertazione, ancora inginocchiata accanto alla sua mappa, Artemis riprese a percepire il mondo intorno a sé. Vide i collegamenti nuovi che aveva tracciato, la scrittura istintiva e confusa delle sue note, fino allo sguardo sbalordito di Mjosgard e Tamatoa, che l'avevano persa dopo i primi trenta secondi.
Ma sentiva che le mancava ancora qualcosa, una consapevolezza che si manifestò nelle realiste parole di Mjosgard: "Ma come farete a guidarli?" 
Realizzando quanta verità ci fosse in quella considerazione così semplice, i suoi sensi inchiodarono, lasciando che il suo corpo andasse avanti da solo, per poi cadere come un involucro vuoto al suono di una flebile ammissione: "Avete ragione."

Si svegliò diversi minuti dopo su un divanetto della biblioteca, ancora intontita e con un sapore terribile in bocca. 
"Che é successo?" Formulò a fatica. 
"Vi ho sedata mentre parlavate, signorina." rispose Tamatoa con precisione "Non potevo lasciare che il vostro atteggiamento autodistruttivo proseguisse, sarebbe stato deleterio per voi." 
"Mi fa male la testa" si lamentò l'altra.
"Riposate e vi passerà." 
Sollevando con gran fatica le palpebre, Artemis contò le figure attorno a lei: una, due, tre. 
"Prima erano due" constatò tra sè, ricontandole. Erano sempre tre. 
Allora sollevò un dito verso quella che gli sembrava più estranea, chiedendo: "È un'allucinazione?" 
"Assolutamente no, signorina." 
Riconoscendo Sengoku, la pirata si alzò. Le era sembrato impossibile che non fosse stato annunciato. Forse l'aveva più semplicemente ignorato. 
"Grand'Ammiraglio." lo salutò, con una distaccata cantilena, faticando per metterlo a fuoco. 
"Artemis." 
Lui pronunciò il suo nome come se fosse stato un sollievo. Aveva un qualcosa di diverso da tutte le altre volte in cui si erano incontrati. Le ricordò quando la scoprì a leggere le sue lettere. L'uomo fece per avvicinarsi, ma lei replicò con un mezzo passo indietro che arrestò la sua avanzata. 
"Era Comandante De la Rose, l'ultima volta." ricordò con dolore "Perché siete qui?" 
"Perché non abbiamo mai potuto parlare." disse l'uomo.
"Non ho nulla da dire." replicò severa "I pirati Heart non sono come la famiglia Donquixote e io non sono più dei vostri." 
"Mi riferisco alla nostra vicenda" specificò lui, osservando gli altri due ospiti nella stanza. "Potremmo andare in un luogo meno affollato?" 
Dopo un attimo di tentennamento, Artemis annuì e seguì il Grand'Ammiraglio verso il terrazzo della biblioteca deserto.

 

   
 
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