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Autore: _Agrifoglio_    31/12/2020    13 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Haimeau-a-Natale
Haimeau-a-Natale-2
1800

Tornata Oscar dalla missione egiziana e salvato André dalla scure del boia di Londra, la priorità divenne impadronirsi delle missive che il Duca d’Orléans si era scambiato col Conte di Compiègne e col Generale Bonaparte, al fine di chiarire il malinteso che si era creato e di far uscire l’Inghilterra dal conflitto che già vedeva schierati contro la Francia l’Austria, la Prussia, la Spagna e il Regno di Sardegna.
Sottrarre al novero dei nemici un avversario potente come l’Inghilterra avrebbe notevolmente spostato l’ago della bilancia anche perché la Royal Navy, quale padrona incontrastata del mare, bloccava i porti e intercettava molte navi dirette verso la Francia, impedendo gli approvvigionamenti e riducendo alla fame intere regioni.
Si era a lungo discusso su come procedere, perché il Palais Royal era molto sorvegliato ed entrarvi di soppiatto sarebbe stato pressoché impossibile. Oscar e André ricordavano bene quanto era stato difficile infiltrarsi nelle segrete del palazzo in occasione del rapimento di lei da parte del Cavaliere Nero e, allo stato attuale, neppure si poteva contare su un uomo mascherato di eccezionale somiglianza dietro la cui identità camuffarsi.
Occorreva giocare d’astuzia, aggirare il problema e, fra una discussione e l’altra, il Generale de Girodel formulò una proposta che parve sensata anche se di dubbia moralità.
– Quello che proponete, Generale de Girodel, oltre a non farci onore, solleverà un gran vespaio – disse Oscar, con voce severa e aria grave.
– Me ne rendo conto, Comandante – rispose Girodel – ma potrebbe trattarsi di una mossa efficace e, poi, ripagheremmo il Duca d’Orléans con la sua stessa moneta.
– Si tratta di un piano particolare – intervenne il Generale de Jarjayes – ma il Duca d’Orléans è un soggetto altrettanto particolare e, poi, si sa, il fine giustifica i mezzi.
– Ma dove li troviamo gli “artisti”? – sibilò Oscar, ancora poco convinta.
– Non temete, Madame Oscar – la rassicurò il Conte di Fersen che non condivideva gli scrupoli di lei e che, anzi, era ben lieto di rendere la pariglia al Duca d’Orléans, pensando a tutte le sofferenze e all’imbarazzo che questi aveva inflitto alla Regina e anche a lui – Ho alcune conoscenze che potrebbero fare al caso nostro.
Il piano fu, quindi, sebbene con riluttanza, approvato e anche Sir Percy, col consueto mezzo dell’inchiostro simpatico, diede agli amici francesi dei validi consigli per agire nel migliore dei modi.
– Sai, André – disse Oscar mentre i due erano seduti nell’ufficio di lei, alla reggia – Capisco le esigenze di mettere il Duca d’Orléans in condizione di non potersi difendere, per avere noi campo libero, ma questo piano continua ad apparirmi indegno di un gruppo di gentiluomini.
– In condizioni normali, sarei d’accordo con te, Oscar, ma quelle lettere ci servono. Troppo abbiamo patito a causa di esse e, poi… – aggiunse, con un sorriso allo stesso tempo canzonatorio e divertito – … sarà interessante vedere, per una volta, il Duca d’Orléans dall’altro lato della barricata!
Oscar ripensò a tutto quello che avevano sofferto a causa di quella corrispondenza clandestina, alla sparizione del marito, alla lunga detenzione di lui in terra straniera, alla scure del boia che aveva visto scintillare in una triste mattina di un’uggiosa giornata londinese, alla propria angoscia protrattasi per mesi e allo spettro dello stato di orfani che era aleggiato sul capo dei figli e si disse che, forse, a un passo dalla meta, troppi scrupoli sarebbero stati fuori luogo.
Una parte di lei, però, ancora si ribellava alla violazione dei radicati principi morali che, sin dalla fanciullezza, l’avevano accompagnata.
********


La fioca luce della candela rischiarava a malapena una piccola parte della stanza, avvolgendo l’uomo seduto alla scrivania con un tenue bagliore che risvegliava angoscia e tetraggine.
Il mesto chiarore della fiamma indugiava sul viso e sulle mani di lui, evidenziando impietosamente tutte le rughe, soffermandosi su ogni difetto della pelle e accentuando, col suo gioco di chiaroscuri, l’espressione corrucciata e offesa di quell’infelice che, incurvato in avanti, giaceva sulla sedia come un giocattolo scarico.
L’uomo sospirò pesantemente per l’ennesima volta e, mentre lo faceva, le mani di lui stringevano macchinalmente la carta stampata, ormai divenuta un ammasso di fogli sgualciti. Una goccia di sudore luccicò all’incerta e guizzante danza della fiammella, prima di solcare la fronte del lettore, attraversata, nell’angolo destro, da una vecchia parrucca incalcata di sghembo.
Un lampo di rancore percorse gli occhi dell’uomo che, con un gesto secco, sbatté il giornale sul tavolo, per, poi, strofinarsi lentamente le dita ossute e nervose sulla fronte e affondarle, subito dopo, nelle guance.
Pur essendo un militare di lungo corso, giudicava quell’insieme di oscenità più devastante e odioso, per la sua reputazione, di una battaglia persa. Non che avesse mai considerato la moglie una santa, essendo stato colto più volte dai sospetti che aveva sempre ricacciato indietro, chiudendo un occhio e, spesso, tutti e due, ma mai avrebbe potuto immaginare che il nome di lei sarebbe sprofondato ai livelli più infimi della vergogna umana.
L’uomo continuò a passare in rassegna, con meticolosità compulsiva, le scene più aberranti e sgradevoli di quel groviglio di pornografia, indugiando quasi autolesionisticamente sulle immagini che ritraevano la consorte e il Duca avvinti in fantasiose licenziosità secondo e contro natura, che la candela, col suo netto gioco di luci e di ombre, rendeva ancora più vivide.
Un dolore opprimente transitò dal cuore alle viscere, trasformandosi da spirituale a fisico e inducendo il poveretto a stringere i pugni e a rantolare.
Era finita la fase della pazienza… Era terminata l’epoca della bonaria cecità in nome del decoro… Nessuna parvenza di rispettabilità si poteva conservare di fronte a quelle nauseabonde oscenità che, simili a saltellanti pidocchi, correvano disordinatamente e indifferentemente, realizzando una perfetta democrazia, fra i salotti della nobiltà e i vicoli più sordidi della suburra parigina… Niente restava da salvare, ora che i cortigiani, vedendolo passare, si scambiavano cenni ammiccanti, facendo scivolare, da un labbro all’altro, la parola “becco”.
Nulla doveva al Duca, in fin dei conti. Tutte le ricchezze, i debiti saldati e lo stile di vita principesco di cui godeva la famiglia derivavano dalla benevolenza che la Regina aveva dimostrato alla consorte di lui, nei primi anni del loro soggiorno alla reggia e dalle ruberie di cui egli stesso si era macchiato, dopo essere assurto ai ranghi più elevati della Casa Reale.
Nulla doveva a quella meretrice che si era concessa al Duca più di dieci anni addietro e che, ora, a causa della gioventù sfiorita, si era ridotta a fargli quasi soltanto da mezzana, pur di non perderne il favore. Tutto ciò che ella aveva avuto dal Duca se lo era tenuta gelosamente per sé, senza dividerlo con lui.
Il Conte di Polignac prese carta e calamaio e iniziò a scrivere poche, secche e dure parole, vergate con decisione al pallido lucore della fiamma.
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Versailles-sotto-la-neve
Giardini-di-Versailles-sotto-la-neve
Cigno-sotto-la-neve

In occasione del Natale, i de Jarjayes avevano invitato parenti e conoscenti nel grande salone addobbato a festa, dove i bambini, eccezionalmente ammessi a partecipare a un evento mondano normalmente riservato agli adulti, avevano preteso che tutti i presenti, nessuno escluso, indossassero le corone di rami secchi, bacche e foglie d’edera da loro intrecciate. Anche il Generale si era sottoposto a quel frivolo supplizio in nome della pace familiare mentre i molti beagles di André, nati dalla coppia di cani che, undici anni prima, aveva portato dall’Inghilterra, sedevano sbadigliando al centro della sala, camminavano sotto la tavola in cerca di cibo o tentavano furtivamente di addentare i rametti di agrifoglio e di vischio o le pigne delle varie decorazioni.
Nella notte del 31 dicembre 1799, invece, molti cortigiani, fra cui i de Jarjayes e i de Girodel, si radunarono, insieme alla famiglia reale, nella Sala della Pendola, situata nel Petit Appartament du Roi, ad attendere lo scoccare della mezzanotte davanti al portentoso orologio di legno dorato per la cui realizzazione erano occorsi dodici anni.
Come ogni anno, il rituale di attesa davanti allo spettacolare e raffinato marchingegno si rinnovava fra le chiacchiere dei cortigiani e il brio delle dame mentre alcuni valletti servivano cibi e bevande su vassoi d’argento.
Una fitta nuvola di fiocchi di neve era caduta e, ora, ricopriva, con un soffice e friabile manto, le siepi dei giardini della reggia e gli alberi conici.
La Regina sedeva in compagnia delle sue dame, fra cui la Principessa di Lamballe, Madame de Jarjayes, Madame de Girodel e Geneviève, Contessa di Compiègne, ormai divenuta una donna di mondo, mesta, ma smaliziata. La suocera, benché, per nascita, fosse una Girodel, essendo cordialmente antipatica alla Regina, non era stata invitata e ciò aveva alleggerito molto l’animo della malmaritata.
Il giovane Re e Madame Royale stavano vicino alla sorella, ai fratelli e alle vecchie zie del padre, sopportando la petulanza delle Contesse di Provenza e di Artois e le maldicenze delle anziane, ma imperterrite Mesdames.
Oscar e André sedevano accanto al Generale de Jarjayes, al Generale de Girodel e al Maggiore de Valmy. Al gruppo, si era unito anche Sir Percy Blakeney, giunto un paio di giorni prima dall’Inghilterra, di nascosto dai suoi connazionali, per sorvegliare da vicino il piano che avrebbe dovuto condurre all’arresto del Duca d’Orléans e alla perquisizione del Palais Royal. Il Conte di Canterbury, che era agli arresti domiciliari per alto tradimento e spionaggio, era, infatti, imparentato con Sir Percy oltre che con Oscar ed era, pertanto, interesse dell’intraprendente Baronetto riparare quell’ingiustizia e porre fine al doloroso conflitto che vedeva opposti i due Stati.
Il Vescovo de Talleyrand Périgord discuteva con gli uni e con gli altri e, pur mantenendo un atteggiamento modesto e apparentemente innocente, dagli sguardi e dal modo di muoversi, dava l’idea di essere a conoscenza di molte cose.
Il Duca d’Orléans e la Contessa di Polignac stavano vicini. Lei civettava spudoratamente con lui, fiera della sua posizione di favorita di un membro, seppur minore, della famiglia reale. Si sentiva sicura al punto tale da non temere i libelli che, anzi, le apparivano come una consacrazione del suo ruolo privilegiato. Il Duca, invece, sembrava molto più freddo e trattava la donna senza particolari slanci, con semplice cortesia.
Il Conte di Polignac era assente.
Le conversazioni e le musiche si protrassero a lungo, finché l’attesa fu interrotta dagli ultimi rintocchi della pendola astronomica.
Uno scroscio di applausi animò la stanza e tutti salutarono l’arrivo del nuovo secolo, di quel 1800 avvolto dal mistero di tutte le cose nuove, dal quale ognuno si aspettava qualcosa, sebbene nessuno sapesse bene cosa, tranne forse, un giovane Generale di media statura che, dalle sabbie dell’Egitto, ordiva e pianificava, in attesa di fare suo il mondo.
Mentre i valletti distribuivano ai presenti le coppe di champagne e l’allegria generale giungeva all’apice, il Conte di Fersen disse alcune parole alla Regina e, poi, si accostò al gruppo dei de Jarjayes e dei de Girodel.
– Il Conte Jules de Polignac ha presentato un’accusa formale di adulterio contro la moglie e il Duca d’Orléans. E’ notizia che risale a questa mattina e io l’ho appresa, alcuni minuti or sono, da un mio amico Magistrato del Parlamento di Parigi.
– Il dado è tratto! – esclamò Sir Percy e una luce soddisfatta e birichina gli attraversò gli occhi.

 
Sala-della-Pendola

 
Pendola
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Il giorno di Capodanno del 1800, intorno alle due del pomeriggio, Oscar, il Generale de Girodel, il Maggiore de Valmy e altre Guardie Reali si trovavano a Parigi, davanti al Palais Royal.
Era giunta loro la notizia che, in quel giorno e a quell’ora, avrebbero trovato il Duca d’Orléans insieme alla Contessa di Polignac ed era loro intenzione coglierli in flagrante per procedere all’arresto di entrambi, così da avere, poi, campo libero nella ricerca delle lettere. Poiché la denuncia del Conte di Polignac era stata presentata già da un giorno, non volevano rischiare che una fuga di notizie desse al Duca la possibilità di allontanarsi e di sbarazzarsi della corrispondenza col Conte di Compiègne e col Generale Bonaparte.
Con loro, c’erano anche André e Sir Percy Blakeney.
Per fortuna, il tempo non era dei peggiori e soltanto qualche fiocco cadeva lento e silenzioso dal cielo.
Il drappello procedeva ordinatamente sul manto di neve soffice che imbiancava il piazzale, imprimendovi scricchiolanti impronte che i nuovi fiocchi avrebbero presto ricoperto.
– Sarà anche vero che il fine giustifica i mezzi – disse Oscar, stringendosi nel pastrano – ma questa storia continua a non piacermi. Abbiamo usato un trucco spregevole per inchiodare il Duca a una colpa che, in un paese civile, dovrebbe essere soltanto causa di biasimo sociale e non certo materia di reato.
– Vedi il lato positivo – le rispose André – Il Duca d’Orléans, finalmente, sarà messo in condizioni di non nuocere e del mezzo che abbiamo usato, quello dei libelli scandalistici, egli si è servito innumerevoli volte.
– Questo non rende onorevole un’azione di per sé laida – ribatté la donna, con voce grave – La Contessa di Polignac ci andrà di mezzo. E’ una figura molto sgradevole, ma non è coinvolta in questa brutta vicenda.
– Potrebbe essere una complice minore – osservò André – In fin dei conti, se sta col Duca, non lo fa certo per suo piacere personale e, se anche non fosse direttamente coinvolta in questa storia, troppi crimini ha commesso e troppa gente ha fatto soffrire.
– Non riesco a essere contenta, André. Ci siamo messi allo stesso livello dei reprobi che vogliamo punire e la dimostrazione sta nel fatto che, per stampare i libelli, abbiamo usato proprio le macchine sequestrate in Rue Buffon che, poi, erano state acquistate col denaro del Duca d’Orléans.
– E non cogli l’ironia di questa situazione? – le domandò il marito, con un sorriso malandrino.
– Per ottenere la denuncia che ci permetterà di arrestare il Duca d’Orléans, abbiamo pubblicamente umiliato il Conte di Polignac che non è coinvolto negli intrighi del Duca, del Conte di Compiègne e del Generale Bonaparte.
– Non sarà coinvolto, ma ha fatto man bassa dei fondi dello Stato quando era Ministro delle Poste e quando ricopriva tutti quegli incarichi di prestigio che la Regina, ingenuamente, gli fece affidare. Il poco denaro che ancora si trovava nelle Casse dello Stato, dopo che furono sostenute le ingentissime spese per finanziare la Guerra d’Indipendenza americana, lo ha saccheggiato lui e l’ostilità alla Corona di gran parte della nobiltà è nata dall’ingiustificata preferenza che la Regina gli accordava. Per colpa della famiglia de Polignac, stava per scoppiare una rivoluzione e, se ciò non è accaduto, è soltanto perché Re Luigi XVI è stato assassinato nel momento più tragico. Quella famiglia è peggio delle termiti e delle cavallette! – concluse André, con la voce alterata dallo sdegno.
Oscar gli rivolse un flebile sorriso, ma era evidente che non era convinta e che tutte quelle risposte logiche, che lei stessa si era data per autogiustificarsi, nei due mesi seguiti all’inizio della campagna diffamatoria da loro orchestrata, non erano sufficienti a far tacere il rimorso per l’infrazione del suo rigido codice morale.
– Siamo giunti all’entrata, André. Tu non hai titolo per entrare. Vai con Sir Percy.
– Stavo pensando di chiederti di riprendermi come attendente, ma non vorrei togliere il lavoro a Jean – scherzò lui, per stemperare la tensione, mentre si allontanava.
Le Guardie Reali entrarono nel Palais Royal, dal quale la maggior parte dei servitori era assente. Il Duca d’Orléans, infatti, per gratificarsi della sua immagine di uomo liberale, nel giorno di festa, aveva concesso la libera uscita a molti dipendenti, facendo rimanere quelli a lui indispensabili.
Malgrado il palazzo fosse quasi vuoto, Oscar affrettò le operazioni, per evitare che qualcuno corresse ad avvertire il padrone, nullificando i loro sforzi.
Le Guardie si diressero spedite verso gli appartamenti privati del Duca, la cui collocazione risultava da una pianta del palazzo, ordinando ai servitori incontrati via via di dirigersi nell’atrio e di non avvertire il loro padrone, pena l’arresto immediato.
Spalancate le porte delle stanze private, trovarono il Duca e la Contessa seduti in un grazioso salottino, vicino a un camino acceso e crepitante. Avevano indosso delle vesti da camera di seta ricamata, bordate di velluto e i capelli ricadevano liberi e lievemente scarmigliati sulle loro spalle, senza nastri e ornamenti. Lui fumava la pipa, lei sorseggiava dello champagne e, dietro un paravento di legno dipinto con figure di fiori e di uccelli, quattro violinisti suonavano un’allegra e piacevole melodia.
Da tutto l’insieme, era chiara la natura di quell’incontro.
– Duca d’Orléans, Contessa di Polignac – disse Oscar, con voce stentorea – Vi dichiaro in arresto per adulterio e atti osceni e impudichi!
– Voi non potete! – tuonò il Duca d’Orléans che mai, in tutta quella vicenda, si era sentito scalfito o messo in pericolo dall’esistenza dei libelli – Io sono un Principe di sangue reale, cugino del Re!
– Il Conte Jules de Polignac Vi accusa entrambi – rispose Oscar senza scomporsi.
La Contessa di Polignac, che era seduta di spalle alla porta, non essendo stata vista in faccia, pensò che non tutto fosse perduto. Afferrò lo scialle e il mantello che aveva riposto sullo sgabello vicino alla poltrona dove era seduta e, avvolto il secondo sulle spalle e il primo intorno alla testa, si diresse fulmineamente verso una porticina seminascosta nella tappezzeria che, attraverso un passaggio segreto, conduceva a un’uscita secondaria del palazzo.
Aprì la porta, ma, dietro di essa, trovò Sir Percy e, dopo di lui, André a ostruirle il passaggio.
Sir Percy afferrò la dama per un braccio, la girò verso le Guardie Reali e le strappò lo scialle dal volto, in modo che nessun dubbio potesse esserci sull’identità di lei.
– La Vostra fuga termina qui, Madame – le disse spavaldamente il nobiluomo inglese.
– Signore, se Voi foste mio marito, Vi avvelenerei il caffè – gli disse, con stizza, la Contessa.
– Signora, se Voi foste mia moglie, lo berrei – le rispose, senza battere ciglio, Sir Percy.
Il Duca e la Contessa furono portati via dalle Guardie, sotto gli occhi costernati dei servitori, mentre lui minacciava il mondo intero e lei inveiva contro la stupidità del consorte che aveva svergognato se stesso e i figli.

Palays-Royal
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Subito dopo l’arresto del Duca d’Orléans e della Contessa di Polignac, le Guardie Reali misero i sigilli al palazzo e lo sgombrarono di tutti i servitori.
Il giorno successivo, iniziarono le perquisizioni finalizzate a scovare le lettere comprovanti il ruolo rivestito dal Duca d’Orléans, dal Conte di Compiègne e dal Generale Bonaparte nell’inizio delle ostilità tra la Francia e l’Inghilterra.
L’operazione si rivelò subito difficilissima, perché trovare dei sottili fogli di carta in un palazzo così grande era come cercare un ago in un pagliaio. Oscar, però, mostrò tutta la sua determinazione – troppo le era costato, sul piano morale, ottenere l’allontanamento del Duca dal palazzo – e illustrò ai suoi uomini il piano delle indagini, pregando che il padrone di casa non avesse portato la tanto ambita corrispondenza in una dimora secondaria.
Le ricerche iniziarono dalla stanza nella quale c’erano più possibilità che le missive si trovassero e, cioè, dallo studio del Duca che le Guardie rivoltarono come un calzino. La scrivania fu setacciata da cima a fondo, a caccia di scomparti segreti, di intercapedini e di congegni a molla. Le mattonelle furono premute una a una, i divani e le poltrone sprimacciati e rivoltati, gli orologi furono smontati e rimontati mentre la tappezzeria e i cuscini vennero punti con lunghi spilli, ma neppure una lettera saltò fuori.
Dopo una giornata di lavoro intenso, era stata perquisita soltanto una stanza, neppure troppo grande.
– Dovremo perlustrare un angolo dietro l’altro, André, comprese le segrete dove fui imprigionata io, se necessario, nella speranza che il Duca d’Orléans non abbia portato le missive altrove.
– Buon lavoro, allora! – le rispose, sornione, il marito.
– Buon lavoro?! Tu cercherai con noi! – sbottò Oscar, indispettita.
– Ah, questa volta, sono ammesso, eh? – concluse, ridendo, lui mentre lei lo fulminava con una delle sue occhiate furenti.
La mattina successiva, entrarono nella biblioteca, un salone rettangolare lunghissimo, col pavimento di marmo e tantissimi scaffali di legno scuro. Ogni settore era dedicato a un genere letterario: la commedia, la tragedia, la storia, le scienze, la religione, l’arte, le civiltà antiche o lontane e, poi, c’erano scaffali che contenevano libri che descrivevano le varie città del mondo.
Oscar si avvicinò a una consolle sormontata da un enorme specchio dorato, appoggiò le mani sul ripiano di marmo e sospirò profondamente. Ci sarebbe voluto più o meno di un mese per setacciare tutti quegli scaffali e quei libri?
Poi, lo sguardo le cadde su un’iscrizione latina incisa sulla cornice superiore dello specchio:
“IN URBE NOVA SECRETUM OSTENDITUR”.
Rientrò a casa perplessa, con quella frase sibillina che le rimbombava nella testa.
Il giorno dopo, tornata al Palais Royal, prese nuovamente posto davanti alla consolle, leggendo e rileggendo l’iscrizione. “In urbe nova… In urbe nova…”, ripeteva, fra sé e sé, la donna.
Alzati gli occhi sullo specchio, vide riflesso il settore dedicato all’Italia.
– Ma certo! Come ho fatto a non capirlo prima! La nuova città, Νεάπολις, Napoli!
Corse allo scaffale in cerca del libro dedicato alla città di Napoli e, una volta trovatolo, lo premette con vigore. Si udì, subito dopo, il clangore di un congegno, seguito da un cigolio. La parete alla quale erano appoggiati lo specchio e la consolle ruotò, rivelando l’esistenza di una stanza segreta.
Oscar vi entrò e trovò una scrivania sul cui ripiano erano riposte dozzine e dozzine di lettere.







Lo scambio di battute fra la Contessa di Polignac e Sir Percy Blakeney:
– Signore, se Voi foste mio marito, Vi avvelenerei il caffè.
– Signora, se Voi foste mia moglie, lo berrei.
E’ preso da un reale dialogo avvenuto fra Winston Churchill e Lady Astor.
Grazie a tutti coloro che leggono e recensiscono e auguri di un felice e sereno 2021!
   
 
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