Picche
Remus Lupin aveva pazienza a
chilate. Poteva tollerare i suoi migliori amici per un quantitativo
pressoché illimitato di tempo, capacità che, considerati gli
individui in questione, poteva rientrare di diritto nell’elenco delle
Abilità Straordinarie della Storia della Magia, come per i maghi che
potevano volare senza l’ausilio di alcuno strumento. Effettivamente, a
sua conoscenza, soltanto lui e Albus Dumbledore potevano vantare lo
strabiliante primato di sopportare senza effetti collaterali James Potter e
Sirius Black.
E Dumbledore, insomma,
compariva persino sulle Cioccorane.
Remus Lupin cominciava seriamente a chiedersi, stando così le cose,
quanto ancora avrebbe dovuto aspettare prima di finirci anche lui.
Tuttavia quel pomeriggio,
marciando filato per il corridoio nel vano tentativo di liberarsi del suo
insistente inseguitore, Remus comprese che forse, dopotutto, sulle Cioccorane non ci sarebbe finito
perché forse, dopotutto, la sua pazienza aveva un limite.
Limite che stava per essere
drammaticamente superato.
Sirius lo tallonava senza
tregua da un tempo variabile tra i dieci minuti e le quindici ore; ovvero, le
lancette indicavano che si trattava di dieci minuti, ma a Remus Lupin parevano
quindici ore: probabilmente perché, negli attimi intercorsi
dall’inizio dell’inseguimento, Sirius era riuscito ad informare
all'incirca l’intera scuola, con la sua risonante voce grave e per nulla
trattenuta, che lui era appena stato corteggiato da una ragazza per la prima
volta dall’inizio del primo anno, che la ragazza era carina, che lui era
diventato bordeaux, aveva balbettato, si era strafocato con la sua saliva e
infine le aveva dato picche senza nessuna valida ragione.
Oltretutto non era neanche
vero. Remus era sicuro dello svolgimento dei fatti: era semplicemente rimasto
per qualche secondo in silenzio, sorpreso, poi aveva gentilmente e fermamente
rifiutato l’invito della fanciulla ad andare ad Hogsmeade con lei.
Sì, poteva essere che nel tentativo di respirare gli fosse andata di
traverso l’aria, poteva essere che avesse avvertito una forte vampata di
calore e anche che non si fosse espresso articolando alla perfezione le parole,
ma di certo non era andata come sosteneva Sirius. Che restava un cafone immane,
uno spiattellatore di fatti altrui e non ultimo un maledetto rompicoglioni,
come dedusse il giovane licantropo in quel momento, udendo l’ennesimo,
lamentoso “Ma vuoi spiegarmi
perché cavolo le hai dato picche, eh? Eh, eh eh?”
Uno strazio.
“Allora, me lo spieghi
sì o n...?”
“Pietà,
Sirius,” bofonchiò lui spossato, svoltando verso la rampa delle scale.
“Non c’entra nulla
la pietà. Rispondi e basta, ti decidi a spiegarmi sì o...?”
“NO,”
sbottò Remus, accelerando il passo per la milionesima volta.
Poteva avvertire
l’emanazione della contrarietà di Sirius anche senza voltarsi
indietro. Aveva le sopracciglia corrugate e un’espressione fosca,
imbronciata e lievemente infantile.
“Questa non è una
risposta contemplata,” osservò bizzoso, e Remus seppe che si stava
drappeggiando il mantello della divisa sul petto anche senza udirne il fruscio.
“L’hai proposta tu,”
ribatté placidamente lui, imboccando la gradinata.
“Remus!”
protestò Sirius tenendogli dietro. La scala, forse mossa a compassione,
fece per aprirsi a metà salita e ruotare su se stessa, ma Sirius fu
lesto a spiccare un balzo e atterrare appena due gradini dietro di lui.
“Quella Lea è una...”
“Leena,” lo
corresse meccanicamente Remus.
“Leena, fa lo
stesso,” bofonchiò Sirius noncurante, “è una
gallinella da sballo e tu l’hai appena scaricata come...”
“Lo so, ero presente.
Smettila di ripeterlo.”
“Ma perché?”
Remus sbuffò esasperato
per l’ennesima volta, socchiuse gli occhi e continuò a marciare
verso la torre di Gryffindor. Sperava che il silenzio avrebbe dissuaso quella
testina del suo migliore amico, ma sapeva bene quanto quella pia illusione
fosse sciocca.
“Ma Remus!”
continuò infatti Sirius come se niente fosse. “Ha graziosissime
curve, sembra una collina irlandese. Dovresti...”
“Tu non sei mai stato in
Irlanda. Non hai mai messo il naso fuori da Londra, Hogsmeade o questo
castello,” lo riprese lui, cercando disperatamente di trattenere la
nascente irritazione.
“Pedante e
spaccapalle!” sbottò Sirius punto sul vivo. “Quello che
voglio dire è che Lea...”
“Leena!”
“...Lei, insomma, non
è affatto male e tu l’hai scaricata. Insomma, capirei se fossi me
e avessi nugoli di ragazze ai tuoi piedi. In questo caso potresti
fare...”
“Piume di zucchero,” sibilò Remus parandosi davanti
alla Signora Grassa.
“...Il difficile, ma
questa è la prima ragazza che ti si fila dai tempi della Santa
Inquisizione e...” continuò imperterrito Sirius, seguendolo
all’interno della sala comune.
“Beh, sì, ma non
mi interessa,” commentò lui con sufficienza, rischiando di
travolgere e falcidiare due sventurati studenti del secondo anno, che
osservarono stupiti il loro calmissimo Prefetto dirigersi verso le scale dei
dormitori con passo minaccioso.
“Ma com’è
possibile?” La conosci da quanto, una settimana? Magari è la donna
della tua vita, quella Lea...”
“LEENA!”
Sirius inchiodò di
scatto sulla porta della loro camerata nel vederlo voltarsi indietro
con furia di belva, gli occhi argentei vagamente spalancati e il naso storto
con perplessità. Sollevò le mani in un gesto indolente e si
strinse nelle spalle.
“D’accordo, va
bene, Leena,” borbottò, prima di snudare uno scintillante sorriso beffardo.
“Guai a storpiarle il nome, eh?” osservò, malizioso.
Remus emise un possente verso
gutturale, qualcosa che stava tra un ringhio e un gemito di sofferenza, prima
di voltare i tacchi ed entrare tentando di sbattergli la porta in faccia.
Purtroppo, Sirius fu di nuovo rapido e infilò una gamba nell’uscio
di forza, spalancandolo nuovamente.
“Touché?” ridacchiò lezioso.
“No!” abbaiò
severamente Remus. “E ora finiscila, Pad,” aggiunse,
pericolosamente stizzito.
“Voglio solo sapere
perché l’hai rifiutata,” si difese innocentemente l’animagus.
“E perché tu mi
dai il tormento, eh?” sbottò lui, lanciando via la borsa dei libri
come avrebbe fatto un battitore con un Bolide.
Sirius spalancò
lievemente gli occhi, quasi la domanda lo avesse sinceramente stupito, poi
scrollò di nuovo le spalle mentre Remus si sedeva sull’orlo del
letto, prendendo lunghi respiri per calmarsi.
“Perché non ti
capisco. Lei...”
“Ma cosa cavolo c’è
da capire, Pad?” protestò Remus alzando la voce, definitivamente
saturo. “Perché mai dovrei uscire con quella ragazza e scoprire
che magari mi piace sul serio, se tanto non abbiamo un futuro perché io
sono un dannatissimo lupo mannaro e devo rimanere da solo, eh? Io devo tenere gli
altri a distanza per il loro stesso bene, lo capisci, specie d’imb...?”
“E noi, allora? E io?”
Troppo stupido per essere
vero.
“Non è la stessa
cosa, Pad,” osservò Remus con condiscendenza, torvo.
Gli occhi grigissimi,
trasparenti, si posarono nei suoi con leggiardo stupore.
“Come no?”
Remus si rialzò di
scatto, dominando l’impulso violentissimi di sbranarlo sul posto.
“Tu non sei come gli
altri, idiota!” concluse, esasperato da quella conversazione da
ritardati. Quindi, stremato, scosse lentamente la testa, ignorò l’espressione
ebete dell’interlocutore e stabilì di raggiungere la biblioteca.
Augurandosi
d’incontrate Peter, Frank, Lily o chiunque potesse evitare di comportarsi
come un fastidioso, irritante Sirius Black imboccò nuovamente la porta,
lasciando un Padfoot alquanto sbigottito in piedi in mezzo alla stanza, intento
a ripetersi con uno strano, balsamico senso di calore che, per Remus, lui non
era come gli altri. Lui non era come nessun
altro.