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Autore: Carme93    02/01/2021    1 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo quindicesimo
 
 







 
Ritorno dolceamaro
 
 





Mark, sempre più inquieto, si appoggiò sul sedile tentando di concentrarsi sulla discussione dei compagni.
«Sei sicuro di volerlo fare?» chiese Teddy, palesemente preoccupato. I suoi capelli si erano scuriti da quando Enan aveva raccontato loro l’accordo stretto la sera prima con Thomas Mulciber. «Mi sembra una pazzia. Non sai che tipo di persone sono».
«Se hanno cresciuto Mulciber…» borbottò Zoey.
«E i Mulciber non hanno una bella fama, anzi: il padre di Mulciber è ad Azkaban» aggiunse Charlie, stranamente seria.
«Nemmeno tu sei d’accordo?» esclamò Enan.
Charlie sbuffò. «L’idea è buona, ma quella gente potrebbe essere veramente pericolosa».
«A me non piace per niente, non lo fare Enan» di Charis spaventata.
«Ma loro non saprebbero che Enan non è Thomas!» intervenne Zoey. «Non farebbero mai del male a loro nipote».
«Questo è anche vero» concordò Charlie.
«Non ho una soluzione migliore» sospirò Enan. «E Thomas vuole conoscere mia… nostra… insomma vuole conoscere la mia famiglia. E io voglio cercare i certificati di nascita».
«Ma magari tua madre ti ha tenuto ogni cosa nascosta perché tuo padre e la sua famiglia sono pericolosi!» commentò Teddy.
«E se anche fosse?» replicò Enan, tormentato da quel dubbio e anche dalla consapevolezza che non avrebbe rivisto la madre e, di conseguenza, avrebbe dovuto attendere fino a giugno!
«Potresti essere in pericolo!».
«Beh, quando Dolohov ti ha detto chi ha ucciso i tuoi genitori, hai tenuto il broncio al tuo padrino per settimane» disse Charlie.
Teddy la fissò con rabbia: «Non è la stessa cosa».
«Sì, che lo è».
«No, che non lo è».
«Smettetela!» sbottò Zoey.
«Ho dato la mia parola a Thomas, lo farò» sentenziò allora Enan.
Il silenzio scese sullo scompartimento per un po’, ognuno dei ragazzi si perse nei propri pensieri e nelle proprie paure.
«Ragazzi» disse all’improvviso Enan. «Io e Thomas abbiamo pensato che è meglio scambiarci già sul treno: ci cambieremo in un bagno e…».
«Mulciber non verrà qui, vero?» lo interruppe Charlie.
«I miei cugini vi conoscono, si aspetteranno di vedermi con voi e dopo non avremo la possibilità di scambiarci».
«Non lo voglio qui».
«Non possiamo fare altrimenti».
«Dì ai tuoi cugini che abbiamo litigato» propose Charlie.
«E basta, Charlie, sopporteremo Mulciber per mezz’ora» disse Teddy e tutti lo guardarono sorpresi.
«Grazie» gli disse sinceramente Enan.
«Sarà per questo che il Cappello mi ha smistato in Tassorosso» sospirò il ragazzino, stiracchiandosi e fissando il cielo buio.
«Allora, che farete a Natale?» chiese Zoey per allentare la tensione in attesa dell’arrivo del Serpeverde. «I miei hanno detto che posso invitarvi qualche volta. Vi va?».
«Certo» disse ancora infastidita Charlie.
«Devo chiedere a mia nonna» replicò Teddy.
«Grazie per l’invito» mormorò, invece, Charis leggermente imbarazzata.
«Ma, scusa», intervenne Charlie, «ma tu con il padrino che hai non puoi fare quello che vuoi?».
Teddy alzò gli occhi al cielo, contrariato. «Ma che c’entra?».
«C’entra, è giovanissimo! E poi è Harry Potter! Puoi fare quello che vuoi!».
«Sì, come no» borbottò Teddy.
In quel momento sopraggiunse Mulciber.
I cinque Tassorosso lo fissarono sconvolti: Thomas Mulciber con la divisa giallo-nera era fuori da normale, ma il problema era che, se non avessero saputo la verità, avrebbero potuto scambiarlo veramente per Enan.
«Eccovi, non vi trovavo» disse seccato.
Quell’espressione era totalmente estranea allo spensierato e allegro Enan, chissà quanto sarebbe durata la loro copertura.
I ragazzini lo salutarono sommessamente, ma da quel momento in poi rimasero in silenzio fino all’arrivo alla stazione di King’s Cross.
Scesero insieme salutandosi e augurandosi buon Natale – furono costretti a mostrarsi gentili anche con Mulciber per essere credibili ˗ e cercarono le rispettive famiglie.
 
 
Enan era sempre più insicuro della decisione presa: in compagnia di Dolohov e Burke si era sentito a disagio per tutto l’ultimo tratto. Sinceramente non comprendeva come Mulciber potesse sopportarli: Dolohov era arrogante, antipatico e prepotente persino con quelli che avrebbero dovuto essere suoi amici; Burke era snob, taciturno e sottomesso, molto intelligente ma non in grado di esprimere la sua opinione.
Per fortuna, però, lui e Mulciber si erano scambiati proprio alla fine del viaggio.
Quando scese dal treno, indossando una veste da mago che gli dava fastidio – a casa indossava abiti di foggia babbana, perché erano molto più comodi per lavorare nella riserva ˗, automaticamente cercò con gli occhi i suoi cugini e, dopo qualche minuto, adocchiò la madre percependo una stretta al cuore. S’immobilizzò, mentre gli altri studenti lo superavano e si facevano largo nella calca. Proprio in quel momento Mulciber si avvicinò a sua madre e lei lo abbracciò. Enan fu costretto a distogliere lo sguardo colmo di lacrime e si calcò il cappuccio del mantello sulla testa: non voleva che la madre lo vedesse. Si sentì smarrito e solo: forse avrebbe dovuto lasciar perdere, raggiungere la madre, gli zii e i cugini prima che prendessero la passaporta per tornare a casa.
«Thomas! Accidenti, ti ho chiamato un sacco di volte! Non sei nemmeno arrivato e inizi a farmi perdere la pazienza!».
Un uomo alto e giovane gli strinse la spalla. Enan si voltò a fissarlo spaventato: chi era? Lo zio di Mulciber?
«Beh, che hai? Perché stai piangendo?».
Enan, anziché rispondere, pianse più forte: non era da lui! Lui non piangeva mai! Era il ragazzino più forte dell’isola e tutti l’ammiravano! Che cosa gli era accaduto?
L’espressione dell’uomo divenne perplessa. «Andiamocene» borbottò.
Per un attimo Enan oppose resistenza.
«Ma che hai?» sbottò Robert Mulciber.
Il ragazzino non rispose, ma lo seguì: era tardi ormai, doveva seguire il suo piano. S’impose di calmarsi, mentre si allontanavano dalla stazione. In suo aiuto venne la smaterializzazione, che lo mise sottosopra. Lo zio lo aiutò a rialzarsi continuando a fissarlo stranito. Si trovavano in un bel giardino innevato, ma sotto la neve emergevano degli alberi e delle aiuole gelide, che dovevano essere floridi nella bella stagione. Come aveva fatto alla stazione, l’uomo si occupò del suo baule, ma questa volta usò la magia. Enan lo osservò in silenzio e lo seguì intimorito per quello che avrebbe visto all’interno della villetta.
«Siamo tornati!» annunciò Robert nell’ingresso.
Un’ondata di calore accolse piacevolmente Enan, che si rilassò. Almeno Mulciber non viveva in un castello cupo e freddo, come avevano ipotizzato Zoey e Charlie. Inoltre un buon odore colpì immediatamente le sue narici.
«La cena è quasi pronta» rispose una voce femminile.
L’uomo esiliò il baule al piano di sopra e si avviò lungo il corridoio. Enan incerto lo seguì.
«Thomas! Come stai?» chiese la donna dopo aver baciato quello che doveva essere il marito.
Enan aveva pensato che Mulciber avesse degli elfi domestici o dei camerieri, ma a quanto sembrava quelli erano i suoi zii.
La donna era di mezz’età, ma ancora molto arzilla e con un’espressione decisa e vivace. Le si avvicinò incerto e le sorrise. Era stata una pessima idea quella dello scambio, ma almeno non sembravano dei pazzi.
«Perché non vai di sopra a cambiarti e metterti comodo? Mangeremo tra una mezz’oretta massimo».
Enan annuì e meccanicamente tornò nel corridoio; mentre usciva dalla cucina sentì lo zio Robert dire: «Stasera è strano. Alla stazione non mi rispondeva e l’ho trovato che piangeva».
«Piangeva?».
Il ragazzino si allontanò troppo imbarazzato per ascoltare una conversazione del genere e salì le scale, non avendo ben idea di dove andare. Aveva disegnato rapidamente la propria casa e il circondario perché Mulciber non si perdesse, ma quello stupido non si era preoccupato di fare altrettanto.
Vagò smarrito per il corridoio, finché non si decise ad affacciarsi a una porta semichiusa da cui provenivano delle voci infantili. «Ciao» mormorò.
«Ah, vattene!» strillò una bambina dai lunghi capelli castano chiaro.
Enan fece appena in tempo a evitare un cuscino, che batté contro il muro alle sue spalle. «Ehi» si lamentò.
«Ehi, cosa?» rispose a tono la bambina. Gli ricordò molto Charlie. «Perché non sei rimasto a Hogwarts?».
«Ciao» mormorò il più piccolo.
«Ciao, Benji» replicò Enan felice di aver convinto Mulciber a dirgli almeno i nomi dei suoi familiari.
«Non parlargli» sbottò Michelle. «Non ti ricordi che ti ha distrutto l’aquilone quest’estate?».
Michelle si avvicinò e gli sbatté la porta in faccia.
Enan sospirò e si disse che sarebbe stato molto difficile. Sperando che non salisse nessuno da sotto, sbirciò dietro ogni porta finché non trovò una stanza che doveva essere quella di Mulciber: era molto ordinata, d’altronde era stato a Hogwarts per mesi, un pesante copriletto blu copriva il letto vicino alla finestra, vi erano alcuni poster di giocatori di Quidditch e nella libreria c’erano persino dei bei modellini di scope da corsa. La finestra era grande e di giorno doveva illuminare tutta la camera. Il ragazzino incerto sedette sul letto e si coprì il volto con le mani.
«Thomas».
Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasto in quella posizione, ma sobbalzò al suono della voce della zia.
«Stai bene?».
«Sì» rispose in fretta.
«E allora perché non ti sei cambiato?».
«Prendo una veste» disse Enan muovendosi verso il baule di Thomas.
«Ma, no, mettiti qualcosa di comodo» lo contraddisse la zia andando all’armadio e tirando fuori una felpa e un paio di pantaloni di tuta.
Il ragazzino prese quei vestiti con un certo sollievo.
«Sei sicuro di star bene?».
Enan annuì.
«Allora cambiati, lavati le mani e scendi giù».
Enan obbedì meccanicamente, anche perché non aveva idea di come comportarsi.
Il profumo che aveva percepito entrando in casa rispondeva perfettamente all’ottimo sapore dello stufato che la donna gli mise abbondantemente nel piatto. Meno piacevole furono gli sguardi minacciosi che gli rivolse Michelle per tutto il tempo. Per avere nove anni incuteva timore. Benjamin invece sembrava molto più tranquillo e silenzioso.
Alla fine della cena, i due bambini corsero a giocare in salotto sul tappeto vicino al camino acceso. Enan si prese del tempo per osservare la stanza: vi era un albero di Natale nell’angolo vicino al camino e alla base vi erano già diversi pacchetti. Il ragazzino si appoggiò al divano di pelle chiara senza il coraggio di sedersi e fissò per un po’ i più piccoli, Michelle non gli avrebbe mai permesso di unirsi a loro.
«Thomas, dobbiamo parlare».
Enan si voltò verso lo zio Robert così velocemente da farsi male al collo. Quando un adulto usava quel tono non era mai un bene. Eppure non aveva fatto nulla da quando era arrivato! Non avendo altra scelta, lo seguì in quello che doveva essere il suo studio.
«Io lo so a che gioco stai giocando e sappi che non funzionerà».
Il ragazzino lo fissò perplesso: non sembrava aver capito che lui non era Thomas, perciò di che cosa lo stava accusando?
Lo zio Robert sembrò infastidirsi. «Non fare il finto tonto! Ho ricevuto la lettera della Preside e quelle di Lumacorno!».
Oh, oh, era per quello che era arrabbiato! Avrebbe dovuto immaginarlo!
«I tuoi voti sono pessimi e sul tuo comportamento non ho nemmeno parole» continuò l’uomo.
Eh, bravo, Mulciber, pensò seccato Enan. Si era impegnato tanto per raggiungere dei risultati decenti a Scuola e si beccava la ramanzina destinata a quello stupido Serpeverde.
«Ringrazia che fra due giorni sarà Natale, ma se non ti metti a studiare seriamente durante queste vacanze, faremo i conti. È chiaro?».
«Sì, signore» rispose meccanicamente Enan. Mulciber gliel’avrebbe pagata.
«Domani mattina andrai con tua zia e i tuoi cugini a Diagon Alley e ti comporterai bene».
«Sì, signore» ripeté Enan. Avrebbe potuto andargli peggio, no?
Lo zio Robert lo fissò stranito per qualche minuto. «Sei avvertito» concluse. «Ora fila a letto».
Sollevato Enan gli augurò la buona notte, lasciandolo ancora più perplesso. Ma che genere di rapporti aveva Mulciber con i suoi zii? Fu comunque un sollievo momentaneo perché quando si rintanò sotto il piumone, la nostalgia lo colse e trascorse parte della notte a fissare la luna, convinto che quella che si vedeva dalla sua camera a Jura fosse molto più luminosa.
 
 
 
*
 
 
Teddy salutò Mulciber ma quello lo ignorò.
«Lascia stare» gli sussurrò Charis. Zoey e Charlie si erano già mescolate alla folla.
Teddy annuì e tentò di farsi largo in mezzo agli altri studenti alla ricerca di Harry e degli altri.
«Guarda!» strillò Charis per farsi sentire al di sopra della confusione. «Mio zio e il tuo padrino sono lì insieme».
Il ragazzino impiegò qualche secondo prima di focalizzare il punto indicatogli dall’amica, poi i due Tassorosso si avviarono insieme in quella direzione.
«Zio» trillò Charis gettandosi tra le sue braccia.
Teddy ebbe un momento di titubanza: dov’erano gli altri? Harry era solo. Si aspettava di trovare tutta la famiglia alla stazione e di dover parare uno degli assalti di James. Abbracciò rapidamente il suo padrino, che gli scompigliò anche i capelli.
«Dove sono gli altri?» non riuscì a trattenersi.
«A casa».
«Beh, sì i bambini sono piccoli no? Fa freddo…».
Harry lo fissò scettico e poi sorrise ponendogli un braccio attorno al collo. «Vengo direttamente dal Ministero. Lo sai che sotto Natale faccio sempre qualche straordinario in modo da poter stare con voi più tempo. Ginny e Andromeda ti stanno preparando una cenetta di bentornato».
Teddy sorrise e si diede dello stupido.
«Auguri, Teddy!» disse Charis abbracciandolo e baciandolo sulla guancia.
Il ragazzino ricambiò gli auguri e strinse la mano anche all’Auror Williamson, poi si congedarono.
«Quindi mangiamo da te stasera?» chiese a Harry appena rimasero soli.
«No, a casa tua. Preparati perché Jamie, Al e Lily ti stanno attendendo con ansia per una missione importante».
«Una missione importante?» ripeté Teddy.
«Sì, tua nonna ha voluto aspettarti per decorare la casa».
«Non ha ancora fatto l’albero?». Teddy era stupito, ma allo stesso tempo contento.
«No, tocca a te farlo. Tua nonna dice che non può sempre fare tutto lei».
Il ragazzino ridacchiò.
I due si diressero verso la saletta della stazione dov’era sito un camino usato proprio per gli spostamenti. Teddy fu il primo a usarlo e scandì la destinazione, come gli era stato insegnato.
Appena arrivò ˗ più propriamente scivolò sul tappeto ˗ fu accolto da gridolini e circondato dalle tre piccole pesti.
«Teddiii».
«Ciao, ragazzi» esclamò il ragazzino entusiasta. Lily gli stampò un bacio appiccicoso sulla guancia.
«Abbiamo rubato i biscotti» gli comunicò James porgendogliene uno mezzo sbriciolato, probabilmente l’aveva tenuto in serbo per lui stretto nel pugno.
«Sono stati loro» specificò Al puntando il dito.
Lily gli fece la linguaccia.
Teddy rise e fermò James che si stava per lanciare sul fratellino.
«James Sirius Potter».
«Ciao, Ginny» saltò su Teddy e l’abbracciò, evitando a Jamie una meritata ramanzina.
La donna ricambiò la stretta e gli diede un bacio sulla testa; pochi secondi dopo il ragazzino si ritrovò tra le braccia della nonna.
«Non soffocatelo» scherzò Harry, che li aveva raggiunti.
«Albero» gli disse Al sventolando delle palline rosse.
«Oh, sì» replicò Teddy, felice di essere tornato a casa.
«Forse è meglio che sali su a cambiarti, così ceniamo» suggerì la nonna.
«Ho una fame» ammise il ragazzino e annunciò ai piccoli che la missione albero sarebbe stata rimandata al dopo cena. Salì al piano di sopra di corsa con l’intenzione di cambiarsi e sciacquarsi velocemente il viso.
«Non hai mangiato nulla sul treno?» gli chiese Harry portandogli il baule in camera.
«Sì, ma sono trascorse ore».
Harry ridacchiò. «Allora, sbrigati. Andromeda e Ginny hanno preparato i tuoi piatti preferiti».
«Magnifico» s’illuminò il ragazzino.
La cena fu sontuosa e Teddy, appena finì, si adagiò alla spalliera della sedia, beandosi di quell’atmosfera familiare. Non si era reso conto che gli mancasse tanto.
«Andiamo!» ordinò James tirandolo per un braccio. Albus li raggiunse immediatamente, desideroso di essere coinvolto. Teddy obbedì all’istante e prese Lily in braccio, che allungava le braccine verso di lui e strillava.
L’abete, anche se spoglio, troneggiava già nell’angolo vicino al caminetto, che emanava un piacevole tepore. In attesa del suo arrivo, i tre bambini avevano già disseminato metà delle decorazioni sul divano e sul tappeto.
«Voi due mettete le palline nella parte bassa» istruì Al e James, che scattarono subito.
«Lily, io e te le mettiamo in alto».
La bambina ridacchiò contenta.
Teddy si rese conto che sarebbe stato più difficile del previsto: Lily era più pesante di quanto ricordasse, mentre Jamie fregava le palline ad Al, impedendogli di appenderle. Fortunatamente gli adulti accorsero in loro aiuto; in particolare Harry, invece, prese in braccio Lily in modo che Teddy potesse rilassarsi un pochino. In questo modo non impiegarono molto a concludere il lavoro, anche perché Ginny intervenne perentoriamente sia per dividere Jamie e Al, sia per impedire che il primo legasse il secondo con i nastri dorati.
Inoltre Harry insegnò a Teddy alcuni incantesimi per decorare meglio il salotto anche nei punti più alti, poi si spostarono in cucina, dove per concludere la serata, la nonna preparò la cioccolata calda per tutti.
La decorazione che piaceva di più a Teddy era un’enorme slitta di Babbo Natale che la nonna ogni anno metteva sulle mensole del camino. Era così ben fatta, che sembrava quasi vera.
«Teddy» lo chiamò Harry poggiandogli una mano sulla spalla, «si è fatto tardi, noi andiamo».
«Di già?» chiese sorpreso, reprimendo a stento uno sbadiglio.
La nonna gli lanciò un’occhiataccia. «È quasi mezzanotte».
«Dobbiamo mettere a letto le pesti» disse Ginny.
Effettivamente James, Albus e Lily si erano addormentati sul divano già da un po’. Teddy annuì consapevole di non poter pretendere di più.
«Ci vediamo domani pomeriggio alla Tana» disse Harry salutandolo, prima di prendersi Al e Jamie in braccio.
Teddy ricambiò i saluti e poi sorrise alla nonna appena rimasero soli.
Andromeda lo fissò severamente, poi si sciolse anche lei in un sorriso. «Dai, andiamo a letto. Sono stanca».
«Domani andiamo a Diagon Alley, devo comprare tutti i regali… Vic non mi parlerà più se non le regalo nulla…».
La nonna alzò gli occhi al cielo. «Stai tranquillo, troveremo qualcosa di adatto a Victoire».
Teddy si preparò rapidamente per andare a letto e, anche se non l’avrebbe ammesso, fu felice che la nonna si trattenne con lui, finché non si addormentò.
 
 
*
 
 
«Ma i miei possono passare senza di me?» chiese Zoey guardandosi intorno e alzandosi sulla punta dei piedi per vedere oltre le teste dei ragazzi più grandi e degli adulti.
«No» gridò in risposta Charlie in mezzo alla confusione.
Zoey si bloccò completamente smarrita.
«Che c’è?» le chiese Charlie.
«Come faccio a trovarli?».
«Charlie».
James Krueger apparve all’improvviso alle loro spalle.
«E tu che vuoi?».
«Ci sono i nostri genitori lì» rispose il ragazzo lanciandole un’occhiataccia.
«Oh, bene. Vieni Zoey».
La ragazzina si lasciò trascinare dall’amica fino ai signori Krueger e si presentò più timidamente di quanto fosse di solito. I genitori di Charlie furono molto gentili e l’accompagnarono fino al passaggio del binario 9 e ¾. Zoey impiegò pochi secondi per individuare i propri genitori che, non sapendo bene come comportarsi, la stavano aspettando tra i binari nove e dieci.
«Mamma! Papà!» strillò correndo verso di loro.
«Principessa!» gridò suo padre prendendola a volo. «Oh, oh, ma sei cresciuta» costatò il signor Turner, costretto a metterla giù.
Zoey sorrise. «Oh, sì la cucina a Hogwarts è ottima». Osservò i due adulti per qualche secondo e costatò che erano sempre gli stessi. «Vi presento Charlie, vi ho parlato di lei nelle mie lettere».
Le due famiglie fecero conoscenza e il signor Turner insisté per offrire un aperitivo, così si spostarono tutti in un piccolo locale poco distante dalla stazione. Per Zoey era incredibile e si sentì rasserenata: aveva paura di dover vivere a metà tra i due mondi, specialmente dopo che le sue amiche si erano rifiutate di parlarle, ma vedere i suoi e la famiglia di Charlie insieme le stava dimostrando di essersi sbagliata.
La signora Krueger, sebbene palesemente spiazzata, accettò persino l’invito per il the dalla signora Turner. Le due ragazzine, naturalmente, furono le più felici e Charlie concesse persino un abbraccio a Zoey, quando si salutarono.
«Indovina dove ho prenotato la cena?» le domandò suo padre.
Zoey rifletté per un attimo e poi saltellò. «No! Mi prendi in giro?».
«Certo che no. Dobbiamo festeggiare il tuo ritorno».
«Vi sono mancata tanto?» chiese nonostante conoscesse la risposta.
«Tantissimo» rispose suo padre.
«Non che ci siano mancate tue notizie, ufficiali e non» borbottò sua madre.
Zoey le regalò il suo miglior sorriso innocente.
«Ti sei fatta riconoscere subito» insisté sua madre non lasciandosi ingannare, conoscendola anche troppo bene. «E mi sembra che tu abbia trovato pure una complice alla tua altezza».
«Su questo non ci sono dubbi» replicò la ragazzina prendendo posto nel sedile posteriore della macchina del padre.
«Su, amore, è appena tornata. Rimandiamo le raccomandazioni alla fine delle vacanze».
«Come vuoi» borbottò sua madre.
La ragazzina si rilassò e cominciò a raccontare di quanto fosse bella la Scuola, del Dormitorio e dei compagni.
«I professori come sono?» le chiese la madre, approfittando di un momento di pausa.
Zoey, per conto suo, era troppo estasiata dalla possibilità di entrare nel suo ristorante preferito, uno dei più eleganti di Londra. Lei e le sue amiche avevano osservato un sacco di volte le foto sui giornali e avevano immaginato quando, vestite molto elegantemente, vi avrebbero fatto il loro ingresso. Avrebbe potuto parlare per un’ora almeno per raccontar loro i rivestimenti in marmo, la sala sfarzosa, i cristalli… Le sembrava di non aver abbastanza occhi per guardare ogni cosa. Per non parlare degli abiti eleganti degli altri clienti!
«Mi avreste dovuto far tornare a casa a cambiare!» si lamentò.
«Stai bene così» la rassicurò suo padre.
«Vedo che le tue capacità di ascolto sono migliorate tantissimo» sbuffò sua madre.
Ma Zoey, ancora una volta, non li stava più ascoltando: il ricordo che le sue amiche non volessero nemmeno vederla, le aveva procurato una stretta allo stomaco. Ordinò distrattamente, non riuscendo a godersi né il cibo né l’ambiente con quel pensiero fisso. «Siete riusciti a parlare con le ragazze?».
I suoi genitori si scambiarono uno sguardo pensieroso, alla fine sua madre rispose: «Pensano che tu sia una bugiarda».
La ragazzina, nonostante sé lo aspettasse, sentì gli occhi bruciarle e si concentrò sul brodo nel piatto.
«Zoey…» tentò suo padre.
Lei annuì e si sforzò di sorridere: Charlie si sarebbe arrabbiata e aveva fatto di tutto per farla sentire a proprio agio a Hogwarts!
«Domani mattina andrò a trovarle, così potremo parlare di persona e poi andiamo a fare shopping. Ci accompagni mamma?».
«Sì, mi sembra proprio un bel programma».
Da quel momento in poi Zoey cercò di godersi la cena e rispose anche alle domande di sua madre sui professori e le materie. Insultò più volte McBridge ˗ ottenendo l’appoggio dei suoi nel condannarne il comportamento nei confronti di Mark ˗, ma non si soffermò su tutti i rimproveri ricevuti dalla McKlin.
Quando, sul tardi, rientrarono a casa Zoey approvò le decorazioni esterne e interne. La sua preferita era sempre stata il Babbo Natale che cantava Jingle Bells nella parte centrale del giardino. All’interno il salotto era pieno di lucine colorate.
«Ho lasciato gli adesivi per i vetri sul tavolo, così li puoi attaccare dove vuoi» disse la madre.
Zoey non se lo fece ripetere due volte, anche perché era troppo eccitata e non aveva alcuna voglia di andare a dormire. Alla fine, dopo aver sbatacchiato i pacchi sotto l’albero sperando di intuire che cosa contenessero, si arrese alla stanchezza che in fondo provava e andò a letto. Appena appoggiò la testa sul cuscino, si addormentò.
 
 
 
 
 
*
 
 
Charlie si aggrappò mal volentieri al braccio della madre per smaterializzarsi. Cadde nella neve, ma incurante si rialzò e corse dal padre, che si era smaterializzato con Chris.
«Allora, come stai?». Aveva un milione di domande da fargli. Si erano scritti più volte in quei mesi, ma lei voleva sentirselo dire dalla sua voce che era tornato a lavorare.
«Tutto bene, Charlie. E tu? Il viaggio è stato tranquillo?».
La ragazzina ripensò a quante volte aveva immaginato di buttare giù dal treno Thomas Mulciber, ma sorrise e annuì: «Sì, grazie. Come va al Ministero?».
«Charlie, smetti di fare il terzo grado a tuo padre» la rimproverò sua madre. «Fila di sopra a cambiarti e a lavarti le mani. Tra poco la cena sarà servita».
Charlie s’imbronciò e si allontanò dall’ingresso, ma non salì al piano di sopra: corse in salotto. Si fermò sulla soglia e sospirò: era perfettamente ordinato come sempre, unica differenza era l’imponente abete che svettava lungo la parete destra. Era decorato con fili argentati e dei cuori di puro ghiaccio. Proprio come aveva predetto Matilde Gould. Perché quell’anno andava di moda in quel modo.
Delusa strinse le braccia al petto e fissò l’albero chiedendosi se fosse il caso d’incendiarlo a poco più di un giorno da Natale.
«Signorina».
Sobbalzò e lanciò un’occhiataccia a Chris, che non si scompose.
«Che vuoi?» gli chiese seccata.
«Tua madre mi manda a dirti che sta perdendo la pazienza. Ti conviene sbrigarti».
«Mia madre!» borbottò la ragazzina.
«Si può sapere perché sei già contrariata e non sei qui da nemmeno dieci minuti?».
«L’albero chi l’ha fatto? Gli elfi?».
«Come ogni anno» sospirò Chris intuendone i pensieri.
Charlie lo spinse leggermente e si avviò a passo di marcia verso la sua stanza, dove chiuse la porta con stizza. Storse la bocca nel costatare quanto fosse perfettamente ordinata. Gli elfi avevano provveduto a portarle il baule, così lei lo aprì e cominciò a lanciare i vestiti dappertutto. Nel farlo i suoi occhi caddero sulla parete di fronte dove facevano bella vista di sé gli stendardi di Grifondoro. Deglutì. Abbandonò i suoi propositi di mettere sottosopra la camera, recuperò una sedia e cominciò a staccare gli stendardi dalla parete e, dopo un attimo di titubanza, li gettò nel cestino. La vita era proprio strana: non aveva mai pensato che l’avrebbe fatto, né, meno che mai, che lei non sarebbe stata smistata a Grifondoro.
Si sedette sul letto sconfortata e agguantò il suo orsetto preferito: suo padre gliel’aveva acquistato molti anni prima a Diagon Alley. Neanche a dirlo indossava la divisa di Quidditch di Grifondoro. «E ora?» si chiese.
«Charlie, sei pronta?» domandò Will irrompendo nella camera.
«Sì» rispose lei senza nemmeno guardarlo.
«Come no. Hai ancora il mantello addosso». Il ragazzino si premurò di chiudere la porta e andare a sedersi accanto a lei. «Che succede?».
«Come faccio con Godric?».
Will osservò il peluche per un attimo, poi rispose: «Possiamo cambiargli la maglia».
«Ma si chiama Godric» si lamentò la ragazzina.
«E allora? Mica Godric è un nome che i Grifondoro si sono comprati! Puoi chiamare il tuo orso Godric, ma renderlo un Tassorosso. Proprio come te».
«È una cosa assurda» borbottò Charlie.
«Proprio come te».
«Quanto sei stupido» sbottò Charlie dandogli uno spintone, anche perché quella conversazione stava diventando troppo sdolcinata.
«Tu di più».
Charlie mise da parte Godric e saltò sul fratello.
«Ehi… No… non il s-solletico… C-harlie…ahahahah».
«Non ti mollerò mai!» sghignazzò lei.
«Che state facendo?».
I due fratelli si separarono e ricambiarono lo sguardo della madre, ritta sulla soglia. «Mi sembrava di avervi detto che la cena era quasi pronta. William, da te non me l’aspettavo».
Willy si alzò e si rassettò le vesti. «Scendiamo subito, scusaci. Vieni, Charlie?».
«Tua sorella non è pronta, tanto per cambiare. Comincia ad andare tu in sala da pranzo. Vostro padre e vostro fratello sono già a tavola».
«Figuriamoci, James il perfettino!».
«Non ti farebbe male assomigliargli un po’» la redarguì la madre.
Charlie fece finta di vomitare.
«Signorina, se non vuoi andare a letto senza cena, ti conviene sbrigarti. Ti voglio a tavola entro dieci minuti o non ti scomodare a scendere».
La ragazzina la fissò trucemente finché si chiuse la porta alle spalle. Per un attimo pensò di mandarla a quel paese e starsene in camera, ma il suo stomaco gorgogliò non lasciandole scelta. Così allo scadere del tempo concessole ˗ che esagerazione poi! ˗, fece il suo ingresso nella sala da pranzo. Willy le sorrise.
«Grazie di averci degnato della tua presenza» l’accolse freddamente sua madre. «Chris, per piacere, possiamo iniziare».
«Sì, signora».
Charlie prese a malincuore posto accanto a Willy, percependo un forte senso di nostalgia: nemmeno ventiquattr’ore prima c’era stata la Festa dell’Amicizia. Non le era mancata per nulla l’etichetta che era costretta a seguire a casa. Willy le poggiò il tovagliolo sulle gambe, prima che qualcuno la rimproverasse. Perché lui chinava sempre il capo? Era lei quella sbagliata?
Scrutò il brodino di carne che Chris le aveva messo davanti e sospirò. Ne sorbì meccanicamente qualche cucchiaio: era saporito come sempre, eppure le stava passando la fame. Le mancava troppo il brusio della Sala Grande e le chiacchierate con Zoey e gli altri. Era una tristezza ascoltare suo padre che disquisiva con James sul Ministero ˗ a lei, però, non aveva risposto ˗ e la mamma fare il terzo grado a Willy sulla Scuola e lui rispondere come un bravo soldatino.
«Charlie, a te non lo chiedo, ti sei ambientata fin troppo bene a Scuola» sbuffò la madre attirando la sua attenzione, quando ormai stavano per terminare il secondo.
La ragazzina ignorò il suo tono di rimprovero e rispose: «Infatti. Sono anche la prima della classe».
«Dovresti abbassare un po’ la cresta, signorina» proruppe sua madre.
«Io ci ho provato» borbottò James, beccandosi un’occhiataccia dalla sorellina.
Charlie si alzò di scatto strofinando la sedia. «Ho sonno, me ne vado a letto».
«Non ti azzardare a muoverti da lì» sibilò sua madre. «La cena non è ancora finita».
«Io non ho più fame» sentenziò lanciando il tovagliolo su Willy.
Ignorando i richiami materni, corse al piano di sopra e si chiuse nella sua stanza. Le mancava la sua vita a Hogwarts. La sua vita, non quella organizzata passo passo da sua madre. Prese a pugni il cuscino per un po’, poi si sdraiò e fissò il cielo stellato sul soffitto. Era finto, naturalmente, ma molti anni prima le aveva appiccicate lei con suo padre. Ore dopo la porta si aprì e Charlie si voltò sperando che fosse Willy, ma rimase delusa: era Chris. Si girò nel letto dandogli le spalle. «Che vuoi?».
«Stai bene? Tu padre è preoccupato, non è da te saltare la cena».
«E perché non è venuto lui?».
«Sai benissimo che…».
«No, non lo so» sbottò voltandosi verso di lui. «Essere cieco non gli impedisce di vivere! È tornato al Ministero e non viene nella mia stanza!».
Chris sospirò, ma cambiò argomento. «Domani i tuoi genitori e i tuoi fratelli andranno a fare una passeggiata per le ultime compere… tra l’altro i tuoi fratelli hanno bisogno di un nuovo vestito per la festa di domani sera… tua madre ha deciso che tu rimarrai a casa per punizione».
Charlie strinse i denti e sibilò: «Che me ne frega? Meglio!». Erano anni che suo padre non andava in giro con loro e adesso la lasciavano da sola! Peggio per loro se non la volevano, era reciproco: lei, ora, aveva un’altra famiglia. Si ricordò, però, di non aver comprato nulla ai suoi amici. «Chris, compreresti dei regali per me?».
«Certo, preparami pure la lista».
«Sei il migliore» sentenziò la ragazzina abbracciandolo. «Quando scapperò di casa, tu mi aiuterai, vero?».
Chris sgranò gli occhi sorpreso, poi scosse la testa. «No, signorina, non è necessario. Scappano di casa i bambini che pensano che nessuno gli voglia bene, ma, te lo assicuro, anche se non sembra, i tuoi genitori te ne vogliono».
«Sarà» borbottò Charlie. «Troverò altri complici».
Il maggiordomo sospirò. «Buonanotte, Charlie».
«Buonanotte» ricambiò lei.
 
 
 
 
*
 
 
«Tutto bene?».
Charis ispirò l’aria fredda della sera e impiegò qualche minuto prima di annuire. «Sì, tranquillo zio». Si sarebbe mai abituata alla materializzazione?
«Padroncina!» strillò Tammy appena lei entrò nella villa.
«Tammy!». La ragazzina strinse l’elfo tra le braccia.
«Attenta a non soffocarlo» ridacchiò Adam Williamson.
«Signorina, Tammy ha decorato la casa, ma non l’albero. Tammy ha pensato che la padroncina volesse farlo lei».
L’elfo domestico si contorse le mani preoccupato.
«Certo che voglio!» trillò Charis, poi si voltò verso lo zio. «Ma che ha Tammy?».
L’uomo sbuffò. «Io avrei voluto farti trovare tutto perfettamente decorato, ma Tammy non ha voluto».
«L’hai rimproverato?» chiese lei a occhi sgranati.
«No» borbottò Adam alzando gli occhi al cielo.
«Sarò felicissima di decorare l’albero» dichiarò la ragazzina abbracciando nuovamente l’elfo.
«Prima mangiamo qualcosa però. Dal quartiere generale sono venuto direttamente alla stazione» disse Adam. «Charis, fatti una doccia veloce, ok?».
«Va bene, zio. Sarò velocissima».
Charis corse al piano di sopra, contenta di essere tornata a casa: lo zio e Tammy le erano mancati parecchio. Adorava trattenersi sotto lo scroscio dell’acqua calda a lungo, ma quella sera si lavò rapidamente per non far attendere troppo lo zio. Sul suo letto trovò una sorpresa: un pigiama nuovo con la slitta di Babbo Natale che si muoveva in un cielo stellato. Era meraviglioso! Lo indossò all’istante e chiamò Tammy perché l’aiutasse ad asciugarsi i capelli con la magia.
«Mi sta bene, vero?» gli chiese subito.
«Oh, sì, signorina. Il padrone era sicuro che le sarebbe piaciuto».
Charis gli regalò un enorme sorriso e si sedette a gambe incrociate sul letto, mentre lui le asciugava i capelli.
«Cosa c’è per cena?».
«Tutti i tuoi piatti preferiti» rispose l’elfo. «E il gelato setteveli e fiordilatte».
«Davvero? Sei l’elfo migliore del mondo!» trillò la ragazzina baciandolo sulla guancia.
Charis si spazzolò i capelli, poi raggiunse lo zio che l’attendeva leggendo il giornale.
«Eccomi! Grazie mille per il pigiama. È fantastico!» gli disse scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto».
La cena trascorse tranquillamente e la ragazzina raccontò quello che era accaduto in quei mesi, soffermandosi anche sul duello notturno di Teddy con i Serpeverde per ribadire il perché del proprio comportamento. Una volta concluso il pasto, si spostarono in salotto dove il caminetto scoppiettava allegramente e riscaldava l’ambiente.
«Tammy, zio, mi aiutate?» chiese Charis cominciando a tirare fuori le palline da uno scatolone. «Insieme sarà più divertente».
Adam Williamson aveva ripreso in mano il giornale, ma non sarebbe mai riuscito a resistere agli occhi della nipotina.
«Padroncina non credo sia il caso» borbottò Tammy.
«Tammy, non azzardarti a defilarti» lo fermò Adam. «Charis ci vuole entrambi».
La ragazzina si sarebbe messa a saltellare, se fosse stata un po’ più estroversa: gli anni precedenti aveva decorato l’albero da sola sotto il controllo della Shafiq.
«La signorina Shafiq?» chiese allo zio, ricordandosi di lei.
«Mmm» mormorò l’uomo impegnato a pescare delle renne dallo scatolo. «A casa sua, no?».
«Sì, certo. Intendevo se dopo Natale verrà come al solito».
«Hai bisogno di lei?» chiese Adam. «Per i compiti?».
Charis, sorpresa, riflette qualche secondo. «No, non dovrei avere difficoltà».
«Allora non vedo perché dovremmo chiamare la signorina Shafiq».
La ragazzina si bloccò e lo fissò sempre più sorpresa.
«Qual è il problema, Charis?».
Lei non seppe rispondere. Semplicemente non si sarebbe mai aspettata tanti cambiamenti tutti insieme.
«Charis» disse Adam con un sorriso e iniziando ad avvolgerla con un nastro dorato. «Sei una ragazzina giudiziosa, sono sicuro che farai la brava con Tammy mentre sarò a lavoro».
Lei lo abbracciò stretto, poi avvolse anche lo zio e Tammy con i fili colorati.
Tra una risata e l’altra impiegarono non poco tempo a finire l’albero, ma il risultato rallegrò tutti e tre.  Tammy preparò la cioccolata calda per tutti e Charis si accucciò sul divano accanto allo zio.
«Mi racconti una storia?».
«Non sei abbastanza grande per leggertela da sola?».
«Sì, ma non è la stessa cosa».
«E va bene, pronta?».
«Sì» rispose Charis mettendosi comoda e tirandosi meglio il plaid fino al collo.
«Ok, allora, c’era una volta…».
 
*
 
«Muoviti» sbottò Alexis apparendo all’improvviso.
Mark incrociò lo sguardo di Elly, ma lo distolse subito: lei era con la sua famiglia, avrebbe dovuto salutarla sul treno. Aveva perso la sua occasione.
«Sì, Alexis».
Jay trascinava il suo baule distrattamente.
«Aspettate».
«Oddio, Montgomery ma scassi le…».
«Evita» sbottò Elly zittendola. «Volevo solo farvi gli auguri».
«Auguri anche a te» rispose Jay.
«Ma che auguri e auguri» gridò Alexis. «Devi stare lontana da me. Ciaoo! Andiamo o vi lascio qui».
Mark sospirò chiedendosi perché suo padre non fosse andato a prenderli, ma non sciupò la possibilità e abbracciò velocemente Elly. Lei sì che sarebbe stata una sorella fantastica! «Buon Natale» mormorò.
«Buon Natale, Mark. Ci rivediamo tra qualche settimana».
Il ragazzino sorrise poi si accorse che la sorella si era veramente allontanata e la rincorse. Jay lo chiamò per fortuna, in caso contrario non li avrebbe visti in quella confusione.
«È inutile che lo chiami» disse Alexis. «Tanto con me non torna».
«Che dici?» borbottò Jay.
Mark la fissò sperando che stesse scherzando, ma una strana sensazione si fece strada dentro di lui.
«Prenditi un autobus o un treno, Mark. Oppure chiedi aiuti alla tua amichetta Caposcuola».
«Alexis» provò Mark, ma la ragazza afferrò Jay per un braccio e i due scomparvero davanti ai suoi occhi. L’avevano lasciato da solo a King’s Cross. Sicuramente era uno scherzo, così decise di aspettare lì sua sorella. Il binario, però, cominciò a svuotarsi e di lei non c’era traccia.
Il panico cominciò a impadronirsi di lui, ma si spostò alla ricerca di qualche volto noto: tutti i suoi amici, però, erano già andati via. Allora attraversò la barriera e raggiunse il lato babbano, dove vi era molta più vitalità poiché vi erano turisti, gli ultimi pendolari o altre persone che si spostavano per le feste in arrivo.
Deglutì e si avviò verso la biglietteria. Attese sempre più spaventato e teso il proprio turno.
«S-scusi il prossimo autobus per Jaywick?».
«Jaywick?».
«Sì».
«Dovrebbe partirne uno tra cinque minuti. È diretto a Clacton, ma si fermerà anche a Jaywick».
«Grazie, buon Natale» rispose Mark correndo via, per quanto glielo permettesse il baule pesante. Sarebbe stato meglio se fosse rimasto a Hogwarts. Scendere i gradini della stazione fu terribile, ma alla fine ci riuscì. Sullo spiazzale, però, c’erano ben tre autobus. Qual era quello giusto? Avrebbe fatto in tempo a controllare tutti e tre?
«Scusi, signore» disse a un poliziotto lì vicino. «Lei sa quale va a Clacton?».
Il poliziotto si avvicinò e gli chiese: «Sei solo?».
Cavolo, avrebbe dovuto prevederlo! «Sull’autobus c’è mia sorella, che è grande» mentì a malincuore. «Ma io mi sono separato da lei per andare al bar. Sarà arrabbiatissima».
«Mi sembra il minimo» replicò il poliziotto lanciandogli un’occhiata di rimprovero. «Ti aiuto».
Mark colse il rimprovero in silenzio e lasciò che prendesse il baule.
«Accidenti, quanto pesa» borbottò il poliziotto.
«Frequento un collegio in Scozia» spiegò il ragazzino, sperando che non ponesse ulteriori domande.
«Eccolo, è questo» gli disse l’agente riponendo il baule nel portabagagli.
Mark lo ringraziò e salì sull’autobus proprio mentre stava partendo.
«Ehi, ragazzino, ce l’hai il biglietto?» lo fermò l’autista.
Sperò che il poliziotto non sentisse. «No, quanto costa?».
«Cinque sterline».
«Non le ho» ammise sconsolato. Non aveva neanche un centesimo.
«Allora scendi».
«La prego non so come altro andare a casa» lo supplicò il ragazzino con le lacrime agli occhi.
«Io non posso aiutarti» replicò l’autista, che però sembrò dispiaciuto.
Mark trattenne un singhiozzo e fece per scendere.
«Aspettate, pago io il biglietto. Lo lasci salire». Un giovane si alzò dalla metà dell’autobus e venne avanti porgendo la banconota all’autista.
«Va bene» disse l’uomo e diede il biglietto a Mark incredulo.
«La ringrazio» disse scoppiando in lacrime.
Il più grande lo invitò a sedersi accanto a lui e l’autobus partì.
«Io non so come restituirle i soldi» mormorò Mark imbarazzato.
«Come ti chiami?».
«Mark».
«Piacere, Mark. Io mi chiamo Simon. Non voglio che tu mi restituisca i soldi. Sono solo cinque sterline. Diciamo che ho fatto una buona azione natalizia. Dove sei diretto?».
«Grazie» disse di cuore il ragazzino. «Vado a Jaywick».
«Io vado a Clacton dalla mia famiglia».
Trascorsero il resto del viaggio in silenzio e Mark si appisolò un paio di volte.
«Ehi, ragazzino, ci siamo».
«Eh?». Mark si stropicciò gli occhi.
«Sei arrivato» ripeté Simon. «Buon Natale».
«Grazie» ripeté Mark sapendo di essere stato molto fortunato. Salutò anche l’autista e scese. Rabbrividì nell’aria della sera, ben consapevole di doversi fare un bel tragitto a piedi per raggiungere i Brooklands, l’aria più povera della città. Rischiò più volte di scivolare sulla neve fresca, ma finalmente arrivò a casa.
«Oh, ma guarda chi c’è» lo accolse Alexis intenta a guardare la televisione.
«Stai bene?» disse Jay, che sembrò sollevato.
«Sì».
«Pensavo che fossi ancora a King’s Cross a piangere».
Mark era troppo stanco per replicare: sarebbe stato meglio ritornarsene a Hogwarts di filato. Almeno lì avrebbe trovato qualcuno che gli avrebbe voluto bene. Anche solo gli elfi domestici.
Jay, palesemente dispiaciuto, lo aiutò a salire il baule in camera.
«Dov’è papà?» gli chiese.
«Al lavoro. Dovrebbe tornare tra poco».
Mark non si sorprese: suo padre faceva spesso straordinari. Si mise il pigiama, cercando di scaldarsi dopo tutto il freddo che aveva preso. Infine scese in cucina proprio mentre suo padre spuntava dal camino.
Alexis lo salutò subito. A Mark e Jay fu dedicato poco più di un cenno, ma nessuno dei due gli si avvicinò. Il più piccolo era troppo scosso per elemosinare un po’ di affetto.
«Noi abbiamo cenato. Tutti e tre» specificò Alexis. «La tua cena è in caldo».
«Grazie» borbottò suo padre.
Mark strinse i denti e se ne tornò in camera. Perché sua sorella lo odiava così tanto? Perché lo incolpava di qualcosa che non aveva scelto?! Si rintanò sotto le coperte rimpiangendo la sua stanza nel Dormitorio di Tassorosso e la compagnia di Enan e Teddy. Chiuse gli occhi sperando che quell’incubo finisse al più presto.

 
   
 
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