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Autore: MelaniaTs    04/01/2021    0 recensioni
Sono One Shot sequel della Fan Fiction Agāpi gia ton Olimpou. Ogni capitolo o serie di shot sono un sequel dalla fine della storia a dove mi porta l’ispirazione
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gold Saints, Helena (Soul of Gold), Nuovo Personaggio
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Agapi Gia ton Olympou - Zeus Saga'
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Catania/Olimpo; Periodo settembre - dicembre 1991

 

Nellik, Stjern, Lilje e Syrin erano stati recuperati da Giovanni, o Death mask come lo conoscevano al santuario di Athena, dopo aver portato il corpo di Helena nella loro umile casa. 

Li aveva presi e aveva detto loro di scappare da lì e nascondersi per mettersi al sicuro. In qualche baita abbandonata fuori Asgard era l'ideale! Aveva detto al più grande, il ragazzino con gli occhi azzurri. All'epoca, quel lontano aprile lo aveva chiamato il maggiore e lui offeso aveva risposto freddo. "Mi chiamo Nellik."

"Uniti dovete stare, Helena ve lo chiede. Il suo ultimo pensiero è stato per voi, andate al sicuro, lontano da qui. Tieni tutti uniti Nellik, io manderò qualcuno a prendervi appena avremo sistemato tutto con i miei compagni." Lo aveva istruito.

Nellik aveva annuito con fare solenne. Poi aveva indicato le sue sorelle dicendogli i nomi e infine il bambino più piccolo, quello che cercava di farsi forza per non piangere. Ma che comunque frignava: voglio Helena, voglio Helena. Syrin era piccolo, se aveva quattro anni era anche tanto, al contrario delle sorelle aveva gli stessi occhi azzurri di Nellik, al pari di sua sorella Stjern, aveva invece gli stessi capelli castani di Helena. 

Una sola richiesta aveva fatto a Lifya prima che svanissero, dopo aver sconfitto Loki. Trovare i quattro fratelli e fare in modo che qualcuno si prendesse cura di loro. 

Dopo che era risorto e dopo essere stato liberato da ogni impegno dal divino Zeus, finalmente con l'aiuto e l'intercezione di Freya  di Asgard era giunto ad Asgard per assicurarsi che fossero tutti e quattro sani e salvi. Li aveva trovato, Lifya con l'aiuto di Frodi si era preso cura di loro in quei mesi. Era però tempo che i bambini lasciassero il palazzo del Valhalla. Aveva un impegno con loro, portarli al sicuro da qualche parente.

Alla fine scoprì che l'ultima parente in vita era stata  Helena e che ella non era loro sorella, ma la madre. 

Madre! Quando lo aveva sentito Giovanni ne era rimasto basito, la bella, dolce e semplice Helena era madre di quattro bambini. E il padre? Non lo aveva chiesto a Nellik, però gli aveva chiesto se fosse sicuro che non ci fosse più nessuno. 

Tutti avevano annuito e lui aveva deciso. Li avrebbe portati con se in Sicilia, dai nonni che potevano prendersi cura di loro intanto che gli trovava una nuova sistemazione. Quattro bambini erano comunque una responsabilità per nonna Lucia, lo erano quando doveva badare anche al nonno, ormai un vegetale nel suo letto.

Quella era però la soluzione, doveva scappare! Tulip stava arrivando e lui non poteva permettersi di restare sotto il suo stesso tetto neanche un minuto di troppo. Così dopo aver preparato i bagagli e giocato con i små blomster (fiorellini in svedese), come volevano essere chiamati i bambini, era andato ad accogliere Hilda e dirle che sarebbe partito all'arrivo del santo del cigno. 

Dopodiché... era di nuovo ricaduto nella trappola di Tulip. L'unica consolazione era stata che quella volta lei lo aveva accolto dentro di se fino alla fine. Era stato che non aveva atteso che lei andasse via dal suo letto, era stato lui a fare il primo passo. Si era sollevato, rivestito e lasciato la stanza, per raggiungere Lijie e Syren, i piccoli di Helena che gli avevano chiesto di dormire con lui. Alla fine li aveva trovati tutti svegli ad aspettarlo. In dosso avevano delle camice lunghe tutti e profumavano di pulito.

"Avete cenato? Vi siete lavati?" Chiese curioso.

"Abbiamo fatto tutto!" Rispose Nellik.

Giovanni si chiese se avessero anche pisciato. Ma si trattenne dal momento che erano bambini e forse non erano termini adeguati a loro. 

"Bagno?" Chiese 

"Mm..." 

"Siete stati al bagno?" Chiese precisamente.

"Sì si!" Rispose Stjern.

"Io non avevo la pipì." Affermò il piccolo.

"Questo non significa nulla. Falla uscire!" Ordinò Giovanni.

"Non la ho." Si corrucciò.

Il cancer si urtò, osservò gli altri indicando loro il letto. "A dormire."

I bambini obbedirono salendo sul grande lettone, nel farlo Syren fu trattenuto.

"Tranne te! Non andrai a letto fin quando non avrai fatto la pipì." Gli disse.

Il piccolo fece per piangere e le sorelle per parlare. Ma un'occhiata di death cambiò le loro intenzioni.

"Forse e la volta che non bagno il letto Syrin." Disse il maggiore dei quattro per poi rivolgersi alle sorelle. "A dormire voi, domattina dovremo svegliarci presto e un lungo viaggio ci attende." 

Giovanni annuì, almeno il grande aveva capito come funzionava. Non si sarebbe preoccupato per il viaggio se fosse stato da solo, avrebbe usato il cosmo. Ma poteva muoversi con dei bambini? Questo non lo sapeva e solo la mattina successiva avrebbe capito come muoversi, forse fare due viaggi consecutivi alla velocità della luce... stava di fatto che in quel momento il suo problema era un altro. Osservò Syrin e gli indicò la strada del bagno.

"La pipì!" 

 

 

Era la metà di settembre, il sole baciava caldo le gote dei quattro bambini che meravigliati si erano ritrovati in un luogo che era l'opposto di Asgard. Il clima caldo infatti li avrebbe accompagnati ancora per un po' lì nell'assolata Sicilia. I colori caldi di Catania circondavano i bambini che di colorato fino ad allora avevano visto solo i fiori del negozio di Helena. Non vi era colore ad Asgard era tutto bianco e spettrale, a differenza di quel posto magnifico dove il verde delle valli si confondeva con l'azzurro cristallino del mare. Dove l'allegria della gente ti entrava fin dentro l'anima con il loro vociare e dove si trovavano frutte e verdure succose e invitanti.

Death alla fine aveva optato per un viaggio in aereo, trasportare quattro bambini era impensabile,  separarli per portane uno o due per volta anche, inoltre l'aereo privato di Giānnis Diás era lì pronto per ogni esigenza e allora ne aveva approfittato.

Una volta a Catania aveva lasciato ai quattro bambini la libertà di correre per i vicoli catanesi. Poi quando il tramonto era ormai alle porte si era portato verso la casa dei nonni. 

Il terreno di loro proprietà ormai era poco, quattro anni prima, quando don Salvatore era stato colpito da un ictus, finalmente i nonni si erano lasciati convincere a vendere il terreno. Adesso il nonno era quasi un vegetale e la nonna doveva tirare avanti da sola. 

Era stato a trovarli i nonni Giovanni dopo il suo ultimo ritorno, quando aveva accompagnato Aiolos a Stromboli ne aveva approfittato. Era passato a trovare i nonni per dire loro che era tornato, che sapeva Lucia avesse detto loro della sua morte. Egli si dispiaceva di avere arrecato ai due anziani nonni tanto dolore, solo quando fu certo che avessero compreso cosa gli era accaduto aveva promesso loro che non li avrebbe fatti più soffrire.

"A novembre, se Zeus me lo concede verrò ad aiutarvi come gli altri anni." Aveva detto 

"Lascia stare! Con la pensione adesso posso chiamare un manovale per la nostra piccola raccolta. Ma tu Giovanni passaci a trovare, Lucia non viene quasi mai e sapevamo quando venne l'ultima volta che era qui per un brutta notizia." Disse la matri.

"Non so quando potrò venire matri." Disse allora lui.

"Non ti preoccupare. Io so essere paziente..."

E certo che lo era la sua matri, quante ne aveva viste e vissute. Un figlio morto in servizio e un altro scomparso durante la pesca in mare, un nipote che diventa un santo di Athena e una nuora che era diventata la zoccola di un capo mafioso. Infine il suo amato Salvatore adesso era relegato su un letto o su una sedia a rotelle, doveva essere imboccato e lavato, proprio come un bambino. 

Quanto avrebbe voluto aiutarli Giovanni. Ma non poteva fare promesse, non quando non sapeva che intenzioni aveva Zeus con loro. E se sarebbe tornato negli inferi, di nuovo morto come tutte le altre volte? Non poteva fare un tale torto alla nonna, non di nuovo, quindi ci doveva andare piano.

"Questa è la casa dove sono cresciuto." Disse ai quattro små blomster mentre bussava.

Dopo un po' una donna di circa sessantacinque anni dal viso reso rugoso dal sole e dalla salsedine, senza trucco, apparve al piccolo gruppo. 

"Giovanni! Figghiu miu beddu." Esultò la donna gettandosi nelle sue braccia.

"Matri!" La sollevò lui per abbracciarla. "Hai ricevuto il mio telegramma." 

La donna annuì. "Certo che si. Aspettavamo voi per cena, venite entrate." Disse spalancando la porta. "I picciriddu mi devi presentare." 

Lui annuì e lasciò entrare i bambini in casa, questi sempre più curiosi guardavano ovunque. Nellik e Stjern furono gli unici a restare al fianco suo, mentre Lijie e Syrin cominciarono a toccare e guardarsi intorno. Lijie compassionevole si diresse verso il nonno, gli carezzò la mano e gli sorrise. 

"Bedda!" Sussurrò il nonno. 

"Patri, matri, vi presento Nellik, Stjern, Lijie e Syrin. Sono i figli di una mia amica." 

L'anziana donna sorrise e prese i visi dei bambini circondandoli con le mani callose, diede un bacio a Stjern sulla fronte dicendole fosse bellissima e poi si avvicinò a Nellik facendo la stessa cosa. "Gli occhi tuoi ha!" Aveva detto la vecchia.

Giovanni aveva taciuto, anche lui aveva notato gli occhi azzurri di Nellik e Syren e ne aveva dedotto che somigliassero al padre. Osservano i quattro poteva dire che Lilje e Syrin avevano preso un po' di Helena, i capelli castani e gli occhi nel caso di Lilje. Nellik non somigliava per niente alla madre/sorella. Capelli scuri e occhi azzurri intensi, era sicuro Giovanni che fosse l'unico a somigliare in tutto e per tutto al padre. 

"Uguale a tia!" Sussurrò il nonno. 

Giovanni gli si avvicinò carezzandogli la spalla. "Non ho capito." Disse per poi rivolgersi ai bambini. "Da oggi starete qui, la nonna ha preparato del buon pesce se il mio olfatto non mi inganna. Domani parto e chiederò un permesso per venire a stare qui, voi mi raccomando fate i bravi." Li istruì.

"Non ti preoccupare, ci penso io." Disse Nellik andando poi a chiedere alla nonna come poteva aiutare.

Giovanni assentì verso la matri, erano tanto bambini, eppure erano educati e indipendenti. Sapevano dare una mano in casa, si erano presi cura del negozio e della sorella mentre era ammalata. Non avrebbero dato fastidio alcuno, solo portato un po' di gioia ad un vecchio ormai alla fine dei suoi giorni ed una anziana ormai sola. 

Così anche se a malincuore e dopo essersi sincerato che i bambini fossero al sicuro il giorno dopo Giovanni aveva fatto rientro al cospetto di Zeus.

Lo aveva informato su come era andato il viaggio, del fatto che Freya stesse bene e che fosse stata raggiunta da Hyoga del cigno. 

“Vorrei comunque che ti assicurassi sempre del fatto che stia bene e sia la sicuro Death Mask.” Gli disse il padre degli dei. 

“Lo farò divino Zeus! Io vi voglio chiedere però se è possibile chiedervi un permesso.” Chiese con una smorfia. Essere soggetto alle decisioni altrui gli stava stretto, prima con Saga al comando al santuario gli era stato tutto più facile, adesso invece era diverso. Zeus aveva tutti in pugno.

“Hai finalmente trovato qualcosa con cui occupare le tue giornate Death Mask!” Affermò il divino Zeus.

Giovanni sollevò il capo, ancora con quella storia? Lui era un guerriero e tale voleva restare, non aveva altro scopo nella vita è non poteva arrivare un dio alla veneranda età di ventisei anni a dirgli che doveva cambiare tutto.

“In realtà no signore. Ho però i miei nonni ancora in vita, solitamente in questo periodo dell’anno lì aiuto nella mietitura del grano, ci sono i miei bambini con loro. Ma anche loro sono ancora piccoli.” Disse omettendo di dire che i ragazzini non fossero suoi. Poteva effettivamente sfruttare l’accondiscendenza che Zeus lasciava ai genitori e neo genitori per poter tornare a casa. 

“I tuoi nonni sono ancora vivi?” Chiese scettico Shion intervenendo al posto di Zeus. Al suo fianco anche Dohko sollevò un sopracciglio altrettanto diffidente. 

“Che voi lo crediate o meno sommo Shion, sì! I miei nonni sono ancora vivi.” Rispose sicuro di se. 

“Sarei felice di conoscere i tuoi figli Death Mask.” Intervenne quindi Zeus con un sorriso. “Posso darti un permesso, è un motivo più che valido. Anche se vorrei accompagnarti, a differenza di Shion ti credo. Voglio però conoscere i tuoi figli e vedere come hanno reagito al tuo ritorno, caso mai spiego loro cosa è accaduto” 

“Loro... loro non sono un problema divino Zeus. Sono anche tranquilli in merito.” Rispose consapevole che le sue bugie sarebbero venute presto a galla.

“Lascia che sia io a decidere Death. Quando vuoi possiamo partire, prenderemo un jet, ovunque tu voglia andare.” Disse quindi Zeus. 

Giovanni ingoiò il groppo. “A Catania signore! Per me possiamo partire quando voi volete.” 

Gián annuì alzandosi. “Partiamo domattina quindi, così potremo rientrare per la sera.” Ordinò e per quanto Giovanni sentiva l’esigenza di partire di corsa verso la Sicilia ed avvertire i nonni, lo sguardo indagatore dei due anziani gold lo faceva desistere. 

Doveva solo sperare che i ragazzini parlassero poco o che lo assecondassero, bastava poco. Anche se in quel momento maledisse il fatto che sembrava Helena avesse insegnato loro più lingue, Nellik e Stjern erano bravi con il greco, il russo, l’inglese e il francese e l’italiano, Lilje e Syrin nonostante fossero piccoli erano bravi con il greco, il russo e il francese. In una maniera o nell’altra Giánnis Diás e i vecchi gold avrebbero avuto modo di comunicare con loro. 

La mattina dopo l’aereo partí verso la Sicilia alle prime luci dell’alba, alle nove erano già atterrati. Shion e Dohko avevano seguito Giannis che si era portato dietro il suo compagno. In quel momento Giovanni si era sentito tanto vecchio e tanto ‘candela’ come si diceva da quelle parti. 

La presenza dei quattro però non era contestabile così dopo aver preso un auto a noleggio il cancer si era prefissato di guidare lui stesso verso la casa che si trovava quasi ai piedi dell’Etna dove vivevano i nonni. 

Ci misero un po’, solo quando iniziarono a farsi vedere le prime piantagioni di grano e i frutteti il santo del cancro parlò. “Siamo quasi arrivati. Questo terreno è di alcuni cugini, i miei nonni vivono in una casa con poca terra, serve a loro solo per vivere di rendita.” Disse ai quattro mentre la macchina si insinuava in dei vicoli stretti e antichi. Superarono una chiesa e poi iniziarono una discesa, dopodiché in uno spiazzo di terra e sassi, dove non c’era asfalto Giovanni si fermò. 

Aprì la porta e chiese agli altri di seguirlo. Due case in pietra dalle quali uscivano vociare di donne erano poste una di fronte all’altra. Distaccata ce n’era  un’altra, Giovanni invitò tutti a salire le scale e intanto che la porta si avvicinava questa si aprì lasciando emergere Lilje che gli correva incontro sulle scale. 

“Sei venuto presto!” Urlò la piccola stringendosi alla sua gamba. 

“Piano! Tu cadi.” La riprese con una smorfia Giovanni. 

“Hai mantenuto la promessa.” Disse ancora lei aggrappandosi. 

Non c’era verso! Giovanni la prese in braccio e si voltò verso i suoi superiori. “Venite, scusate per l’irruenza dei bambini, sono tutti vivaci.” 

Disse salendo gli ultimi gradini due alla volta. 

“Syrin ha fatto di nuovo la pipì a letto!” Disse la bimba. 

“Ninì! Sei arrivato presto.” Arrancò matri arrivando anche lei fuori la porta.

“Abbiamo ospiti matri, entriamo in casa.” La salutò con affetto Giovanni, sapeva il cancer che agli occhi dei quattro uomini in quel momento poteva non apparire un uomo tutto di un pezzo. Non lo era, non poteva farci nulla, per lui la nonna era l’unica persona che gli era sempre stato accanto senza mai giudicarlo. Lo aveva visto nascere, crescere e soffrire, rivoltarsi al mondo e diventare santo di Athena. Lei era la sua vita e non poteva essere cinico, egoista e indifferente a tutto in sua presenza. 

“Ti ho portato degli amici matri.” Disse poi indicando Giánnis Diás. “Lui è il padre di Rosa, l’amica di Lucia, quello dietro invece è Shion, ti ricordi? Ti parlai di lui a dieci anni.” Spiegò.

La donna osservò il gruppo mantenendo lo sguardo su Giánnis. “Il padre di Aphrodite? Lucia con te sta?”  Chiese al giovane.

Giánnis sorpreso annuì. “Onorato di conoscervi donna Lucia, Giovanni ci ha parlato di voi e abbiamo pensato di venirvi a salutare.” Disse ripensando all’ancella di Rosa, la giovane Viola, sorella di Death Mask.

La donna chinò il capo rugoso, lasciando tra vedere sotto il fazzoletto che le copriva il capo i capelli sale e pepe. “Siete voi che avete fatto tornare Ninì tra noi?” Disse prendendo la mano di Giánnis e baciandola. “Grazie, di cuore. Giannino non è un virtuoso, ma un bravo ragazzo fu e siamo contenti di averlo rivisto e riabbracciato. Un genitore non deve vedere la morte di un figlio.... grazie.” 

In imbarazzo Giánnis lasciò scorrere lo sguardo da Death Mask ai gold saint che scossero la testa. 

Fu Giovanni a far allontanare la donna, carezzandole una spalla. “Lucia sta in missione per Aphrodite, non è qui con noi. I bambini dove sono?” Chiese indicando ai quattro uomini delle sedie in paglia dove potevano accomodarsi. 

“Nellik andò a raccogliere i limoni. Cosa buona fu, così possiamo far bere una limonata fresca ai vossignoria.” Disse la donna orgogliosa. “I limoni più buono abbiamo, ne volete portare un po’ dietro?” Chiese agli uomini. 

“Strije invece dopo aver lavato Syrin, gli ha voluto far lavare le lenzuola e farle prendere aria.” Intervenne Lilje. 

Giovanni la mise a terra e le diede un piccolo buffetto sulla testa. “Va a chiamarli e smettila di fare la spia.”

Shion e Dohko seguivano la scena stupiti intanto che Giánnis e Kyros se la ridevano. 

“Quanti sono?” Chiese il padre degli dei. 

Death fece una smorfia e andò a sedersi accanto la nonna. “Quattro, due maschi e due femmine.” Rispose nel tipico linguaggio del sud Italia. 

Giánnis annuì per poi guardare l’anziana donna. “Chiedo scusa se tengo lontano Giovanni dalla vostra casa. Ci stiamo organizzando e vedremo di farlo rientrare più volte possibile. Per ora resterà qui, poi appena si libera ci raggiungerà.” Concluse tornando al santo del cancro. “Fin quando mia figlia Miho non partorisce ho Milo a mia disposizione, dopo però ti chiedo di rientrare. Non posso pretendere che lui pensi a me invece che alle due gemelle.” 

Il cancer annuì. “Aspetto allora vostre notizie.” Rispose, non ringraziò, lui non era tipo e il padre degli dei nulla disse se non scostare la sedia e alzarsi. 

“È stato un piacere donna Lucia. Ahimè dobbiamo andare via, io e i miei amici dobbiamo essere a Lecce per ora di pranzo. È stato però un grande piacere conoscervi.” Disse con riverenza alla vecchia. 

“Aspettate! ‘O piccoriddu sta portando i limoni, va a chiamare Nellik, Giovanni.” Disse la donna comandando il nipote di essere servizievole.

Questi scocciati si alzò e andò alla porta. Perché diamine non li lasciava andare via? 

A malincuore quindi obbedì, corse nei campi e andò alla ricerca di Nellik che trovò appeso su un albero a mangiare un arancio.

“Che ci fai lì? Ti stiamo aspettando!” Gli urlò contro.

Il bambino nel vederlo appena giunto quasi si strozzò, lo sguardo da vacuo si illuminò di gioia. 

“Sei tornato! Hai mantenuto la promessa.” Disse scendendo dall’albero.

“Se se! Muoviti andiamo a portare questi limoni. Vedo che hai preso confidenza col posto.” Gli disse Giovanni prendendo la cesta coi limoni. 

“Mi piace qui, c’è il sole e il mare, i fiori e...” spiegò il bambino eccitato per poi fermarsi.

“E cosa?! Perché non continui.” Chiese il cancer.

Lui ci pensò su, poi rispose evasivo. “Ho trovato con chi parlare. Amici!” Disse correndo poi verso la casa felice. 

L’amico di sua madre aveva mantenuto la promessa. Era tornato! Non ci sperava, non dopo che al contrario Helena non era tornata, le sue ancelle quando erano andate a prendere la madre ad Asgard gli avevano detto che sarebbe tornata dopo che si ripremeva. Ma non avevano più visto Helena e allora la fede nelle promesse altrui era svanita. Eppure quell’uomo, quello che puzzava di alcol, come diceva Lilje, era tornato e sarebbe rimasto. 

Giovanni al contrario era scettico, chi erano questi amici di cui Nellik parlava? Era sicuro non ci fossero bambini nel raggio di chilometri e lui con i fratelli erano lì solo da ventiquattro ore. 

 

 

Asgard - ottobre 199o

Era passato quasi un mese da quando Helena aveva incontrato Giovanni lì ad Asgard. In tutto quel periodo si era data da fare a cercare i suoi bambini. Era stata al loro villaggio, nella casa materna e al negozio di fiori, proprio come si era premessa. Ma dei quattro bambini non c’era traccia.

Era stata una stupida, aveva tergiversato troppo in Grecia, anche se non era stata colpa sua. Restare accanto alla sua dea era stata la priorità dopo la sua ripresa. La minaccia di Gea era troppo grande e pensare di abbandonare tutte sapendo che dietro il caos c’era anche la loro amica Giulia.

Eppure adesso se ne pentiva, Hilda le aveva messo a disposizione le sue guardie in quella ricerca, dopo il loro villaggio si erano addentrati in quelli limitrofi. Ma nulla, dei quattro bambini non c’era traccia.

Ne pianse Helena, disperata tra le braccia dell’amica.

“E se Fafnir ha preso anche loro. Numi del cielo, quel mostro ha ucciso anche i miei figli!” Diceva disperata, perché quella era l’unica conclusione cui poteva giungere. Gli uomini di Loki avevano ucciso anche i suoi figli.

L’unico aiuto che aveva potuto darle Hilda era stato parlare con Sigmund il god warrior che gli era rimasto fedele e chiedere a lui se sapeva di bambini sacrificati allo Yggdrasil.

“Non lo so mia regina! Ho saputo solo dopo degli esperimenti di Fafnir, mi sembra che Lifya sapesse di villaggi sabotati e popoli sacrificati alla causa di Loki.” Aveva risposto lui.

Al che Hilda era andata a parlarne con la sua celebrante. “Una volta quando incontrammo Mu di Aries ci disse che in un villaggio ne era uscito salvo solo un bambino, ma perché si era nascosto. Fafnir usava chiunque per i suoi sacrifici, sia donne e bambini che anziani.” Confermò quindi la celebrante. “Perché è accaduto qualcosa?” Chiese

“Risultano scomparsi molti bambini dopo la guerra contro Loki. I figli di Helena sono tra questi.” 

Lifya osservò le due con amarezza. “Mi dispiace molto, purtroppo non sono riuscita ad aiutare tutti.” 

Helena scosse la testa. “Non devi dispiacerti, non sapevamo che razza di mostro fosse Fafnir, io sono viva solo perché Aphrodite si è assicurata che stessi bene.” E che i gold saint mi abbiano tirato fuori da quel finto ospedale, che avesse nelle vene il sangue della dea! Ma i suoi figli? Loro cosa avevano fatto di male? 

“Grazie mille Lifya.” La congedò Hilda per poi rivolgersi alla sua amica. “Mi dispiace Helena.” 

“Passerà...” sussultò lei. “... Deve! Non posso portarmi dietro questo dolore per gli anni a venire... saranno tanti... centinaia...” singhiozzò tra una frase e l’altra. Perché era un’ancella divina ed aveva deciso di seguire la sua dea per almeno mille anni, perché aveva fatto un voto e non poteva scioglierlo, anche se il dolore era grande e immenso e sapeva che non aveva prezzo. Avrebbe sempre dato con piacere la sua vita per quella dei suoi figli. Perché gli dei non avevano avuto pietà di lei.

“Io ti sarò vicina Helena, adesso e anche più avanti. Io e Aphrodite ti saremo vicine.” Le disse la regina di Asgard. 

Lei assentì e si lasciò andare al pianto. Non voleva soffrire! Ma non riusciva ad impedirselo, era una madre insegna! Aveva lasciato morire i suoi bambini ed ora... ora ne aveva un altro in grembo ne era sicura e non lo voleva. Come poteva avere un figlio quando era così indegna di crescerli bene? Sua madre ci era riuscita egregiamente con i suoi bambini, ma lei Helena era senza speranza! Non voleva avere figli, non poteva più guardare negli occhi Death Mask senza pensare a Nellik e Syrin, che del padre avevano ereditato gli occhi. Nellik, lui e suo padre erano due gocce d’acqua, se prima non aveva avuto il coraggio di dire a Giovanni dei figli, perché lui era un assassino e un uomo che non poteva permettersi dei legami. Adesso non lo avrebbe avuto ancora di più il coraggio di dirgli che anch’ella era un’assassina: aveva ucciso i loro figli.

 

 

Catania - 15 ottobre 1990

“Quindi io vado! Qualsiasi cosa matri hai dove scrivermi e dove telefonarmi.” Disse Giovanni mettendo un ultimo cambio nella sacca.

“Posso prendere la bambola che Strije non vuole?” Chiese Lilje

“Posso giocare a calcio con Nellik e Syrin?” Chiese l’altra 

“Posso dormire con il patri?” Chiese il più piccolo.

“Torni presto?” Chiese Nellik.

Giovanni sospirò guardando il più grande. In quei venti giorni lui e Nellik avevano fatto di tutto insieme, mietuto il grano, aratro i terreni, raccolto gli agrumi, giocato a calcio, insegnato a difendersi, parlato, insegnato a usare il cosmo che sicuramente il giovane aveva, imparato alcuni modi di dire siciliani, ancora addestramento. Parlavano e si allenavano, si era instaurato un bel rapporto e Giovanni aveva capito una cosa importante. Nellik gli aveva mentito, non aveva amici e non parlava con nessuno lì a casa.

Guardò i quattro per poi poggiare lo sguardo su Syrin. “Ricorda di fare la pipì prima di andare a dormire. Se lo fai sarai bravo e non te la fai sotto.” Gli disse senza rispondere alla sua richiesta.

“Tu puoi giocare a qualsiasi cosa, avrai tempo per fare la femmina e adesso sei ancora una bambina.” Disse a Strije. “Mentre tu puoi giocare anche con la sua bambola. Io tornerò appena possibile, salvo qualche problema.” Disse poi rivolto a Nellik.

“Prenditi cura di tutti, se mi cerchi tu stesso sai dove e come scrivermi.” Gli disse Giovanni. 

Si grattò il naso, cazzo! Si era affezionato a quei quattro mocciosi e non lo credeva possibile. La morte gli aveva fatto male, si era ammorbidito, era diventato una femminuccia e non andava bene. Fortunatamente a giorni Miho chiudeva i conti, quella era la sua scusa per prendere un po’ di tempo e spazio dai bambini. Doveva ritrovare se stesso. 

“Fate i bravi e non pesate sulla matri, vi ricordo che il nonno non sta bene.” Si assicurò mettendo la sacca in spalla.

I quattro annuirono, Lilje si lanciò tra le sue braccia e gli diede un bacio. 

“Torna presto pave*” lo salutò, Giovanni annuì e in imbarazzo uscì all’aria aperta. Doveva tornare alla sua vita è presto. 

 

- pave, si legge pav è padre in norvegese

   
 
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