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Autore: Imperfectworld01    05/01/2021    2 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Prologo


Lamette di Donatella Rettore, un singolo che aveva riscosso molto successo fin da quando era uscito l'estate precedente, stava ora risuonando a tutto volume dall'autoradio, quasi come fosse stato uno strano scherzo del destino.

Non ero triste all'idea di tornare a Milano, in fondo ero nata lì, ma anche Torino dopo otto anni era riuscita a guadagnarsi un posto nel mio cuore.
Comunque a me non era andata troppo male. Sì, avevo dovuto salutare dei cari amici, ma me ne sarei fatti degli altri; Benedetta, invece... be', aveva perso l'amore della sua vita, o così diceva lei.

In quel momento era silenziosa, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino della Fiat Panda del nuovo compagno di mia madre, Claudio, ma era evidente che il suo animo ribelle non sarebbe rimasto addormentato, e che aspettava solo il momento giusto per scappare e ritornare da lui.

Lei e Maurizio si erano frequentati a lungo ma di fatto non stavano insieme da molto, all'incirca tre mesi, ma secondo Benedetta fin da quando si erano visti per la prima volta circa un anno fa, era stato un colpo di fulmine, aveva trovato la sua anima gemella, l'uomo che avrebbe sposato, il padre dei suoi figli. Lo ripeteva all'incirca dieci volte al giorno da quando mamma ci aveva detto che ci saremmo trasferite. Quindi almeno da otto mesi.

... promette bene, sì, promette tanto bene,
ma (gimme, gimme, gimme),
ma (gimme, gimme, gimme),
ma (gimme, gimme, gimme),
ma dammi una lametta che mi taglio le vene!

«Si può cambiare canzone, per piacere?» domandò Benedetta con tono scocciato e spazientito, prima di chinarsi e roteare la maniglia alzacristalli per abbassare il finestrino.

«Benedetta, chiudi il finestrino, o entreranno le mosche» le ordinò mia madre, ma mia sorella la ignorò.

Il signor Bianchi - o semplicemente Claudio, come ci aveva detto di chiamarlo - invece annuì semplicemente e cambiò la trasmissione della radio. Sembrava un tipo tranquillo, educato, ma se ne stava un po' troppo sulle sue delle volte. Non sapevamo molto su di lui e della sua vita prima che incontrasse mia madre. Mamma ce l'aveva presentato solo due sere prima, quando ci aveva raggiunte a Torino. Aveva dovuto dormire in albergo, poiché i miei nonni si erano rifiutati anche solo di farlo entrare in casa.

Disapprovavano enormemente quella e altre scelte di mia madre: il fatto che per sfuggire al loro controllo si fosse donata a un uomo prima del matrimonio, il fatto che non avesse saputo rispettare la sacralità del matrimonio chiedendo al giudice il divorzio, il fatto che avesse cercato di ottenere la propria indipendenza economica cercandosi un lavoro, il fatto che fosse stata una madre assente e incapace di prendersi cura delle sue figlie, il fatto che stesse cercando di costruirsi una nuova famiglia.

Io volevo bene ai miei nonni, erano stati sempre presenti in quegli anni quando mamma non c'era, ma sapevo che si sbagliavano sul suo conto. Forse non era stata molto presente, ma era l'unica che mi aveva insegnato delle cose importanti e che non avrei mai dimenticato.

«Tu sei una donna, Nina, ma prima di questo sei una persona, come chiunque altro. E la nostra Costituzione, che è la più meravigliosa che esista al mondo, stabilisce che tutti gli  individui sono uguali davanti alla legge, sai? Ma non è sempre stato così. Hai idea di quante persone siano morte orribilmente per far sì che oggi noi potessimo vivere in uno Stato libero? Uno Stato dove i diritti di tutti fossero rispettati, dove tutti fossero uguali, senza distinzione di etnia, sesso o credo religioso. Tutto questo non è scontato. Le persone hanno lottato per ottenere questi diritti, fra cui anche i tuoi nonni paterni. Eppure c'è n'è ancora molta di strada da fare.
«Ciononostante, c'è ancora chi si oppone a questi cambiamenti, perché in fondo sa che noi donne siamo qualcosa di più di solamente un corpo e teme che, se avessimo libero arbitrio e smettessimo di farci sottomettere, saremmo in grado di ottenere qualsiasi cosa che ci mettiamo in testa di fare.
Promettimi che anche tu lotterai sempre per dimostrare il tuo valore, promettimi che non ti farai mai mettere i piedi in testa da nessuno» mi disse una volta.

Avevo sempre apprezzato il fatto che mia madre non avesse mai usato mezze misure mentre parlava con me. Mi parlava in maniera aperta, sincera, senza trattarmi come se fossi troppo piccola e inesperta per capire certe cose. Secondo lei più cose sapevo del mondo, e più sarei stata difficile da abbattere.

«Una donna che non conosce i suoi diritti non saprà mai quanto vale» mi ripeteva sempre.

Per questo motivo rimasi molto sorpresa quando scoprii che la persona che reputavo fra le più trasparenti al mondo, era anche quella che era riuscita a nascondere una relazione che andava avanti da ben quattro anni.

Ma in fondo non ce l'avevo con lei per questo, sapevo che l'aveva fatto per il bene mio e di mia sorella.

Dopo interminabili ore, Claudio posteggiò la macchina. Spalancai subito la portiera e uscii, pronta ad assaporare l'aria di Milano.
Era una tipica giornata soleggiata estiva, ma fortunatamente l'aria non era afosa, anzi, era anche piacevole stare all'aperto, a maggior ragione dopo aver passato più di due ore in uno spazio ristretto con altre tre persone.

Era strano. Avevo solo sette anni quando avevo lasciato Milano, perciò non mi ricordavo molti particolari, conoscevo molto meglio Torino, eppure non mi sentivo un'estranea. Mi sentivo a casa.

Guardandomi intorno, riuscii a individuare il Duomo in lontananza. La Madonnina dorata risplendeva più che mai illuminata dalla luce del sole.
A pochi passi da dove si era fermato Claudio con l'auto, c'era un sottopassaggio. In cima, c'era un cartello che riportava il logo del comune di Milano e di fianco a esso, su sfondo rosso c'era una scritta bianca: "CAIROLI Castello". A lato del sottopassaggio c'era un palo e un cartello quadrato con una grande M.

Non mi ci volle molto a capire che fosse il sottopassaggio che conduceva alla metropolitana. Supposi che sarebbe stato comodo averla vicina a casa.

«Nina, spostati! Ma non lo vedi il furgone?»

La voce di mia madre che mi chiamava per nome riattivò la concentrazione in me. Mi accorsi solo in quel momento che mi ero messa praticamente in mezzo alla strada e che si stava avvicinando un enorme furgone addetto ai traslochi, il quale, presumibilmente, stava trasportando i nostri scatoloni.

Mi spostai appena in tempo e raggiunsi gli altri sul marciapiede.

Circa mezz'ora trascorse così: facendo su e giù per portare tutte le valigie e gli scatoloni. Sfortunatamente l'appartamento di Claudio non era al pianterreno, bensì al terzo, e come se non bastasse l'ascensore era anche di una lentezza disarmante.
Quando finalmente terminammo, mi accorsi di avere la fronte permeata di sudore, così ci passai una mano sopra per asciugarla.

«D'accordo, ora che finalmente abbiamo tutto, vi faccio vedere la casa e la vostra stanza. Seguitemi, da questa...»

Claudio si interruppe nel momento in cui sentimmo il rumore delle chiavi che venivano inserite nella serratura della porta d'ingresso e, poco dopo, vedemmo entrare un ragazzo. Era alto, e i capelli erano scuri e ricci. Aveva la pelle molto chiara, gli occhi verdi e diverse lentiggini su tutto il viso.
Con nonchalance, richiuse la porta alle sue spalle e fece per attraversare il corridoio dell'anticamera e dirigersi altrove, ma nel momento in cui Claudio si schiarì la voce, si immobilizzò e retrocedette, posizionandosi davanti a mia madre. «Tu devi essere Carlotta» disse. «Io sono Vittorio, molto piacere di conoscerti» aggiunse, tendendo la mano verso mia madre.

Io e mia sorella ci scambiammo uno sguardo confuso, che indirizzammo poi verso mia madre. Quest'ultima aprì la bocca per chiarire i nostri dubbi, ma Benedetta si intromise e la precedette: «Vittorio come, prego?» chiese, tentando di sforzarsi per non risultare insolente, invano. Mia sorella aveva sempre la puzza sotto il naso, dava l'impressione di credersi superiore a tutti.

«Vittorio Bianchi» rispose fieramente. «Suo figlio» aggiunse, facendo un cenno al fidanzato di mia madre.

 

   
 
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