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Autore: Soe Mame    06/01/2021    2 recensioni
Il momento arriverà.
Continua ad aspettare, continua ad aspettare che arrivi.
Continua a sperare, continua a sperare che arrivi.
[1649-1738: È bastato meno di un secolo per cambiare tante cose tra il Sud Italia e la Spagna.]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1727

Il Palazzo Reale semivuoto faceva uno strano effetto. Era un luogo gigantesco, ma non abbandonato; l'assenza di persone lo faceva sembrare bloccato nel tempo.
Lovino era tornato a Napoli e, venuto a sapere dell'assenza dell'omonimo, era tornato anche a Palazzo. Per quel che ne sapeva, era stato convocato da Austria. Non che fosse strano. In fondo, c'era una guerra in corso. Una guerra che non lo riguardava - né lui né la sua terra -, di cui non avrebbe dovuto importargliene niente, ma a cui ripensava troppo spesso. Doveva essere per la nazione a cui Austria si era alleato.
Data la scarsità di vita nell'edificio, Lovino si sentì libero di fare quel che gli pareva. Esplorò tutto il Palazzo, meglio e con più calma di come non avesse fatto tredici anni prima. Con suo grande stupore, non avevano venduto la sua roba. Si chiese se non fosse stato un ordine di Napoli. Chissà com'era, Napoli. E Sicilia, e Sardegna.
No, non li voleva incontrare. Erano solo domande legittime.
Non dovette rubare nulla dalle cucine: i servitori gli offrirono del cibo spontaneamente. Sembrava quasi che non fossero dispiaciuti di trovarlo lì. Era un pensiero stupido, perché la metà dei servitori non lo conosceva e l'altra metà l'aveva intravisto tredici anni prima. Quel che si doveva sapere era che Sud Italia era scappato appena giunto a Napoli, fatto che non avrebbe dovuto renderlo troppo simpatico.
Si chiese se, nei Regni di Napoli e di Sicilia, si sapesse del suo ritorno. O anche solo della sua esistenza. Negli ultimi nove anni aveva preso l'abitudine di fermarsi nei centri più popolati, e di provare a viverci per uno o due mesi. Aveva visto come vivevano gli italiani del sud, come si comportavano gli austriaci, aveva conosciuto i suoi conterranei. Aveva avuto svariati cognomi, ma il nome era sempre lo stesso. Se anche qualcuno avesse riconosciuto in lui quel "Romano" che da più di dieci anni vagava per il meridione, pazienza. Non c'era un motivo di vitale importanza per cui non rivelasse a tutti di essere Sud Italia, se non quello di voler vivere come un umano - Più o meno. Era lieto di non poter morire di fame o di ferite. E poi, non voleva essere trattato in modo diverso - positivo o negativo - perché era una nazione. Più che altro, non era solo il desiderio di conoscere la sua casa a portarlo a cambiare spesso luogo: se fosse rimasto troppo a lungo in un regno o in un altro, avrebbe rischiato di dargli più importanza. Nessuna persona sana di mente avrebbe mai pensato una cosa del genere, ma le scuse per far scoppiare guerre di rado erano sensate. Non avrebbe retto ad un'eventuale guerra tra Napoli e Sicilia.
Andò nella Biblioteca. Erano decenni che non leggeva nulla in una qualche lingua italiana e fece uno strano effetto anche solo leggere i titoli sui dorsi dei libri. Uno catturò la sua attenzione. La cosa più ridicola era che non fosse in una lingua viva. Lo sfilò dallo scaffale, si lasciò cadere su una poltrona e iniziò a leggere. Si soffermò su uno dei primi paragrafi. Una frase, in particolare. Rimase a guardarla, senza davvero vederla.
Non ci aveva mai pensato. Non si era mai neppure incuriosito. Forse il nonno aveva letto quel libro - Rotoli di pergamena, all'epoca - a lui e Feliciano e, probabilmente, Lovino si era addormentato per il troppo interesse. Ma, in millecento anni circa, non aveva mai neppure pensato di andare oltre l'idea che si era fatto.
«Hai scelto la strada più difficile.» capì: «Anche a costo di rimanere sola.» Un sospiro. «Perdonami.»
Avrebbe voluto dirglielo. Sperò che, ovunque lei fosse, l'avesse sentito.


C'era una bella veduta di Napoli, da quella stanza. Avrebbero dovuto inventare un modo per imprimere le immagini su qualcosa, magari di piccolo e portatile - Lui avrebbe impresso quella veduta e se la sarebbe portata sempre dietro.
C'era una cosa che avrebbe voluto fare. Il libro di poco prima sembrava quasi un invito a farla. Avrebbe potuto provarci. Certo, in caso di fallimento, le cose si sarebbero messe così male da... Qual era un'immagine abbastanza poetica per descrivere un'eventualità del genere? Scuotere le fondamenta degli equilibri europei, con probabile scoppio a catena di conflitti e riesumazione di vecchi pretesti per formare alleanze ed eliminare per sempre gli avversari più scomodi. Lo stregone inglese poteva dirgli quanto voleva che il mondo poggiava su un oceano, ma lui stesso aveva dimostrato quanto i mari non fossero stati dimenticati. Se lo zio Petrus avesse imprigionato il Sud Italia, che fosse per tenerlo per sé o per rivenderlo al migliore offerente, le cose non sarebbero finite bene. Napoli, Sicilia e Sardegna ci sarebbero andati di mezzo. E nulla vietava che, per completare il puzzle, chi di dovere non cercasse di prendere pure Feliciano. Insomma, poteva dire con ragionevole sicurezza che un fallimento avrebbe potuto portare a qualche problema.
Si allontanò dalla finestra, spostò la sedia e si sedette sul tavolo. Meglio provare a realizzare quel pensiero quando fosse stato più sicuro. C'era ancora molto da scoprire, laggiù. Doveva ancora esplorare per bene la casa di Sardegna - E se Savoia avesse provato a dire qualcosa, sarebbe stata la volta buona che gli avrebbe fatto recapitare un pacco di biscotti avvelenati.
La porta fu richiusa. Non si era accorto che fosse stata aperta in primo luogo. Quel Palazzo, in quei giorni, era così silenzioso che qualsiasi rumore passava in secondo piano - Anche se, ne era conscio, la cosa era un controsenso. Si voltò.
L'idea di prendere la rincorsa e buttarsi dalla finestra fu improvvisamente invitantissima. Era un peccato che, da quell'altezza, la frittella sarebbe stata assicurata.
«Hola, Lovi!»
«No, tu ora mi spieghi cosa cazzo ci fai qui.»
Il Palazzo Reale di Napoli era stupendo, ma purtroppo c'era un bastardo davanti alla porta. Avrebbe dovuto farlo presente e chiedere che venisse rimosso.
«Visto che Nápoles non c'è» spiegò Antonio, allegro e sorridente nonostante l'aria sbattuta: «ho pensato che potessi essere qui! Il mese scorso hai inviato il tuo messaggio da Foggia, quindi non era poi così strano che fossi tornato qui!»
Lovino aveva perso qualsiasi volontà di resistenza. Aveva dovuto accettare che Spagna l'avrebbe trovato ovunque e che, soprattutto, avrebbe sempre avuto la capacità di apparirgli alle spalle all'improvviso. Se non altro, non era mai saltato strillando per lo spavento. Consolante. «Hai spiato la mia ubicazione da Austria.»
«I tuoi messaggi mi garantivano che tu fossi salvo!»
«Va bene.» concesse Romano: «Cosa vuoi.»
«Non avevamo finito di parlare.» Antonio si avvicinò. Lovino non si mosse.
«Non hai un'importantissima guerra contro Inghilterra, tu?» chiese, senza distogliere lo sguardo dai suoi movimenti. «Cos'è, la quarta?»
«Terza.»
«Non dubito che arriverà una quarta.»
«Probabile.» Aveva aggirato il tavolo, ma non si era avvicinato di più.
«Il tuo precedente marito lo sa che sei qui?» Era uscito più secco di quanto avrebbe voluto.
«Penso lo sospetti.» Antonio alzò le spalle. «Chissene importa.»
Lovino posò le mani sul tavolo. Non era troppo vicino, ma l'altro non avrebbe avuto problemi ad afferrarlo, se avesse voluto. «E non lo sfiora nemmeno l'idea che tu possa aver accettato la sua alleanza solo per poter avere accesso ai suoi territori, venirci e portarti via qualcosa?»
«La tua perspicacia mi stupisce sempre, Lovi!»
«Eh, comprendo che l'intelligenza ti spaventi.» Doveva prendere tempo. «Ma con questo giochetto ti sei portato Prussia contro.»
«Sapevo sarebbe successo.» Lo disse con tranquillità, quasi la cosa non lo turbasse. Avere il proprio nemico alleato con entrambi i propri migliori amici e ritrovarsi alleato del proprio precedente marito non dipingevano una situazione piacevole. Di certo i suoi Capi avevano avuto le loro ragioni ma, se Antonio aveva accettato - anche - per poter scorrazzare per il Sud Italia, non era un idiota, era proprio coglione.
«Da quant'è che non vinci una guerra?» Doveva almeno cercare di metterlo in difficoltà.
Spagna mise le braccia conserte, un'espressione corrucciata. «Non sono cose carine da far ricordare!»
«Cosa ti fa pensare che stavolta sarà diverso?»
«Ogni guerra è diversa dalla precedente e tutto può-»
Lovino si diede la spinta con le mani, gettò le gambe dall'altra parte del tavolo e corse alla porta, afferrò la maniglia e l'abbassò.
Quella si bloccò a metà.
Cercò di riabbassarla, un altro blocco.
La chiave non era più nella toppa.
"Cazzo." Ci volle un secondo intero per realizzare cosa fosse successo, cosa stesse succedendo. Il freddo non era colpa del vento che entrava dalla finestra.
La chiave apparve davanti ai suoi occhi, ad una spanna di distanza. Purtroppo non fluttuava, né era un'apparizione divina. Di nuovo, non si era accorto che il bastardo fosse così vicino.
Serrò un pugno e si voltò per colpirlo. Una morsa gli strinse il polso, così forte da far aprire la mano e far tremare le dita. Il braccio venne forzato, la spalla quasi si spaccò, il polso venne spinto contro la schiena e il respiro venne meno, il petto schiacciato contro la porta. Artigliò il legno con la mano libera, non riuscì a trattenere un'imprecazione mentre le ossa sembravano spaccarsi e i muscoli strapparsi, ma la voce uscì più come un lamento rabbioso.
«Scusami, Lovi.» Sembrava pure dispiaciuto, il bastardo. «Ma non potevo permetterti di rompermi le gambe.»
«Appena mi libero» annaspò Romano: «ti spacco ogni singolo osso, brutto figlio di-»
«E dovevo assicurarmi che tu non ti lanciassi.»
«È troppo alto da qui, coglione!» Strinse a pugno la mano libera e colpì la porta. Gli occhi bruciavano per il dolore e dovette serrare i denti con forza per impedire alla voce di uscire quando non avrebbe dovuto. «Fai male!»
«Lo so, lo so.» La mano contro la porta fu coperta dalla mano dell'altro. Doveva essersi messo la chiave in tasca. «Mi dispiace, ma dovevamo parlare.»
«Parlare?» Un ringhio. «Mi hai spaccato un braccio e mi stai schiacciando contro la porta, ti sembra che si possa parlare, così?»
La mano sulla sua scese al polso, e lo strinse. Non con violenza, ma neppure con gentilezza. La mano che gli stava divelgendo la spalla riportò il braccio dove si supponeva dovesse stare, ma non lasciò la presa, si limitò ad allentarla tanto quanto bastasse per non spezzargli le ossa. Non che Lovino fosse sicuro di avere ancora un braccio funzionante.
«Lo siento. Lo siento mucho.»
«Lo siento mucho un par di palle!» Il braccio tremava. Almeno le dita sembravano rispondere. Chiuse entrambe le mani, lasciando alzato solo il dito centrale. «Vai a farti fottere, bastardo.»
La spalla mandò una fitta dolorosa quando la mano venne alzata. Quando sentì un tocco leggero sulle nocche, rabbrividì come non avrebbe voluto, soprattutto in quel momento, soprattutto con il bastardo poco lucido come in quel momento.
«Non mi toccare.»
Se davvero voleva parlare, che parlassero - Per quanto avesse dei forti dubbi circa il fatto che uno dei due avrebbe cambiato idea. Nient'altro. Sarebbe stata una bugia troppo plateale dire che non gli fosse mancato, ma non in quel momento, non così.
Un sospiro alle sue spalle. «Non pensare che me ne vada.»
«Sei venuto a parlarmi e non vuoi neppure guardarmi in faccia.» Lasciò andare la fronte contro la porta. «Fai schifo.»
«In realtà vorrei, Lovi.» Un accenno di risata, del tutto inadeguato. «Ma temo sarebbe peggio.»
«Sarebbe peggio per te, perché sei un pervertito.» Diede un'altra testata leggera alla porta.
«Sei ancora così deciso a non voler tornare?»
Almeno era arrivato subito al punto. «Forse non sono stato abbastanza chiaro per qualcuno così stupido.» concesse Lovino: «Quindi, lascia che te lo dica in modo inequivocabile.» Inspirò. «Voglio essere una nazione indipendente. Non voglio avere intorno né te, né Austria, né Savoia, né qualsiasi altro imbecille.» Era ancora strano pensare di poter credere ad una cosa del genere. Ormai, però, non poteva più ignorare l'ovvio. Conoscendo il suo popolo, poi, si era accorto che forse, da qualche parte, c'era qualcuno a cui non sarebbe dispiaciuto far parte di... qualcosa più grande, ecco. Forse anche più grande di quanto lui pensasse. Un'unica terra, dalle Alpi al Mediterraneo, senza invasori, senza padroni. Era un bel sogno, e forse non era solo suo.
«Quindi...» La voce di Spagna si era abbassata, fino quasi ad un sussurro. «Hai già pensato a come evitare di farti mangiare da coloro che arriveranno il giorno dopo la proclamazione della tua indipendenza?»
Ecco. Quello era un problema.
«Ti sembra così impossibile» disse Lovino, piano: «pensarci capaci di difenderci da soli?»
Il silenzio divenne quasi solido. Poi, Spagna rise, una risata sommessa. «In effetti, Felì ha riportato grandi vittorie contro Imperio Otomano.» Lovino serrò le labbra. «È a lui che vuoi chiedere aiuto? Anche se non credo riuscirebbe a fermare tutte quelle nazioni da solo...»
«Figlio di puttana.»
«Non offendere la zia Asturia!» Ma non era offeso. Era divertito. E Lovino cominciava a sentire un gran mal di testa per la rabbia.
«Se anche non pensi che io possa fare qualcosa» ringhiò: «almeno non ricordarmi quanto sia bravo e perfetto il mio fratellino!»
«Perdonami, Lovi.» Non era affatto pentito. «Ma mi riesce molto difficile prenderti sul serio, quando il tuo piano è un chiaro suicidio.»
«No, a te riesce impossibile pensare che io non debba dipendere da te.» Se non poteva sopraffarlo fisicamente, ci avrebbe provato a parole. Non voleva. Ma era stato lui a cominciare, in modo del tutto gratuito.
«Sei stato con me per oltre centocinquant'anni.» Spagna gli ricordò cose che ricordava benissimo. «So cosa sei in grado di fare e so cosa non sei in grado di fare. Comprendo che tu voglia una vita come tutti gli altri Stati europei, ma» La presa sui polsi si strinse appena. «non ti appoggerò in qualcosa dall'esito tanto ovvio.»
«Potrei anche fingere di crederci, se non fosse che tu non hai mai pensato all'ipotesi che io potessi essere indipendente.» Rendersene conto era doloroso in un modo diverso da come si sarebbe aspettato. «Quando Manon pensava ad Abel» sibilò: «tu hai cercato di farmela passare per pazza.» Non aveva davvero capito, all'epoca. «Speravi che io iniziassi ad evitarla, e che smettessi di fidarmi di lei. Così, lei non mi avrebbe mai parlato dell'idea di separarsi da te, e speravi che io non ci avrei mai pensato. Non volevi che mi instillasse il dubbio.» Aveva capito soltanto che ci fosse qualcosa di sbagliato. «Non fosse stato per Abel, avresti fatto di tutto anche solo per nascondermi il fatto che esistesse la possibilità di andarsene.» Era quello il vero motivo per cui Spagna non tollerava che Belgio e Lussemburgo usassero i loro nomi. O che non parlassero spagnolo. O che pensassero troppo a Paesi Bassi. La verità era che voleva plasmare la loro identità e renderli più simili possibili alla sua nazione - Magari farli diventare quasi uguali. Il potere di un nome era inquietante. Romano lo sapeva benissimo. Era bastato concentrarsi su di un nome che gli era stato dato per sopravvivere a morte certa.
«Non hai mai smesso di chiamarla così.» Una constatazione amara. Doveva aver capito che Lovino gli disobbediva da tempo, non solo nel modo più plateale.
«Non ti ho mai dato retta.» Romano infierì. «Non potevi davvero pensare lo facessi in qualcosa su cui non ero d'accordo.»
Spagna avvicinò i polsi e lo abbracciò. O meglio, fece scivolare le braccia sopra le sue e gli posò il mento sulla testa. Forse voleva evitare che gli desse una testata con la nuca. Faceva bene.
«Sì, è vero.» ammise, infine: «Marita era una cara ragazza, ma non mi piaceva quando aveva pensieri cupi.»
«Eri tu a renderli cupi. Renditene conto.»
«Soprattutto, non mi piaceva quando stavate palesemente parlando di questo tipo di cose.»
«Quel di cui parlavamo sono cazzi nostri.»
«Ma mi fidavo di Marita.» Era quasi strano sentirglielo dire. «Sapevo che non avrebbe insistito troppo.»
«Soprattutto dopo che l'hai minacciata.»
Spagna si irrigidì. «Le ho ricordato quale fosse la realtà. Lo dissi anche a te.»
«"Non pensare di ribellarti come Abel, non pensare di coinvolgere Lovino, o ci andranno di mezzo il tuo popolo e Lucilin." Era questo il vero significato di quel discorso, no?»
La presa sui polsi iniziò a fare male.
«Le ho ricordato quale fosse la realtà.» ripetè Spagna. La sua voce era una lama gelida.
«Chiami "fiducia" l'alleanza ottenuta incutendo timore.» disse Romano: «Dicevi di fidarti di Abel, Manon e Lucilin. Ma hai detto anche che-» La voce si spense. No, non poteva dire una cosa del genere.
«Che cosa ho detto, Lovi?»
Era stata una frase di troppo. Voleva colpirlo nei suoi punti deboli, ma non aveva intenzione di ferirlo ad uno vitale. «Tante cazzate.»
«Sembrava ne avessi in mente una in particolare.» Non gliel'avrebbe lasciata passare. Aveva sperato avrebbe fatto finta di nulla.
Doveva rigirare quel discorso. «Avevi detto di fidarti di me.» Forse poteva evitare di peggiorare la situazione. «Ma non mi pare tu lo stia facendo.»
«Io ti affiderei la mia stessa vita, Lovi.» Esattamente quel che Lovino non avrebbe voluto sentire in quel momento. «Sei tu a non renderti conto di quando è in pericolo la tua.»
«E sei qui per salvarmi?»
«Come sempre.»
Di buono c'era che Antonio non sembrava voler insistere oltre sulla frase che aveva interrotto. Di cattivo c'era che Antonio non sembrava voler cambiare idea.
«Tu sei ancora un invasore, per me.» gli fece notare Lovino: «Se mi porterai via, mi avrai rapito, non salvato.»
«Spesso i rimedi estremi portano le conseguenze ad essere chiamate con nomi diversi.»
Alzò lo sguardo per lanciargli un'occhiataccia. Non ci riuscì, ma sperò che il sentimento fosse arrivato lo stesso. «È una frase troppo complicata per te. Smettila di provare a fare filosofia.»
Antonio ridacchiò. «Sai, Lovi...»
«Cosa?» Il tono uscì particolarmente irritato. Ovvio, le vene delle tempie pulsavano e le mani formicolavano non solo perché il sangue iniziava a scarseggiare.
«Speravo che avessi cambiato idea, ma era più probabile di no.» Almeno il bastardo lo conosceva bene. «Quindi, ho pensato che potremmo venirci incontro.»
Il cuore sussultò. «Che cazzo...?» Scosse la testa, per riprendersi. «E perché minchia non me l'hai detto subito?»
«Sei stato tu a portare il discorso sulla strada più spiacevole possibile.» Antonio sospirò. «Ma ero pronto anche a questo. Parlare con te non è facile!»
«Sei un bastardo idiota, cretino, imbecille e anche deficiente.» Cercò di liberarsi, ma le mani non si spostarono di un millimetro. «Tra poco mi si staccheranno le mani, coglione!» La presa si allentò e il sangue tornò a fluire. Non lo lasciò, però. «Dimmi che cazzo vuoi.»
«Io ti libero da Austria.» disse Spagna: «Tu torni a Madrid. Qui rimangono Nápoles e Sicilia, uniti sotto un unico nome, difesi dalla corona di España. Quando sarà il momento giusto, tornerai qui e farai ciò che desideri.»
«Oh.» Lovino assottigliò lo sguardo. «E se invece io rimanessi qui e basta?»
«È troppo pericoloso.» Una frase che stava iniziando a stargli sul cazzo. «Se un nemico
dovesse rapire Nápoles o Sicilia sarebbe un danno limitato, se dovessero rapire te sarebbe la fine.»
«Ah-ah.» Fissò il legno della porta davanti a sé. «E immagino che il momento giusto per tornare sarà il trenta Febbraio Millesettecentocredici.» Un sospiro irritato. «Nove anni per 'sto piano di merda.»
«La tua terra sarebbe indipendente.» gli fece notare Spagna: «Noi ci occuperemmo solo di difenderla!»
«Come cazzo farebbe la mia terra ad essere indipendente se io non sono qui?» Non aveva modo di liberarsi, né di dare una testata alla porta. Non c'era modo di sfogare la frustrazione. «Sono io a volere l'indipendenza. Non Napoli, non Sicilia. Io.» Sentì la voce spezzarsi. Ma non avrebbe pianto. Basta piangere. «Togliti dalla testa che io torni a Madrid. Questa è casa mia. È qui che voglio rimanere. E tu non stai facendo altro che rompermi i coglioni.»
«Sto cercando di aiutarti senza metterti in pericolo.»
«No, tu non ti sei mai accorto che il tempo è passato e pensi di poterlo bloccare rinchiudendolo in una gabbia a forma di palazzo.» Gli pestò un piede, ma non ne ottenne niente, se non una minuscola valvola di sfogo. «Lo so che non potrei mai vincere contro qualcuno. Lo so, lo so benissimo!» Conficcò il tallone nella scarpa dell'altro. «Non sono il mio bravissimo, fantasticissimo, fortissimo e perfettissimo fratellino! Lo so benissimo che dovrebbe essere lui a salvare me e a riunificare l'Italia!»
La presa si fece di nuovo troppo forte. Spagna era cristallino, ma faceva male.
«Io sono il fratello incapace. Quello debole, vigliacco e cattivo. E sai cosa?» Alzò lo sguardo, anche se fu inutile. «Voglio guadagnarmela, l'indipendenza. Pensa che coglione che sono, eh?» Quindi, lo riabbassò. «Almeno una cosa. Almeno una cosa voglio riuscire a farla.» Avrebbe voluto chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Abbandonare la schiena contro il petto dell'altro, e alzare il mento per scoprire la gola, in un invito. Sarebbe stato tutto molto più facile.
Realizzò una cosa. La rabbia sfumò, sentì i muscoli rilassarsi.
«Sei così convinto che io non possa rimanere qui?» mormorò.
«Sì.» Nessuna esitazione.
Romano annuì. «Capisco.» Guardò le mani che gli stavano stringendo i polsi. Non l'avrebbe mai detto al bastardo, ma non si era mai pentito di essersi fidato di lui. Neppure una volta. Lo esasperava, gli faceva venire voglia di abbattere muri a testate, ma non si era mai pentito.
Era certo sarebbe successo, invece. Il bastardo sapeva essere sorprendente.
«Sei ancora in guerra.» disse Lovino: «Lasciami andare.»
«Scapperai.»
«Certo.»
«Non vedo perché dovrei farlo, allora.»
«Perché non sei un impero troppo marcio.»
Non lo vedeva, ma era certo che Spagna fosse incredulo di sentire una cosa del genere. Da lui, poi. Un attimo dopo, sentì la sua risata bassa.
«Io? L'impero che più di tutti ha le porte aperte per l'Inferno?» Non avesse avuto le mani impegnate, sarebbe tornato a stringere la croce, Lovino ne era certo.
«Lascia stare Inferno, Paradiso, Purgatorio e tutta la Divina Commedia.» Romano sbuffò. «Non hai fatto altro che dire di volermi portare via.»
«È quello che ho intenzione di fare.»
«E allora perché non l'hai ancora fatto?»
Spagna non rispose. Non c'erano parole con cui rispondere. Forse, fino a quel momento, non si era neppure accorto di come le sue azioni avessero rivelato tutt'altro.
«Puoi sopraffarmi senza problemi.» Lovino dovette ammetterlo. «Sono almeno dieci minuti che mi tieni immobilizzato e, credimi, è abbastanza seccante.»
Antonio continuava a non dire niente.
«Tu vuoi riportarmi a Madrid. Ma io non voglio. È questo che ti impedisce di rapirmi sul serio.» Espirò. Non si era reso conto di quanto fosse teso. «Quello che vuoi davvero fare è farmi cambiare idea. Solo in quel caso mi riporteresti a Madrid.»
«Vuoi illuderti che io sia una brava persona.» Come c'era da aspettarsi, Antonio non poteva che riprendere a parlare dicendo cazzate. «Lo so che non mi detesti. Non saresti venuto a cercare la mia flotta per avvisarmi di Inglaterra, altrimenti.»
Stavolta fu Lovino a non avere parole per controbattere. Anzi, sentì un fastidioso calore sul viso. Se non altro, non aveva usato termini melensi.
«Forse è per questo» La cazzata non era ancora finita, a quanto sembrava. «che vuoi pensare che io non sia un mos-»
«Antò.» Lo bloccò prima che la cazzata iniziasse a sbrodolare miele.
«Per favore, Lovi, non-»
«Non mi hai neppure toccato.»
Quel silenzio allibito era la sua vittoria.
«Forse puoi provare a tirare fuori qualche boiata per giustificare il non avermi portato via di peso quando ne hai avuto occasione, e ne hai avute parecchie, di occasioni.» Strattonò le braccia. Con una certa sorpresa, riuscì a liberare i polsi. Tuttavia, non c'era modo di allontanarsi. «Però non mi hai toccato soltanto perché ti ho detto di non farlo.»
«Non farei mai una cosa del genere contro la tua volontà.»
«Non fingerti più stupido di quanto non sei, persino una pianta di pomodori secca capirebbe che vorrei sbatterti sul tavolo.» Si voltò. L'espressione di Antonio era ancora allibita. O gli ci volevano quelle sei-sette ore per realizzare cosa stesse succedendo, o la sua affermazione era giunta inaspettata. Nel caso, era davvero un imbecille.
Gli porse la mano aperta. Il braccio tremava ancora un po', gli sembrava di avere i muscoli strappati e le ossa della spalla frantumate. «Dammi la chiave.»
Non distolse lo sguardo dal suo. Non dopo che aveva parlato più di dieci minuti con una porta.
Alla fine, Spagna mise una mano in tasca e ne riuscì con la chiave. La chiuse nel pugno e lo avvicinò alla sua mano. Ma non lasciò andare la chiave.
«Quando questa guerra sarà finita» disse, deciso: «ti inseguirò.»
«E io continuerò a scappare.» Gli sfuggì un sorriso, ed era certo somigliasse più ad un ghigno. «Sono piuttosto veloce. Dovresti saperlo.»
«È vero.» La chiave cadde sulla mano aperta. «Ma prima o poi ti stancherai.»
Il sorriso scomparve. Lovino richiuse le dita sulla chiave. «Dovresti comunque riuscire a raggiungermi prima che io recuperi le forze.»
Si voltò, infilò la chiave nella toppa e, con un certo sollievo, girò senza problemi. La serratura scattò e Romano uscì dalla stanza con più fretta del dovuto. Antonio non l'aveva seguito.
Lovino si voltò a guardarlo. "Quando questa guerra sarà finita", aveva detto. Non intendeva inseguirlo ora.
«E comunque» Doveva dirlo. «tu sei assolutamente incapace di farmi paura.»
Prima di poter vedere la sua reazione, scappò. Per quanto sarebbe voluto rimanere, il Palazzo Reale di Napoli non era più sicuro, al momento. Doveva recuperare la pistola, il pugnale e lo stiletto e andarsene da qualsiasi altra parte.
Sarebbe dovuta finire, prima o poi. Non poteva più far finta di niente, non poteva più fingere di non desiderare di essere riconosciuto come una nazione effettiva, non poteva più fingere che non ci fossero problemi concreti al raggiungimento del suo obiettivo.
Sarebbe dovuto giungere ad un compromesso. Un compromesso che lo liberasse dalla sua natura di servo. Doveva smetterla di pensare a Feliciano, a Roma, ai suoi ideali astratti. Doveva smettere di vivere nella realtà nella sua testa e guardare la sua casa concreta. Era certo esistesse una soluzione. Qualcosa che creasse un'effettiva strada da percorrere per raggiungere ciò che voleva.
Sarebbe rimasto a guardare. Ma non si sarebbe lasciato scorrere addosso gli eventi. Avrebbe cercato qualcosa da usare.


"Ascanio, figlio di Enea, non era ancora nell'età per governare, ma il suo regno rimase intatto per tutta la sua minoranza. Nel frattempo, rimase sotto la tutela di una donna - Tale era la forza d'animo di Lavinia -, e il regno di suo padre e di suo nonno fu preservato per il ragazzo."
"Tale era la forza d'animo di Lavinia".
Lavinia era rimasta sola. Aveva perso suo padre, aveva perso suo marito. Era rimasta sola con un figlio piccolo, ad allevare un altro figlio, non suo, a reggere da sola un regno nascente. Avrebbe potuto risposarsi, affidarsi a qualcuno più forte di lei, ma aveva scelto di regnare in solitudine, di proteggere qualcosa per qualcuno che non aveva nessun legame di sangue con lei. Era strano che una donna fosse una regina sola, ma nessuno si sollevò contro di lei.
Aveva fatto la scelta più stupida, più difficile, più incomprensibile. Forse qualcuno l'aveva ostacolata, ma lei era rimasta ferma nelle sue decisioni.
Non aveva fatto altro che pensare a lei come "la moglie di Enea". Non era stato giusto nei confronti della sua forza. Non indossare un'armatura e non lanciarsi in battaglia come Camilla o Zenobia non la rendeva debole. Doveva essere stata una brava regina, Lavinia. Aveva anche un bel nome.


.

Note:
* Nel 1727 era in corso la Terza Guerra anglo-spagnola, che si sarebbe conclusa nel 1729.
Nell'Aprile 1725, Spagna e Austria firmarono un trattato (Trattato di Vienna), in cui la prima riconosceva la Prammatica Sanzione ( = Le donne possono ottenere il trono, con conseguente smaltimento di tanti problemi di successione) e la seconda, per ringraziare, promise di aiutarla a recuperare Gibilterra e Minorca, finite in mano inglese dal Trattato di Utrecht - quello a rate del '13-'15.
La cosa ovviamente non piacque all'Inghilterra, che nel 1725 stipulò la cosiddetta Alleanza delle Case Regnanti, che lo vedeva al fianco della Francia (Che non shippava Spagna/Austria), della Prussia (Che tendeva ad allearsi contro chiunque fosse contro l'Austria) e del Principato di Braunschweig-Lüneburg (Che non si sa cosa voglia da noi, ma era amykettoh di Prussia). In seguito, si unirono alla combriccola anche Paesi Bassi, Svezia e Danimarca-Norvegia, che vedevano possibili danni economici dalla rinnovata unione tra l'Austria e la Spagna. Quando la Russia si unì al party di Austria e Spagna, la Prussia quittò.
Alla fine, nel 1729, fu firmato il Trattato di Siviglia, che riconfermò tutto quello che già c'era (Gibilterra e Minorca sono inglesi, il Ducato di Parma e Piacenza e il Granducato di Toscana sono spagnoli), ma portò l'Inghilterra a dirsi che forse il piano di Elisabetta Farnese (La regina di Spagna dedita all'accasamento dei pargoli) non fosse poi così male. [ 1, 2 ]
* Il libro è Ab Urbe condita, di Tito Livio, da cui l'estratto. Si tratta di un'opera storiografica "dalla fondazione della Città" su Roma. Nella prima parte viene riportata la leggendaria storia di Enea e la citazione viene dal terzo paragrafo.
[QUI] il testo originale; la traduzione viene da [QUI], rifinita con quest'altra [QUI].
* Camilla e Zenobia erano due donne guerriere, una mitica e una realmente esistita: la prima è un personaggio dell'Eneide, regina dei Volsci (antica popolazione nei dintorni di Anzio), che combattè contro Enea; la seconda fu la regina del regno di Palmira, che combattè contro i romani nel III secolo d.C..


Buon anno e buona Befana~☆

Il primo capitolo di questo nuovo anno è anche il capitolo più breve ☆ *Dan dan daaan* Pensavate un inizio intenso e corposo come un vino? E invece no, è un capitolo breve che narra di come Lovino parlò per dieci minuti con una porta!

Questo capitolo è la già citata "scena recuperata" dalla prima versione del quinto capitolo. Visto quant'è breve, avevo una vaga idea di accorparlo al precedente o al prossimo - Però no, lo preferisco isolato com'è. *Soprattutto perché è ambientato in un anno diverso dai capitoli sei e otto, poi mi si disordina tutto-*
In origine non c'era nessuna porta e Romano e Spagna erano in un corridoio (Sì, così, a caso.). Venivano quindi "interrotti" da Austria, e Spagna gli avrebbe quindi2 chiesto di "parlare in privato" - Il povero Roderico non poteva sapere che alla discussione avrebbe partecipato anche l'alabarda.
Il dialogo tra Antonio e Lovino sarebbe in realtà stato più simile a quello che, alla fine, hanno avuto prima della partenza da Madrid - Quindi Spagna sarebbe stato più in modalità "Tanto vengo a recuperarti" e, cosa più importante, Romano sarebbe stato più che d'accordo.
Una volta eliminata quella scena dal quinto capitolo, credevo non l'avrei più ripresa... Invece rieccola a fare da collante tra la fine del sesto capitolo e tutto l'ottavo. No, non nel senso che il sette venga tra il sei e l'otto (Lo so, oh!), nel senso che Lovino e Antonio necessitavano di parlarsi ancora una volta prima del prossimo capitolo.
Prossimo capitolo che sarà il climax, nonché la penultima tappa di questo viaggio durato un secolo - O due mesi. Questione di prospettiva.

Di questo capitolo ho da dire principalmente tre cose.
La prima è che il livello stalker di Spagna è da carcere da un bel po' di tempo.
La seconda è che sono stata indecisa fino all'ultimo se mostrare la scena dell'incontro tra Lovino e i servitori al Palazzo Reale. Alla fine, ho scelto di non farlo sia perché sarebbe sembrata una copia della scena con il locandiere, sia perché volevo dare un'idea di "scontatezza" - Della serie "È così, Lovi, accettalo, non ti odiano.". Una sorta di incredula consapevolezza in background. (????)
La terza è che, sì, tutta la faccenda dello scappare/inseguirsi ha delle vibes da HetaOni. In principio le aveva tutta la seconda parte ma, una volta ridimensionato l'angst, si è ridotto al finale di questo capitolo. Lo preferisco così.

E niente, delle note brevi per controbilanciare il mattone di note del capitolo precedente~ *Insomma... Non è che ci sia molto da dire, tra uno che parla con una porta e l'altro con un peluche pronto a procurargli dolore fisico.*

Spero che questo primo capitolo dell'anno sia stato di gradimento!
  
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