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Autore: Alarnis    06/01/2021    4 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4 Le sembianze di un eroe

Moros si fermò; incantato nel guardare uno splendido esemplare di picchio rosso che tamburellava con il becco sopra un albero all’apparenza morto.
La parte superiore del corpo era di un nero lucido, con grandi macchie bianche, come del resto le parti inferiori. Il sottocoda invece era di un colore rosso vivo. Era di sicuro, un maschio: l’evidente macchia rossa sulla nuca ne era la conferma. Il becco nero era appuntito ma soprattutto robusto. I muscoli del collo ben sviluppati, le zampe dotate di due dita avanti e due dietro favorivano la presa sul tronco, in cui sembrava in equilibrio precario.
Moros si sentì spiato, quasi quell’uccello non tollerasse, ci fossero ospiti nel suo regno.
“Sono solo di passaggio!” lo salutò Moros ilare, giustificandosi mentre il picchio lo punta; distolto dal suo meticoloso lavoro di estrarre larve di insetto dall'interno dell’albero.
Sospendendo i suoi ritmici movimenti, improvviso volò via; ondulando tra i rami, a tratti impennandosi, con lunghe pause ad ali chiuse.
Moros si fermò, facendo silenzio e restando in ascolto, insospettito da quel comportamento, come fosse un’avvisaglia di una minaccia.
La foresta era quieta e nulla sembrava avesse turbato la sua pace eppure portando la mano destra all’orecchio sentì un lamento. Distinse un gemito leggero. Qualche colpo di tosse, stizzoso e breve.
Il suo primo pensiero fu cercarne la fonte per dare aiuto.
Cauto si fece strada tra il fogliame, addentrandosi e abbandonando il sentiero che stava percorrendo. Era diretto a Risicone, dove sperava di avere notizie di Ludovico: un suo passaggio, qualche fatto che lo riguardasse, un indizio che suggerisse la sua direzione o destinazione.
Ludovico era l’unico che, forse, poteva aiutarlo a compiere la sua missione. Spezzare l’infausto destino che lo costringeva a restare ai margini della comunità, perché ricercato.
La fonte del lamento sempre più prossima, lo fece accelerare.
In una radura, un corpo: un uomo.
Vestiva un lungo mantello nero di stoffa lucida. Era bocconi, gli occhi sbarrati, un’espressione sgradevole in viso e nella smorfia presa dalla bocca; come se la morte l’avesse colto alla sprovvista, facendosene beffa. Il collo era rimasto scomposto, probabilmente dopo una veloce caduta. A vedersi doveva essere molto ricco: il viso rasato, i capelli lunghi oltre le spalle, un vestito di stoffa pregiata, con intarsi di merletto in rilievo sui polsini e sul collo della camicia fluente.
Le caviglie delle gambe erano legate da robuste corde di edera. Sembrava fosse stata quella la causa della morte, come se il suo corpo, fosse stato tirato di colpo da quelle corde, che le dita ingioiellate non erano riuscite a intercettare. Una spada lucida era poco lontano, ma lungi dal poter essere afferrata da quell’uomo. Le mani sembravano ancora tese, nella ricerca di impugnarla. Una spada di splendida fattura, dall’elsa d’oro, tempestata di gemme: rossi rubini e verdi smeraldi, grossi come delle noci.
Moros cercò segni della presenza d’un cavallo. Nulla. Si sporse, allungando il busto a destra e a sinistra per cercare superstiti: il gemito non era venuto da quel giovane dal viso porcellanato.
Infatti, la vide.
A terra, c’era una donna. Era anziana, vestita di abiti di fattura ordinaria, stesa, accanto ad alcune grosse radici nodose. Guardava le fronde dell’albero, gli occhi rivolti ancora più su, al cielo. Borbottava sottovoce, lamenti, forse parole.
Una lama le era stata piantata nel cuore, conficcata verticalmente. Le provocava dolore, ma non l’aveva uccisa. Respirava piano, ma respirava ancora.
La mano destra che ancora stringeva un lungo vincastro, che non sembrava intenzionata a lasciare. La mano sinistra invece, non mancava di trattenere un grossolano mantello marrone con cui tentava di coprirsi fin sul petto, non riuscendoci.
Moros, non poté far a meno che correre verso di lei “Mia signora.” disse con rispetto e giunto al suo capezzale si inginocchiò tentando di darle aiuto “Posso…”.
Posso aiutarti, non riuscì a completare la sua promessa, perché vista la ferita seppe di non riuscire a mantenere il proprio impegno. Quella lama era inclemente. La ferita sembrava profonda. Non avrebbe potuto trasportarla altrove.
“Oh, un bel giovane.” parlò l’anziana donna con una voce stridula e fastidiosa, che gli urtò le orecchie, ma che sapeva di gratitudine si trovasse là; giungendo a confortarla.
“Non puoi aiutarmi.” appuntò con una voce che sembrava un cozzare di lame.
Moros veloce slacciò il proprio mantello. Ripiegato in più quadrati, le sollevò leggermente il capo perché beneficiasse di quel morbido cuscino.
“Non vi stancate a parlare.” consigliò premuroso. Non aveva mai visto né rughe così marcate né guance così scavate.
La vecchia signora ridacchiò “Questo lascialo giudicare a me.”: raschiò ogni singola parola con la voce, in tono presuntuoso.
“La lama..” sentì il dovere di proporre di estrarla.
“Ha toccato il cuore.” puntualizzò la vecchia: come suonava quella parola cuore tra le sue labbra. Sembrava che in quella parola fosse racchiuso un mondo di cui lei non voleva essere privata, come se si aspettasse di scoprirlo e se ne sentisse arida.
“Preferite, restare così.” ammise dispiaciuto Moros, sentendosi impotente. Odiava sentirsi impotente. Il suo carattere disprezzava quella parola e la viltà che rappresentava.
“Sono stata avida ed egoista.” ridacchiò gracchiante la vecchia, ma il respiro le era faticoso. La mano sinistra rinfrancò la presa sul mantello, quasi massaggiandosi il ventre infreddolito per scaldare la vita che sembrava abbandonarla.
Moros pose le mani come a raggiungerne le membra per aiutarla, ma si accorse di sbagliare: l’imbarazzo gli impedì di compiere un gesto villano e offensivo, che la sua giovinezza giudicava con leggerezza e che invece poteva violare la decenza per la rispettabilità di un’anziana signora.
Distolse lo sguardo.
Così facendo, non poté fare a meno di ritornare a fissare l’uomo che probabilmente l’aveva assaltata “Vi ha attaccata?”.
Una risposta che non si aspettava. “Era mio figlio.” precisò l’anziana donna, che tuttavia non sembrava rimproverarlo avesse sbagliato persona e attribuito al figlio colpe non sue.
“Cosa?”, “Come?” chiese convulso Moros, guardandosi meglio attorno, temendo una trappola di banditi, che avrebbero potuto aggiungere lui a quegli svenutati.
La vecchia ridacchiò nuovamente, come una cornacchia.
“Lo trovate divertente?” si sorprese a dire Moros.
“Siamo soli.” ammise la vecchia, tranquillizzandolo. Quella parola soli faceva paura, perché evocava il freddo, come quello che ora sembrava percepire la vecchia.
“Non siete sola.” annunciò e sedutosi, schiena all’albero, prese posto accanto a lei “Resterò a farvi compagnia.” timbrò, in un gesto di buon cuore.
“Oh, bel giovane. Ne sono lusingata alla mia età.” disse civettuola la vecchia, piallando l’aria con la voce. Moros sorrise benevolo “Non siete vecchia!”.
“Decrepita!” esclamò la vecchia, sniffando col naso, ridacchiando, quasi scuotendo le spalle; cosa che la fece rabbrividire, ma che sembrò anche, darle pace e sollievo.
“Sei un bravo giovane.” pizzicò di nuovo sgradevolmente le ruvide corde vocali. “Mi avessi conosciuta un tempo…” fantasticò. Fu Moros a ridere e lei rise a sua volta. tossicchiando cauta, vista la ferita.
“Sicuramente eravate bellissima.” si scusò Moros, di quella licenza spontanea e villana.
Quelle parole parvero scaldarle il cuore, perché le guance sembrarono ravvivarsi d’un colore più roseo, rispetto al marrone che le rattoppava tra una ruga e l’altra.
“Affonda la lama.” si sentì ordinare. La voce della vecchia era meno metallica: più chiara.
Moros negò di compiere quell’azione, sorpreso di quella richiesta “Non posso, mi spiace.”. Si allontanò di qualche centimetro quasi lei potesse afferrarlo e spingerlo ad agire; cosa che non avrebbe permesso accadesse e in effetti non successe.
“Ah, che ragazzo pusillanime.” mieté spietata la vecchia, cogliendolo di sorpresa; quasi trascurando la gentilezza con cui l’aveva trattata.
Moros restò indifferente alla sua lagnanza, ma poggiò la mano sopra la sua: quella che ancora stringeva il bastone di salice. Le infuse calore. Doveva essere spaventata, sentirsi vulnerabile e sola.
“Piantalo al suolo. Un colpo secco e con forza. Deve ritornare un grande albero!” ordinò inaspettatamente la vecchia.
Lui alzò un sopraciglio. “Sì! Sì! Come no!” le sorrise.
“Fallo!” lo rimproverò lei, decisa. La voce che saliva dallo stomaco come se espettorasse rabbia. Era come volesse comandare e non si aspettasse di non essere ubbidita.
“Va bene, ma non affaticatevi. Restate calma.” rispose Moros, conciliante. Il volto della vecchia si rilassò e i suoi occhi tornarono vispi, come quelli di un bambino che spuntano un pezzetto di pane.
“Ascoltami! Fai come ho detto!” raschiò la vecchia, con quella voce stridula e sgradevole, “Un colpo secco. Con forza. Deve ritornare un grande albero!”. Moros restò zitto questa volta e, aprendole la mano delicatamente, eseguì e lo piantò al suolo. Con forza, mentre la donna frizionava le labbra quasi in un mormorio. Moros aveva il vigoroso fisico d’un tagliaboschi. Impresse forza, ma fu attento a non spezzarlo.
Altro non era che un bastone e, lo sarebbe sempre stato. Non avrebbe potuto attecchire. Moros lo sapeva bene, ma si prestò al gioco della vecchia. Che mugugnò, durante l’intero interramento.
Quand’ebbe finito, Moros si spazzolò i capelli con la mano, sollevando un ciuffo che leggermente umido gli si era appiccicato sulla fronte. La foresta tendeva a racchiudere il proprio tepore.
Giudicò ben fatto il proprio lavoro, ma prima di ritornare alla vecchia signora, non poté evitare che il suo sguardo ricadesse sul corpo del figlio.
“Dovrei seppellirlo.” ammise, stupendosi tuttavia del materno mutismo. Trovato un robusto bastone iniziò a scavare in silenzio. Non più d’una buca che ne contenesse le spoglie. Adagiò l’uomo, con tutto il suo corredo.
“Non sei avido.” sentenziò la vecchia, quando lo vide sistemargli la preziosa spada tra le mani. “Nulla mi appartiene.” appuntò Moros.
“Queste sono le sue cose: in vita e in morte gli appartengono.”. La vecchia tacque e, tacque a lungo, finché Moros ricoprì il mesto tumulo.
“Riposi in pace.” lanciò la sua benevola evocazione Moros, nel mutismo della vecchia.
“Eppure la spada avrebbe potuto servirti.” sentì calcolare dalla vecchia, come se fosse stata nella facoltà di poterla concedere. La vecchia si strinse, quasi coccolandosi sotto il mantello che la ricopriva.
“Quella era la spada di un nobile signore, non di un contadino.” ammise francamente Moros, ma altrettanto fiero della propria condizione. Restò rispettoso del defunto, facoltoso giovane, che ne era stato proprietario. Moros le sorrise, come verso una cara nonna “Ed io, non sono un eroe.”.
“Un eroe…” rifletté la vecchia. “Per salvarmi avrei dovuto conoscere un eroe...” disse quasi con disgusto, la voce malferma; il volto visibilmente dolorante, come se disprezzasse di dover scendere a patti col destino.
“Ma, non l’hai conosciuto, vero?” cercò di sollevarla dal fastidio che le procurava quel pensiero, che la vecchia sentiva ingrato. Del resto, Moros era mortificato di non poter far nulla, anche se probabilmente era quello che voleva la vecchia, piuttosto che scendere a compromessi. Doveva essere un gran testarda e di carattere intrattabile. In questo erano simili, si disse.
“Un eroe ha molte facce… Sembianze che non ti immagini.” lo rimproverò nuovamente con una grinta e un malanimo che lo stupì. Era arrabbiata. Con lui. L’unico con cui poteva prendersela.
Moros tacque. Viaggiando aveva conosciuto molte persone, ma quella signora avrebbe tenuto testa a molte di loro! Sembianze che non ti immagini, rifletté. Un eroe.
Lui ne aveva inconsapevolmente conosciuto uno: Guglielmo di Montetardo. Conoscendolo, poi, l’aveva stimato e per la prima volta, nel profondo del cuore, aveva accettato più che di esserne sottomesso, di esserne guidato. Del resto, era il nobile che aveva salvato Nicandro.
Di certo non l’aveva seguito per gratitudine: quella la lasciava a Nicandro.
Restò sospeso in quei pensieri. Scusandosi, in cuor suo, con il nobile Guglielmo di non averlo protetto dalla morte, scegliendo invece di salvare la vita di Lavinia. Sospirò, sentendo il peso di quella scelta.
Non negava, fosse stato lo stesso Guglielmo a scegliere per loro due. Guglielmo aveva dato la propria vita in cambio di quella della propria pupilla, quanto di quella del giovane che lei amava.
Chi altri si poteva sacrificare per loro, se non un padre? Perché per Moros, Guglielmo era una figura paterna. La stessa che aveva condiviso Nicandro.
“E un mantello? Da me lo accetteresti? Così sarebbe tuo?” sentì gracchiare: un suggerimento della voce disarmonica della vecchia che stirò le labbra.
“Sono sempre stata molto avida, ma ora che differenza fa?” cercò di giustificarsi, per farlo accettare, la mano che indicava la stoffa che stava stringendo.
“Non lo buttare. E’ molto prezioso.” ridacchiò con quella sua voce acuta, tossicchiando stizzosa.
“Oh sì! Lo immagino.” sorrise nuovamente Moros, con un tono familiare quanto scettico.
“Brutto impertinente!” gracchiò la vecchia, ma sembrò mancarle la forza di continuare con le sue invettive: il suo tempo stava per scadere.
“Lo accetto molto volentieri.” si affrettò a dire Moros e fattosi vicino, chinò il capo, onorando quell’atto di gentilezza.
“Non te ne pentirai…” puntualizzò la vecchia, alzando il solo indice della mano dal mantello. “Il suo cappuccio…” puntualizzò toccando la grezza stoffa. Le si assottigliò la voce e una fitta la portò ad alzare il busto. La voce sembrò mancarle, ma Moros la vide imporsi di continuare, combattendo il dolore “Protegge da ogni malanno.”. era come volesse scolpire l’aria con quelle parole.
Moros rinfrancò la presa alla sua mano destra e la tenne abbracciata, portandola con vigore e dolcezza allo stesso tempo a confortarla su di sé.
“Pro..teg..ge..” ripeté la vecchia. Il bacio sulla fronte d’un figlio espresse la sua gratitudine.
S’accorse di un sorriso tra quelle labbra, scarne e aride, come se apparisse una fiammella in esse. Il viso le si distese, appagato. Con quel momento, l’anziana donna spirò. Sembrava dormire; finalmente paga.
   
 
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