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Autore: thors    08/01/2021    1 recensioni
[note] I fatti narrati in questa storia si svolgono poco tempo dopo gli eventi raccontati nelle serie animata “Avatar: The legend of Aang” (quindi c’è qualche spoiler) e costituiscono un enorme “what if” della successiva stagione “The legend of Korra” (alla quale non viene fatto nessun riferimento).
[intro] Il nuovo Signore del Fuoco viene travolto dalle più terribili violenze, mentre sui quattro regni spira un nuovo vento di guerra che lo trascinerà in un abisso oscuro e profondo, ma Ethiel, una giovanissima mezzelfa, affiderà a lui la sua vita e gli mostrerà in cambio un nuovo futuro.
[cit] Nel vederlo, Ethiel ne fu sorpresa, confusa ed inorridita.
«Non… non è un elfo…» protestò, senza smettere di fissare l’orrenda bruciatura che sfigurava il volto del ragazzo davanti a lei.
«No, non lo sono», replicò lui con tono seccato, mentre ricambiava lo sguardo della ragazzina con un’espressione altrettanto perplessa.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di una mezzelfa'
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4. Inizio di una nuova vita

 

Fanie tornò dal suo prigioniero poco prima dell’ora di pranzo, portando con sé un panno di seta arrotolato. Gli si inginocchiò davanti, dispiegò lentamente la stoffa, sulla quale aveva già spalmato una pasta d’erbe, e gliela fissò al volto con una garza, mormorando parole di una lingua arcaica. Infine, con uno stanco sorriso sulle labbra, disse: «Tenero bambino, che l’orgoglio non ti porti mai a rifiutare l’aiuto di un amico, specie se si tratta di un elfo». Quindi si rialzò ed aggiunse con tono serio: «Toglitelo fra quattro giorni e non aver paura se la tua vista non sarà subito perfetta. Ti ci vorrà un po’ di tempo, ma guarirai».

«Vi ringrazio,» rispose Zuko con tono infastidito, «ma non sono affatto un bambino.»

Il volto della regina si fece serio. «Lo sei eccome. Stai parlando con qualcuno che ha all’incirca tremila anni più di te.»

«Nessuno può vivere tanto a lungo», replicò il ragazzo senza convinzione. Intravedeva nei suoi occhi l’ombra di un’antichissima saggezza che gli impediva di dubitare delle sue parole.

«Ti fornirò tutto ciò che potrà servirti per raggiungere i villaggi umani. Immagino vorrai evitare la strada, ma, fintanto che sarai nel mio regno, non allontanartene troppo, o entrerai nei territori infestati dagli spiriti. Ethiel non è la bambina che sembra, e conosce la foresta. Ti accorgerai di poter far affidamento su di lei, perciò dalle ascolto.»

«Regina degli Elfi, avete la mia parola. Io, però, non credo di essere la persona adatta per questo compito.»

Lei sorrise dolcemente e gli accarezzò la guancia sana come una madre farebbe al figlio che sta per affrontare un lungo viaggio. «Tu sei convinto di non aver più un destino, ma non è così: c’è ancora qualcosa di grandioso che devi compiere, ma potrai riuscirvi solo assieme ad Ethiel. Lei non sa ancora nulla, ma sarà la chiave della salvezza del mio popolo e di molto altro. Perciò abbine cura: in questo mondo non hai nulla di più prezioso.»

«Come puoi saperlo? Sei forse una veggente?»

«Sì, lo sono, anche se non molto tempo fa potevo osservare le trame del tempo con molta più chiarezza di adesso.» Un velo di tristezza oscurò il suo volto. «Presto morirò. Noi elfi possiamo vivere in eterno, ma io vi ho rinunciato per poter curare Ethiel. Tre anni fa lei è scappata dalla sua prigione. Quando l’ho ritrovata, una freccia le trapassava il petto, vicino al cuore. Non potevo permettere che lei morisse. La guerra… mi aveva già portato via chi amavo, solo lei mi restava… perciò rinunciai all’immortalità e salvai mia figlia. Non ho mai trovato il coraggio di dirglielo… ma sono certa che un giorno lo scoprirà. Quando questo accadrà, se non riuscirò a farlo prima io, dovrai dirle che sarei morta molto tempo fa se gli dei non mi avessero benedetta con la sua nascita.»

«Mi dispiace…» rispose Zuko, incupito e sorpreso. «Glielo dirò… se dovesse accadere.»

«Un’altra cosa. Rispetto ad un umano della sua età, Ethiel è già molto matura, ma il suo corpo è ancora quello di una bambina. L’amuleto cela un prezioso potere che neppure io conosco e che solo Ethiel è in grado di far manifestare, un potere ancora troppo potente per lei, perciò conservalo con cura per un paio d’anni, almeno. E fa il possibile perché lei sia felice.»

«Non ho nulla in contrario a consegnarglielo, se lo ritenete giusto. Però, la fanciulla che ho visto nello specchio, non era lei. Era molto più…» si interruppe, imbarazzato da quello che stava per dire.

Fanie prese la collana da una tasca nascosta delle sua veste e gliela mostrò sorridendo. «Non è facile interpretare gli squarci nella trama del tempo, e compiere il proprio destino può essere come raggiungere la vetta a lungo inseguita per poi cadere in una valle buia e profonda, dalla quale non si possa scorgere la vetta più alta e bella alla quale i nostri passi devono ancora condurci. No, quella fanciulla ero io, quando mia madre mi consegnò l’amuleto. Sapevo che chi avrebbe accompagnato Ethiel nel suo viaggio sarebbe arrivato dal mare oltre le tre cime, così ho affidato la collana al tempio sulla spiaggia, affinché ti conducesse da me. E riguardo a mia figlia,» aggiunse maliziosamente, «sappi che ha ereditato le qualità migliori dagli elfi.»

Gli mise l’amuleto al collo. Poi chiamò due guardie, ed esse aiutarono Zuko nel discendere a terra.

 

Un’ora dopo, i preparativi per la partenza furono completati. Un elfo che non disse mai una parola, né alzò mai lo sguardo su Ethiel, portò mantelli, zaini ed armi per entrambi. Affidò a Zuko due spade gemelle di splendida fattura e se ne andò dopo un profondo inchino verso la regina. Ethiel si tenne abbracciata a Fanie tutto il tempo, piangendo silenziosamente sotto il nastro bianco che le copriva il volto. Poi, incoraggiata dalla madre, si preparò anche lei. Mentre si infilava nella cintura un pugnale ed agganciava un arco al suo zaino, Zuko guardava sopra la propria testa, cercando inutilmente di individuare il luogo dove era stato sfamato e medicato per due giorni interi.

Dopo un ultimo saluto della regina, i due iniziarono in silenzio il loro viaggio, tenendosi sempre abbastanza vicini a strada e ferrovia da poter sentire il rumore dei carri e dei convogli, ma non così tanto da poter essere avvistati.

Per più di un’ora camminarono affiancati, però a quattro passi di distanza l’uno dall’altro e senza scambiarsi mai una sola parola. Ethiel, di tanto in tanto, alzava lo sguardo da terra, ma solo per voltarsi indietro nella vana speranza di scoprire che sua madre la stesse seguendo, oppure per gettare al suo compagno un’occhiata di traverso. Non si era mai opposta a Fanie perché si fidava di lei, ma quel giorno continuava a sperare che le avesse giocato un brutto scherzo e che presto l’avrebbe raggiunta per spiegarle cosa stava realmente accadendo. Ogni volta che si voltava verso il ragazzo, si domandava per quale motivo dovesse affidarsi ad una persona simile e se lui fosse davvero un dominatore del fuoco.

Zuko era ben consapevole del malessere della ragazzina al suo fianco, ma anche irritato dal compito che si sentiva in dovere di compiere.

«C’è qualche problema?» le chiese tutt’a un tratto, e un po’ troppo bruscamente.

Ethiel tenne lo sguardo dritto davanti a sé e si allontanò da lui di un altro passo, ma non rispose.

Zuko comprese di aver sbagliato atteggiamento e, dopo più di quarto d’ora, disse con tono pacato: «Mentre ero legato, tua madre mi ha spiegato un po’ di cose. So cosa ha fatto la mia nazione alla tua gente e me ne dispiace. Non posso certo rimediare… ma ti prometto che farò tutto ciò che posso per te».

Compiuto un centinaio di passi, tentò nuovamente di parlarle. «So che devi tenere il velo fino a quando non usciremo dal tuo regno, quindi immagino che ci siamo ancora dentro… Hai idea di quanto dobbiamo ancora camminare per uscirne?»

Ethiel rimase ostinata nel suo silenzio.

«Quindi…» azzardò dopo un’altra cinquantina di passi, «tu sei un mezzelfo. Sai, se ti nascondi le orecchie sotto i capelli, non credo che avrai problemi a vivere in un villaggio. Sono stato in questo regno prima della fine della guerra, perciò non ho idea di quanto possa essere cambiato, ma sono sicuro che trovare ospitalità non sarà…»

Non poté concludere la frase perché Ethiel era scoppiata a piangere, e lui non sapeva cosa avesse detto di sbagliato, né aveva idea di cosa fare per consolarla. Camminarono per una buona mezzora, e questa volta, dopo essersi asciugata il viso con un movimento stizzito delle mani, fu lei a rompere il silenzio.

«Adanedhel: questo è ciò che sono nel mio linguaggio. Un essere immondo, disprezzato da elfi ed umani! Certo… tu pensi che non ti sarà difficile mantenere la tua promessa e riconquistare il tuo onore. Ti basterà portarmi nel primo villaggio e assicurarti che io tenga nascoste le mie orecchie! E cosa credi mi accadrà se mi facessi scoprire? Me le taglierai, forse, per essere sicuro che non accada? E non ti sei accorto che ho ereditato gli occhi di mia madre? Oppure hai intenzione di cavarmeli per non farmi correre rischi? Sai cosa penso io? Che hai già fatto abbastanza e che puoi seguirmi senza più aprir bocca se hai paura di perderti, oppure puoi andartene per la tua strada anche adesso!» Uno schiaffo leggero – ma pur sempre uno schiaffo –, la lasciò sbigottita. Si portò la mano alla guancia colpita e sibilò: «Come hai osato…»

Con un furia che la sorprese ancor di più, Zuko le urlò: «Pensi che per me sia facile? Io sono stato un principe esiliato, poi un Signore del Fuoco e, quando pensavo di aver finalmente iniziato a vivere la vita alla quale ero destinato, tutto mi è stato tolto. I quattro regni sono di nuovo in procinto di entrare in guerra, l’Avatar è sparito ed io non ho il potere di far più nulla! Hai ragione se pensi che non ti sarò d’aiuto nella foresta: ci sarei morto se tua madre non mi avesse dato cibo e cure. So benissimo, anche, di non essere la persona di cui hai bisogno, e non credo neppure di essere adatto a prendermi cura di una ragazza, specialmente una… giovane come te, ma qualunque cosa io possa fare, la farò. Tu, però, devi darmi una mano!»

Nella sua voce, Ethiel percepì una profonda tristezza e un doloroso rancore. Non era brava come la madre a leggere nel cuore delle persone, tuttavia, osservandolo in quel momento, ebbe la chiara sensazione di aver di fronte una persona di cui potersi fidare, sincera e impulsiva ma anche capace di controllarsi. Ed avvertì nel suo animo anche la forza di un guerriero pronto a proteggerla con la vita. Se da un lato questo le fece piacere, dall’altro significava che il momento tanto atteso da lei, e forse ancor più da Fanie, era davvero giunto. Ora che stava iniziando una nuova vita, scopriva però di averne paura e di non esserne pronta, perché le si stringeva il cuore al pensiero di non rivedere mai più sua madre.

«Va bene,» rispose trattenendo a stento le lacrime, «mi dispiace per quel che ti ho detto, ma non colpirmi mai più. Ciò che mi spaventa davvero è di essere sola… perciò… ti chiedo soltanto di essermi amico.»

Quando Zuko riuscì a superare la vergogna per ciò che aveva appena fatto ad una bambina disperata e a contenere un poco la commozione che le sue parole gli avevano suscitato, balbettò: «Io… non volevo arrabbiarmi… ti chiedo scusa… Io… sì, voglio esserti amico.»

«Bene… Allora continuiamo a camminare… altrimenti gli elfi ci seguiranno. Due giorni… tra due giorni saremo fuori dal regno.»

 

Prima di sera Ethiel diede prova della sua abilità come arciere procurandosi la cena. Zuko l’aiutò a ripulire e a cucinare gli uccelli catturati; poi mangiarono parlando poco tra loro, quindi tacquero del tutto, prigionieri dei loro tristi pensieri. Quella notte, nessuno dei due riuscì a dormire, e all’alba ripresero la loro strada.

Quel giorno e quello seguente trascorse allo stesso modo: camminarono sempre l’uno accanto all’altra, si aiutarono a vicenda quando ce n’era motivo e conversarono raramente.

Durante la mattinata del quarto giorno di viaggio, Ethiel si tolse il velo, avvertendo così il suo compagno che gli invisibili confini del regno elfico erano stati varcarti, e ponendo entrambi nella necessità di concordarne un nuovo obiettivo da raggiungere.

«Devi credermi,» disse Zuko, faticando a comprendere cosa avesse visto di sgraziato nel viso di Ethiel la prima volta che se l’era trovata davanti, «non ho mai sentito parlare degli elfi, ed io, il mondo, l’ho girato per anni senza mai fermarmi. Sono stato a lungo in queste terre e sono convinto che nessuno avrebbe paura di te, anche se vedesse le tue orecchie. E i tuoi occhi, ora, mi sembrano… particolarmente belli, ma nient’affatto strani. Nessuno dubiterà che tu sia umana.»

«Gli elfi non escono dal loro regno da moltissimo tempo, perciò è possibile che gli umani li abbiano dimenticati. Sul resto mi è difficile crederti, però posso fingere che tu abbia ragione. Bene, i miei occhi non sono un problema. E con le mie orecchie come la mettiamo? Io non ho nessuna intenzione di accorciarle!»

«Forse… potresti legarle alla testa…»

«No! Non se ne parla! Sarebbe un fastidio tremendo e non sentirei più nulla.»

«Ma hai mai provato?» chiese Zuko esasperato.

«No!» replicò lei, stringendo i pugni ed ostentando una ferrea ostinazione.

Il ragazzo sbuffò, girò una volta su se stesso e sospirò. Poi, ancora arrabbiato, le chiese: «Gli elfi sono tutti così cocciuti?»

«Io non sono un elfo.»

«D’accordo,» rispose con una nota di sarcasmo, «lo posso capire: Non sei un elfo, ma le tue orecchie da elfo devi tenerle in mostra.» Riuscì a contenere la sua irritazione ed aggiunse con tono più calmo: «Scusami, mi sono lasciato trasportare. Io preferirei guadagnarmi da vivere in un villaggio, ma hai ragione. Se qualcuno notasse le tue orecchie, la voce si spargerebbe. Qualche uomo pieno di soldi potrebbe farti rapire e poi ti esporrebbe come un oggetto esotico ai suoi amici; così, non saresti in pericolo soltanto tu, ma anche gli elfi». Camminò per un poco avanti e indietro, poi si fermò davanti ad Ethiel e le propose: «Possiamo comunque nasconderci nelle vicinanze di un villaggio. Coltiveremo la terra e ci inventeremo qualcosa per guadagnare dei soldi. Nessuno saprà di te, se lo desideri, perché sarò sempre io ad andare in paese. In questo modo potremo comprare abiti, sementi, medicine e tutto ciò che potrebbe servirci. Il fatto che tu sia brava a cacciare è già un ottimo inizio».

Dopo aver meditato per qualche istante, Ethiel gli rispose soddisfatta: «Così va molto meglio. Non sarà necessario che tu vada al villaggio tutti i giorni, quindi possiamo costruire la nostra casa piuttosto distante. Anche a più di venti leghe, se trovassimo un carro ed un paio di animali da cavalcare. Catturare la selvaggina non sarà un problema; ovviamente ti insegnerò sia a tirare con l’arco, sia a preparare le trappole. So anche preparare unguenti e medicamenti di vari tipi, e tu mi darai una mano. Mi dovrai anche insegnare a tirare di spada, perché mia madre non sa usarla e nessun maestro ha mai voluto aiutarmi».

Zuko le rivolse uno sguardo perplesso. «A sentirti parlare non si direbbe che hai solo dodici anni. Tutti i mezzelfi sono pretenziosi come te?»

«Sono l’unico mezzelfo che conosco, perciò non so risponderti. Ora stammi a sentire, di carri ed animali da traino se ne trovano lungo la strada. Ti va di recuperare lì quel che ci serve, o preferisci fare a piedi tutto il cammino?»

   
 
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