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Autore: Imperfectworld01    13/01/2021    0 recensioni
Megan è ormai fuori pericolo, non è più indagata per l'omicidio di Emily Walsh, ha ripreso in mano la sua vita e ha ritrovato se stessa, sebbene tutti la vedano diversa e la accusino di essere cambiata. Ciò che non vedono, è che quella è la vera lei: forte, sicura, determinata.
Ma i suoi problemi non sono finiti.
Si era posta un obiettivo: scovare il vero colpevole e ottenere giustizia per la sua amica, ed è ciò che ha intenzione di fare. Non si fermerà finché non ci sarà riuscita, costi quel che costi.
Ma desiderare una cosa con tutta se stessi e combattere per averla, è sempre la cosa giusta da fare?
//SEQUEL DI CAUSE IT'S RIGHT. PER CAPIRE QUESTA STORIA È NECESSARIO AVER LETTO IL PREQUEL//
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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24. L'abbiamo uccisa insieme

Quella notte non ebbi la stessa fortuna di quel pomeriggio, difatti restai sveglia quasi tutto il tempo. In parte perché avevo già dormito quasi tre ore e quindi la sera faticai a prendere sonno, in parte per le farfalle nello stomaco. La mia mente era occupata solo da David. Chiudevo gli occhi e lo vedevo, li riaprivo e continuavo a sognare a occhi aperti, immaginando che fosse lì a stringermi fra le sue braccia.

Quando si fece mattina, sembrai ricordarmi improvvisamente delle parole che aveva detto prima che ci separassimo, e anche della promessa che gli avevo fatto prima che le dicesse.

Non potevo scrivergli. Con quale coraggio gli avrei scritto dopo ciò che mi aveva detto?

E soprattutto, perché l'aveva detto? Era ovvio che non lo intendesse davvero, altrimenti non si sarebbe sentito così in imbarazzo subito dopo.

Eppure, una piccola parte di me, sperava che in realtà fosse stato il suo cuore a parlare. Del resto, non era ciò che provaco anch'io?

Già qualche giorno fa mi si era insinuata in testa quest'idea, e fra ieri e l'altro ieri il nostro rapporto sembra essere cresciuto e maturato molto, constatai, non mi sono mai confidata a tal punto con nessuno, specialmente in questo periodo così difficile della mia vita.

Forse avrei dovuto avere le forze di parlarne con lui e con le altre persone che cercavano di aiutarmi molto tempo prima, invece che spingermi al limite.

Alla fine mi feci coraggio e, dopo aver pensato a cosa dire, gli scrissi. "Mi spiace dirtelo, ma neanche la tua felpa è servita a qualcosa. Comunque grazie ancora di tutto, David."

Dopo averlo riletto un paio di volte e aver meditato se aggiungere altro o lasciarlo così, alla fine inviai il messaggio. In base alla sua risposta, avrei potuto dirgli altro.

Poi mi diressi in cucina per fare colazione. Non che avessi molto appetito, ma volevo provare a sforzarmi.

Nonostante fosse arrivata a casa molto tardi quella notte, mia madre era già in piedi e si stava preparando il caffè.

«Buongiorno, tesoro» mi salutò, lasciandomi un bacio sulla fronte.

Non la vedevo dalla mattina precedente, dato che, quando lei e mio padre erano tornati a casa stanotte, io mi ero già messa sotto le coperte e non erano entrati in camera per salutarmi pensando che stessi dormendo.

«Come sta la nonna?» chiesi, e lei iniziò a parlarmi della loro giornata. Sottolineò a dovere più volte come la nonna fosse stata dispiaciuta di non avermi vista, infatti giurai a mia madre che la prossima volta sarei venuta con loro a prescindere da qualsiasi evenienza. 
Pensai inoltre che avrei potuto chiamarla nel pomeriggio, dato che, oltre a non vederla, non la sentivo mai.

A un certo punto, mi arrivò un messaggio sul cellulare e, non appena lo lessi, le parole di mia madre divennero solo uno sgradevole sottofondo a cui smisi di prestare attenzione.

Era un messaggio da parte di Olivia, che diceva: "Abbiamo un problema". In allegato, poi, mi aveva inviato uno screenshot di un messaggio.

•••

«Devi pubblicarlo.»

«Ancora che insisti? Ti ho detto che non lo farò!»

«Perché no? Così avrà quello che si merita! Io sono stata additata come un'assassina per mesi, e anche Dylan, ora tocca a lui, non credi?»

Olivia roteò gli occhi. «Se lo pubblico, non appena Herman lo leggerà andrà dalla preside, la quale contatterà la polizia, che farà delle indagini e risalirà a me come colei che ha creato questa pagina, e lì sarò davvero nei guai. Lo comprendi o hai bisogno di un disegno, biondina?»

Aveva ragione. Non potevamo farlo. Ma allora dovevo assolutamente andare a parlare con Tracey.

Così, senza aggiungere altro, feci per voltarmi e andare a cercarla, ma mi fermai a metà strada nel momento in cui mi giunse la voce di Olivia all'orecchio. «Ah, e per inciso, sappi che George mi ha detto tutto. Cos'è, non puoi proprio farne a meno? Vuoi sempre tutto ciò che è degli altri?»

La fissai stralunata. «A che ti riferisci?»

«Non è chiaro? Prima ti piaceva Dylan solo perché piaceva a Emily, poi non appena David si è avvicinato a me, hai voluto metterti in mezzo, e infine ti sei gettata fra le braccia di George. Non so quale complesso di inferiorità ti affligga affinché ti comporti così, ma è chiaro che dovresti farti aiutare da qualcuno di bravo.»

L'impulso di tirarle uno schiaffo era così forte che sentii le mie dita cominciare a formicolare, tuttavia mi trattenni, chiudendo le mani a pugno. Dopo essermi calmata, riaprii il palmo della mano destra, un dito alla volta, man mano che andavo avanti a parlare: «Punto primo: le persone non sono oggetti, ci terrei a ricordartelo. Punto secondo: non permetterti mai più di parlare di Emily o di Dylan. Punto terzo: l'unico motivo per cui David si era avvicinato a te, era per aiutare suo padre, ecco perché ti ha ingannata e poi non si è fatto più vedere. Punto quarto: quando io e George ci siamo baciati, voi due neanche vi parlavate più e, tra l'altro, è anche grazie a me se adesso state insieme. Punto quinto: pensa agli affari tuoi e non intrometterti nei miei!» esclamai.

Non le diedi neanche il tempo di replicare e le voltai le spalle. Avevo cose più importanti a cui pensare, certamente più serie dei commenti acidi e misogini, oltre che privi di fondamenta, di Olivia.

Il giorno precedente, Tracey aveva scritto alla pagina spotted della scuola su Instagram. Aveva utilizzato un profilo falso invece che il suo reale profilo, ma capii subito che era lei: @goldenrose_0928.

Sembrava aver scelto quel nickname appositamente per me, come se avesse voluto lasciarmi un messaggio, farmi sapere che era ufficialmente dalla mia parte. Il Golden Rose era il locale in cui eravamo andate per crearci un alibi dopo essercene andate dalla festa, e i numeri corrispondevano a una data, ventotto settembre, ossia la sera in cui Emily era morta.

"H. W. è un assassino" aveva scritto, senza aggiungere nient'altro.

In una città con poco più di diecimila abitanti, i ragazzi che frequentavano la mia scuola si aggiravano fra i settecento e gli ottocento, e quanti fra questi erano maschi e avevano le iniziali che coincidevano con quelle di Herman?

Era ovvio che si riferisse a lui e, se Olivia avesse pubblicato la notizia, era sicuro che tutti avrebbero associato quella notizia a lui.

Arrivai dunque davanti all'armadietto di Tracey, dove quest'ultima era intenta a sistemare dei libri. «Golden Rose, eh?» chiesi.

Sobbalzò dallo spavento e poi si voltò confusa verso di me. «Cosa?»

Allora tirai fuori il cellulare e le mostrai lo screenshot che mi aveva mandato Olivia il mattino precedente.

Schiuse le labbra e poi deglutì. «Allora ci sei tu dietro?» domandò, e io non risposi. Non volevo smentire, ma nemmeno mettere in mezzo Olivia. «Perché l'hai scritto? Che cosa speravi di ottenere?»

Rimase un attimo in silenzio. Poi emise un piccolo sorriso. «Speravo che capissi che ero stata io. Sei l'unica a cui non sarebbe sfuggito quell'username.»

Evitai di ricambiare il suo sorriso e rimasi fredda e distaccata. «Perché l'hai scritto? Perché volevi diffondere questa voce?»

«Perché non è solo una voce. È la verità. E la verità deve uscire allo scoperto.»

Mi sembrava quasi un sogno. Anzi, mi sarei convinta di star sognando solo se non sapessi che non sognavo ormai da settimane. Stava accadendo davvero. Tracey stava finalmente voltando le spalle a Herman e stava passando dalla parte giusta.

Gli occhi di Tracey erano ormai colmi di lacrime. Se mesi prima, vederla in quel modo, mi avrebbe fatto terribilmente male, ora non mi faceva più molto effetto. Non mi dispiaceva, ma non mi faceva nemmeno piacere. Forse perché dopo tutto quello che era successo, non sarei mai più riuscita a vedere Tracey come un tempo.

Pensai a ciò che le avevo detto qualche giorno prima: «Bene, ora lo so. Sono due le mie migliori amiche morte».

Forse ero stata troppo dura, ma mi sentivo realmente così nei suoi confronti: dopo ciò che era successo e ciò che aveva fatto, non era più la mia Tracey, l'amicizia che ci legava era ormai svanita nel nulla.

Però non potevo fare a meno di volerle un gran bene.

«Scusami, Megan, scusami davvero. Ero totalmente accecata e... e tu non ti meritavi questo, come non se lo meritava Dylan e, soprattutto, come non se lo meritava Emily. Ti prego, dimmi cosa posso fare per rimediare, qualsiasi cosa, e lo farò. Non mi importa più ormai.»

Annuii. «D'accordo. È arrivata l'ora di vendicare la nostra migliore amica, e lo faremo insieme» dissi, tendendole una mano che lei strinse prontamente.

Scrissi rapidamente a Olivia di cancellare l'account spotted che aveva creato su Instagram. Non serviva più ormai, e dovevamo far sparire ogni traccia.

Io e Tracey ci prendemmo i minuti restanti prima dell'inizio delle lezioni per elaborare un piano che ci permettesse di incastrare Herman e farla finalmente finita con quella storia. A un certo punto la campanella suonò e così fummo costrette ad abbandonare le nostre congetture e a dirigerci in classe.

Avevamo avanzato delle ipotesi, ma alla fine non eravamo venute a capo con niente di concreto.

Pensavo sarebbe stato più semplice. In fondo Tracey aveva una mente eccezionale e reattiva e, ora che i sentimenti per Herman non offuscavano più il suo pensiero e le sue decisioni, era tornata la solita persona lucida e razionale di sempre.

Infatti la sua ultima idea non era male: aveva proposto di mettere Herman alle strette fino a farlo confessare, così da poter poi andare alla polizia distrettuale e fornire la registrazione come prova.

Io stessa tempo prima avevo pensato di andare a parlare con il nonno di Herman e registrarlo mentre illustrava le tecniche di caccia che aveva insegnato al nipote.

Purtroppo, però, secondo i Revised Statutes della Louisiana, al titolo 15, sezione 1303, viene enunciato che non è consentito registrare, ottenere, utilizzare o condividere conversazioni di cui non si è oggetto in prima persona senza il consenso di almeno una delle parti coinvolte.

Ciò significava che ciò che avremmo avuto intenzione di fare costituiva un reato punibile con una multa fino a diecimila dollari nonché una pena detentiva, e in più non sarebbe servito a nulla: la registrazione non avrebbe potuto essere usata in tribunale poiché costituiva una confessione ottenuta illegalmente.

«Come fai a sapere tutte queste cose?» chiese Tracey dopo che finii di spiegarle perché non potevamo mettere in pratica l'idea che aveva avuto.

Affinché fosse stato legale, sarebbe servito il consenso di almeno una delle due persone oggetto della conversazione, ossia Herman e Emily. Il primo non avrebbe mai acconsentito e la seconda era la vittima.

«L'ho letto su Internet» risposi solamente, senza scendere nei dettagli.

Lo sapevo perché quando mi ero presentata a casa sua sperando che fosse intenzionata a raccontarmi la verità, avevo pensato anch'io a registrarla. Prima di farlo, però, mi ero informata per sapere se quella confessione avrebbe potuto essere usata contro di lei o Herman.

«Allora non c'è proprio niente da fare?» chiese Tracey sconsolata, il che mi provocò un leggero fastidio: era da mesi che cercavo un modo, lei ci stava provando da cinque minuti e sembrava già sul punto di rinunciare.

«Scusatemi.» Sentimmo una voce alle nostre spalle e ci voltammo, solo per vedere una piccola ragazza bionda che ci fissava con gli occhi pieni di timore ma anche di eccitazione. «Non avrei dovuto, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione.»

«Qualsiasi cosa tu abbia sentito, sappi che hai capito male» intervenne subito Tracey, partendo sulla difensiva.

«Trace, Lucy sa la verità» le spiegai. «Tutta la verità.»

«Come? Se lo sapevi, perché non hai mai detto nulla?» chiese Tracey a Lucy con tono sospettoso, la quale si sistemò il cerchietto in testa, probabilmente per il nervosismo. In effetti Tracey metteva piuttosto in soggezione con quello sguardo inquisitorio.

«Ho parlato con Megan, e ho deciso di non intromettermi, affinché lei faccia la cosa giusta. E so come puoi fare, ho un'idea perfetta, e non costituisce nessun reato, al contrario.»

Le parole di Lucy attirarono immediatamente l'attenzione sia mia che di Tracey. «D'accordo, qualsiasi cosa sia, va bene. Tanto non abbiamo altre idee e non ha senso perdere altro tempo a riflettere, ne è già stato sprecato troppo» dissi, desiderosa di chiudere quel capitolo una volta per tutti.

«Forse prima dovresti sentire cos'ho da dire, Megan» disse Lucy con tono grave. «È un'ottima idea, sì, ma è anche rischiosa, per più di un motivo. Se non ve la giocate bene, la sorte che dovrebbe spettare a lui, rischia di diventare la vostra. Inoltre...»

«Che cosa intendi?» la interruppe Tracey.

«Lucy, vai direttamente al punto, ti prego» la esortai, cominciando a perdere la pazienza.

La ragazza minuta davanti a noi abbassò lo sguardo per qualche istante, poi sospirò e lo puntò nuovamente su di noi. «Dovete essere sicure al cento per cento e, soprattutto, dovete essere disposte a fare ammenda per i vostri peccati. Oltre a lui, anche voi due non siete totalmente innocenti, non è così? Ma potete cambiare tutto, se siete disposte a riconoscere la vostra dose di colpa.»

Le parole di Lucy erano così ambigue e criptate che non mi era ben chiaro dove volesse arrivare. Suonava quasi come un'omelia della messa domenicale. Ma sentivo che invece dietro c'era qualcosa di più che concreto.

«D'accordo, ci sto, qualsiasi cosa sia» dissi allora.

Poi sia io che Lucy indirizzammo la nostra attenzione su Tracey, la quale aveva distolto lo sguardo, presumibilmente per riflettere. «Tu ti fidi di lei?» mi chiese poi la ragazza castana.

«Sì, mi fido» risposi. Più di quanto mi fidassi di Tracey ormai, ma evitai di dirglielo.

«Va bene. Ci sto anch'io allora.»

•••

«Credo che Dorian Gray ha ancora bisogno di Lord Wotton.»

George sollevò il viso e mi fissò a lungo, privo di qualsiasi espressività.

Appoggiai il mio vassoio sul tavolo e mi sedetti affianco a lui. «Avevi ragione. Be', non sul tentativo di overdose, perché ti assicuro, ti giuro che mi sono davvero cadute le pillole a terra. Ma comunque è vero che non ero in me, che tutt'ora non sono in me, perché ho bisogno di tanto aiuto. E probabilmente è anche vero che, a lungo andare, forse avrei davvero potuto abusare di quelle pasticche. Del resto non sarebbe la prima volta che mi balena in testa un'idea simile, succede di continuo da un mese a questa parte, così come era successo quando Emily era appena morta. 
Solo che non ero ancora pronta a capirlo, quindi quando mi hai sbattuto la realtà in faccia, ho reagito male e ti ho allontanato come allontano ogni persona che cerca di aiutarmi.»

Il ragazzo riccio continuò a fissarmi finché non arrivò il suo turno di parlare. A quel punto abbassò lo sguardo sul suo piatto. «Ho esagerato anch'io a parlarti in quel modo. Non sono abituato a... a tenere alle persone, quindi, quando ho pensato al fatto che avrei potuto perdere la mia unica amica, non sapevo come comportarmi e ho lasciato prevalere la mia paura su tutto. Invece che provare a parlarti in maniera civile e tranquilla per farti ragionare, ma ancor di più per cercare di comprendere cosa tu stia passando in questo periodo, ti ho aggredita verbalmente perché sono abituato a dire sempre tutto quello che penso, noncurante dei sentimenti degli altri, dato che di solito non mi importa di ferire persone a cui non tengo... Solo che a te ci tengo.»

«E basta? Non dici niente sul resto?» chiesi.

Pensavo che in primis si sarebbe scusato per avermi ingannata.

George a quel punto tornò a guardarmi. «Mi pento solo di aver acconsentito ad aiutarti a dormire, ma non della modalità che ho scelto per farlo.»

«Quindi non ti importa di avermi mentito, di aver tradito la mia fiducia?»

«No. Perché almeno sei ancora viva. Ma scordati che ti procuri qualsiasi tipo di farmaco d'ora in poi, persino se si tratta di una comune supposta che si infila su per il...»

«D'accordo, d'accordo, puoi anche non scendere nei dettagli» lo interruppi, e lui emise un piccolo sorriso. «Comunque grazie, per aver captato il mio campanello d'allarme e aver cercato di intervenire, a modo tuo, per proteggermi.»

Poi vidi che Olivia si stava avvicinando al nostro tavolo, per andare a pranzare con George come stavano facendo in quegli ultimi giorni, così mi alzai per allontanarmi e andare in un altro tavolo, ma George mi fermò tirandomi per un braccio. «Ehi, finché ci sarò io non farà nessun commento cattivo su di te, tranquilla. Le ho parlato» tentò di rassicurarmi.

«Già, so bene di cosa le hai parlato, come se già non mi odiasse abbastanza.» Dopo lo scontro di quella mattina, la voglia di passare altri minuti in compagnia di Olivia era ancora più bassa del normale.

Poi però pensai che avevo bisogno del suo aiuto per un'ultima cosa, così mi risedetti a tavola.

•••

Dopo essere uscita da scuola, mi diressi verso casa di Tracey.

Ogni passo che facevo, più mi avvicinavo, più sentivo l'emozione crescere dentro di me. Il cuore mi batteva all'impazzata.

Ormai mancava così poco.

Suonai alla porta e dopo pochi secondi Tracey venne ad aprirmi. Anche lei sembrava agitata, come testimoniato dal fatto che continuava a deglutire e a torturarsi le mani.

«Sei pronta?» le chiesi.

«È la cosa giusta» rispose soltanto, prima di dirigersi in cucina. Mentre camminava, mi parve di sentirla mentre ripeteva sottovoce le parole che aveva appena detto.

È la cosa giusta. È la cosa giusta. È la cosa giusta.

Non appena la raggiunsi in cucina, sentimmo suonare alla porta come avevo fatto io poco prima.

Persi un battito.

Io e Tracey ci scambiammo uno sguardo, entrambe terrorizzate, prima che lei si allontanasse per andare ad aprire alla porta. Io rimasi dov'ero, specie perché ero incapace di muovermi.

Se fossi stata in piedi invece che seduta, probabilmente sarei caduta a terra, magari anche svenuta.

«Hai voglia di un tè?» sentii chiedere Tracey dall'altra stanza.

Ovviamente non stava parlando con me, e quella domanda era solo un pretesto per recarsi nel luogo designato.

«E me lo chiedi anche?»

Persi un altro battito.

Non sentivo la sua voce davvero da un sacco di tempo.

Quasi mi veniva il magone. La sua voce, la sua schifosissima voce, era l'ultimo suono che aveva sentito Emily prima di morire.

Pian piano le loro voci si fecero sempre più vicine a me, finché non comparvero sulla soglia della porta della cucina.

Io e Herman ci scambiammo uno sguardo fugace, ma nonostante la brevità di quel contatto visivo, era come se ci fossimo detti tutto senza aver bisogno di parlare.

Infatti, Herman si voltò verso Tracey con gli occhi sgranati e, dalla persona più logorroica del mondo, sembrava improvvisamente a corto di parole.

«Tutti e tre insieme, da quanto tempo» iniziai a dire, per rompere il ghiaccio. «Una volta però eravamo in quattro» aggiunsi.

A quelle parole Tracey trasalì, Herman invece rimase immobile e puntò il suo sguardo sul mio. Il suo vero sguardo.

Eccolo lì. Era quella la sua vera natura. Aveva la cattiveria, il sadismo dipinto negli occhi.

«È ora di porre una fine a tutto ciò» dissi. Mi alzai dalla sedia, rischiando per un secondo di perdere l'equilibrio.

Il mio corpo era debole, non riusciva più a contenere il misto di emozioni che mi portavo dentro. Ero furente. Triste. Indignata. Tradita. E anche tanto, tanto stanca.

Io e Tracey ci scambiammo un'occhiata complice e infine ci avviammo verso il bancone della cucina dove era appoggiato un portacoltelli e ne estraemmo uno.

Anzi, estraemmo proprio quel coltello. Quello che era stato lì fino a quel momento.

Lo toccammo a mani nude, imprimendo le nostre impronte sul manico.

Herman indietreggiò di qualche passo. «Che... che cosa avete intenzione di fare?» chiese visibilmente spaventato.

«Oh, tranquillo, non ciò che hai fatto tu con Emily!» esclamai, lasciando il coltello nelle mani di Tracey e avvicinandomi minacciosamente a lui.

E lì cambio totalmente atteggiamento, iniziando a mostrarsi più spavaldo. «Hai perso il senno, Meg?» mi schernì con una risatina. «Cos'altro poi, ho anche rapinato una banca e avviato un giro illegale di prostituzione minorile? Ma dai!» esclamò, continuando a ridere e contribuendo a infervorarmi.

«D'accordo, continua a negare, resta il fatto che tutti noi siamo coinvolti in qualche modo con la morte di Emily e ciò che è stato dopo. E ora dobbiamo rimediare. Devi lasciare anche tu le tue impronte su questo coltello, l'arma del delitto, che poi consegneremo alla polizia distrettuale» spiegai. «Da lì, starà a loro fare le loro indagini e trarre le loro conclusioni, e individuare il vero colpevole.»

Era quella l'idea che aveva avuto Lucy.

Riesumare l'arnese che aveva ucciso Emily e fare in modo di lasciarvi sopra le impronte delle tre persone che l'avevano tradita: io ero scappata invece che aiutarla, lasciandomi manipolare da Tracey, che aveva coperto l'omicidio di Herman, diventando sua complice.

Era la cosa giusta da fare. Solo in quel modo mi sarei ripulita la coscienza, facendo ciò che non avevo fatto quando ne avevo la possibilità, o meglio, il dovere.

Inoltre, essendo già stata assolta, non potevo essere indagata e processata nuovamente per l'omicidio di Emily. Quindi ero salva. Il mio era più che altro un gesto simbolico, di redenzione, come avrebbe detto Lucy. E qualora la polizia avesse deciso comunque di interrogarmi a fronte dell'emersione di nuove prove, avrei raccontato tutta la verità, come avrei dovuto fare in principio.

«Fallo, dunque. Se non sei stato tu a ucciderla, non ti importerà se le tue impronte compaiono sul coltello, così come d'altronde non importa a me e Tracey. La polizia non troverà prove per incriminarti e tornerai semplicemente alla vita di prima.»

«Trace, amore mio, tu sei davvero d'accordo con questa squilibrata?» chiese rivolgendosi alla sua ragazza, avanzando di qualche passo per giungere di fronte a lei. «Ti amo, ti amo tantissimo» aggiunse, prendendole il viso fra le mani per fissarle negli occhi.

Tracey piangeva a dirotto e io pregai dentro di me che non stesse cedendo. Due parole dolci e uno sguardo erano sufficienti a farle cambiare idea su qualcosa su cui aveva riflettuto così a lungo?

Tracey appoggiò il coltello sul tavolo alle sue spalle. «Herm, ormai non ha più senso mentire... abbiamo finalmente la possibilità di toglierci questo peso.»

«Quale peso?» chiese l'altro, scegliendo di continuare a negare l'evidenza.

Approfittando del loro breve momento di distrazione, mi avvicinai con passo felpato e afferrai il coltello.

«Lo sai. È tutto vero quello che dice Megan. Tu l'hai uccisa. Hai ucciso Emily» disse Tracey, e io schiusi le labbra, stupita.

Fino a quel momento Tracey non l'aveva mai ammesso ad alta voce, non davanti a me se non altro. Il che lo rendeva reale. Non era più solo nella mia testa.

«Sei una stronza» sputò Herman con spregio, cambiando radicalmente espressioni. Tracey trasalì di nuovo a quelle parole. «Mi hai tradito, e per cosa? Per questa puttana?» esclamò, trucidandomi con lo sguardo, e io ricambiai senza troppo sforzi. «Oppure l'hai fatto per Emily, anche lei era una puttana. Una puttana che ora è morta.»

«Non ti permettere più!» intervenni, non riuscendo più a trattenermi.

Herman scansò Tracey, dal momento che gli copriva la visuale su di me, e così ci trovammo finalmente faccia a faccia.

«Altrimenti che cosa mi succede?» mi sfidò.

Stava cercando di farmi perdere la pazienza, e ci stava riuscendo. «Pensi che non abbia prove, mh?» feci. «Invece so tutto, ogni cosa! So che le voci che girano a scuola sono vere, so che hai tradito Tracey con Olivia Goldberg e so che Emily l'aveva scoperto, così quando vi ha visti insieme alla festa di Dylan ha minacciato di dire tutto a Tracey e tu, per impedirglielo, l'hai uccisa come se fosse un animale da caccia, solo perché sei uno schifoso psicopatico!» esclamai tutto d'un fiato. «E sai qual è la cosa più divertente? Che sei stato proprio tu a svelarmi come hai fatto, quel giorno a scuola che ci siamo parlati per l'ultima volta. Le hai reciso la giugulare nel modo in cui ti ha insegnato tuo nonno, così da poterla immobilizzare, e poi hai semplicemente aspettato che si dissanguasse.»

Avevo il respiro in affanno, la fronte madida di sudore, l'adrenalina a mille e il cuore martellante nel petto.

Nonostante la sorpresa iniziale nel venire a sapere che ero a conoscenza di tutti quei dettagli su quella notte, Herman non si scompose più di tanto.

Tracey invece era a dir poco sconvolta. Qualsiasi cosa le avesse raccontato Herman, non sembrava combaciare affatto con la mia versione. 
Sembrava voler dire qualcosa, chiedere spiegazioni, ma non ne trovò le forze e alla fine non disse nulla.

Herman emise invece un sorriso che, unito a quello sguardo folle, metteva a dir poco inquietudine. «C'è però un dettaglio che ti sfugge, mia cara Megan. Ed è il contributo che tu hai dato a tutto ciò. Quando hai trovato Emily stesa a terra, il coltello era ancora conficcato nella sua gola, non è così? Sei stata tu ad averlo estratto, innescando la fuoriuscita di tutto quel sangue dal suo corpo. Quindi si potrebbe dire che è stato un lavoro di gruppo. È così, mi dispiace: sei colpevole almeno quanto me. L'abbiamo uccisa insieme.»

Senza che potessi rendermi conto di ciò che stavo facendo, lo afferrai per il colletto della maglia e lo buttai a terra, puntandogli il coltello alla gola.

«Megan! Che cosa stai facendo?» esclamò Tracey preoccupata, ma era come se non fossi in grado di sentirla al momento.

Non sapevo cosa mi stesse prendendo, non stavo connettendo, sapevo solo che ne avevo abbastanza di lui. Era tutta colpa sua, tutto ciò che avevo passato in quei mesi era solo colpa sua.

«Megan, ti prego, fermati!»

«Dai, fallo» mi disse lui, al contrario di Tracey. «Fallo e sarai come me. Be', per la sola differenza che questo per te sarebbe il secondo omicidio.»

Premetti il coltello contro la sua gola, ma non a sufficienza affinché affondasse nella carne.

L'avrei fatto. L'avrei fatto per Emily. Finalmente avevo l'occasione per vendicarla. Non aspettavo altro da mesi, da quando lui me l'aveva portata via.

Mi mancava solo quell'ultimo briciolo di intraprendenza, quel coraggio necessario per spingere con più forza il coltello contro la sua pelle e recidere.

«Cosa stai aspettando? Fallo» continuò, mentre Tracey cercava di farmi ragionare, ma la sua voce mi appariva ovattata. «È stato bello, vero? Come ti sei sentita? Dimmi. Io mi sono sentito davvero potente.»

«Giuro che ti uccido» dissi a denti stretti.

«Oh, lo so che lo farai, ne sei capace, a differenza mia. Sai, qualcosa dentro di me mi disse, a un certo punto, che stavo facendo qualcosa che sfuggiva al mio controllo, così mi sono fermato. Fortuna che sei arrivata te a ultimare il lavoro. E adesso fallo un'altra volta, che ti costa?»

Fallo.

Sei colpevole almeno quanto me.

Fallo.

Sei stata tu.

Fallo.

Sarai come me.

Fallo.

Ne sei capace.

Fallo.

L'abbiamo uccisa insieme.

Pian piano la mia presa sul coltello cominciò ad allentarsi, finché non lo allontanai dal viso di Herman e non lo lasciai a cadere a terra. Mi alzai dal suo corpo e mi lasciai cadere come un peso morto su una delle sedie.

Che cosa diamine avevo fatto? Che cosa diamine stavo per fare?

Io non ero come lui.

«Io non sono come te» farfugliai.

Non ero un'assassina.

«Non sono un'assassina.»

Emily non doveva essere vendicata. «Deve avere giustizia.»

Per la prima volta, dopo tanto tempo, la voce che sentivo nella mia testa era solo una, ed era coerente con tutto il resto: con il mio cuore e con la mia mente. 
Non c'era più una lotta continua dentro di me, ma solo uno scorrimento lineare di pensieri.

Dopo essermi estraniata per quelli che ritenni essere massimo uno o due minuti, tornai a guardare la scena davanti a me.

Tracey si era gettata a terra, fra le braccia di Herman. Lo baciò intensamente e lo abbracciò. «Ti amo. Ti amo con tutta me stessa e ti amerò per sempre. Troveremo una soluzione insieme, te lo prometto. Non ci accadrà nulla» disse e, se solo ne avessi avuto le forze, mi sarei intromessa per dissentire.

«Insieme. Per sempre» rispose Herman.

Poi, però, guardando al di là delle loro figure, notai che mancava qualcosa. C'era un elemento che al momento sfuggiva al mio raggio visivo.

Il coltello.

Era sparito.

Così, facendomi forza, mi alzai in piedi per avvicinarmi a Tracey e Herman, per cercare di capire che fine avesse fatto.

Doveva averlo preso Herman. Tracey era in pericolo.

«Tracey, sta' attenta!» esclamai per avvisarla.

Ma era troppo tardi.

Herman si voltò verso di me per rivolgermi un ultimo ghigno sprezzante, prima che si immobilizzasse all'improvviso. I suoi denti si colorarono di rosso. Il sangue iniziò poi a colare a fiotti. Herman sgranò gli occhi e tornò a fissare Tracey.

«M-mi... mi dispiace, mi dispiace» disse quest'ultima. Si alzò in piedi e si allontanò da Herman, il quale aveva il coltello conficcato nell'addome. «Mi dispiace» ripeté, continuando a tremare. «M-mi dispiace t-tanto.»

Herman avvicinò la sua mano al manico del coltello e lo strinse, mentre altro sangue continuava a colare dalla ferita oltre che dalla sua bocca.

Avevo i brividi. Ero incapace di parlare, di muovermi, di fare qualsiasi cosa. Avrei voluto urlare, come minimo, ma non riuscivo, così come Tracey non era in grado di dire niente che non fosse: «Mi dispiace».

«T-ti... t-ti... ego» biascicò Herman. «Ti pre... prego» disse, rivolto a Tracey.

A quel punto, contro il mio volere, mi scese una lacrima.

Sì, stavo piangendo. Stavo piangendo per Herman, nonostante tutto.

Mi strofinai gli occhi poiché avevo la vista annebbiata a causa del pianto, e fu allora che vidi Tracey chinata ancora una volta sul corpo di Herman. Sapevo cosa stava per fare. «No, Tracey, non farlo!» esclamai, gettandomi addosso a lei per provare a fermarla.

Ancora una volta, era troppo tardi.

Aveva estratto il coltello dalla ferita, e fu allora che Herman si lasciò cadere all'indietro, perdendo i sensi.

«Ho ultimato il lavoro» disse Tracey, voltandosi verso di me.

 

   
 
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