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Autore: Laisa_War    13/01/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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I ragazzi vennero raggiunti da Floki abbracciato alla moglie Helga. I due li osservarono commossi per un momento, godendosi il suono delle risate.

«Padre...», fece Brandr, accorgendosi della loro presenza: «...questa ragazza è un dono degli dei, ha fatto fare una battuta ad Ivar!».

«E ha fatto ridere te.» completò la madre, accarezzandole i capelli con fare affettuoso.

La coppia invitò le ragazze a seguirli verso casa, immaginando che Hylde fosse molto stanca. Dato che le sembravano delle brave persone, decise di accettare la loro gentile ospitalità e di stare al gioco. Sarebbe comunque partita l’indomani, all’alba, con la luce avrebbe avuto qualche possibilità in più di orientarsi.

Congedarono Ivar e si avviarono. La casa della famiglia di Brandr era situata fuori dalla città, su un’altura che si spogliava lentamente degli alberi della foresta. Era piccola e modesta, con un ambiente centrale più largo, occupato dal focolare ormai spento, ricco di tizzoni, un bel tavolo di legno pesante e poche sedie, completavano il povero arredamento dei rudimentali scaffali e bauli, che probabilmente contenevano utensili da cucina, o del cibo conservato. La casa disponeva anche di due camere da letto, separate dal locale centrale mediante un ritaglio di tessuto leggero, che fungeva da porta. Hylde non osò focalizzarsi sull’assenza del bagno, per non impazzire del tutto, ma avrebbe tanto desiderato potersi fare una doccia calda.

Floki disse che lei avrebbe potuto condividere il letto con Brandr quella notte, ma aggiunse, un po’ imbarazzato: «Ne costruirò uno anche per te, promesso!».

Hylde stava per dirgli quanto non fosse necessario, di non disturbarsi, ma lui la invitò a coricarsi e a riposare, chiudendo la conversazione senza nascondere la propria felicità.

Brandr le prestò una veste da notte e, con un sorriso, fece per scusarsi: «Ci ricordi molto la mia sorellina. Papà si fa prendere dall’entusiasmo.». Sembrava un po’ imbarazzata. Precedette l’imminente domanda di Hylde dicendo anche: «Si è ammalata qualche anno fa, non ce l’ha fatta.». Si strinse nelle spalle, non era abituata a mostrare palesemente le proprie emozioni.

«Mi dispiace tanto, Brandr.» fu l’unica frase che Hylde si sentì di esprimere, non c’era bisogno di aggiungere altro.

Brandr sembrò apprezzare e confessò, mentre si avvolgeva nelle pesanti coperte: «Siamo felici di averti qui.».

Lei si sentì un verme, consapevole che se ne sarebbe andata via dopo poche ore. «Lo sono anche io.», lo era davvero, non riceveva tutto quell’affetto da troppo tempo e sapeva che sarebbe stato difficile privarsene. Però doveva assolutamente trovare un modo per tornare a casa.

Dopo una notte turbolenta, dominata dal freddo e dal perenne stato di dormiveglia, Hylde si svegliò prima di tutti. Iniziava ad albeggiare proprio in quel momento, quindi non perse tempo: si vestì in fretta, facendo il meno rumore possibile, e quando fu pronta lanciò un ultimo sguardo verso Brandr, in un tacito addio. Uscì piano dalla porta della piccola abitazione e si ritrovò nell’umida aria del mattino. Una leggera nebbiolina aleggiava vicino al suolo.

Hylde si rese conto fin troppo presto della dura realtà. La casa di Floki sorgeva alla base di un promontorio, riusciva a sentire le onde del mare, grazie all’estremo silenzio di quel luogo. Si avvicinò cautamente allo strapiombo e apprese con orrore di ritrovarsi di fronte allo stesso, identico panorama che aveva ammirato per ore il pomeriggio del giorno precedente. Non c’era la panchina, ma riconobbe la forma della costa, i monti circostanti, i fiordi. Osservò bene, era lo stesso posto.

L’unico elemento differente era Kattegat: il giorno prima era una ricca e fiorente città moderna, con un porto pieno di navi e pescherecci a motore, era il tipico centro abitato norvegese, con case alte e colorate. Ora osservava un villaggio vichingo, della città moderna nemmeno una traccia. Le barche erano di legno, munite di remi e vele come unico mezzo di propulsione. Nessun cavo dell’alta tensione, nessun aereo nel cielo. Non poteva esser vero.

Kattegat si stava svegliando, il molo si riempiva pian piano di pescatori di ritorno da una fruttuosa nottata di pesca, alcuni commercianti raggiungevano quello che sembrava essere lo spazio dedicato al mercato. Alcuni uomini iniziavano a lavorare alle fortificazioni in costruzione.

Hylde s’inginocchiò a terra, portandosi le mani alla bocca, sulla faccia le si stampò un’espressione attonita, di terrore puro. Realizzò ciò che aveva pensato solo come ad una lontana e recondita ipotesi. Però, prima di lasciarsi andare completamente alla disperazione, ebbe la necessità di controllare un’ultima cosa: si addentrò nel fitto del bosco, alla ricerca di qualcosa che assomigliasse vagamente alla statua, o alla piazzola viste il giorno prima.

Camminò per diversi minuti, ma non trovò nulla. Quel luogo, adesso Hylde era pronta a dirlo, non era stato ancora creato. Fu presa dal panico, non appena arrivò a quella consapevolezza. Non riusciva a respirare, il cuore sembrava volerle esplodere nel petto e la testa pulsava dal dolore.

Dal nulla, sbucò un uomo incappucciato da alcuni alberi in lontananza. Essendo nel bel mezzo di ciò che più si avvicinasse ad un attacco di panico, Hylde non se ne accorse subito. Quando alzò lo sguardo, vide che l’uomo era molto anziano, col viso gravemente deformato, tanto da renderlo cieco. Quello sconosciuto le provocò l’ennesimo moto d’inquietudine, l’ultima cosa di cui lei avesse bisogno in quel momento.

«Giovane Hylde, è tutto vero.» affermò lui in un perfetto danese moderno, cosa che confuse ancora di più la ragazza, ma le diede modo di comunicare al meglio delle proprie possibilità.

Rise istericamente: «E tu come fai a sapere il mio nome? Chi sei, Odino? Thor?». Era incredibile come il suo sarcasmo sapesse palesarsi soprattutto nei momenti meno opportuni.

Lui scosse il capo, vagamente divertito: «No, solo un tramite. So da dove arrivi... E Odino ti ha voluta qui per un motivo molto importante.».

La ragazza tornò ad iperventilare, con copiose lacrime che le rigavano il viso segnato dallo sgomento.

«Non piangere, giovane Straniera. Gli dei vegliano da sempre su di te e tua madre, che ha raggiunto Odino nel Valhalla durante la scorsa estate.», disse il vecchio con aria solenne.

Hylde sentì montarle dentro una rabbia mai provata in vita sua, se quello fosse stato uno scherzo, era giunto il momento di farlo finire: «E tu come cazzo fai a saperlo? Chi è lo stronzo che ha organizzato questa buffonata?». Era vero, sua madre era morta nel mese di Luglio. Lo odiò con ogni fibra del suo essere, per aver anche solo osato parlare di lei.

L’uomo non si scompose minimamente di fronte alla furia della ragazza, anzi continuò: «Avrai bisogno di questa forza per sopravvivere qui, Hylde. Odino ti ha scelta.». Infine concluse, ritirandosi nel bosco: «Ricordati... Il fuoco e il corvo.». Sparì senza lasciar traccia del suo passaggio.

Hylde non ebbe neanche più la forza di provare emozioni, in lei c’era solamente una sorda apatia. Aveva ora la consapevolezza di esser sola, in un mondo che, definirlo totalmente diverso da quello in cui era cresciuta, sarebbe stato un bell’eufemismo. Per qualche assurda volontà magica, o divina, era stata buttata nel IX secolo senza che le fosse chiesto nulla. Non aveva nessuno... Ci era già abituata, ma d’ora in avanti sarebbe stato ancora più difficile del solito.

Come un fantasma, tornò in silenzio verso la casa di Floki, unico luogo in cui avesse trovato delle persone gentili, che le avessero dato fiducia fin subito, senza chieder nulla in cambio. Mentre lei li aveva chiamati “pazzi”, nella sua testa, per tutto il tempo. Era tutto vero, era lontana da casa di almeno 1200 anni. Aveva addirittura conosciuto la vera regina Lagertha, una delle più grandi guerriere della storia norrena.

Arrivando nei pressi dell’abitazione, Hylde vide, attraverso una piccola finestra, che il fuoco era stato acceso, si erano svegliati. Lo capì anche dalla discussione in atto in quella casa, dove tutti si chiedevano che fine avesse fatto.

Helga le buttò le braccia al collo, in un abbraccio materno, quando Hylde varcò la soglia, e si preoccupò ancora di più, vedendola in lacrime, col trucco del giorno prima completamente disfatto. «Non posso più tornare a casa, Helga. Non ho più nessuno.». Non singhiozzava più, gli occhi sbarrati, bagnati dalle lacrime, si erano fatti ancora più chiari di quanto fossero normalmente.

«Cos’è successo? Sei ferita?», chiese Brandr, provando a non far trasparire la propria apprensione, anche se era scattata sull’attenti quando Hylde era tornata.

Helga invitò la ragazza a sedersi su un piccolo sgabello di legno, con premurosa attenzione le accarezzò i capelli e la rassicurò: «Puoi stare da noi quanto vuoi, anche per sempre, se non trovi di meglio.».

Floki le diede man forte: «Certo! Fai parte della famiglia ora, se lo vuoi.». Vicino a lui, Brandr si lasciò andare a un sorriso incoraggiante, in sostegno alle parole dei genitori.

Hylde si coprì il volto con le mani, commossa per quella dimostrazione di affetto disinteressato e di fiducia sincera.


Quando tutti si calmarono, Helga pensò che le avrebbe fatto piacere potersi fare un bagno e prendersi qualche minuto con se stessa, per tornare ad uno stato di tranquillità. L’accompagnò quindi nella camera condivisa con Floki, dove c’era un modesto spazio dedicato all’igiene personale, dominato da una bella vasca da bagno di legno, che nel mondo di Hylde sarebbe stata un pregiato oggetto d’antiquariato.

Le due si aiutarono nel riempire quella vasca di acqua calda, scaldata in una pentola in peltro sul focolare della cucina. Nel frattempo Floki e Brandr discutevano divertiti su cosa avrebbero dovuto cucinare per colazione, senza mai arrivare ad un punto d’incontro che soddisfacesse entrambi. Helga, ruotando gli occhi, le sussurrò: «Cucino sempre io proprio per questo motivo. Così non possono lamentarsi.».

Quando ebbero finito, prima di uscire, la donna chiese a Hylde se stesse bene e lei rispose, con un sorriso incerto: «Bene... Prometto che mi abituerò presto a tutto questo.».

Helga annuì, comprensiva: «Posso chiederti da dove vieni di preciso?».

Quella domanda non spense il sorriso di Hylde, che rispose sarcasticamente: «Helga, se te lo dicessi non ci crederesti.».

La donna ridacchiò, abbandonando la questione: «Quando vorrai dirmelo, ti ascolterò.», e uscì dalla stanza, lasciandole la privacy di cui aveva bisogno. In quel momento, le ricordò tanto sua madre, che non l’aveva mai forzata a parlare di qualcosa, se non ne aveva ancora la voglia necessaria, o non avesse ancora i modi giusti per farlo. Per lei, quello era un dono: la pazienza di aspettare i tempi delle altre persone e rispettarli.

Hylde si spogliò, affrettandosi a entrare nella vasca, sentiva il freddo entrarle nelle ossa. Si immerse completamente e il contatto con l’acqua calda ebbe su di lei un effetto rinvigorente, si sentì quasi rinascere e il suo umore migliorò. Prese a lavarsi con una pastella profumata rinchiusa in un barattolino di terracotta , decorato con l’immagine di un lupo. Era incredibile pensare a quanto le cose date per scontato ogni giorno, come l’acqua corrente e quindi la possibilità di farsi un bagno caldo, non lo fossero affatto in quel mondo passato. Il semplice atto di lavarsi non era mai stato così prezioso.

Avendo finito, uscì dalla vasca e si avvolse in un panno pulito lasciatole da Helga sul letto, vicino a dei vestiti puliti. Hylde si vestì in fretta, per non disperdere il calore regalatole dal bagno: la cosa che più le creò dell’entusiasmo fu la morbidezza della biancheria di lino, la più comoda ed avvolgente mai indossata, ed il caldo dei vestiti di lana. Apprezzò molto il fatto che Helga le avesse fatto trovare dei pantaloni.

Hylde raggiunse la famiglia al tavolo, che si era riempito di latte, uova e porridge. Si rese conto solo in quel momento di avere una fame enorme, quel cibo le aveva suscitato un’acquolina impellente. Si unì a loro, sedendosi nel posto vicino al fuoco, nella speranza che il calore aiutasse i suoi capelli ad asciugarsi.

Brandr avvicinò a Hylde una tazza e Floki, che si stava fiondando sul suo piatto di uova bollite, asserì: «Helga fa il miglior porridge di tutta Kattegat!». La moglie arrossì come una ragazzina.

Hylde non riusciva neanche a ricordarsi i tempi in cui la sua famiglia usava sedersi attorno al tavolo, per consumare insieme un pasto. Non aveva ricordo della felicità che stava vivendo in quel momento.

Si gustò la colazione, cercando di seguire i discorsi degli altri. Erano tutti d’accordo sul fatto che lei dovesse innanzitutto imparare la lingua, quindi pensarono che il modo migliore di farlo fosse parlare e conversare. Così, le raccontarono degli avvenimenti più recenti: il banchetto della sera prima era stato organizzato per festeggiare la riuscita delle razzie nel Mediterraneo, a cui tutti loro avevano partecipato, insieme a tanti altri abitanti di Kattegat, guidati da Bjorn La Corazza, figlio di Lagertha e Ragnar Lothbrok.

Hylde quasi si strozzò con il latte: «Quel Ragnar?», chiese stupefatta. Non poteva crederci, il grande Ragnar Lothbrok, il protagonista della maggior parte dei racconti di sua madre.

«Proprio lui.», rispose Brandr, annuendo soddisfatta, e aggiunse: «Era il migliore amico di papà.».

Floki rivolse a Hylde un sorriso triste, mentre afferrava il proprio bicchiere in terracotta colmo di latte fresco: «Mi manca molto, ancora mi pento di non esser partito per il Wessex con lui.».

«Non potevi sapere come sarebbe finita...», lo rincuorò Helga, accarezzandogli dolcemente il dorso della mano.

«Avrei potuto aiutarlo, Helga. Fare qualcosa...», fece lui, arrabbiandosi con se stesso, provando ancora quel senso d’impotenza che aveva provato il giorno in cui apprese la notizia della sua morte. Hylde si sentì male per lui, non osava nemmeno immaginare il carico di sensi di colpa che si portava sulle spalle.

La parte razionale della famiglia, Brandr, consigliò al padre, con fare incoraggiante: «Farai meglio a usare tutta quella rabbia durante la spedizione di quest’estate, padre.»

Davanti all’espressione interrogativa di Hylde, la ragazza spiegò che Bjorn e gli altri figli di Ragnar (Ivar, il ragazzo conosciuto la sera prima, Ubbe, Hvitserk e Sigurd) avevano intenzione di vendicare il padre uccidendo il re di Northumbria, Aelle, responsabile diretto della sua morte, e re Ecbert, sovrano del Wessex, per averglielo consegnato. Volevano organizzare una grandissima armata, composta da tutti i clan e i popoli della Scandinavia. Dopotutto, Ragnar era stato il più grande e il più amato re vichingo della storia: ogni popolo a loro conosciuto sarebbe stato felice di mettere a ferro e fuoco l’Inghilterra in suo onore. Per questo la città, nei mesi a venire, si sarebbe riempita di persone e popoli stranieri, in attesa della partenza prevista per i primi mesi caldi.

«Non vedo l’ora di far saltare di nuovo qualche testa!» esclamò Brandr con sadico entusiasmo, facendo roteare in aria per poi riprendere al volo la sua ascia affilata. Si rese anche conto di essere in ritardo per l’allenamento con gli altri guerrieri della città, quindi uscì di fretta, salutando tutti e invitando Hylde a raggiungerla, se ne avesse avuto voglia.

Hylde capì di non avere un’occupazione, quindi chiese come potesse essere utile.

«Potresti aiutare Floki.», suggerì Helga, cercando lo sguardo del marito, mentre iniziava ad organizzare le stoviglie vuote per lavarle.

Floki sembrò molto felice di ricevere un aiuto in più: «Sarebbe perfetto. Ho molto lavoro da fare in questi mesi, prima della partenza.».

Helga tornò vicino al tavolo e, appoggiando una mano sulla spalla dell’uomo ancora seduto, spiegò: «Floki è il miglior costruttore di navi della Norvegia, puoi immaginare il carico di lavoro in questo momento.».

Hylde, con sguardo amabile, decise: «Sarei molto felice di aiutarti, Floki!». Non aveva mai lavorato il legno, o costruito qualcosa fino ad allora, probabilmente sarebbe stato lui a doverle dare una mano, ma l’autocommiserazione lasciò il posto alla genuina voglia di rendersi utile per quella famiglia tanto disponibile con lei.
  
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