Serie TV > Vikings
Segui la storia  |       
Autore: Laisa_War    06/01/2021    1 recensioni
Questa storia nasce da una fantasia che accomuna, credo, ogni fan di Vikings (di cui faccio fieramente parte): esser trasportati nel mondo dei figli di Ragnar, per poter interagire con loro e combattere al loro fianco.
Hylde, una normalissima ragazza del 2020, viene spedita nella Kattegat dell'800 d.C. per volere di Odino in persona. Il motivo, per ora, è per lei un vero mistero.
Incontrerà i fratelli Lothbrok, intenti ad organizzare una grande spedizione punitiva ai danni di re Aelle e re Ecbert, colpevoli di aver contribuito alla morte del più grande re vichingo della storia: Ragnar Lothbrok.
Diventerà, col tempo, parte integrante della società vichinga, imparandone gli usi e i costumi. Quella diventerà casa sua, molto più di quanto lo fosse il mondo moderno.
Con questo racconto, i cui capitoli usciranno settimanalmente, spero di potervi trasportare con me in quella fantastica epoca, trasmettendovi le sensazioni che avevo io, durante la scrittura.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La grande sala che si presentò davanti agli occhi di Hylde era mozzafiato, quasi come se l’era sempre immaginata. Era molto buia, ma illuminata abbastanza da un grande focolare centrale, che provvedeva a emanare calore e luce in tutto l’enorme ambiente.

C’erano tantissime persone, distribuite in modo caotico lungo le tavolate riccamente imbandite di cibo e boccali di birra. Notò dei musicisti seduti sui tamburi che poco prima suonavano con trasporto, altri che reggevano degli antichi strumenti a corde. Alcune donne erano sedute sulle gambe dei loro uomini, reggendosi con le braccia attorno al loro collo.

Tutti le puntavano gli occhi addosso con sincera curiosità, come se fosse stata ben più importante della festa appena interrotta, e Hylde, che odiava stare al centro dell’attenzione, si sentì in tremenda soggezione, nonostante facesse di tutto per ostentare una sicurezza per nulla affine al suo reale stato d’animo.

In fondo alla sala svettava, sopra un piccolo palco rialzato, un trono di legno minuziosamente intarsiato. Su di esso sedeva una donna molto affascinante. Hylde la scrutò, mentre veniva fatta avvicinare al palco, davanti alle tavolate: era una donna adulta, segnata dal tempo, con il viso più fiero che avesse mai visto. Aveva gli occhi chiari e i capelli biondi legati in una complicata acconciatura e decorati con una corona d’oro. Portava alle orecchie e sull’elegante vestito blu tante, luccicanti pietre rosse. Anche lei scrutava Hylde attentamente, con faccia seria e imperiosa, come se cercasse di captare le sue intenzioni, come se volesse leggerle dentro. Fece un impercettibile cenno a Torvi, che sguainò obbediente la spada.

Il cuore di Hylde prese a battere a ritmo serrato, si sentì invadere dalla paura. Con le mani legate, tentò istintivamente di coprirsi il volto e il busto, piegandosi su se stessa. Non riuscì neanche a urlare, le parole le morirono in gola.

Con sua grande sorpresa, Torvi le abbassò le mani con fare gentile e tagliò le corde, liberandole i polsi doloranti, con delle ferite superficiali che Hylde si era procurata durante il tragitto, dimenandosi. Tremava come una foglia, nonostante il caldo del focolare, ma si ostinava a mantenere una parvenza di decoro esteriore.

Fu Torvi a rompere il silenzio, spiegando ciò che era accaduto nel bosco, aggiungendo che La Straniera parlava una lingua molto simile alla loro e che conosceva l’idioma sassone. Astrid si unì al discorso, dicendo qualcosa come: «Non potevamo rischiare, quindi l’abbiamo portata qui...», e poi: «Ci ha dato del filo da torcere!», indicandosi il naso, un po’ divertita.

La donna sul trono ascoltò tutto senza staccare lo sguardo da Hylde, tenendola d’occhio, analizzandola con occhio critico, cercando di prendere una decisione. Dopo un tempo che parve infinito, chiese: «Come ti chiami? Da dove provieni?».

«Mi chiamo Hylde e vengo da...dalla Danimarca.», scandì bene lei, prima in danese, poi in norvegese, per essere il più chiara possibile e per capire in che lingua venisse compresa meglio.

La donna le fece capire la propria preferenza per il norvegese, quindi Hylde continuò: «Mi sono persa nel bosco.».

Sperava disperatamente che quello fosse uno scherzo, che facesse tutto parte di una macabra Candid Camera, però si sentì di aggiungere, pur col rischio di sembrare una stupida: «Non sono un nemico, non sono una Sassone.». usò lo stesso accento sentito da Torvi e Astrid e parlò col cuore in mano, cercò di trasmettere tutta la sincerità del mondo. Voleva solo esser lasciata in pace, aveva bisogno di dormire, si sentiva scoppiare la testa.

La donna si alzò dal trono e parlò piano e semplice, riservando a Hylde la stessa possibilità di comprensione: «Io sono Lagertha, regina di Kattegat... E ti credo.». La guardò direttamente e aggiunse, incutendo rispetto: «Ma non ti conosco, non posso fidarmi subito.».

Un uomo di mezz’età, seduto nei primi posti della tavolata più vicina, si alzò agitato, avvicinandosi al trono. Era alto e magro, quasi completamente calvo tranne che per una piccola treccia, con un’importante barba ingrigita e col contorno degli occhi decorato di nero. Parlò in modo concitato con la regina, che gli rispondeva in tono più pacato. Hylde, suo malgrado, riuscì a capire solo degli scorci di discorso.

Lui esordì con: «Io ed Helga vogliamo ospitarla...».

Lagertha si sentì evidentemente presa alla sprovvista e tentò di spiegargli perché secondo lei non fosse una buona idea: «...non la conosciamo, non possiamo rischiare...».

«Fidati di me, Lagertha!», la pregò lui, sorridendo speranzoso.

Discussero animatamente, ma sempre con rispetto reciproco. La regina era sempre più confusa e chiese, abbassando un po’ la guardia: «Perché ci tieni così tanto, Floki?».

L’uomo si illuminò, indicando Hylde: «Gli dei...gli dei pensano sia la cosa giusta. E anche io.».

Vicino al posto lasciato vacante da Floki, sedeva una donna dai capelli molto lunghi e biondi, che entrò nella discussione, a supporto dell’uomo. Aveva una voce gentilissima e dei modi davvero pacati, anche lei si era colorata il contorno degli occhi. «Ci prenderemo noi la responsabilità.», e disse anche: «Lagertha, è una ragazzina, è disarmata...». A Hylde si riempì il cuore di gratitudine nei confronti di quella coppia di persone che, pur essendo delle perfette sconosciute, avevano preso le sue parti e le avevano dato fiducia.

Il viso severo della regina, dopo alcuni secondi di valutazione, si rilassò. «State attenti. Soprattutto tu, Floki.» sentenziò, guardandolo con occhi sinceri. Si vedeva che erano legati da una profonda amicizia, nonostante il divario di autorità.

Hylde ebbe appena il tempo di tirare un sospiro di sollievo, quando un uomo verso la trentina volle manifestare il proprio dissenso. Reggeva un boccale di birra, sembrava aver già alzato molto il gomito e indossava abiti di buona fattura, doveva esser molto ricco. Avanzò barcollante verso Hylde, mostrando alla luce del fuoco metà della faccia tumefatta da una vecchia bruciatura. Le puntò contro il dito e si rivolse agli altri: «Voi dite che l’hanno voluta gli dei. E se fosse Loki? Se fosse un essere maligno al suo servizio?».

Lagertha, che desiderava chiudere quella faccenda almeno quanto Hylde, gli rivolse uno sguardo gelido: «Come?».

L’uomo fece per rispondere con veemenza, avendo notato la stizza della regina: «Guardale gli occhi, hanno il ghiaccio dentro! E i capelli sono puro fuoco!».

Lagertha sospirò con irritazione crescente, annoiata dal blaterare di quell’uomo, per il quale non provava un briciolo di simpatia. Prima che potesse ribattere, fu preceduta da un’infervorata Hylde: «Se fossi un essere malvagio, ti caverei gli occhi... e non aiuterei proprio uno di voi...». Non si preoccupò neanche di farsi comprendere e camminò con passo spedito verso Astrid, che stava nascondendo benissimo il dolore provato per il naso rotto. Con un rapido gesto imparato durante le ore di tirocinio in pronto soccorso, Hylde le raddrizzò il setto nasale, producendo un suono secco. Astrid urlò, ma si ricompose subito dopo, tastandosi il naso come nuovo, e la ringraziò con sguardo incredulo.

Il silenzio fu rotto dalla risata cristallina di un giovane, che iniziò a battere le mani con vigore, dicendo con enfasi: «Ben fatto!». Floki si unì al ragazzo con un sorriso entusiasta ed una risatina acuta: «Visto, Lagertha, è anche una guaritrice!».

La regina scosse il capo con stanchezza, arrendendosi alla singolarità della situazione. Fece segno a Floki di accompagnare Hylde al tavolo, mentre le raccomandava di mangiare qualcosa, vedendo quanto fosse pallida. Infine, ordinò al Conte Egil, così si chiamava l’uomo ubriaco, di rilassarsi e di godersi il resto dei festeggiamenti.

Dato che la situazione sembrava essersi calmata, Hylde volle ritagliarsi un momento d’intimità per chiamare il numero delle emergenze, che avrebbe dovuto funzionare anche in assenza di rete. Si ostinava a sperare che fosse tutto uno scherzo o che fosse capitata in mezzo a un gruppo di pazzi, sicuramente sarebbero state delle spiegazioni migliori rispetto a quelle che stavano balenando in testa: la prima di queste, che fosse tutto vero, che quella fosse la stessa guerriera e regina Lagertha descritta nelle leggende e che fossero tutti veri vichinghi; la seconda, che lei stesse avendo una crisi come sua madre, che stesse manifestando i sintomi della malattia. A quel punto, avrebbe preferito senza dubbio l’esser capitata in un universo ambientato 1200 anni prima.

Disse a Floki di aver bisogno di una boccata d’aria fresca e lui, con fare paterno, le prestò una delle sue pesanti pellicce, per ripararsi dal freddo esterno. Un gesto che la commosse, dopo tutta la paura provata nelle ultime ore.

La ragazza uscì di fretta e cercò uno spazio riparato e deserto dove avrebbe potuto usare il cellulare senza esser vista. Nonostante i diversi tentativi, anche il numero delle emergenze non dette segni di vita e, come se non bastasse, la batteria di scaricò del tutto, oscurando lo schermo del telefono. Hylde imprecò e si lasciò andare ad un pianto nervoso che sapeva di sconfitta, nessuno sarebbe venuto a prenderla. Era bloccata lì, in trappola.

Sentì qualcuno avvicinarsi, alle sue spalle, perciò ripose in fretta il telefono nella tasca del cappotto, quel giorno non aveva portato la borsa con sé. Si asciugò le lacrime con i palmi delle mani e si girò. Si trovò davanti al ragazzo che aveva applaudito, quando lei aveva risposto a tono al Conte Egil. Hylde rimase ad ammirarlo per un po’: si trascinava sul terreno con la sola forza delle braccia, gli occhi erano i più blu e furbi che lei avesse mai visto, il suo sguardo era pura determinazione. La guardava con un vivo interesse, il suo viso era bellissimo, dai lineamenti puliti e ben definiti, sporcati solamente da un piccolo accenno di barba e baffetti. Doveva esser giovane, presumibilmente della stessa età di Hylde, che aveva passato da poco la maggiore età.

Lui continuava ad analizzarla e lei si sentì quasi intimorita. Non osò proferir parola, fino a quando fu il ragazzo a parlare per primo: «Sono Ivar... e i tuoi vestiti sono strani.». Finì la frase con faccia seria, osservando le gambe della ragazza, coperte da jeans attillati e che terminavano con degli stivali muniti di un accenno di tacco.

Sul viso di Hylde si stampò un’espressione molto confusa, davanti alla più comica e ridicola presentazione a cui avesse mai assistito. La sua confusione si trasformò in una risata. Fu la prima risata sincera che si era concessa, dopo mesi di totale tristezza, e fu così liberatorio per lei, che amava ridere anche delle cose più stupide.

Ivar cercò di mantenere la sua aria seriosa, voleva fare l’uomo maturo, ma la sua bocca si piegò in un sorriso genuino e un po’ sghembo, contagiato dalla risata della ragazza. Hylde provò con tutta se stessa a non arrossire di fronte al fascino di quel sorriso, mentre si sedeva per terra accanto a lui, in modo tale da guardarlo bene negli occhi e presentarsi. Gli tese la mano dicendo: «Sono Hylde!».

«No...», scosse il capo lui e disse, afferrandole il polso con delicatezza e facendo aderire i loro avambracci: «Così.». Le aveva appena mostrato il tipico saluto vichingo e stettero entrambi al gioco, quando ripeterono le presentazioni, divertiti, creando una complicità tutta loro. Sul viso gli ricadeva un ciuffo ribelle, separato dal resto dei capelli ben pettinati all’indietro, rasati ai lati. Per un momento, lei si dimenticò di tutto. Erano sparite la paura, la preoccupazione, non c’era più il senso di ansia. Erano solo loro due, come ritratti di una fotografia, chiusi in quell’istante di serenità.

«Sto sentendo Ivar ridere?», chiese qualcuno con incredulità. Scoprirono che la voce apparteneva ad una bella ragazza poco più grande di loro. Era la fotocopia più giovane della donna intervenuta a difesa di Hylde e Floki davanti a Lagertha, solo che lei non aveva un accenno di trucco sugli occhi. Indossava abiti comodi, da guerriera, e alla cintura era legata la sua piccola spada.

Ivar sbuffò con finto astio: «Lei è Brandr, la figlia di Floki ed Helga, la donna che hai sentito parlare prima.», e in più disse, non richiesto: «Siamo praticamente come fratello e sorella.». Fece l’indifferente quando la ragazza gli scoccò uno sguardo allusivo, come farebbe una sorella maggiore che si accorge di dettagli invisibili prima del fratellino.

Hylde non ci fece caso e si presentò a lei, riproducendo il saluto appena imparato e provocando l’entusiasmo del ragazzo.

Brandr prese la parola: «Sei la prima persona che Ivar non insulta, questa settimana.».

Ivar nascose il velo di rossore comparso sulle proprie guance e, schiarendosi la voce, aggiunse: «Mi è piaciuto come hai risposto a Egil. Nessuno di noi lo sopporta.».

Hylde seguiva a fatica i loro discorsi, ma iniziava ad abituarsi alla loro pronuncia. «Quando sono stanca, non sopporto la stupidità.», si spiegò, rendendosi conto di quanto fosse stata impulsiva.

Il ragazzo guardò il proprio respiro condensarsi nell’aria gelida in una piccola nuvola bianca, mentre rispondeva: «La stupidità mi stanca da quando ho iniziato a comprendere il linguaggio.», e la guardò di sottecchi, sperando capisse il sarcasmo.

Hylde scoppiò a ridere: era la cosa più 2020 che un presunto vichingo potesse dire. La sua risata contagiosa conquistò i due ragazzi, che si lasciarono trasportare dall’allegria. Malgrado la bizzarra sequenza di eventi delle ultime ore non la convincesse del tutto, lei fu molto felice di parlare con delle persone della sua età. A casa, la situazione era stata da sempre molto complicata, quindi non le era mai stato semplice avere una vita sociale normale, come quella dei suoi coetanei.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Vikings / Vai alla pagina dell'autore: Laisa_War