LE
ALI DELLA FARFALLA
*
Capitolo 9 – Cataclisma
*
Gabriel
Agreste, stava aspettando il ritorno del figlio in cima le scale, davanti al
dipinto che lo ritraeva insieme a lui, in uno dei giorni più brutti della sua
vita, perché lo tenesse lì e soprattutto del perché si erano fatti ritrarre in
una circostanza simile, rimarrà per sempre un mistero.
Sperava
un giorno, di sostituire quel quadro un po’ tetro, con qualcosa di più allegro,
magari con un nuovo ritratto di famiglia.
Non
si era nemmeno preso la briga di poter inventare una storia per i media, quando
Emilie sarebbe ritornata nel mondo dei vivi, ci
avrebbe pensato a tempo debito, nel caso in cui, con il desiderio non sarebbe
stato possibile cancellare nella mente di tutti, che la signora Agreste, era
scomparsa prematuramente.
Alla
berlina grigia, furono aperte le porte del cancello principale ed il gorilla
aveva parcheggiato davanti la scalinata, come era solito fare.
Durante
il tragitto da casa di Marinette alla sua, aveva
parlato molto con Tikki, ma non di quello che stava
per fare, le aveva chiesto che le parlasse di lei, di farsi ripetere quanto la
sua ragazza era speciale e sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare, al
contrario di lui.
Quando
varcarono il cancello, chiuse la scatolina, salutando la piccola kwami, ma non prima di avergli ricordato che per Marinette era il partner migliore che potesse chiedere.
Salì
le scale velocemente, e raggiunse suo padre, a cui tremavano le mani, perché
pregustava già la vittoria, finalmente dopo mesi e mesi di lotte continue,
sarebbe riuscito a realizzare il suo desiderio e presto, Emilie
sarebbe ritornata al suo fianco, non curandosi di cosa avrebbe sicuramente
perso, o forse in quel momento era così preso da altro, che non gli era passato
nemmeno per la testa.
“Te
li ha dati?” Chiese con voce tremolante.
“Certo,
non ha battuto ciglio. Come hai detto tu papà, lei mi ama, e farebbe di tutto
per aiutarmi e rendermi felice” Lo disse in una maniera tale, che sembrava di
averla raggirata, era un bravo attore, bisognava dargliene atto, una qualità
ereditata dalla madre.
“Lo
sapevo”.
“Ricordati
la promessa: non le torcerai un capello”.
“Non
ho mai voluto fare del male a nessuno, se è questo che intendi, per chi mi hai
preso?”.
“Scusami,
non volevo offenderti o mancarti di rispetto”. Volse lo sguardo altrove.
“Dammeli”
Lo stilista allungò la mano per prendere la scatolina.
“Voglio
esprimere io il desiderio di riportare indietro la mamma”.
“Va
bene, come preferisci, non fa nessuna differenza”.
*
Arrivarono
alla cripta dov’era nascosto il corpo di Emilie, e
dove prontamente era stato allestito un leggio con il grimorio
aperto alla pagina della formula magica.
Accanto
l’anello della distruzione adagiato su un cuscino di velluto viola scuro.
Adrien deglutì
rumorosamente, sperando che il suo piano potesse funzionare, anche se al
momento, sembrava di si.
“Questa
è la formula magica che dovrai pronunciare dopo che ti sarai trasformato e
unito i due kwami” Gabriel indicò la frase, era già
stata trascritta nel modo corretto e come doveva essere pronunciata.
“ESTOI
CAV IRTU SEMPER AMITU” poi sarebbe seguito il desiderio.
Adrien indossò sia gli
orecchini della coccinella, sia l’anello che era solito portare, davanti a lui
si materializzarono Plagg e Tikki.
“Che
cosa stai facendo, moccioso?” Per la prima volta il kwami
nero era terrorizzato, ma ci pensò Tikki a calmarlo.
“Lui
sa quello che è giusto fare”.
“Volete
smetterla voi due?” Tuonò lo stilista incontro a quei due esserini,
non aveva mai sopportato quei fastidiosi insetti, come era sua abitudine chiamarli,
infatti, Nooro era solito a rilegarlo in una scatola,
oltre al fatto che non voleva che scappasse mentre lui era distratto da impegni
di lavoro.
“Si,
si, un gran casino, ecco quello che stava facendo” Plagg
non poteva essere a conoscenza del suo piano, ed era meglio trasformarsi
subito, prima che mandasse tutto a monte “Plagg,
trasformami”. Lo disse non con la solita esultanza, ma in maniera smorta, quasi
forzata.
Gabriel
venne colpito da una luce verde e sorrise con un ghigno soddisfatto.
“Ora
unisci i due miraculous” Gli ordinò.
“Plagg, Tikki: unitevi” Un potere
immenso sentiva crescere dentro di se, diede uno sguardo al libro davanti e in
un batter d’occhio riuscì a leggere e tradurre quegli ideogrammi.
“Ci
siamo, ci siamo. Ora leggi la formula”
Adrien si sentì
mancare.
L’aria
attorno a se si era fatta rarefatta e pesante, rendendo difficile il respirare.
Ansimò
e si trattenne il petto, gli sembrava che il cuore gli scoppiasse e che volesse
uscire dal suo sterno.
Gabriel
accorse a soccorrerlo “Ti avevo detto che lo avrei fatto io” gli disse
adagiandolo per terra per tenerlo tra le braccia, se avesse perso anche lui per
colpa dell’utilizzo dei Miraculous, non se lo sarebbe
mai perdonato.
Era
morto già una volta, quando Emilie lo aveva lasciato,
non poteva permettersi di restare senza il suo unico figlio, che amava così
tanto.
“Papà…” Sussurrò con voce flebile e ansimante “…posso farcela” Cercò di alzarsi a fatica e suo padre lo
aiutò a farlo sorreggendolo sulle spalle.
“Per
la mamma”.
“Per
la mamma” Ripetè suo padre guardandolo negli occhi
sorridendogli.
*
Gabriel
lo lasciò andare, e lo vide barcollare fino al leggio, dal quale si trattenne.
Sentì
il potere accrescere dentro di se, non appena le sue dita sfiorarono quel
libro.
Ansimò
di nuovo e volse lo sguardo al corpo di sua madre.
Tutti
i ricordi che aveva di lei, scorrevano veloci nella sua mente, come le due
lacrime che gli erano appena uscite dagli occhi.
Quando
gli faceva il bagno, si metteva a giocare con lui su quel tappeto di gomma
colorato, l’ultimo Natale trascorso e quel regalo che custodisce ancora
gelosamente sul fondo l’armadio, odiava quel maglione con la renna, ma ora
aveva capito che era prezioso e lo avrebbe conservato con gran cura.
Il
suo sorriso, così simile al suo, Marinette glielo
faceva sempre notare.
Le
lezioni di piano e la sua espressione affranta quando non riusciva a mettere
insieme più accordi, ma la sua mano c’era sempre per guidarlo e fargli fare la
cosa giusta.
Ed
infine il giorno più triste, il suo addio.
Si
stava ripetendo e questa volta per sempre, pensava che averlo già vissuto una
volta, gli avrebbe dato la forza per compiere quel gesto senza esitazione.
“Fa la cosa giusta” Non era la voce di Marinette quella che sentiva, ma quella di sua madre.
“Adrien, ti amerò per sempre, lasciami andare” Suonava come una
supplica, un grido disperato di una persona che non ce la fa più a vivere così,
con quel peso sulle spalle.
Perché
di questo si trattava.
Se
Emilie non fosse morta, Gabriel non avrebbe mai e poi
mai scatenato il caos a Parigi, era soltanto colpa sua se suo marito si
comportava così, trascurando il loro unico figlio, che adesso più che mai,
aveva bisogno di lui al suo fianco.
“Sta vicino a tuo padre, e perdonalo, come ho
già fatto io”.
“Mamma”
Adrien chiuse gli occhi e pianse di nuovo.
“Fallo,
figliolo. Leggi la formula” Gli ordinò imperativo.
“Perdonami,
papà” Sospirò affranto, era la decisone giusta, l’unica cosa che rimaneva da
fare.
Invocò
poi il potere del cataclisma e appoggiò la sua mano destra sulla capsula “Ciao,
mamma”.
Il
feretro iniziò a sgretolarsi in tanti piccoli pezzettini neri, fino a
raggiungere il corpo senza vita di Emilie.
Adrien non ebbe il
coraggio di guardare, mentre compiva quel gesto, copiose lacrime gli stavano
rigando il volto.
“Nooo” Urlava disperato Gabriel e cercava di rimettere
insieme le macerie provocate dal suo attacco.
“Perché
lo hai fatto? Perché? Avremo potuto essere una famiglia”.
“Non
lo saremo mai stati. Sicuramente avrei perso io la mia vita, e questo mamma non
lo avrebbe mai permesso” Il suo anello iniziò a suonare, tra pochi minuti
sarebbe ritornato ad essere Adrien.
“Plagg, Tikki: dividetevi”
Pronunciò.
“Hai
fatto la cosa giusta, Adrien” Sospirò la kwami rossa che andò a posarsi sulla sua mano..
Si
avvicinò a suo padre e gli intimò di consegnarli i due miraculous,
il posto giusto sarebbe stato nella Miracle Box
insieme agli altri.
Non
obiettò, ormai il suo sogno si era sgretolato insieme a quel feretro.
Chat
Noir gli diede le spalle ed iniziò a camminare “Ora potrà riposare in pace,
dalle una degna sepoltura, questa volta”.
“Quando
torni, lo faremo insieme”.
Si
voltò di scatto “L’ho già seppellita una volta mia madre e mi è bastata. Questa
sarà la tua punizione. E non è detto che torni, ti odio papà, per quello che
hai fatto a lei, e per quello che hai fatto a me”.
Un
suono prolungato e un bagliore verde lo avvolse, era ritornato Adrien e Plagg svolazzò accanto
al suo padrone.
“Eh…eh…formaggio” Sospirò mezzo addormentato, fu Tikki ad andargli in soccorso e porgergli una fetta di
camembert.
“Mi
dispiace, figliolo. Io, io non volevo andasse a finire così”
“Però
eri disposto a tutto per il tuo scopo” Il sangue gli ribolliva nelle vene e
sebbene fosse suo padre, lo avrebbe preso volentieri a pugni in faccia.
“Anche
a sacrificarmi!” Ruggì ingrossando la voce, avvicinando una mano chiusa a
pugno, proprio vicino al suo volto.
Era
vero, ma in quel momento non se n’era reso conto, avrebbe potuto perdere lui,
la persona più preziosa al mondo.
Gabriel
abbassò lo sguardo ed iniziò a piangere.
Adrien rilassò la mano
e gli diede le spalle, per quanto in quel momento lo avrebbe voluto vedere
marcire in galera, non riusciva a vedere la sua disperazione, non quella finta
che aveva esternato durante i funerali di Emilie, quella
vera ed autentica che stava manifestando in quel momento.
La
consapevolezza di aver perduto sua moglie per sempre, suo figlio, e che per le
sue azioni, per la prima volta il mondo che aveva costruito attorno a lui, era
crollato come un fragile castello di sabbia, lasciandolo solo a raccogliere i
pezzi.
“Mi
costituirò” Era ancora in ginocchio davanti i resti della moglie.
“Come
se questo servisse ad aggiustare le cose”.
“E
allora che dovrei fare? Sentiamo!”
“La
tua punizione sarà più brutta, papà”
Lo
stilista spalancò gli occhi.
“Dovrai
vivere con la consapevolezza che io non ti amerò più come prima, che per me non
sarai più un esempio da seguire, che per me, sei morto oggi”. Tuonò.
Aveva
ragione, era una condanna peggiore della galera, avrebbe dovuto vivere ogni
giorno con quello sguardo che lo continuava a fissare come se lo volesse
trafiggere con mille lame.
“Torna,
ti prego!”
“Non
puoi sperare che le cose si aggiustino da un giorno per l’altro.”
“E’-e’
vero” Balbettò “Ma tu sei la persona più importante, e non posso perderti”.
“Cinque
minuti fa, te ne sbattevi altamente le palle, di me, volevi solo lei. Come hai
fatto in questi ultimi anni. Da quando mamma è morta, non mi hai più
considerato, mi hai rilegato in una prigione e messo sotto una campana di
vetro, e per proteggermi da cosa? Eh papà? Mi proteggevi da te stesso, e non
dai pericoli che ci son fuori da quella porta”.
“Ti
ho tenuto al sicuro, non volevo farti correre alcun pericolo quando agivo”.
“E
questa la chiami giustificazione? Dovevi solo parlarmi del tuo sporco piano,
prima di metterlo in atto, e non dopo.” Seguì qualche secondo di silenzio “Mi
dispiace, papà, ma non me la sento di restare”.
“Dimmi
almeno dove vai!” Gli Agreste non avevano parenti a Parigi, erano tutti sparsi
tra Londra e New York, non poteva permettersi di lasciare vagare per quelle
strade suo figlio, da solo e disperato, avrebbe sicuramente compiuto un insano
gesto.
“Non
lo so” Scosse la testa.
“Andrai
da lei?”
Adrien non rispose, si
limitò a guardarlo per l’ultima volta e ad incamminarsi verso l’uscita.
*
Continua