Appena varcò la
porta di casa, al ritorno da un caso in cui aveva assistito Ryo e che
lo aveva
tenuto lontano dai suoi cari per alcuni giorni, Mick fu colpito in
pieno petto
dallo straziante silenzio che aleggiava nell’aria; non
c’era il chiacchiericcio
insensato della sua neonata, né il suono dello stereo con la
musica jazz che
Kazue tanto amava o il televisore acceso.
Una luce, però, era
accesa, nella sala, una lampada che illuminava con il suo tenue
chiarore
l’ambiente, rendendolo quasi magico.
Un sorriso furbo si
dipinse sul volto dell’ancora affascinante americano, quando
immaginò che la
sua sposa avesse lasciato la loro bambina con gli amici per il fine
settimana
per poter stare finalmente soli, e rinnovare, tra le fresche lenzuola
di seta,
le loro promesse d’amore che si erano scambiati ormai da
quasi due anni.
Tuttavia, con ogni
passo che Mick Angel faceva, egli sentiva l’ansia salire, ed
un curioso senso
di oppressione, quasi terrore, si impadroniva del suo animo.
Quando vide le
valige, ordinatamente impilate di fianco alla poltrona, capì
che il suo istinto
di sweeper aveva avuto ragione.
Kazue non aveva
lasciato- a chi, poi- Amaya per poter stare un po’ sola con
lui in intimità.
Lo aveva fatto
perché, nel momento in cui lo avesse lasciato, non voleva
testimoni, né
qualcosa che le ricordasse il motivo per cui si erano scelti, tante e
tante
volte ancora.
“Quindi, è
così.”
Mick a fatica strinse i pugni, ancora doloranti dopo anni, e a denti
stretti
guardò il pavimento, rifiutandosi di incrociare lo sguardo
di quella donna che
stava rannicchiata sulla poltrona, a riccio. “E sentiamo, per
quale motivo mi
mandi fuori casa, eh? Non sarò la persona più
facile con cui vivere, Kazue, ma
ti sono sempre stato fedele, lo sai. E la cosa non mi è mai
pesata.”
“Non sei tu ad
andartene, Mick.” Lei sospirò, tra singhiozzi
sommessi, asciugandosi con la
manica le lacrime che le rigavano il bel volto. “Me ne vado
io.”
Gli occhi e la
bocca dell’uomo si spalancarono in un’espressione
di sorpresa; tuttavia, lo
aveva sempre saputo: Kazue
poteva
benissimo fare meglio di lui, meritava molto meglio di un handicappato
ex
tossico e, sì, lo aveva capito già da tempo: lui
era solo un rimpiazzo per quel
grande amore ormai defunto da anni, e, chissà, forse anche
per Ryo, che l’aveva
un tempo desiderata nel corpo, ma mai nell’anima, mentre lei,
sì, lo aveva
amato davvero, rinunciando allo sweeper solamente quando aveva compreso
che,
ormai, nonostante la riluttanza dell’uomo, lui apparteneva a
Kaori sola.
Per Mick, invece,
era stato diverso: aveva amato la dedizione, il coraggio di quella
donna, e la
pace che lei gli donava. Eppure, non era bastato. Aveva capito da tempo
che le
cose non andavano come dovevano, ma pensava fosse un po’ di
crisi del settimo anno
giunta in anticipo; e comunque, avevano avuto Amaya, ed era certo che,
se non
fosse più stata certa dei suoi sentimenti, Kazue non avrebbe
mai cercato quella
nascita, anche se, forse, a desiderare una famiglia era stato
più lui di lei...
“Kazue, ascolta, se
ho fatto qualcosa di sbagliato, credo di…”
“Mi hanno chiamata
al CDC di Washington.” gli disse, freddamente, stringendo i
pugni in grembo.
“Parto domani, inizio tra un paio di settimane ma prima
voglio sistemarmi nel
mio nuovo appartamento.”
Mick sentì la bile
salirgli in gola, e venne assalito da un sentimento di puro odio e
risentimento.
Aveva un nuovo
lavoro.
Si era trovata una
nuova casa.
Se ne sarebbe
andata dall’altra parte del mondo, lasciando lui
lì da solo e…
“Okay. Dovrò
chiedere un po’ di cose a delle mie vecchie conoscenze ma
credo che dovrei
riuscire ad essere di nuovo in grado di viaggiare
e…”
“Quella è casa mia,
Mick,” gli rispose, piccata, alzandosi e standogli davanti.
“Mia, non nostra.”
“Beh, vorrà dire
che mi cercherò una casa mia, perché
dubito che tu possa rinunciare a una tale allettante proposta di
carriera,” le
disse, velenoso e crudele e freddo. “Ma di certo io non
rinuncerò ad Amaya.”
“Sono io a non
volerlo, Mick.” Ammise, con gli occhi bassi. Lui fece un
passo verso di lei ed
alzò una mano come per accarezzarla, ma Kazue si
scansò, abbracciandosi come
per farsi coraggio. “Non te, io… non voglio fare
la mamma e la moglie di
famiglia, ora. Voglio, voglio solo essere Kazue.”
“E non ti è venuto
in mente quando parlavamo di diventare genitori, che non volevi dei
figli?” La
accusò lui, freddo e glaciale. “Siamo stati
insieme anni, e non ti è mai
passato per la testa che non volevi sposarmi?”
“Ero giovane, Mick,
molto più giovane di te.” Lo accusò.
“Non sapevo cosa volesse dirti starti
accanto. A cosa stavo rinunciando.”
“Ah, ecco il
nocciolo del problema!” Mick rise, di gusto, accasciandosi
sulla poltrona che
lei aveva lasciato vacante e accendendosi una sigaretta. “Ti
sei stufata di
stare accanto ad un handicappato di mezza età! Scommetto
però che se il tizio
di mezza età fosse stato Saeba non te li saresti fatti tanti
problemi, e
avresti continuato a scaldargli il letto…”
“Sei crudele,
Mick!” Lo accusò lei con grinta e coraggio.
“Forse,” Mick
lasciò andare una boccata di fumo che raggiunse il soffitto.
“Ma lasciatelo
dire, dolcezza. Tanto gentile con me non lo sei stata nemmeno
tu…”
“Grazie, non sapevo
proprio come fare.” Seduto nel salotto di casa Saeba, Mick si
allentò la
cravatta, ed accettò di buon grado il liquore che il
migliore amico ed ex socio
gli offriva. Kaori era nella stanza di Hide, che aveva messo a letto
con la
piccola Amaya. La bambina aveva pianto a dirotto, un po’ per
le coliche, un po’
per i primi denti che le stavano spuntando: nulla di che, stava
accadendo anche
al suo bambino, ma lei non era sola ad affrontare le notti insonni ed i
problemi, lei aveva Ryo.
Mick… beh, Mick
adesso aveva lei. O meglio, loro: perché, anche se ancora un
po’ gli seccava
vederlo gironzolare per casa sua e piagnucolare sulla spalla di Kaori,
Ryo si
era comunque visto ben disposto a supportare l’amico durante
e dopo il
divorzio.
La rossa le avrebbe
come minimo spaccato la testa, alla cara Kazue: faceva tanto la buona
crocerossina, ma
appena aveva potuto
aveva spalancato le ali e mollato tutto e tutti. Non le rimproverava il
desiderio di carriera, quanto l’aver unilateralmente deciso
che voleva solo
quello, quando avrebbe potuto benissimo continuare a fare la mamma, la
moglie e
il medico: Mick sarebbe tornato volentieri nel suo paese, sarebbe stato
ben
felice di fare il casalingo, stravedeva per la figlia ed era davvero
molto
portato come uomo di casa, non come Ryo.
“Senti, ma perché
non la raggiungi tu? Magari…”
“No, non se ne
parla.” Ma Mick scosse il capo alla domanda
dell’amico. “Lei non vuole essere
madre. Dice che l’ho convinta io, che mi ha accontentato
perché sperava di
salvare il matrimonio, ma che lei figli non ne ha mai voluti. No,
credimi…”
Sbuffò, lasciando ricadere il capo contro il poggiatesta.
“Ormai non c’è nulla
da salvare, ed io non ho intenzione di imporle Amaya così
che poi si sfoghi con
lei. Meglio che faccia la madre a distanza e part-time, credimi, colpa
mia,
avrei dovuto capirlo da solo che lei non era interessata, ma,
sai… non volevo
vedere e quindi mi sono rifiutato di arrendermi
all’evidenza.”
Ryo si voltò, in
silenzio, verso la camera del figlio, e sorrise, sentendosi colpevole
come un
cane: lui aveva tutto. Il suo amico… Amaya, che sapeva
essere amata come la
cosa più preziosa al mondo. Ma la domanda che attanagliava
lo sweeper era: alla
lunga, sarebbe bastato? Inoltre, non lo voleva ammettere, ma da quando
Kazue se
n’era andata, Mick, che aveva preso a trascorrere sempre
più tempo a casa loro,
aveva preso a osservare Kaori con uno strano sguardo, uno che,
purtroppo, Ryo
conosceva bene. Mick l’aveva guardata così prima
di lasciarle un casto bacio
sulla guancia, e salire sull’aereo dove avrebbe trovato la
presunta morte.
All’epoca, lui aveva lasciato andare Kaori, un po’
perché aveva capito che per
lei esisteva solo il suo socio, un po’ perché non
c’era gusto a non rubare la
donna d’altri. E poi, era arrivata Kazue a scombussolargli la
vita.
E adesso?
Adesso, lui era
single, sarebbe potuto di nuovo tornare a caccia, e chissà,
magari aveva di
nuovo messo gli occhi addosso a Kaori, adesso che era impegnata, e che
aveva
visto che ottima madre fosse -non che ne avessero mai avuto alcun
dubbio: lei
aveva cresciuto praticamente tutti loro…
Kaori uscì dalla
cameretta ed andò in cucina, dove prese due bicchieri
d’acqua e delle aspirine-
ci erano andato giù pesante quella sera- e li
portò ai due uomini. Scompigliò i
capelli di Mick, come fosse stato un bambino, e a Ryo, che ricevette un
veloce
bacio, si sciolse il cuore.
Non importava se
Mick avesse mire su Kaori o meno.
Lei sarebbe stata
sua, e lui suo, fino alla fine dei tempi, e niente e nessuno li avrebbe
mai
divisi.
“Sei sicuro che non
disturbo?” Mick entrò nell’appartamento
della coppia di sweeper con le braccia
piene; da una parte aveva Amaya, che adesso aveva tre anni, imbacuccata
con
piumino, sciarpa, berretto, guanti e stivali (neanche avesse dovuto
fare due
chilometri, invece dei cinquanta metri scarsi che dividevano le case
degli ex
soci in linea d’aria), nell’altra un borsone pieno
di regali, per cui Ryo lo guardò
un po’ storto.
“Mick, bello,
guarda che in Giappone solo le coppiette si fanno regali. Pensavo che
dopo
tutti questi anni lo sapessi…” Ryo
sbuffò, scrollando le spalle, grato che
Kaori avesse intuito questa possibilità e avesse preso dei
pensierini per Mick
e la figlia. “Bastava che portassi del vino, del liquore, o
dei cioccolatini.”
“Beh, ho anche
portato dei pasticcini…” l’ex sweeper
ammise, arrossendo lievemente, mentre
liberava da quel bozzo soffocante la figlia, che era più
rossa di un peperone. “Però
mi dispiaceva venire e non portare dei regali. Non è da buon
padrino, e
soprattutto da buon cattolico.”
“Ah! Questa è
buona!” Ryo scoppiò a ridere, e gli diede una
pacca sulla schiena così forte
che l’americano vacillò e perse
l’equilibrio. “Dubito che un buon cattolico
farebbe lo sweeper!”
“Sì, beh, allora
diciamo che mi dispiaceva intromettermi. Questo è il primo
Natale che passi con
la tua famiglia…” Mick gli mise leggermente il
muso, mentre, allungando il
collo, scorgeva gli ospiti presenti alla festa organizzata da Kaori;
Mick li
conosceva di nome, e perché Ryo, un po’ paranoico
(e a ragione), quando Kaori
aveva avuto la brillante idea di mandare un suo tampone ad una
compagnia che si
occupava di genealogia, aveva investigato sui
“presunti” parenti che erano
saltati fuori. La coppia aveva però tenuto strettamente
divise le due vite
di Ryo, e Mick era il primo della
loro sgangherata famiglia allargata ad incontrare i parenti biologici
dell’ex
socio: lo zio Tetsui, gemello del padre dello sweeper, sua moglie Kiyo,
il loro
figlio Takeshi (più giovane di Ryo di un mesetto) con la
moglie Sakura ed i
suoi due figli adolescenti, che si erano riuniti per festeggiare il
tanto
agognato arrivo di Shan, la bambina che Ryo e Kaori avevano cercato di
avere per
quasi due anni.
Gli occhi degli
sweeper si incrociarono, e Ryo si trattenne dal dire qualcosa di
sdolcinato,
cose che non erano da lui, nonostante considerasse Mick una parte della
sua
famiglia come e più dei suoi ospiti.
Con Amaya che li
teneva per mano, i due sweeper andarono in sala da pranzo, dove il
chiacchiericcio era davvero molto forte, e Ryo sorrise a Mick, con una
strana
luce negli occhi che l’amico non comprese. Tuttavia, una
volta che si trovarono
davanti al tavolo, lo sweeper giapponese fissò, stupito, il
fraterno amico, che
aveva avuto una reazione ben diversa da quella che si era aspettato.
Niente avances
moleste o altro. Niente baci rubati o tentativi di assalti. Non si
comportava
nemmeno da cretino allupato patentato come suo (loro) solito. Oh,
no… Mick
Angel fissava a bocca aperta la donna- anzi, le donne- sedute al tavolo
che
chiacchieravano con un sorriso sulle labbra.
Vedeva doppio.
Anzi, no, perché una donna- Kaori- era rossa coi capelli
corti mossi, l’altra
castana con una lunga chioma liscia. I visi, però, erano
identici in tutto e
per tutto.
“Che c’è Angel, il
gatto ti ha mangiato la lingua?” Ryo gli domandò,
un po’ maligno, dandogli una
serie di leggere pacche sulla schiena come per risvegliarlo.
“Oh, non ti avevo
parlato della sorella di Kaori, Sayuri?” Lo aveva fatto di
proposito, era
curioso di vedere se Mick si sarebbe comportato con la sorella maggiore
come
faceva con la minore, se, come il buon Ryo, avrebbe avuto
l’immediato desiderio
di gettarsi in quelle forme generose per avere anche solo un sentore di
quello
che avrebbe potuto provare con la versione originale.
“Oh, Mick, sei
arrivato!” Raggiante, Kaori lasciò il suo posto a
tavolo e raggiunse l’amico,
dandogli un bacio sulla guancia. “Buon Natale Mick
e… ma stai bene?” La rossa
sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, toccando al
contempo la fronte
dell’amico di lunga data chiedendosi se avesse la febbre.
No, Mick era
piuttosto freddino, in realtà. Quindi il motivo per cui non
le stava saltando
addosso o chiedendo ardenti baci focosi non era che fosse malato.
però, si disse,
c’era qualcosa di strano, in lui. Aveva la bocca
così aperta che sembrava che
la mandibola si fosse slogata, e fissava un punto alle spalle di Kaori.
La rossa si voltò
seguendo la sua linea visiva, e sorrise machiavellica, con uno sguardo
da
criminale di carriera alle prese con il suo più grande
piano.
Mick era rimasto
incantato alla vista della sorella di Kaori, la giornalista Sayuri;
parlarono
per tutta la sera, avvolti come in una nuvola tutta loro, e Sayuri, che
col
marito non aveva avuto figli ma che i bambini li adorava, si
interessò alla
piccola Amaya senza tuttavia essere invadente. Kaori guardava da
lontano la
scena con gli occhi lucidi, felice che la sua intuizione fosse andata a
buon
fine: sua sorella ed il suo migliore amico erano davvero una bella
coppia, e
sembravano ben affiatati. Ryo ogni tanto le lanciava
un’occhiataccia
inquisitoria, ben capendo dove la sua mente vagasse, ma lei si limitava
a
scrollare le spalle; lui usciva da un divorzio che, per quanto
semplice, lo
aveva lasciato col cuore a pezzi, lei da uno che era stato lungo e
complicato.
Entrambi lo sapevano, e sinceramente… fosse stato amore,
bene, sarebbe stato
perfetto, ma fosse anche solo un testare le acque e riabituarsi a
frequentare
l’altro sesso sarebbe andato bene lo stesso,
perché, in fondo, gli avrebbe
fatto bene comunque.
C’era qualcosa che
preoccupava Ryo, un tarlo che lo opprimeva così tanto che
nemmeno il sesso era
riuscito a scacciare quel pensiero opprimente.
“Allora…” Kaori
iniziò, disegnando arabeschi immaginifici sul petto nudo del
suo uomo con un
dito, sdraiata accanto a lui vestita solamente della camicia che gli
aveva
precedentemente strappato di dosso. “Devo preoccuparmi che la
gravidanza mi
abbia reso meno seducente ai tuoi occhi, signor Saeba?
Perché l’ultima volta
che ti ho visto così pensieroso post coito è
stato dopo la prima volta che
siamo finiti a letto insieme….”
Ryo si voltò verso
di lei, con sguardo ,malandrino ed un sopracciglio alzato; mosse una
mano, che
andò, birichina, a giocare con uno dei seni della donna,
soppesandolo e
facendolo sobbalzare sul palmo ruvido. Paonazza, Kaori
sussultò quando.
ghignando, Ryo strinse il capezzolo tra due dita, facendo uscire due
gocce di
perlaceo liquido dalla florida punta a cui diede una veloce leccata con
la
punta della lingua come se fosse stato un cagnolino che faceva le feste
alla
sua padrona, e Kaori, incerta se fosse per l’atto stranamente
erotico di Ryo
che assaggiava il latte che il suo corpo produceva per loro figlia, o
perché
avesse sempre trovato conturbante la visione di quella criniera scura
contro la
sua pelle d’avorio, sussultò in preda ad una
profonda eccitazione. Lo sweeper,
ad occhi chiusi, inalò l’aroma del desiderio della
sua donna, e soddisfatto se
ne tornò a coricarsi nella sua metà del letto,
con le braccia incrociate dietro
al capo ed una gustosa erezione che svettava sotto alle coperte.
“Eh, no, socia, sei
seducente come sempre, anzi, la gravidanza ti ha reso ancora
più bella… ad
allattare ti sono venute certe tette, e poi, sei diventata molto
più gustosa!”
Le disse, con tutta la calma del mondo.
Kaori sospirò,
sentendosi sconfitta. Era inutile, Ryo era Ryo e se non faceva un
po’ il porco
per sdrammatizzare non era contento.
“Ryo… cosa
c’è?”
Gli chiese, perché se faceva il cretino voleva dire che un
problema c’era, e
non era lei.
Lo sweeper rimase
in silenzio per quello che apparve un lunghissimo tempo, gli occhi
fissi sul
soffitto prima di riprendere a parlare. “Non ti preoccupa che
Mick frequenti
Sayuri? Voglio dire… non ti chiedi se sia…
insomma… se esca con lei
perché…”
“Perché mi
somiglia? Dai, Ryo, Mick non è così veniale. E
comunque, lui ed io
siamo amici, ha smesso di essere
innamorato di me da tanto tempo.” Ridacchiò,
riprendendo le dolci carezze. “E
poi, con lei fa il gentiluomo, e tu e lui, lo fate solo quando siete
seri…”
“Dici?” Non era del
tutto convinto della sua affermazione. Lui, gentiluomo? Ma quando?
“Uh, uh.” Sensuale
e maliziosa, Kaori si sdraiò su di lui, i loro corpi nudi
che si strusciavano
l’uno contro l’altro, madida pelle contro madida
pelle, eccitandosi a vicenda.
“Non ti ricordi quando siamo tornati dalla radura? Appena
siamo entrati in casa
io mi sono messa sulle punte e ho cercato di darti un bacio, ma tu mi
hai presa
per le spalle e tenuta a distanza, e guardandomi negli occhi mi hai
sorriso
timido e mi hai chiesto, Kaori, vorresti
venire a cena con me domani sera? E poi… e poi
hai iniziato a corteggiarmi,
e mi portavi fiori, cioccolatini.. prendevamo la macchina e andavamo a
fare
gite fuoriporta, perché non volevi tenermi per mano davanti
a tutti quelli che
sapevano che siamo City Hunter.... Eri l’ultima persona da
cui me lo aspettavo,
e io non sapevo se essere stupita o frustrata perché non mi
davi nemmeno un
bacio…”
“Eh, ma tu eri
diversa, mica potevo saltarti addosso come un maiale in calore come
facevo con
tutte le altre, poi rischiavo che pensassi di essere una delle tante, e
tu
invece sei stata la prima e volevo che fossi anche
l’ultima…” Ammise, sornione,
prendendo a giocherellare con quanta più pelle della sua
donna che poteva,
senza mai smettere di guardarla negli occhi.
“Sull’ultima poco
ma sicuro, ma ho dei seri dubbi,” Kaori alzò un
sopracciglio, con fare
interrogativo. “Sul fatto di essere stata la tua prima
amante, caro il mio
stallone…”
“Beh, sì, non sei
stata la prima donna con cui sono andato a letto, e forse nemmeno la
prima di
cui dicevo di essere innamorato…” Ammise lui,
arrossendo lievemente mentre le
prendeva la mano tra le sue e portandosela al cuore. “Ma sei
stata la prima che
ho amato prima qui, e poi....” Sogghignò, con la
sua aria da maniaco patentato,
mentre faceva scorrere la manina di Kaori sul suo corpo, molto
più a sud, fino
a che non giunse a sfiorare il setoso acciaio della sua eccitazione.
“Qui.”
“Tu, Ryo Saeba, sei
un cretino patentato…” gli disse. Eppure, mentre
lo diceva, gli diede un bacio
da capogiro.
“Allora, che novità
ci sono?” Sayuri aveva telefonato a Kaori dicendole che
sarebbe passata a
trovarla quella mattina; ormai, al suo ritorno a New York, mancavano
pochi
giorni, e le sorelle approfittavano di ogni momento per stare insieme.
Tuttavia, c’era qualcosa nell’atteggiamento della
giornalista che preoccupava
Kaori: non la guardava negli occhi, e si stringeva le dita.
“Sayuri?”
“Mi hanno offerto
di dirigere la filiale giapponese di News Weekly qui a
Tokyo.” Ammise, a voce
bassa. Kaori fece un fischio, impressionata; chiaramente, da editor e
direttore, sarebbe stato un bel passo avanti per la sua carriera, per
non
parlare che cosa avrebbe significato nel grande schema delle
cose…. Sayuri era
giovanissima e donna, quante potevano vantare una simile posizione?
Quanti
uomini suoi coetanei avevano già raggiunto i suoi traguardi
alla sua stessa
età? Sarebbe stata una bella conquista per il movimento
femminista.
“Non mi sembri
molto felice…”
“Il fatto è che la
mia vita ormai è a New York, e poi…”
Sospirò. “Sai, mi sono sempre detta che
non avrei mai fatto come nostra madre che aveva permesso a nostro padre
di
prendere le redini della loro storia, eppure con Kevin ho fatto la
stessa cosa,
e credo… forse sto facendo la stessa cosa, di
nuovo.” Con Mick, senza
bisogno di aggiungerlo; Kaori lo capiva anche da
sola.
“Sorellina…” Kaori
le disse, gentile e soave, stringendole la mano. “Dimenticati
di Mick per un
attimo: se lui non ci fosse e ti avessero offerto il lavoro, cosa
avresti
fatto?”
Lo avrebbe
accettato, lo sapeva: non solo perché era un riconoscimento
dei suoi obiettivi
e delle sue indiscusse qualità, ma anche perché a
Tokyo aveva la sua famiglia,
la sorella e due adorabili nipoti.
Mick... beh, Mick
era giusto un punto a favore in più. E poi,
chissà. Forse Kaori aveva ragione,
e per una volta faceva sul serio.
Due mesi dopo,
mentre erano abbracciati a letto, nudi, lui le diede un dolce bacio
sulla
fronte, ammettendo imbarazzato di essere innamorato… e da
quell’appartamento,
Sayuri, non si mosse mai più.
(Almeno fino alla
notte prima delle nozze, civili, che celebrarono nel parco; quella, lei
la
passò a casa della sorella, che, contrariamente a quanto
tutti si aspettavano,
non le fece da damigella, ma fece da testimone- a Mick.)