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Autore: Doux_Ange    16/01/2021    0 recensioni
E se qualcuno iniziasse a soffrire di insonnia? Quale miglior modo per ovviare al problema, se non attraverso le favole della buonanotte? Naturalmente rivisitate, con Anna e Marco per protagonisti!
[La raccolta si inserisce nel contesto di DM12 - 2.0, perché troviamo i nostri personaggi Vocina, Grillo e Lottie, ma può essere letta comunque, perché le 'storie' saranno ambientate tra DM11 e DM12, quindi i due anni off-screen]
Buona lettura!
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL PRINCIPE TRISTE
 
Cri cri... cri cri...
 
Oddio, no! Di nuovo!
 
Ops...
 
Grillo, ma non avevamo risolto con ‘sta cosa dell’insonnia? Perché hai ricominciato a frinire, la notte?!
 
Scusami, Vocina. È che di nuovo non riesco a dormire. A furia di rileggere la favola di Cenerentola che abbiamo scritto, ha smesso di fare effetto.
 
Mh, forse sarebbe ora di scriverne un’altra. C’era da aspettarselo, in effetti. Anche se un po’ ci avevo sperato, che durasse più a lungo.
 
Pure io! Comunque, possiamo anche iniziare a scriverla, ma da qui a quando sarà pronta, come facciamo? Qua rischia di non dormire nessuno, per giorni, a causa mia.
 
Beh, possiamo sempre chiuderti in uno sgabuzzino, con un bel pezzo di nastro sulla bocca, e-
 
VOCINA!
 
Scherzavo!! Quanto sei suscettibile, oh. Ma il tuo senso dello humor che fine ha fatto, è andato in vacanza?
 
Prova a non dormire per giorni pure, tu, e poi vedi.
 
Okay, va bene, sei frustrato. Messaggio ricevuto.
 
E quindi che si fa?
 
Si fa come sempre, scemo di un Grillo! Le nostre favole sono già ‘scritte’, dobbiamo solo decidere quale ‘trascrivere’, per te e per i nostri amici lettori...
 
MI raccomando, però: che non sia banale!
 
E quando mai una storia che riguarda Anna e Marco è mai stata banale, scusa?
 
In effetti... però ne voglio una bella, eh! Bella, bella, bella, bella.
 
Questo vizio di ripetere gli aggettivi almeno quattro volte tu e il tuo padrone ve lo dovete togliere! Mi mettete ansia! Comunque, quale storia vuole sentire oggi, Messer Grillo?
 
La tua battuta non faceva ridere. Visto che parliamo di nobiltà e castelli, voglio una storia che ha un Principe per protagonista!
 
Innanzitutto, ricordati che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino del Re. Al massimo, puoi dire: “Vocina, vorrei una storia che parli di un Princi-”
 
Vocina, VORRESTI dormire?
 
Certo che voglio dormire? Ma che c’entra con la storia, questa cosa?!
 
C’entra, perché affinché il tuo desiderio si avveri, io VOGLIO e NECESSITO di una storia che parli di un principe!
 
Sì, ma stai calmino! Sei passato ai ricatti, ora?!
 
Ho imparato da un’amica.
 
Awww, sono orgogliosa di te! ... ma non ti allargare, ché ti chiudo nello stanzino per davvero.
 
Nel frattempo, io voglio la mia storia.
 
OKAY! Fammi pensare... mh... Ci sono! Questa è perfetta!
 
Se magari la racconti, possiamo deciderlo io e i lettori, se è perfetta...
 
Nella mia testa lo è, anche se lì non sapete ancora leggere.
 
Per fortuna, direi. Comunque vedo che anch’io ho un certo ascendente su di te...
 
ODDIO! Mi stai dicendo che sto diventando scema come te? No no no, non è possibile questa cosa, non deve accadere!
 
Non sia mai... comunque, me la racconti questa storia, sì o sì?
 
Questi scherzi non mi piacciono, Grillo. Ma cominciamo...
 
 
C’era una volta, non molto tempo fa, nella cittadina di Spoleto, un principe di nome Marco, che stava finalmente vivendo la sua fiaba da sogno con la sua amata Anna.
Giovane solitamente allegro, era sempre pronto a fare una battuta per risollevare il morale di tutti, soprattutto quello della sua fidanzata. Eppure un bel giorno il sorriso che gli danzava sempre sulle labbra era scomparso, di punto in bianco, lasciando spazio a un’espressione cupa e triste.
La sua principessa non riusciva a capire come potesse essere successo, quale maleficio si fosse abbattuto su di lui, in un momento in cui tutti avrebbero avuto bisogno del suo buonumore. Non poteva essere colpa soltanto del nefasto momento che si erano ritrovati a vivere recentemente, ad averlo reso tanto triste.
 
Scusi, signor Narratore, se la interrompo... di quale nefasto momento sta parlando?
 
Oddio, Grillo, c’eri anche tu! Come fai a non ricordar- lasciamo perdere. Andiamo avanti, ti rinfresco la memoria.
 
Erano passati mesi dalla morte del piccolo Cosimo. Gli sforzi per ritrovare Farina purtroppo non erano serviti a salvarlo, nonostante il trapianto. E il povero maresciallo Cecchini non aveva fatto in tempo a riprendersi da quel dolore che un un nuovo temporale, ancora più terribile, si era abbattuto su di lui all’improvviso. Un nuovo maleficio, che aveva consumato Caterina giorno dopo giorno, in fretta, fino a portarsela via.
 
Era un giorno grigio, nonostante fosse primavera, quello in cui la donna aveva lasciato questa terra. Tutta la famiglia dell’Arma e della canonica si era stretta attorno ai Cecchini, ed erano tutti in ospedale quando fu data la terribile notizia. Nella mente dei presenti era rimasto indelebile il pianto di Assuntina e il mantra “No, non è possibile, non è possibile”, straziante, di Nino. Anna e Don Matteo avevano tentato, con scarsissimi risultati, di consolare Cecchini, e neanche Zappavigna era riuscito nel tentativo di placare le lacrime della fidanzata.
Il dolore non guarda in faccia nessuno, nemmeno una famiglia già toccata da un immenso dolore come la loro.
 
Caterina era stata amata da tutti, era la metà perfetta di Cecchini. Amante della vita e della sua famiglia, non c’era niente che non avrebbe fatto per chi aveva accanto. Aveva sempre una soluzione pronta per tutto, come il marito, anche se le sue idee avevano più spesso il lieto fine. Nel periodo della malattia, la donna aveva sofferto molto per la mancanza dei nipoti, ormai a Roma da quando Tommasi era stato trasferito per la sua promozione, e Assuntina aveva cercato di sopperire a quell’assenza il più possibile, posticipando la sua partenza per Parigi, dove sarebbe andata a studiare.
 
Ad aiutarla, c’erano stati anche Anna e Marco, a cui la signora Cecchini si era molto affezionata.
Se per Anna il maresciallo era diventato come un padre, Caterina aveva rappresentato per Marco una sorta di madre, ancor di più da quando lui e la Capitana avevano cominciato a frequentarsi ufficialmente. La signora, infatti, diventava la spalla del povero pm ogni volta che Cecchini si impicciava nei loro affari di coppia, finendo per provocare guai piuttosto che risolverli.
Marco non lo avrebbe mai ammesso, ma Caterina Cecchini era riuscita a sopperire, seppur per un breve lasso di tempo, a una mancanza di fondo nella sua vita. Una voragine che lo accompagnava ormai da anni, ma di cui non aveva mai parlato a nessuno. No, nemmeno ad Anna. Non come avrebbe dovuto e, soprattutto, voluto.
 
Anche per questo il nostro Marco, in quel giorno cupo per tutti, era rimasto in silenzio, seduto in disparte, incapace di formulare tutti i sentimenti che gli si erano annodati in gola. Nessuno aveva fatto troppo caso al suo sguardo che andava avanti e indietro tra Assuntina e l’orologio appeso al muro, che segnava l’inesorabile passare del tempo e l’impotenza dell’affetto in certi casi. Quando il medico era venuto fuori dalla stanza, annunciando a bassa voce che Caterina non ce l’aveva fatta, le sue parole in apparenza non avevano avuto alcun effetto su di lui.
Non aveva versato una lacrima, né quel giorno né quelli successivi, eppure c’era qualcosa in lui che sembrava non funzionare più come prima. Come se gli ingranaggi si fossero improvvisamente bloccati.
 
Era passato poco più di un mese dalla morte della donna. Tutto, lentamente, aveva ripreso il suo corso, anche se il maresciallo si stava lasciando andare allo sconforto, preoccupando chi gli voleva bene, soprattutto la figlia che aveva rimandato ancora la partenza per Parigi pur di non lasciarlo solo. L’uomo aveva perfino mormorato di voler lasciare la divisa, di getto, pochi giorni dopo il funerale dell’amata moglie. Assuntina però, con Anna a darle manforte, lo aveva fatto tornare sui suoi passi, facendolo riflettere sul fatto che se ne sarebbe pentito, sicuramente. Lui stesso aveva dato ragione alle due ragazze, qualche settimana dopo, perché almeno il lavoro gli permetteva di distrarsi dal suo dolore.
Ci sarebbe voluto tempo, e l’aiuto di tutti, ma si sarebbe ripreso. Con una parte in meno, certo, ma ce l’avrebbe fatta, per se stesso e le persone che amava.
 
In tutto ciò, però, c’era anche un’altra persona che preoccupava la principessa Anna.
Marco, il suo fidanzato. Era strano, non era il solito giocherellone, si estraniava spesso perdendosi nei propri pensieri. Aveva perfino rifiutato di andare al pub a vedere le partite con gli amici, appuntamento quasi fisso nonostante gli scarsi risultati della sua squadra del cuore. Se poteva, evitava perfino le passeggiate con Patatino e Anna trovando ogni volta una scusa diversa, ed era assurdo perché in genere non vedeva l’ora che si facesse sera.
La cosa che però più stonava era la sua apatia. Non faceva più battute, né rideva a quelle degli altri. Perfino i suoi sorrisi, quelle pochissime volte che riuscivano a farsi strada sulle sue labbra, apparivano spenti.
Sembrava che un maleficio avesse oscurato il suo regno, portando via l’eterno Peter Pan che viveva in lui.
Anna non riusciva a capire il perché dietro quel comportamento così insolito. Non aveva fatto nulla, lei, che potesse averlo reso così triste e abbattuto, perlomeno non che riuscisse a ricordare. Certo, negli ultimi giorni lo aveva un po’ trascurato, ma aveva un valido motivo di cui lo stesso Marco era consapevole e che aveva approvato. Lui stesso si spendeva per distrarre il maresciallo, facendogli compagnia quando poteva. Anche se, a vederlo, la donna aveva considerato che forse non fosse la persona più adatta a tirar su il morale degli altri, se lui per primo lo aveva sotto i piedi.
Se solo il suo principe azzurro avesse lasciato trasparire cosa lo tormentava, sarebbe stato più facile per lei aiutarlo.
Era frustrata da quella situazione: le mancava il suo Marco, le mancava la sua costante ironia, le battutine, la vivacità anche nei momenti in cui ottimizzava le energie. Nessuno era capace di farla ridere come lui. Ora, invece, era lei a dover trovare il modo di provocargli una risata, di riportare alla luce quel bambinone nascosto sotto giacca e cravatta. Insomma, toccava a lei, stavolta, trovare la chiave per accedere alla fortezza.
 
Adesso capiva, Anna, le lamentele e le difficoltà del fidanzato quando la situazione era a parti invertite, quando era lui a dover scovare cosa lei si sforzava di celare, chiusa nella sua torre d’alabastro, senza lasciargli spazio e appigli per raggiungerla in cima.
Adesso che Marco aveva bisogno di lei, la donna si sentiva scoraggiata. Perché il suo principe triste non lasciava entrare nessuno, neanche lei.
Non riusciva a spiegarsi, tuttavia, quella sua reazione. Continuava a interrogarsi, senza però trovare risposta. Se fosse riuscita ad aprirsi una breccia in quel muro di spine, avrebbe quantomeno avuto la possibilità di fiancheggiare quel fossato che le avrebbe permesso l’accesso al cuore della fortezza. Ma, a parte la morte di Caterina, non era accaduto nulla. Almeno, niente di direttamente riconducibile a lui di cui Anna fosse a conoscenza.
Non lo aveva più visto in quello stato, triste e distante, dal giorno in cui si era ripresentata la sua ex, sotto alla caserma, per chiedergli di non far pagare al suo migliore amico la fine della loro storia. L’avvocato era innocente relativamente al caso, ma di certo non per quel resto che al pm faceva male. C’erano voluti tempo e pazienza, ma Marco alla fine aveva superato il dolore del tradimento, era tornato a vivere, seppur col timore di pungersi ancora con un fuso incantato che non avrebbe potuto prevedere, nonostante la determinazione a non lasciarsi più rubare il cuore.
Invece, in mezzo ai mille casini combinati dal maresciallo e alle sue paure che ostacolavano ogni passo, il principe indeciso si era innamorato eccome... di una principessa atipica, sì, ma non per questo meno nobile di sentimenti. E proprio da quella fanciulla, Marco il cuore se lo era lasciato rubare senza accorgersene, donandoglielo. Era lei a custodirlo, ora.
Tutto andava bene, a parte il lutto recente per la scomparsa di Caterina, ma niente aveva lasciato presagire l’accaduto. Quindi, cos’aveva? Quale magia si era portata via il vero Marco?
Perché in apparenza lui si comportava come sempre, tranne per il sorriso che non si faceva più vedere. E per quanto Anna in certi momenti aveva sperato che lui la smettesse con le sue battutine spesso a sproposito e fuori luogo, adesso che non le faceva più, le mancavano. Mancava quella scintilla che rendeva le loro giornate insieme più luminose, più divertenti, più belle. Le mancava il loro battibeccare per spronarsi a vicenda e trovare la soluzione a un caso, o semplicemente per infastidirsi per gioco e fare la pace subito dopo. Le mancava quell’uomo impossibile che quel giorno, davanti alla caserma, le era sembrato misogino e senza cuore, e che invece col tempo aveva scoperto essere il principe azzurro che aveva sempre sognato di avere al suo fianco. Il più improbabile, e per questo perfetto.
 
La giovane aveva tentato più volte di capirci qualcosa, della ragione dietro quella tristezza.
Inizialmente pensava fosse il momento, in fondo tutti erano tristi per la perdita di Cosimo prima e Caterina poi. Ma le settimane erano passate in fretta, e tutti avevano ripreso a vivere più o meno normalmente. Perfino Cecchini ci stava provando. Invece Marco continuava a restare chiuso in quella sua infelicità, nonostante i tentativi di Anna di scuoterlo, coinvolgendo i colleghi di lavoro, i suoi amici... Aveva provato a lasciargli più spazio, pensando che forse, in aggiunta al resto, stessero correndo troppo con la loro storia e magari gli fosse tornata la paura di cambiare. Lo aveva perfino obbligato ad andare a vedere la partita con la sua squadra di calcetto storica, invece di pregarlo di restare a casa con lei come succedeva in genere.
Non era servito a molto.
A dire il vero, una cosa qualche risultato lo aveva avuto, e la prova era proprio il suo ritrovarsi a casa, da sola, seduta sul divano.
 
Intenta a leggere un libro, la sua attenzione era stata catturata da un messaggio arrivato sul cellulare.
Amore, stasera non riesco a passare da te. Ho del lavoro arretrato da completare, altrimenti si accumula ancora di più. Ci vediamo domani mattina in caserma.
Anna sospirò. Non era la prima volta che succedeva, che il lavoro si mettesse in mezzo alla loro relazione. Era fastidioso ma comprensibile, per cui rispose augurandogli la buonanotte, senza sapere però che quella scusa si sarebbe ripetuta anche nei giorni successivi.
Dal primo appuntamento saltato passò un’intera settimana, e per l’ennesima volta la ragazza si ritrovò sul divano, da sola, lo stomaco annodato per il terrore crescente.
Ci pensava da qualche giorno, che forse il problema di Marco era lei. Torturandosi le pellicine delle unghie quasi a sangue, non riusciva a smettere di attribuirsi le colpe. Magari lui si era reso conto che aveva sbagliato. Che non l’amava, che non era lei quella che voleva. Che si aspettava qualcosa di diverso dalla loro storia, e per questo si stava allontanando. Che al lavoro si comportava come al solito perché non voleva che gli altri si accorgessero dei loro problemi di coppia.
Tutto inutile, ovviamente, perché Cecchini se n’era accorto eccome. Aveva provato a parlarne con lei, ma senza insistere più di tanto. Aveva altri pensieri più gravi per la testa, giustamente.
Anche Caterina, se ci fosse stata, avrebbe di certo notato l’anomalia. Aveva sempre una sorta di sesto senso che captava le loro dispute anche quando davvero non lasciavano trasparire nulla.
Anna l’aveva vista spesso parlare col suo fidanzato, quando era capitato che litigassero. Cercava sempre di non farlo avvilire, la signora Cecchini, incoraggiandolo e suggerendogli pazienza e amore, e che tutto si sarebbe risolto presto.
In effetti, avevano un bel rapporto anche loro due, non molto dissimile da quello che lei aveva instaurato col maresciallo.
Ripensandoci ancora, Marco non aveva versato una lacrima, quando Caterina se n’era andata. Non aveva nemmeno ben chiaro cos’avesse fatto, quando il medico aveva dato la notizia, in ospedale. Si ricordava delle reazioni di tutti, ma paradossalmente all’appello mancava proprio quella di Marco.
Strano, perché c’era anche lui, lì con lei. L’aveva stretta a sé per tutto il tempo.
Quindi cos’era successo in quegli istanti, perché la sua memoria non ne aveva conservato il ricordo?
 
I suoi pensieri vennero interrotti dal trillare del campanello di casa.
“Ciao, Anna...” la salutò Assuntina con un mezzo sorriso tirato, quando la porta fu aperta.
“Ehi! Vieni, entra...” la invitò il Capitano, facendosi da parte per lasciarla passare. Non era stupita dal suo arrivo, non era la prima volta che passavano del tempo insieme, soprattutto negli ultimi tempi.
Dopo aver messo la caffettiera sul fuoco, le chiese come mai fosse lì a quell’ora.
“Non so che fare,” mormorò la figlia del maresciallo, giocherellando col braccialetto che aveva al polso, tesa. “Non posso più rimandare la partenza per Parigi, ma non voglio lasciare da solo papà. A dire il vero, preferirei non partire, non so se riuscirei a studiare... penso sempre a mamma, e...”
La frase si ruppe in un singhiozzo.
Anna conosceva molto bene quel dolore, e nella stretta di mano che diede ad Assuntina c’erano tutta la sua comprensione e il conforto che era in grado di darle.
“Lo so come ti senti... perdere un genitore è un dolore terribile. Al di là dell’età, è una ferita che non si rimargina mai del tutto, e non ci si abitua mai, soprattutto se la vita ha già tolto tanto,” sospirò, alludendo a Patrizia. Lei non l’aveva conosciuta, ma la sofferenza era certa fosse simile. “Non posso dirti che col tempo passerà tutto e dimenticherai, lo sai senza che io lo ripeta, ma... imparerai a conviverci. Lo hai già fatto, e adesso devi farlo ancora. Diventerà più lieve, forse, ma non finché non riuscirai a sfogarti. E... se avrai bisogno, se vuoi, io sono qui. Un’amica fa sempre bene...”
Assuntina ricambiò la stretta della donna davanti a sé, grata per le parole che le aveva offerto quella che era il superiore di suo padre, ma che col tempo era diventata una di famiglia, e una sorella acquisita.
La giovane Cecchini ne approfittò per chiederle anche consiglio su Parigi. Aveva ricevuto una borsa di studio per andare a studiare alla Sorbonne, una delle università più prestigiose del mondo, ma aveva dovuto posticipare la partenza per ovvie ragioni.
Anna le suggerì di inseguire il suo sogno, perché se avesse rinunciato, se ne sarebbe certamente pentita. Suo padre era stato il primo a spingerla ad accettare, ed era certa che se ne avessero parlato, lui le avrebbe detto le stesse cose.
“Non devi pensare a ciò che lasci qui a Spoleto, è un’assenza temporanea dopotutto. E per tuo padre non devi preoccuparti. Mi prenderò io cura di lui. Come ha fatto lui con me quando sono arrivata qui. E sono convinta che anche Marco è dello stesso avviso. Non lo lasceremo da solo.”
Assuntina si sentì più tranquilla al sentire quelle affermazioni che, in realtà, non la stupivano. Non aveva dubbi che Anna avrebbe trattato il maresciallo come fosse suo padre, perché lo era diventato, in quei mesi.
Adesso poteva partire.
Le due continuarono a parlare per un po’, finché Assuntina non decise di tirare in ballo un’altra questione spinosa, che però riguardava l’amica.
Aveva notato, poco prima, come la sua espressione si fosse fatta per un attimo cupa nel nominare il fidanzato, e voleva vederci più chiaro. Visto il clima di confessione, le sembrò il momento più adatto.
“Ah, c’è un’altra cosa che vorrei chiederti... come vanno le cose tra te e Marco?” azzardò, tentativamente.
Anna passò immediatamente sulla difensiva. Proprio l’argomento che aveva cercato di evitare.
“Perché?” rispose, tesa. Certo, non l’idea più brillante, replicare a una domanda con un’altra. Un’ammissione di colpa.
“No, così... cioè, a cena papà ha detto che vi ha visti strani. Ha paura che le cose tra voi vadano male. E sinceramente anch’io mi sono accorta che non è come al solito, tra voi due.”
Il capitano sospirò: immaginava che sarebbe saltato agli occhi, ma non pensava Assuntina l’avesse notato. Decise però di non volerle mentire, dopotutto lei si era sfogata giusto poco prima su una questione altrettanto personale.
“... non va tanto bene, in effetti, e non so perché.” ammise a bassa voce. “Ho paura che sia colpa mia. Forse ho fatto qualcosa di sbagliato e non me ne sono accorta, oppure non sono quella che pensava, e... e adesso non fa che evitarmi. Ho provato a parlargli, ma cambia sempre discorso. Ed è più di una settimana che ogni sera cerca scuse per non venire qui a casa o passare del tempo con me... Vorrei solo capire cosa ho fatto per farlo reagire così.” concluse, affranta, il nodo alla gola di nuovo a stringere più forte.
Assuntina aveva ascoltato in silenzio la confessione dell’amica. Non aveva saputo cosa aspettarsi quando le aveva chiesto della sua relazione col pm, e non pensava Anna fosse così insicura, a dire il vero. L’aveva sempre vista come una donna forte, capace di affrontare i problemi a testa alta, senza lasciarsi sopraffare mai. E invece l’amore aveva reso fragile anche lei.
Le rivolse un sorriso comprensivo, riflettendo prima di parlare.
“Sai, forse si tratta di tutt’altro,” commentò infine. “C’è una cosa che avrei fatto bene a dirti prima, ma non pensavo fosse importante. Dopo quello che mi hai detto, però, forse lo è... Cioè, è una mia idea e potrei anche sbagliarmi, magari non c’entra lo stesso, ma vale la pena dirtelo. Tu Marco lo conosci meglio di me, ovviamente, ci capirai qualcosa in più. Il giorno che mamma è morta, ho avvertito più volte lo sguardo di qualcuno addosso, e quando ho cercato di identificare chi fosse, ho incrociato quello di Marco...” spiegò la giovane Cecchini, scegliendo con attenzione le parole. “E per la prima volta da quando lo conosco, il suo sguardo mi è sembrato... vuoto. Sembrava quasi più devastato di me.”
Anna ascoltò attentamente le parole della ragazza cercando di mettere insieme i pezzi di quell’intricatissimo puzzle, senza tuttavia trovare un nesso evidente.
Forse la morte di Caterina aveva molto più a che fare con la tristezza del suo Marco, contrariamente a quanto aveva pensato fino a quel momento. Ma perché? Questo proprio non riusciva a capirlo.
Ripensandoci, lui non aveva mai pianto per quel lutto. Neanche una lacrima, non lo aveva mai visto piangere in quei giorni. Ed era strano, visto il rapporto che aveva instaurato con la signora Cecchini.
Se prima Anna era confusa, adesso lo era anche di più.
 
Marco se ne stava seduto sul suo fidato pouf, in casa sua, con Patatino accucciato guardingo al suo fianco.
Il cagnolone sembrava percepire l’umore tetro del suo padrone, e passava la maggior parte del tempo col muso poggiato sul ginocchio del pm. Faceva così da settimane, da quando Marco aveva iniziato a comportarsi diversamente. Fortunatamente per lui, bastava fargli una carezza per calmarlo.
L’uomo, al contrario, non riusciva mai a tranquillizzarsi.
Da un tempo che gli sembrava infinito ormai faceva fatica a dormire, ad apprezzare le piccole cose.
Soprattutto, evitava di passare del tempo con Anna, ben sapendo che fosse la cosa più sbagliata da fare. Perché avvertiva il tempo scorrere comunque, e ogni minuto passato altrove comprendeva sessanta secondi che avrebbe potuto trascorrere con la donna che amava. Tempo con lei che avrebbe perso senza poterlo più recuperare.
Ma non voleva renderla triste con il suo costante malumore. Non voleva farla preoccupare, star male. Anche perché, lei non c’entrava niente con quel dolore, anzi. Anna era la cosa più bella della sua vita, e con lei avrebbe voluto poter condividere solo la felicità, non quel buio denso e cupo che ormai gli abitava dentro.
Inoltre, la sua fidanzata sapeva ben poco del motivo che lo rendeva così triste.
In realtà lei avrebbe compreso meglio di chiunque altro il dolore che la perdita di un genitore provocava, ma quel giorno, in ospedale, era stato come rivivere tutto un’altra volta. E lui era stato colto alla sprovvista.
 
Mi dispiace, signor Nardi, non c’è stato nulla da fare...
Le parole del medico rivolte al padre avevano scavato una ferita terribile nell’animo del giovane Marco, allora solo un adolescente, quando un arresto cardiaco si era portato via sua madre.
Da quel momento in poi, la sua vita era cambiata in modo drastico. I rapporti già poco idilliaci col padre si erano irrimediabilmente incrinati, spezzandosi del tutto quando, dopo la maturità, lo aveva obbligato ad abbandonare il sogno di diventare un attore per intraprendere ‘un lavoro serio’.
Non era la magistratura la strada che avrebbe voluto percorrere.
Sognava di fare teatro, di vivere mille vite diverse sui palcoscenici di città sconosciute. Di essere Marco Nardi, e al contempo il protagonista delle sue pièces teatrali preferite.
Col senno di poi, la decisione di diventare magistrato si era rivelata comunque corretta, perché era capace in quel lavoro, aveva fatto carriera, e tutto lo aveva portato dov’era. Gli aveva permesso di incontrare la sua principessa e di poter vivere, dopo mille peripezie, la sua favola d’amore.
Il piano B non era stato poi tanto male, perché aveva trovato il suo posto nel mondo.
Tuttavia, la morte inaspettata di Caterina era piombata all’improvviso su di lui, annuvolando il suo regno felice.
E per Marco era stato come perdere sua madre un’altra volta. Non lo avrebbe mai ammesso, ma non avrebbe lasciato che una ulteriore debolezza emergesse. Che il passato col suo carico di paure tornasse a renderlo nuovamente insicuro e fragile.
Anche per quel motivo, quel giorno aveva preferito restare in disparte: non era pronto a spiegare perché stesse così male.
Era abbastanza certo che nessuno lo avesse beccato a fissare Assuntina, mentre involontariamente si rivedeva in lei. Mentre riviveva con lei quegli attimi strazianti in cui il cuore sembra fermarsi.
Marco scosse la testa.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare il dolore. Smettere di ricordare e tirarsi fuori da quella torre in cui si era rinchiuso da solo.
Il suo sguardo si posò sulla mensola di un mobile in soggiorno.
I passi lo guidarono fin lì, per permettergli di prendere quella foto incorniciata tra le mani.
Qualche mese prima, in una giornata annuvolata in cui aveva chiesto ad Anna di dargli una mano a riordinare e buttar via ciò che restava del passato tradito, aveva ritrovato quell’immagine che lo ritraeva, bambino, mano nella mano con la madre Elena.
Lo sfondo lo aveva riconosciuto subito: la Liguria.
Nonostante fosse cresciuto lontano dal posto in cui era nato, un pezzetto di quella terra gli era rimasto dentro e lo aveva portato con sé ovunque era stato. Tutte le estati della sua gioventù le aveva passate lì, in vacanza dai nonni materni. I più bei ricordi di sua madre erano conservati lì, nelle settimane al mare.
Elena non rideva spesso, era una donna severa, ma amorevole, paziente e saggia. Innamoratissima del suo bambino. Era stata una madre presente, forte ma non per questo ingombrante. L’unica cosa che le importava era che lui avesse tutto ciò che meritava, che avesse un’infanzia serena, senza pensieri, e per questo gli aveva nascosto per molto tempo il proprio dolore. Le ferite che si aprivano a ogni traccia di rossetto non sua.
Probabilmente la resilienza l’aveva imparata da lei.
Anzi, in realtà Marco aveva sempre sperato di aver preso tutto dalla madre e poco da quel padre che conosceva a mala pena.
Eugenio non c’era mai. Troppo occupato, il grande psicanalista e scrittore, per curarsi del proprio figlio. Quando Elena se n’era andata, portata via da quel cuore che aveva ceduto, forse si era sentita leggera, finalmente libera, ma in colpa perché lo aveva lasciato da solo con un padre che papà non era mai stato.
Marco era stato arrabbiato per un po’, ma poi aveva capito che la madre non aveva colpe. In realtà non era colpa di nessuno, ma era sempre stato più facile addossarla ad Eugenio. In fondo, non era innocente. In una certa misura, la causa della scomparsa prematura della moglie era lui.
 
Quei pensieri non lo avevano aiutato a riprendersi, affatto.
Semmai, avevano peggiorato la situazione, annodando ancora di più la matassa di filo che aveva usato per cucire le proprie ferite. Era diventato incapace di trovare i due capi e sbrogliarli, più tirava più diventava impossibile districare il tutto.
Gli mancava mamma Elena, quel giorno più che mai. Perché quando aveva conosciuto meglio Caterina, aveva riconosciuto in lei la stessa tenacia e amorevolezza di sua madre.
E il dolore non faceva che diventare più acuto.
Non aveva potuto averla accanto nei momenti più difficili della sua vita. Neanche in quelli più belli.
Avrebbe odiato Federica per ciò che gli aveva fatto.
Avrebbe adorato Anna per il suo amore incondizionato.
Le avrebbe insegnato tutto ciò che di lui forse non sarebbe mai riuscita a sapere, perché legato ai ricordi della sua infanzia e di quella terra aspra e dura, ma capace di regalare frutti straordinari a chi la rispetta.
Con questi pensieri in testa, Marco raggiunse sovrappensiero la cucina.
Con un sorriso malinconico, ricordò quando da piccolo si arrampicava su una sedia per osservare la mamma mentre preparava, rigorosamente a mano e con pestello e mortaio, il pesto con cui avrebbe condito le trofie, anche quelle realizzate a mano.  
Il bambino ormai uomo era convinto di non aver mai più assaggiato un piatto di trofie al pesto buone come quelle che preparava sua madre. Anzi, forse non ne aveva più mangiate e basta, per poter conservare meglio il ricordo.
Tra i suoi fidati ricettari, se ne stava nascosto un libriccino che raccoglieva le ricette di Elena, scritte con la sua bella calligrafia. Non era mai riuscito, lui, a replicare quei piatti, per quanto ci avesse provato. L’unico che non aveva mai nemmeno tentato di fare era proprio quel piatto che gli ricordava l’infanzia felice. Non sarebbe stato come per Proust e la sua madeleine: non avrebbe rievocato nessun ricordo.
Sfilò il vecchio ricettario dal suo nascondiglio, fissando la copertina a quadretti colorati che assomigliava tanto al grembiule di Elena, ma il suo proposito di sfogliarlo venne interrotto dal campanello che lo riportò alla realtà.
Si asciugò in fretta gli occhi, andando poi ad aprire la porta, senza capire chi potesse essere a quell’ora.
 
C’era Anna ad attenderlo dall’altra parte. La sua principessa.
Un debole sorriso si fece largo sul viso della ragazza, non ricambiato però dall’uomo che continuava a restare chiuso in sé.
“Ciao...” mormorò lei, esitante e incerta vista l’accoglienza fredda che aveva sperato di non ricevere. “Posso entrare un attimo? Vorrei... vorrei parlare con te...”
Era difficile anche per lei dover sostenere quella situazione, ma si era detta che non poteva restare senza far niente.
Una volta dentro, Marco non poté fare a meno di notare che Anna era tutt’altro che felice. Anzi, l’espressione tetra era lo specchio della sua. Il garbuglio di fili si fece più stretto.
La donna non perse altro tempo.
“Io non sono cosa ti stia succedendo, perché stai così male, e soprattutto non capisco perché non lasci che per una volta sia io ad aiutare te... Però non mi importa se mi respingi. Continuerò a provare finché non riuscirò a farti sorridere di nuovo. Mi sembra di dover combattere contro una specie di drago che ti tiene bloccato in una torre, ma se devo sono pronta a farlo. E spero di riuscire a vincerlo, presto anche. Perché mi manchi. Mi mancano pure le tue battute stupide e le partite in tv, pensa...” mormorò lei tutto d’un fiato, tenendo lo sguardo basso per paura di ciò che avrebbe trovato incontrando quello di lui.
Quando si decise, lesse la sua incertezza, sentendo il cuore sprofondare.
 
Marco non sapeva cosa dire. Avrebbe tanto voluto aprirsi, ma non ci riusciva. Aveva cercato di isolarsi per superare quel momento senza farle male, ma lei aveva sopportato fino a un certo punto e adesso era lì, davanti a lui, con gli occhi verdi lucidi e sperduti, a chiedergli di fidarsi.
Non poté far altro che cingerla in un abbraccio e baciarla con la forza di un naufrago che si appiglia a uno scoglio in mezzo alla tempesta. Eppure sentiva di non riuscire a restare aggrappato comunque.
Fu il suo cellulare a spazzare via il momento.
Lui lo accolse con sollievo misto a colpa, allontanandosi per rispondere.
Anna rimase sola, immobile, spossata da quel momento intenso che non aveva capito fino in fondo cosa volesse dire.
Si sentiva come prosciugata, sfiancata, la gola arida, come se avesse corso a lungo e invano.
Decise di prendere un bicchiere d’acqua in cucina, per placare quella sete di risposte a domande troppo confuse, ma la sua intenzione fu distratta da un quadernetto posato accanto ai cucchiai di legno.
Benché lo avesse visto solo una volta e di sfuggita, comprese subito si trattasse del ricettario della mamma di Marco, Elena. Sapeva quanto lui fosse geloso di quel libriccino.
Anna si ritrovò a combattere contro la curiosità che la invogliava ad aprirlo.
Cedette.
Bastò un colpetto per far scivolare le pagine fino al punto evidentemente più usato, anche a giudicare dall’angolino in alto piegato a mo’ di segnalibro.
Accanto alla dicitura “Trofie al pesto”, aggiunta con un pastello colorato, c’era la frase “Il piatto preferito del mio Marco”.
Non ne aveva idea, lei. Non glielo aveva mai detto.
Prima che potesse continuare a sfogliare, sentì distintamente i passi del fidanzato tornare.
Quando lui giunse al suo fianco, il ricettario era già chiuso, niente che lasciasse intendere che lei avesse sbirciato all’interno.
Marco non aveva perso quell’espressione triste.
“Scusami, ma mi ha chiamato un collega che ha bisogno di una mano, e devo andare.”
“Va... va bene,” accettò Anna a malincuore, consapevole che non fosse andata come sperava.
Lui sembrò intuirlo, perché perse per un attimo la facciata imperturbabile accarezzandole una guancia.
La ragazza non si accontentò, strappandogli nuovamente un bacio a cui lui, per fortuna, non si tirò indietro.
 
Nonostante ciò, la strada del ritorno non fu serena.
Non riusciva a capire come mai lui avesse tirato fuori quel ricettario, visto che lui stesso le aveva confessato di non aprirlo praticamente mai.
Le tornò in mente la conversazione con Assuntina.
Lo sguardo di Marco sulla giovane Cecchini, il giorno della morte della madre.
Il ricettario di Elena.
Il rapporto tra Caterina e Marco.
La sua tristezza.
Anna si diede mentalmente della stupida, portandosi una mano alla fronte.
Come aveva fatto a non capirlo prima?
Eccolo, il bandolo della matassa: la morte di Caterina e la reazione di Assuntina gli avevano fatto rivivere la propria terribile esperienza con la madre, il giorno in cui l’aveva persa. Ed era triste perché la signora Cecchini in qualche modo gli ricordava Elena.
Ora che aveva capito la ragione, la ragazza si sentì più sollevata, anche se il problema continuava ad esserci: cosa avrebbe potuto fare per Marco, per alleviare la sua sofferenza? Esisteva qualche rimedio miracoloso, una pozione magica?
Di solito, per mitigare il dolore, uno si strafoga di cibo...
Cibo! La Vocina aveva ragione!
 
La sera successiva, Anna era in cucina, intenta a preparare la cena.
Era riuscita a convincere Marco a passare almeno qualche ora con lei, e lui, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva accettato senza accampare scuse. Non che fosse chissà quanto entusiasta, anzi a voler essere onesti era quasi più triste del solito, a giudicare dalla faccia con cui si era presentato al lavoro, la mattina. Però lei era sicura che sarebbe riuscita a tirargli su il morale almeno un po’.
O almeno lo aveva sperato fino a qualche ora prima, perché adesso nella sua cucina sembrava fosse esplosa una bomba.
Le lezioni di Marco avevano fatto miracoli, vista la sua apparente incapacità iniziale, ma forse il pesto fatto a mano con il mortaio era ancora un livello troppo avanzato per lei. Perfino Cecchini aveva bussato alla sua porta, preoccupato, sentendo provenire dall’interno rumori non esattamente rassicuranti. In realtà Anna stava solo cercando di sminuzzare gli ingredienti col pestello, ma chissà cosa sembrava, dall’altra parte del pianerottolo. Forse meglio non saperlo.
Con la preparazione delle trofie era andata leggermente meglio, a parte la farina sparsa ovunque, compreso il pavimento, e il fatto che le ci fossero volute ore per prepararne una quantità sufficiente per due persone.
Stava giusto controllando l’acqua in pentola quando il campanello aveva suonato, facendola sobbalzare appena.
Abbassò gli occhi sul grembiule non esattamente pulito: non aveva avuto tempo di darsi una sistemata, quindi adesso doveva accontentarsi di com’era. Non che il suo principe azzurro si sarebbe lamentato: ormai lo conosceva abbastanza da sapere che avrebbe apprezzato comunque, pure se lei lo avrebbe ricevuto ricoperta di farina e con un inebriante eau de toilette al basilico.
Quando aprì la porta, si ritrovò a incrociare quello molto, molto confuso di Marco che la squadrò dalla testa ai piedi, e viceversa, un sopracciglio alzato.
Anna gli liberò la strada, abbassando la testa al culmine dell’imbarazzo: forse in effetti non era stata una grande idea, accoglierlo in quello stato.
Alzati gli occhi, si rese conto che il suo fidanzato stava osservando la cucina e il gran caos che c’era in giro, stranissimo per lei così amante dell’ordine.
Le guance della ragazza si scaldarono più di quanto non fossero già: non era un gran biglietto da visita, mostrare il piano di lavoro sottosopra al suo maestro-chef...
Con suo enorme stupore, però, non poté non notare che sul viso dell’uomo fosse apparso qualcosa di strano.
Cioè, strano per gli ultimi tempi, non se paragonato al solito Marco.
Lui stava sorridendo, e gli occhi avevano di nuovo quel luccichio gioioso che non aveva più visto da troppo.
“Che hai combinato?” le chiese, voltandosi verso di lei, le labbra ancora curve a trattenere una risatina.
“Ehm... Sciolgo l’incantesimo?” azzardò Anna, ricevendo in risposta di nuovo un sopracciglio alzato.
Si schiarì la voce.
“La verità è che... quando sono venuta a casa tua, ieri, ho involontariamente aperto il ricettario di tua madre e... ho letto che le trofie al pesto sono il tuo piatto preferito...” mormorò, improvvisamente terrorizzata dalla reazione che lui avrebbe potuto avere a quella confessione. “Avevo pensato che forse preparartele avrebbe potuto farti stare un po’ meglio, ma probabilmente ho sbagliato tutto. Scusami, non avrei dovuto leggere, so quanto ci tieni a quel quaderno e che non vuoi che nessuno lo tocchi... Mi dispiace anche di non aver capito prima perché stessi così male, che fosse tutto legato al ricordo di tua madre, dopo che Caterina-... Non sono brava a leggerti come tu sai fare con me. Ti giuro che ci ho provato, pensavo potessi essere io il problema, e le avevo provate tutte per farti anche solo sorridere, ma non funzionava niente... Questo era l’unico modo che mi era rimasto, l’ultimo tentativo... e ho sbagliato anche stavolta, visto il caos che ho combinato. Scusa.”
Sebbene Anna avesse una paura terribile, Marco, a ogni parola che lei pronunciava, si sentiva meglio, e il sorriso aveva finalmente ritrovato il suo posto sulle sue labbra.
Non era arrabbiato con lei... e come avrebbe mai potuto esserlo? Vero, aveva letto il ricettario che lui le aveva espressamente vietato di toccare, e aveva tentato l’impresa - evidentemente per lei titanica - di preparare le trofie al pesto secondo la tradizione, pur sapendo che lui avrebbe potuto non prenderla bene.
Eppure Marco era felice. Incredibilmente tanto.
Perché nonostante le trofie al pesto di mamma Elena fossero buonissime e inarrivabili, anche lei quando le preparava combinava quel gran casotto in cucina.
Esattamente come Anna.
Per questo decise che non glielo avrebbe mai detto.
Avrebbe custodito gelosamente anche quella somiglianza inconsapevole tra la madre, che aveva sempre ammirato, e la donna che aveva adesso davanti e che amava, certo che Elena stesse sorridendo nel vederli così, insieme, in quel momento.
Solo che Anna meritava delle spiegazioni, mentre era ancora in piedi di fronte a lui, gli occhi spalancati come un uccellino spaurito.
Le doveva delle risposte per quei giorni di assenza, anche se trovare le parole era difficile e non avrebbe mai capito perché.
Riuscì a mormorarle solo “Scusa”, con gli occhi che tornarono a velarsi di lacrime e tristezza.
Le dita della sua fidanzata però corsero veloci a impedire a quel sale di scendere.
“Non voglio che tu mi dica niente, se farlo ti rende di nuovo triste,” disse soltanto, le mani ad accarezzare con dolcezza il suo volto. “Un giorno forse ce la farai a dirmi quello che adesso non ti riesce, ma non devi per forza farlo ora. So cosa provi, perché anch’io ci sono passata quando ho perso papà. Abbiamo sopportato da soli questo dolore per anni, ma adesso lo possiamo condividere. Possiamo rendere quel peso più leggero... Fa parte del cambiare insieme...”
Sembrava che il sorriso di Marco non volesse più abbandonarlo.
Restò a guardarla, imbambolato, come se quegli occhi verdi lo avessero reso vittima di un uomo incantesimo. Di magia bianca, stavolta. Un incantesimo dal quale non voleva destarsi, perché stava riuscendo a scaldarlo fino ai punti più remoti di sé, nei quali in quei giorni passati aveva lasciato che si annidasse il gelo più tagliente. Quel freddo però finalmente si era sciolto grazie all’amore della sua Anna, la magia più grande che avesse mai sperimentato.
Ed era certo di voler restare sotto l’incanto di quel sortilegio per sempre.
 
Le trofie al pesto non erano le stesse di mamma Elena, ma erano buone, molto. Avevano il sapore della gioia ritrovata, di un calore nuovo e la dolcezza di un momento da ricordare in eterno.
Marco non aveva smesso di sorridere un attimo, e era bastato un niente a farlo scoppiare in quella fragorosa risata che ad Anna era mancata terribilmente. E lei stessa non avrebbe potuto essere più felice.
Dopotutto, che fiaba sarebbe, se non finisse con “E vissero tutti felici e contenti”?
 
Allora? Soddisfatto da questa storia? Il Principe andava bene, Grillo?
 
...
 
Ma tutti quei fazzoletti da dove saltano fuori? Grillo, non mi dirai che davvero ti sei commosso? ... Grillo?
 
*RONF*
 
DORME!
 
   
 
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